Nel caso esaminato dalla Corte, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna dell’imputata per il reato di violenza privata, tuttavia concedendole le attenuanti generiche, poichè “con violenza – consistita nella sostituzione della serratura della porta di accesso all’abitazione coniugale”, aveva impedito al marito di accedere all’abitazione.
L’imputata, ritenendo la condanna ingiusta, proponeva, ricorso in Cassazione.
In particolare, a sostegno delle proprie ragioni, la condannata rilevava come la condotta posta in essere sarebbe consistita nel semplice rifiuto di “adempiere spontaneamente agli obblighi derivanti dalla sentenza della Corte d’Appello che aveva assegnato la casa coniugale sia a lei che al marito separato”, ma non avrebbe integrato, invece, gli estremi del reato di “violenza privata”.
La donna, inoltre, chiedeva l’applicazione dell’art. 131 bis del c.p. che prevede l'esclusione la punibilità in ragione della particolare tenuità del fatto, circostanza che la ricorrente riteneva sussistere.
La Corte di Cassazione considerava il motivo del ricorso infondato, dal momento che “ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, è necessario l’esercizio della violenza fisica o morale o la prospettazione di un male ingiusto, il cui verificarsi dipende dall’iniziativa dell’agente”, con la conseguenza che non rientra nel reato in questione solo la “condotta meramente omissiva, tenuta in relazione ad una richiesta altrui, anche quando la stessa si risolva in una forma passiva di mancata cooperazione al conseguimento del risultato voluto dal richiedente”.
La Corte, inoltre, ricordava come, con una precedente pronuncia su un caso analogo, fosse stata esclusa la configurabilità del reato in questione; il fatto riguardava un marito che, pur non avendo consegnato le nuove chiavi dell’abitazione coniugale alla moglie, aveva però concordato, precedentemente, la sostituzione della serratura (Cass. civ., sez. V, sentenza 7 marzo 2014, n. 15651).
Nel caso di specie, la Corte rilevava come tale preventivo accordo non vi fosse stato e, pertanto, doveva ritenersi integrato il reato di cui all’art. 610 c.p., “in relazione al quale l’elemento della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza ‘impropria’, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione”.
In proposito, la Corte osservava come a tale conclusione si sia, infatti, giunti, anche con la precedente sentenza n. 11907 del 22 gennaio 2010, con la quale era stato condannato il proprietario di un immobile che aveva sostituito la serratura della porta di accesso al vano caldaia, con mancata consegna delle chiavi al condomino, il quale era stato impossibilitato ad esercitare il diritto di servitù gravante sul locale stesso.
In conclusione, la Corte, pur ritenendo astrattamente configurabile il reato, escludeva che la donna potesse essere punita, dovendo trovare accoglimento la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p., poichè la condotta posta in essere poteva dirsi caratterizzata da “particolare tenuità”.
La Corte osservava, infatti, che la pena era stata inflitta nella misura minima edittale e che l’imputata aveva usufruito della sospensione condizionale della pena e della non menzione, proprio in ragione della “tenuità dell’offesa, dello stato di incensuratezza e della occasionalità della condotta”.
Alla luce di ciò, dunque, la Cassazione annullava la sentenza impugnata, prosciogliendo la donna “per essere l’imputata non punibile ai sensi dell’art. 131 bis c.p.”.