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Articolo 1027 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Contenuto del diritto

Dispositivo dell'art. 1027 Codice Civile

La servitù prediale(1) consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario [1072](2).

Note

(1) Le servitù prediali (praedium = fondo) necessitano, ai fini della loro costituzione (art. 1031) di due requisiti:
- la presenza di due fondi legati da un rapporto di vicinanza tale che, pur se non confinanti, sia possibile l'esercizio della servitù;
- l'obiettiva utilità che un fondo può trarre dalla limitazione imposta al fondo vicino.
(2) La dicitura "appartenente a diverso proprietario" si riferisce al generale principio (di cui al brocardo nemini res sua servit) secondo cui il proprietario di due fondi vicini non può costituire una servitù a favore dell'uno e a carico dell'altro.

Ratio Legis

Il principio fondante della servitù consiste nella cooperazione fondiaria: tale istituto mira a realizzare l'utilizzazione di un fondo - detto servente - per il servizio di un altro fondo - detto dominante -, per garantire la soddisfazione dell'interesse generale all'aumento della produzione.
La servitù è un diritto reale di godimento in capo ad una persona, quale proprietario di un fondo (dominante), avente ad oggetto un fondo altrui (fondo servente), il cui proprietario è di conseguenza soggetto ad una diminuzione della propria possibilità di godimento ai fini della realizzazione di un' utilità a vantaggio del fondo dominante.
La dottrina ritiene che i caratteri peculiari dell'istituto in esame siano:
a) inerenza passiva e attiva della servitù al fondo;
b) immediatezza della servitù;
c) utilitas;
d) specialità della servitù, intesa come inammissibilità di una compressione integrale della facoltà di godimento del fondo servente;
e) servitus in faciendo consistere nequit;
f) nemini res sua servit (il proprietario del fondo servente non deve essere lo stesso del fondo dominante);
g) vicinitas dei fondi, intesa come collegamento funzionale tra essi.

Brocardi

Fructuarius acquirere servitutem non potest, retinere potest
Fundi vicini esse debent
Iura in re aliena
Iura praediorum
Nec acquiri, nec remitti, nec imponi servitus per partem poterit
Omnes servitutes praediorum perpetuas causas habere debent
Pati
Praedia vicina esse debent
Praedium medium non impedit servitutem
Praestare patientiam
Servitus est qualitas rei imposita, qua quis ius suum deminuit, alterius auxit
Servitus praediorum
Servitus servitutis esse non potest
Servitutum numerus non est clausus
Vicinitas

Spiegazione dell'art. 1027 Codice Civile

Natura della servitù

La servitù viene definita « peso imposto sopra un fondo ». Si legge nella Relazione al Re Imperatore (n. 144) che si tratta di un’immagine che raffigura l’aspetto economico del rapporto, ma che, comunque, questa formula è preferibile all'altra « limitazione del godimento di un fondo » proposta nel progetto della Commissione reale “Cose e diritti reali” (art. 182). Tale affermazione è corretta: a parte la considerazione per cui l'espressione « peso » esprime meglio il carattere reale delle servitù, la sua inerenza passiva, è da notare che l'altra formulazione è impropria perché la limitazione del diritto di proprietà è solo un effetto della servitù, e in genere dei iura in re aliens, ma non ne costituisce l'essenza e il contenuto, tant’ è vero che, come si è visto, è possibile aversi una servitù su res nullius.

Naturalmente la definizione va completata con la considerazione dell’aspetto, possiamo dire, attivo del rapporto, e cioè della natura di diritto soggettivo, precisamente di diritto reale su cosa altrui. Tale completamento si compie facilmente, sviluppando la definizione stessa: l'inerenza passiva (peso) è un riflesso della realità del diritto.

Un altro punto è da chiarire: poiché il diritto di proprietà del fondo servente (quando questo, come di regola, non è res nullius) e il diritto di servitù sono diritti reali che incidono sulla stessa cosa, il diritto di servitù comporta necessariamente una limitazione del diritto di proprietà. Ciò, però, non vuol dire affatto che un pezzo del diritto di proprietà si è staccato dal tutto ed ha formato diritto autonomo: la teoria dei c. d. diritti reali frazionari è stata abbandonata da molto tempo. Essa urta, del resto, contro una barriera insormontabile: nelle servitù negative (servitus altius non tollendi, ecc.) nessuna facoltà di fare passa al titolare della servitù (proprietario del fondo dominante), da lui si acquista solo il potere di proibire al proprietario del fondo servente l'esercizio di una facoltà che sarebbe contenuta nel diritto di proprietà.

