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No alla particolare tenuitā del fatto per il dipendente pubblico che usi ripetutamente il telefono per fini personali

No alla particolare tenuitā del fatto per il dipendente pubblico che usi ripetutamente il telefono per fini personali
Non è applicabile la particolare tenuità del fatto di fronte al ripetuto utilizzo del telefono della pubblica amministrazione per ragioni personali.
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6550/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla possibilità o meno di applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis del c.p., nel caso in cui un dipendente pubblico si sia reso colpevole del reato di peculato, utilizzando ripetutamente il telefono della pubblica amministrazione per motivi estranei a quelli d'ufficio.

La questione sottoposta alla Suprema Corte nasceva dalla vicenda che aveva visto come protagonista un dipendente pubblico, il quale, all’esito del giudizio di primo grado, era stato condannato per il reato di peculato, ai sensi del comma 2 dell’art. 314 del c.p., con riconoscimento del vincolo della continuazione, ex art. 81 del c.p., per aver utilizzato abusivamente, per circa due anni, la linea telefonica della pubblica amministrazione.
Tale decisione era, tuttavia, stata riformata dalla Corte d’Appello, la quale aveva assolto l’imputato ritenendo che dovesse trovare applicazione la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p., in ragione della sua incensuratezza e dell’avvenuto ristoro del danno.

Di fronte a tale pronuncia, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello adita ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 131 bis del c.p. Secondo il ricorrente, infatti, i giudici di secondo grado non avevano considerato il fatto che esistesse una causa ostativa all’applicazione dell’art. 131 bis c.p., costituita dall’abitualità della condotta criminosa, la quale sia era protratta per circa due anni.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo di doglianza avanzato dal Procuratore Generale.

Gli Ermellini, oltre ad evidenziare come risultasse del tutto inconferente, ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis del c.p., il riferimento all’avvenuto ristoro del danno e all’incensuratezza dell’imputato, hanno ribadito il loro costante orientamento, in base al quale “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p., non può essere dichiarata in presenza di più gravi reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo del riconoscimento del beneficio” (cfr. Cass. Pen., n. 18192/2019).

Considerato, quindi, che la condotta criminosa dell’imputato ha avuto luogo ripetutamente per un lungo lasso temporale, pari a circa due anni, secondo gli Ermellini, concordemente a quanto ritenuto dal ricorrente, nel caso di specie non poteva trovare applicazione l’art. 131 bis c.p.


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