Al fine di comprendere tale approdo giurisprudenziale, occorre premettere che
- tale reato è previsto dall’art. 570 c.p., che punisce chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottragga agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge. Il reo, in tali casi, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa. Ai sensi del secondo comma, tuttavia, le dette pene si applicano congiuntamente a chi malversi o dilapidi i beni del figlio minore o del coniuge oppure faccia mancare i mezzi di sussistenzaai discendenti di età minore (ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa). La fattispecie in cui più comunemente si vede integrato tale reato, nello specifico, è quella del mancato pagamento, da parte del genitore non affidatario o non collocatario, delle somme dovute mensilmente all’altro genitore per il mantenimento del figlio;
- la particolare tenuità è contemplata dall’art. 131 bis c.p., che esclude la punibilità del reato al ricorrere di tre requisiti, cioè a) che la pena detentiva irrogabile sia non superiore nel massimo a cinque anni; b) che il comportamento non sia abituale; c) che l’offesa risulti di particolare tenuità alla luce delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo.
L’art. 131 bis c.p., infatti, delinea – ricorda la Suprema Corte – una “causa di non punibilità fondata sul presupposto della inutilità della pena in presenza di un’offesa minima al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice”, sicchè può benissimo trovare applicazione in relazione alla fattispecie descritta.
La vicenda concreta giunta all’attenzione della Corte, in particolare, riguardava un padre accusato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria figlia minore, non versando alla madre l’assegno di mantenimento né provvedendo altrimenti. L’uomo era dunque condannato per il reato di cui all’art. 570 co. 2 n. 2, sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Avverso la sentenza di secondo grado aveva dunque proposto ricorso l’imputato, lamentandosi – per quanto ora di rilievo – della mancata esclusione della punibilità del fatto, il quale risultava del tutto occasionale e comunque commesso ad un circoscritto periodo in cui il ricorrente era disoccupato.
In accoglimento di tale censura, la Corte di Cassazione ha dunque cassato la sentenza con rinvio.