La questione pare, a prima vista, di mera costruzione lessicale ma, in realtà, potrebbero discendere conseguenze giuridiche e pratiche diverse dall'una e dall'altra soluzione. Se il diritto di servitù fosse una frazione del diritto di proprietà, in caso di estinzione della servitù sarebbe necessario un negozio di retro-trasferimento per reintegrare la piena proprietà. Invece di un tale negozio non c’è alcun bisogno: estinta la servitù, cessa la limitazione gravante il diritto di proprietà, e questo, per la sua forza espansiva (elasticità del dominio), riprende l'antico vigore e tutta l'ampiezza.


Fondo dominante e fondo servente

Gli elementi materiali della servitù sono: a) il fondo servente ; b) il fondo dominante.

a) Oggetto della servitù è il fondo servente: fondi sono i terreni e gli edifici, ma per fondi possono intendersi anche i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo, ecc. (art. 812 del c.c., comma 2). Non rileva invece che la costruzione debba avere una breve durata, come l'edificio per una esposizione. Gli alberi e i frutti — finché non vengono separati dal suolo o dalla pianta — possono essere oggetto di servitù, ma in quanto partes fundi, rispetto a cui ha luogo la localizzazione dell'esercizio della servitù: questa, come tale, coinvolge tutta la cosa, e quindi il fondo nella sua interezza. La servitù costituita su un fondo necessariamente si estende alle accessioni, non alle pertinenze (art. 817 del c.c.).

Non possono essere oggetto di servitù le cose mobili, nè le cose immobili e incorporali. Sono esclusi, pertanto, tutti i diritti reali immobiliari e cioè l'enfiteusi, il diritto del concedente come tale, l'usufrutto, la servitù: infatti questi non sono « fondi ». Non significa nulla la circostanza che anche l'enfiteuta possa costituire servitù sul fondo enfiteutico (art. 1077 del c.c.): questa ha per oggetto il fondo, e se l'enfiteuta si ritiene titolare di un diritto reale su cosa altrui, e non proprietario, vuol dire che eccezionalmente un non proprietario, che sia titolare di un ampio diritto reale quale è l'enfiteusi, può gravare il fondo di servitù, che, invero, durano quanto il diritto di colui che le ha costituite (art. 1077 cit.).

Oggetto della servitù non può essere neppure il diritto di servitù: servitus servitutis esse non potest. Questa è una conseguenza del principio dell'inalienabilità, che rende impossibile l'alienazione parziale così come quella totale, e, per altro verso, si trae dall' 1027, secondo cui la servitù è un peso imposto su di un fondo. Ciò non esclude che il proprietario del fondo dominante possa, a sua volta, fare oggetto di servitù il suo fondo, in quanto avvantaggiato dalla servitù. Così, si viola il principio servitus servitutis esse non potest, se il proprietario del fondo dominante, a cui favore è costituita, ad es., una condotta di acqua sul fondo altrui, concede una servitù mediante una presa diretta dal canale conduttore che è sul suolo altrui. Non si violerebbe, invece, detto principio se la presa si legasse ad un canale o ricettacolo esistente nel fondo dominante.

Tornando al punto di partenza, si ricorda che oggetto della servitù è il fondo, il quale deve essere di un altro proprietario, come si è visto; può anche essere res nullius, come detto precedentemente. Ora ci si deve chiedere: un bene demaniale può essere oggetto di servitù prediale? I beni demaniali sono inalienabili e imprescrittibili (art. 823 del c.c.), però su di essi sono possibili diritti a favore dei privati, purché compatibili con l'uso pubblico. Tali diritti possono essere conferiti come diritti meramente personali, in base a concessioni del tutto transitorie; possono anche essere muniti di efficacia reale, e quindi di forza e valore verso i terzi. Soltanto che, pure in tale ipotesi, sono revocabili per atto della pubblica amministrazione, che ad un dato momento li ritenga in contrasto con l'interesse generale: se la revoca ha luogo, al privato titolare della servitù non spetta che un indennizzo. Casi comuni e sicuri di servitù su beni demaniali sono quelli di presa d'acqua da fiumi o altre acque pubbliche, il diritto di tenere tombe nei cimiteri comunali, ecc.

Controverso è il caso che riguarda le case latistanti alle vie pubbliche: la questione si presenta quando, per innovazioni stradali, le case che hanno sulla strada accesso e finestre si rendono in tutto o in parte inabitabili. La soluzione dominante è quella secondo cui spetta il risarcimento dei danni al proprietario dell'edificio. Dubbia è, in particolare, la configurazione del diritto spettante al proprietario dell'edificio sulla strada: è preferibile la tesi che si tratti di servitù su beni demaniali, come tali revocabili dall'amministrazione, salvo il diritto al risarcimento dei danni.

b) Essenziale è anche un fondo dominante: la servitù dev'essere utile a questo, e indirettamente alla persona del proprietario. Il fondo dominante deve appartenere a persona diversa dal proprietario dell’altro fondo: nemini res sua servit. Non può essere res nullius, come si è detto a suo tempo. Fondo dominante può essere, naturalmente, una res extra commercium, ad es. il demanio dello Stato.

