Il caso affrontato dalla III sezione penale della
Corte di Cassazione con la
sentenza n. 36319 del 22 agosto 2019 attiene alla vicenda di un imprenditore il quale, dopo essere stato
condannato alla
pena di euro 3.000 di
ammenda per il
reato di cui all’art. 159 secondo comma lett. a) del decreto legislativo 81/2008 in materia di
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, lamentava la mancata applicazione nei suoi confronti dell’art.
131 bis c.p.
Quest’ultima disposizione, come noto, configura una
causa di non punibilità per
particolare tenuità del fatto, introdotta dal legislatore con il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015, legata alla sussistenza di tutta una serie di presupposti applicativi che denotano l’
offensività particolarmente lieve del fatto censurato.
La Corte di Cassazione, nel prendere in esame le doglianze del
ricorrente, ha affermato tuttavia come le stesse apparissero del tutto generiche e indeterminate, non specificando in modo preciso ed esaustivo le ragioni sulla base delle quali il
Tribunale avrebbe dovuto accogliere la richiesta di applicazione del sopracitato articolo 131 bis c.p.
Non possono ritenersi ragioni sufficienti ai fini dell’accoglimento dell’istanza, in particolare, nè l’
adempimento tardivo agli obblighi gravanti in materia antinfortunistica sul
datore di lavoro, nella specie coincidente con lo stesso esecutore materiale delle opere edili poste in essere sul tetto di un edificio in assenza dei prescritti presidi di sicurezza, né la sua condizione di incensuratezza.
I giudici della Suprema Corte, infatti, affermano come il mancato pagamento della somma prescritta in sede amministrativa non elimina, per effetto del successivo adempimento, la
contravvenzione già perfezionatasi in tutti i suoi elementi costitutivi al momento della constatazione, coincidente col sopralluogo eseguito nel cantiere dal competente organo di controllo.
Più nello specifico, la sentenza afferma che il tardivo adempimento alle prescrizioni amministrative altro non è che un post factum che non incide in alcun modo sul disvalore del fatto commesso.
La causa di non punibilità è riferibile, affermano i giudici, “soltanto a un momento successivo a quello del perfezionamento di tutti gli estremi del reato, per la cui ontologica e giuridica esistenza è necessariamente richiesta la presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole e non anche l’assoggettamento, in concreto, alla sanzione penale di colui che lo ha commesso”.
Da ciò consegue che “il tardivo adempimento alla prescrizioni dell’organo amministrativo resta un post factum del tutto neutro rispetto al disvalore, anche in termini di offensività, dell’illecito penale”.
D’altra parte, poi, è anche irrilevante, come accennato, la condizione di incensuratezza dell’
imputato, poiché la mancanza di abitualità della condotta deve sussistere
congiuntamente, e non in alternativa rispetto alla tenuità dell’offesa.
Per tutte le argomentazioni sin qui svolte, la Corte di Cassazione ha confermato il rigetto della richiesta del ricorrente in ordine all’applicazione dell’art. 131 bis, a causa della eccessivamente generica richiesta avanzata dalla difesa.