Grave e dibattuta questione è quella se possano ammettersi, con natura reale, diritti di godimento a carico di fondi privati e a vantaggio di collettività (abitanti di un comune, ecc.), che vengono definiti diritti di uso pubblico o servitù di uso pubblico: caso celebre fu la controversia sul diritto di uso del popolo di Roma sulla villa Borghese. La natura reale di tali diritti non sembra possa essere negata, essi, però, non sono servitù prediali vere e proprie, perché manca un fondo dominante. Piuttosto si avvicinano di più alle servitù irregolari, soltanto che queste ultime sono a vantaggio di una persona come tale e non sono ammesse dal nostro ordinamento, come si vedrà. Le norme sui modi di costituzione delle servitù prediali non sono applicabili a queste particolari servitù nell'interesse della collettività.

Come si dirà commentando l'art. 1029 comma 2, sia il fondo servente che il fondo dominante possono essere cose future rispetto al momento in cui si stipula la servitù. In ogni caso, però, l'uno e l'altro fondo devono essere specificamente designati.


Utilitas

Requisito della servita è l'utilitas. Nel vecchio codice (art. 531) si statuiva che la servitù può essere costituita per l'uso e l’utilità di un fondo: nel nuovo codice giustamente si è eliminato l'accenno all'uso, essendo il concetto dell'uso compreso in quello generico di utilità. Utilità, dunque, è non necessità: per lo più la necessità è prevista dalla legge come ragione giustificatrice di servitù coattive, ammesse dalla stessa. L'utilità deve essere del fondo dominante, e non di una persona come tale: in quest’ultimo caso si ha una servitù irregolare che non è ammessa dalla nostra legge, come si è visto precedentemente.

Erronea è la tesi secondo cui l'interesse va distinto dall'utilità, e che solo il primo è necessario per l'esistenza delle servitù.

L’ utilitas può essere di qualunque genere e contenuto, purché rivolta ad un fondo: di qui l'atipicità delle servitù prediali: sono possibili non solo le figure previste dalla legge, ma tutte quelle immaginabili.


Vicinitas

Nè la vicinitas dei fondi (praedia vicina esse debent), né la contiguità possono ritenersi essenziali perché si abbia la servitù prediale. Checché se ne pensi nel diritto romano, certo è che oggi la vicinanza non è un requisito essenziale: essa può solo servire come criterio pratico per determinare se vi è o no l'utilitas, ma non è certo un requisito autonomo delle servitù, visto che nel codice non se ne fa alcun cenno.


Causa perpetua

La causa perpetua era per i romani un requisito necessario, ed era considerata come la conseguenza del concorso di due elementi, l'utilitas e la provenienza di questa dal fondo servente. « Causa perpetua significava questo : le condizioni del fondo servente, capaci di assicurare l'utilitas, devono essere naturali, non artificiali; devono trovar riscontro nelle energie naturali (quod ex coelo cadit), non in forze artificiali (quod manit fit) ».

Oggi il requisito della causa perpetua non è più richiesto: così, si può costituire su uno stabilimento che produca elettricità utilizzando una cascata di acqua una servitù di derivazione di corrente a favore di una fabbrica, o in generale di altro fondo; e non vi si può opporre che, se non vi osta la causa perpetua, perché non più richiesta, vi osta il principio, tuttora vigente, secondo cui servitus in faciendo consistere nequit: infatti, viene conseguita senza bisogno del fatto del proprietario del fondo servente.

Indubbiamente possono apparire incerti i confini fra i casi in cui manca la perpetuitas e quelli in cui vi è un facere da parte del proprietario del fondo servente e necessario perché si abbia utilitas: ove un tale facere costituisca il contenuto diretto e primario della servitù, il principio « servitus in faciendo… » viene violato, e non può sorgere alcuna servitù come diritto reale.

Dalla causa perpetua servitutis non derivava per i romani, e non deriva per chi voglia ammetterla tutt'oggi, la conseguenza che la servitù dev'essere perpetua: una cosa è la causa perpetua nel senso detto, altra è la durata della servitù. Le servitù prediali, come possono essere perpetue (a differenza delle personali), così possono essere sottoposte a termine finale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

488 Sebbene non si tratti che di un'immagine, la quale raffigura l'aspetto economico del rapporto, più che di una definizione rispondente al rigore del tecnicismo giuridico, ho preferito, per indicare il contenuto del diritto di servitù, conservare nell'art. 1027 del c.c. la formula «peso imposto sopra un fondo» dell'art. 531 del codice del 1865, anziché sostituire l'espressione «limitazione del godimento di un fondo», proposta nel progetto dalla Commissione Reale (art. 182). In vero, la parola «peso» esprime con maggiore immediatezza il carattere reale della servitù e soprattutto pone in risalto il distacco delle vere e proprie servitù prediali dalle limitazioni della proprietà. Dall'espressione «per uso e l'utilità», adoperata dal codice del 1865, ho eliminato l'accenno all'uso, essendo il concetto dell'uso ricompreso in quello più ampio e generico dell'utilità. Questa, come chiarisce l'art. 1028 del c.c., che traduce in formula legislativa un principio non controverso, oltre che in un vantaggio strettamente economico, può consistere nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Aggiunge lo stesso art. 1028 che l'utilità può anche essere inerente alla destinazione industriale del fondo. La possibilità di costituzione delle così dette servitù industriali ha però, quale suo presupposto, che l'industria sia collegata al fondo dominante; che, cioè, questo abbia per sua destinazione specifica di servire a una data industria, di guisa che la servitù si traduca in un incremento dell'utilizzazione del fondo. Sarebbe infatti alterato lo schema tradizionale delle servitù prediali se si consentisse di costituire una servitù a favore dì un'azienda industriale indipendentemente dal legame dell'industria con un determinato immobile. Nell'art. 1029 del c.c. si risolve la questione sulla necessità, o meno dell'attualità dell'utilitas per la costituzione di una servitù, ammettendosi che questa possa costituirsi per assicurare a un fondo un vantaggio futuro. Si ammette inoltre la costituzione di una servitù a favore o a carico di un edificio non ancora costruito o di un fondo da acquistare; ma in questi casi la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l'edificio è costruito o il fondo è acquistato.

Massime relative all'art. 1027 Codice Civile

Cass. civ. n. 8320/2023

L'accertamento dell'esistenza, o meno, dei presupposti per la configurabilità di un diritto reale di servitù costituito per usucapione deve essere condotto unitariamente, con riferimento alla sussistenza dei requisiti del possesso utile ad usucapionem, dei presupposti dell'apparenza e dell'utilitas, sia con riferimento all'eventuale domanda di riconoscimento dell'esistenza del diritto stesso, indipendentemente dal fatto che essa sia proposta in via principale o riconvenzionale, sia con riguardo all'eccezione di usucapione, che sia sollevata al solo fine di paralizzare l'avversa azione negatoria del diritto reale. Non è infatti possibile riconoscere, in via di eccezione, la sussistenza dei presupposti per la configurabilità di un diritto reale che sia stata esclusa, mercè il rigetto della corrispettiva azione di accertamento della sua esistenza.

Cass. civ. n. 15928/2022

In tema di servitù industriali, il concetto di "utilitas", pur potendo ricomprendere qualsiasi vantaggio, anche non economico, che migliori l'utilizzazione del fondo dominante, deve risultare direttamente e oggettivamente dalla natura e dalla destinazione del fondo dominante, sicché, dovendo rispettare il carattere della predialità, non può riferirsi all'attività industriale in sé e per sé considerata, ma va pur sempre ricondotto al fondo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che lo slargo, nel quale i camion effettuavano più agevolmente le manovre per le operazioni di scarico delle bombole trasportate per conto del titolare della servitù, costituisse un mero valore aggiunto all'impresa, senza però apportare alcuna utilità alla destinazione industriale del fondo dominante ex art. 1028 c.c.).

Cass. civ. n. 35955/2021

È illegittima l'apertura di un varco praticata da un condomino nel muro dell'edificio condominiale, al fine di mettere in comunicazione l'appartamento di sua proprietà esclusiva con l'andito di una scala destinata a servire un'altra parte di fabbricato, comportando tale utilizzazione l'imposizione sul bene di un peso che dà luogo ad una servitù in favore di una unità immobiliare esterna alla limitata contitolarità di esso, con conseguente alterazione della destinazione di cosa comune. (Principio affermato in una controversia proposta da un condominio, avente un'unica entrata e due scale, nei confronti di un condomino che aveva aperto un varco sul pianerottolo della scala che non serviva l'appartamento di sua proprietà).

Cass. civ. n. 28869/2021

La servitù di uso pubblico, quale diritto dal contenuto non predeterminato, ma funzionale al soddisfacimento di un'esigenza di carattere generale, diretta a realizzare un fine di pubblico interesse, consiste in un peso posto a carico di un bene immobile in favore, non già di altro bene immobile, bensì di soggetti, i quali si identificano in una collettività indistinta di persone, che ne beneficiano "uti cives".

Cass. civ. n. 25195/2021

La cd. servitù irregolare - in dipendenza della tipicità dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un "numerus clausus" e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo - comporta l'insorgenza di un rapporto obbligatorio atipico tra le parti, avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore del soggetto indicato nel relativo atto costitutivo e non a realizzare uno scopo di utilità per un fondo (dominante) con l'imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo personale di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneità del vincolo che ne deriva. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ricondotto la concreta fattispecie - accordo orale di concessione della posa in opera di un pozzetto di scolo delle acque meteoriche - nell'ambito della "servitù irregolare", ha escluso il carattere provvisorio e temporaneo dell'accordo, in tal modo erroneamente inscrivendo la suddetta servitù nell'ambito di un quadro connotato da profili di realità.)

Cass. civ. n. 24940/2021

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come "qualitas fundi", ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell'ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell'opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l'inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un'azione di natura reale per ottenere la demolizione dell'opera abusiva ex art. 1079 c.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/03/2017)

Cass. civ. n. 524/2021

Allorchè il proprietario di un terreno decida di frazionarlo e venderlo a scopo edificatorio, le limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene contenute in una pattuizione dei contratti di compravendita, ove regolarmente trascritte, costituiscono una servitù prediale reciproca tra i fondi che vincolano all'osservanza anche i successivi aventi causa, pur se i rispettivi atti di acquisto non ne facciano menzione, avendo i proprietari originari dei terreni in tal modo costituito per accordo negoziale unanime un vincolo di natura reale sul bene. (La S.C. ha enunciato il menzionato principio in una fattispecie in cui, nell'atto di compravendita, da parte dell'unico originario proprietario, di alcuni terreni sui quali erano poi state edificate delle ville, era stato imposto, a carico degli iniziali acquirenti, il divieto di destinare l'immobile ad attività industriali o commerciali, intrattenimenti e banchetti in assenza delle autorizzazioni necessarie per l'esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande).

Cass. civ. n. 7561/2019

In tema di servitù, lo schema previsto dall'art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di servitù aventi ad oggetto il parcheggio di un'autovettura su un immobile di proprietà altrui, a condizione che, in base all'esame del titolo, tale facoltà risulti essere stata attribuita a diretto vantaggio del fondo dominante, per la sua migliore utilizzazione, quale "utilitas" di carattere reale. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 13/01/2014).

Cass. civ. n. 5603/2019

Le convenzioni costitutive di servitù "personali" o "irregolari", aventi come contenuto limitazioni della proprietà del fondo altrui a beneficio di un determinato soggetto e non di un diverso fondo, sono disconosciute dal codice vigente, come da quello abrogato del 1865, essendo dirette a realizzare un interesse non meritevole di tutela perché concretizzantesi in una mera comodità, del tutto personale, di coloro che accedono al preteso fondo servente, ma non in un'utilità oggettiva, pur se indiretta, del fondo dominante. (Nella specie, la S.C. ha considerato servitù "irregolare" l'attraversamento veicolare del fondo servente per consentire il posteggio di veicoli sul fondo dominante, integrando questo gli estremi di una mera comodità a vantaggio di persone specifiche). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 09/12/2013).

Cass. civ. n. 14503/2018

Ai fini dell'accoglimento di una domanda di usucapione di servitù di passaggio, il requisito della contiguità o vicinanza dei fondi rappresenta un elemento di fatto, più che di diritto, il cui accertamento comporta una valutazione di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha escluso che l'apprezzamento, da parte del giudice di appello, della non trascurabile distanza esistente tra i due fondi e della possibilità di raggiungere in altro modo il fondo dominante dalla pubblica via integrasse la denuncia di un errore di diritto). (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 06/03/2014).

Cass. civ. n. 16698/2017

In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un'autovettura su fondo altrui, a condizione che, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione.

Cass. civ. n. 3091/2014

In base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 cod. civ., i privati possono sottrarsi alla tipicità dei diritti reali su cose altrui, costituendo, invece della servitù prediale, un obbligo a vantaggio della persona indicata nell'atto, senza alcuna funzione di utilità fondiaria.

Cass. civ. n. 13700/2011

In tema di servitù discontinue, l'esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l'"animus derelinquendi", la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per la utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore.

Cass. civ. n. 10457/2011

In tema di rinuncia al diritto di servitù prediale, il requisito della forma scritta previsto dall'art. 1350, n. 5), c.c., può essere integrato - non essendo necessario l'uso di formule sacramentali o di particolari espressioni formali - anche dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso, purché contenenti una chiara ed inequivoca dimostrazione di volontà incompatibile con il mantenimento del diritto stesso; pertanto, la rinuncia al diritto di "servitus inaedificandi" può essere contenuta nella domanda di concessione edilizia diretta all'esecuzione di opere che, ove realizzate, necessariamente determinerebbero il venir meno dell"'utilitas" dalla quale dipende l'esistenza della servitù stessa.

Cass. civ. n. 16342/2002

Il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà per i privati di costituire servitù meramente personali (cosiddette «servitù irregolari » ), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo bensì del singolo proprietario di quest'ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, inidonea alla costituzione di un diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell'ambito del diritto d'uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o di contratti affini, quali l'affitto e il comodato.

Cass. civ. n. 883/2001

Nel diritto vigente non sussiste la perpetuità della servitù, ma solo la necessità di una certa durevolezza e stabilità del rapporto che la stessa determina.

Cass. civ. n. 11684/2000

L'articolo 1027 c.c. disciplina la categoria generale delle servitù, non le singole servitù — che se costituite volontariamente sono aperte nel contenuto concreto e nella denominazione — stabilendo la funzione del diritto di servitù, che caratterizza il rapporto, e che consiste nel peso imposto su un immobile per l'utilità di un altro immobile, costituendo per l'effetto un rapporto tra i rispettivi proprietari. Invece l'onere reale è una qualità giuridica dell'immobile e da esso inseparabile, con l'effetto di obbligare il proprietario, in quanto tale, ad eseguire prestazioni positive e periodiche, di dare o facere, a favore del proprietario di altro immobile o di altro soggetto. Infine l'obligatio propter rem è un legame indissolubile tra l'obbligazione e la cosa, e la sua funzione causale giustifica l'individuazione del soggetto obbligato nel titolare del diritto reale sulla res.

Cass. civ. n. 190/1999

Il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali (cosiddette «servitù irregolari»), vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest'ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell'ambito del diritto d'uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini; quali l'affitto o il comodato. In entrambi i casi, il diritto trasferito, attesane la natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di una ulteriore, apposita convenzione stipulata dall'avente diritto con il nuovo proprietario del bene «asservito». (Nella specie, il giudice di merito aveva qualificato come costitutiva di una duplice servitù, di passaggio e di parcheggio, una convenzione tra privati con la quale il venditore di un appartamento aveva altresì concesso all'acquirente, in sede di stipula dell'atto pubblico di alienazione, il diritto d'uso di uno scantinato al fine di parcheggiarvi un'autovettura — nonché il diritto di passaggio sull'area che ne consentiva l'accesso — diritto non riconosciuto, in seguito, dagli eredi dello stesso venditore. La S.C., nel cassare la pronuncia, ha sancito il principio di diritto di cui in massima).

Cass. civ. n. 7614/1997

La servitù prediale si distingue dalla obligatio propter rem sotto il profilo della destinazione della connessa utilitas (oggetto di previsione legale o di accordo negoziale), in via diretta ed immediata, al soddisfacimento di legittime esigenze del fondo dominante, a favore del quale viene a costituirsi un diritto habendi, faciendi, prohibendi gravante sul fondo servente nella forma del pati, non facere. Non è, pertanto, incompatibile con l'essenza di realtà del diritto di servitù la previsione di un obbligo, a carico del fondo servente, di non destinazione delle costruzioni ivi erette od erigende ad uno o più usi determinati (nella specie, capannoni adibiti ad uso industriale o commerciale).

Cass. civ. n. 9232/1991

La servitù prediale che nel nostro ordinamento può costituirsi anche con l'apposizione di un termine finale (servitù temporanea) si distingue dalla obbligazione meramente personale, essendo requisito essenziale della servitù l'imposizione di un peso su di un fondo (servente) per l'utilità ovvero perla maggiore comodità o amenità di un altro (dominante) in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas inseparabile di entrambi, mentre si versa nell'ipotesi del semplice obbligo personale quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1027 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Cliente chiede
martedì 13/08/2024
“Buongiorno,
vorrei chiedervi una consulenza per un problema di vicinato riguardante parcheggi su strada privata.
Io e un'altra famiglia siamo residenti in una via privata con immobili di proprietà separati e in 2 numeri civici uno di fianco all’altro. Entrambi siamo quindi proprietari di fondo dominante ed entrambi abbiamo la sola servitù di passaggio carrabile per accedere alle nostre proprietà. Questa via è di proprietà di un capannone (proprietario del fondo servente), il quale si trova di fianco alla nostra via e ha il doppio accesso sia con un cancello sulla nostra strada a fondo cieco, sia all’inizio della strada ma con cancello rivolto sulla strada principale (vedi foto allegate). Ad oggi il capannone è in gestione ad una società che quindi è in affitto e svolge la sua attività.
Nel cancello presente alla fine della strada, dove io risiedo con la mia abitazione, è apposto un cartello di divieto di sosta e il proprietario del fondo servente utilizza raramente tale cancello per il transito di alcuni mezzi da lavoro anche pesanti.
Questa via, dove noi siamo residenti, ha una larghezza tale per cui 2 auto riescono a passare una di fianco all’altra ma con margini molto ristretti. Il problema sorge dal momento in cui l’altro fondo dominante ha iniziato a far parcheggiare ad un suo ospite (quindi non residente) veicoli di grossa dimensione anche per piu giorni consecutivi. Faccio presente che all’interno della loro proprietà c’è uno spazio tale che almeno 2 veicoli possano essere parcheggiati, quindi il fatto di sostare sul lato della strada ha solamente motivi di pigrizia e comodità e non di necessità.
La notte di capodanno è successo che una nebbia fittissima aveva ricoperto tutta la strada e mi è stato reso impossibile arrivare alla mia abitazione a causa della presenza del solito suv parcheggiato sulla strada, per cui data l’ora ho ritenuto idoneo non disturbare e ho dovuto parcheggiare anche io la mia auto all’inizio della via.
Faccio notare che anche miei amici e parenti di tutte le età si sono lamentati per i disagi arrecati durante il transito verso la mia abitazione poiché la via, essendo a fondo cieco, permette solo di passare in avanti e retromarcia. Ma la mia preoccupazione principale riguarda l’eventuale transito di mezzi di soccorso che soprattutto di notte sarebbero sicuramente ostacolati.
Alla luce di questi motivi, una sera ho chiesto al proprietario vicino, in maniera gentile ed educata, di poter evitare di parcheggiare per piu giorni consecutivi i loro soliti veicoli sulla strada. Ho ribadito, tra l’altro, che non ho nulla in contrario a trovare altri veicoli appartenenti direttamente a loro come sosta provvisoria o veicoli di loro parenti e amici che occasionalmente vengono a fare visita, in quanto anche io e miei parenti e amici usufruiamo della sola sosta breve sulla parte di fronte alla mia abitazione. La loro risposta è stata che è un problema nostro se non riusciamo a passare perché in sostanza non sappiamo guidare.
Ad oggi la situazione purtroppo non è migliorata, ma anzi da circa un paio di mesi il solito suv è presente tutti i giorni e anche di notte.
Il mio obiettivo è quello di contattare il proprietario del fondo servente per capire se si possa trovare una soluzione che consenta di trarre vantaggio anche a loro. Ma vorrei cautelarmi nel caso in cui il proprietario risulti irreperibile o disinteressato alla questione.
Leggendo il vostro articolo ho capito che non sono rispettati i requisiti che consentano all’altro proprietario del fondo dominante di usufruire di un diritto di servitù di parcheggio.
Vi chiedo quindi come potrei risolvere legalmente la questione in maniera definitiva, perché il mio obiettivo sarebbe quello di tutelare comunque la sosta breve, ma anche quello di evitare la presenza di ostacoli in modo continuativo.
Grazie e cordiali saluti

Consulenza legale i 19/08/2024
Va premesso che, per un migliore inquadramento della fattispecie, sarebbe necessario esaminare l'atto costitutivo della servitù.
Ad ogni modo, sulla base delle informazioni a nostra disposizione, possiamo osservare quanto segue.
In materia di esercizio delle servitù, l’art. 1065 c.c. stabilisce che “colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso. Nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente” (c.d. principio del minimo mezzo).
A ben vedere, però, la norma che abbiamo appena esaminato riguarda, evidentemente, i rapporti tra fondo dominante e fondo servente: nel nostro caso, invece, siamo di fronte a servitù di passaggio costituite, in favore di due fondi dominanti diversi, sul medesimo fondo servente.

Si potrebbe dunque ipotizzare l’applicazione delle norme in materia di comunione, che si ha quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone (art. 1100 c.c.): si pensi che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Tuttavia, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno chiarito che “il diritto di servitù, per sua natura indivisibile in quanto inerente a tutto il fondo dal lato sia attivo che passivo, non può formare oggetto di comunione, poichè essa presuppone la frazionabilità per quote della cosa o del diritto comune [...]. Infatti [...], in presenza di più servitù di passaggio sul medesimo fondo [...] si ha coesistenza di diritti di godimento di tipo diverso, differentemente connotati e non omogenei, il cui rispettivo contenuto è delimitato dalle utilità che il fondo dominante può trarre da quello asservito, con occasionale, frammentata e parziale coincidenza di facoltà inerenti all'esercizio di diritti di proprietà comune e servitù in rapporto a circoscritte porzioni del bene, sicchè la disciplina di cui agli artt. 1100 e segg. cod. civ. risulta in tal caso inapplicabile” (Cass. Civ., Sez. II, 27/04/2005, n. 8727).

La possibile tutela va dunque cercata nelle azioni previste dal codice civile a difesa delle servitù.
Parliamo, innanzitutto, dell’azione prevista dall’art. 1079 c.c., secondo cui il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative.
Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che, ai fini di tale azione, il legittimato passivo (vale a dire il soggetto nei cui confronti l’azione può essere proposta) “è colui che, oltre a contestare l'esistenza della servitù, ha un rapporto attuale con il fondo servente, per esserne proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale o possessore suo nomine, in quanto solo nei confronti di tali soggetti può esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l'ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino ex art. 2933 c.c. Gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono, invece, essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell'azione ex art. 1079 c.c., solo se la loro condotta abbia concorso con quella di uno dei predetti soggetti, o abbia comunque implicato la contestazione della servitù, fermo restando che, nei loro riguardi, possono essere esperite, ex art. 2043 c.c., l'azione di risarcimento del danno e, ai sensi dell'art. 2058 c.c., l'azione di riduzione in pristino, con l'eliminazione delle turbative e molestie” (così Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 30/04/2024, n. 11601).
Inoltre, giurisprudenza più risalente nel tempo ha affermato che “l'actio confessoria servitutis, quale azione reale avente ad oggetto l'accertamento dell'affermato diritto di servitù, trova fondamento nel fatto stesso che vi siano contestazioni sulla legittimità dell'esercizio del medesimo, accompagnate o meno da impedimenti o turbative” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1842 del 13 febbraio 1993).
E ancora, secondo Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 3110 del 23 maggio 1985, l’actio confessoriatrova il suo fondamento solo se vi siano contestazioni sulla legittimità dell'esercizio del diritto di servitù, laddove se si è in presenza di turbative o minacce che non implichino la contestazione della servitù, si è fuori dell'ambito di applicazione della norma di cui all'art. 1079 c.c. e al titolare della servitù spetta, oltre alla tutela possessoria, l'azione di risarcimento di cui all'art. 2043 ovvero, ai fini della riduzione in pristino con l'eliminazione delle turbative o molestie, quella di reintegrazione in forma specifica prevista dall'art. 2058 dello stesso codice”.

Nel nostro caso, dunque, poiché non risulta essere in contestazione l’esistenza della servitù in capo a chi pone il quesito, o la legittimità del suo esercizio, sembra che l’unico mezzo di tutela possa essere rappresentato da un’azione possessoria, nello specifico l’azione di manutenzione, prevista dall’art. 1170 c.c. a favore di chi sia stato molestato nel possesso di un immobile o di un diritto reale (quindi anche una servitù) su un immobile.
Occorre però verificare, in concreto, se il comportamento denunciato nel quesito possa costituire “molestia” ai fini della norma appena citata: in proposito, si veda Cass. Civ., Sez. II, 18/03/1986, n. 1842, secondo cui "l'azione di manutenzione ha il fine di fare cessare le turbative che attentino all'integrità del possesso attraverso qualsiasi apprezzabile modificazione o limitazione del modo del suo precedente esercizio, e che siano operate con la consapevolezza della volontà contraria del possessore”.
Ancora, Cass. Civ., Sez. II, 15/07/2003, n. 11036, ha affermato che “in tema di possesso, l'ipotesi della molestia o turbativa si configura solo attraverso un comportamento dell'autore che abbia un congruo ed apprezzabile contenuto di disturbo del possesso altrui e che renda in tal modo più gravoso e notevolmente difficoltoso l'estrinsecarsi della posizione del possessore”.

Anonimo chiede
lunedì 17/06/2024
“Buongiorno
avete già risposto al mio quesito n. Q202437909,ma necessito di altre informazioni riguardo l'eventuale riposizionamento del tubo dell'acqua.
Ciò per cercare di arrivare ad una soluzione in forma amichevole.
I vicini hanno verso la loro entrata principale un'altra bocchetta dell'acquedotto (probabilmente negli anni 2000 non c'era), ma non vogliono collegarsi a quella perché il tragitto del tubo fino al contatore, a loro detto, è molto più lungo ed oneroso.
Per cui volevo sapere:
1) Se permetto il passaggio sotterraneo del tubo dell'acqua in altra porzione di terreno ( la stradina servitù di passaggio è come già scritto,in parte franata) Noi proprietari del terreno come ci tuteliamo? Esiste una Legge che mi permetta di farli passare, ma mi tuteli e non perda il diritto di Proprietà del Mio terreno?
A noi non interessa che il tubo rimanga interrato a tempo indeterminato, in quanto è una parte di terreno lontana dall'abitazione e non dovrebbe crearci problemi.
2) È necessario un progetto da parte di un professionista o è sufficiente la nostra autorizzazione?
3) Conviene fare una Scrittura Privata, magari autenticata, dove i vicini dichiarano per loro, per i loro eredi o futuri nuovi proprietari, "che nulla verrà più richiesto se non mantenere il permesso di fare passare il tubo dell' acqua "
4) Ed infine, concordare che ogni eventuale intervento sul tubo da parte Loro verrà eseguito a loro spese e previa autorizzazione Nostra ad entrare nel terreno.
Grazie”
Consulenza legale i 21/06/2024
Va premesso che la ricerca di una soluzione concordata è sicuramente da elogiare, in quanto consente di risolvere una controversia - quale quella oggetto del presente quesito - con notevole risparmio di tempo e di denaro e scongiurando, soprattutto, i rischi inevitabilmente connessi a un procedimento giudiziario: rischi sempre presenti, anche quando si "ha ragione".
Detto questo, passiamo a rispondere alle diverse domande nello stesso ordine in cui sono state formulate.

In primo luogo, consentire l’installazione e/o il mantenimento sul proprio terreno di una tubazione altrui per il passaggio dell’acqua non comporta conseguenze sulla proprietà del fondo.
Si tratterebbe, infatti, di costituire una servitù (nello specifico, come abbiamo spiegato nella precedente consulenza, una servitù di acquedotto). Ora, la servitù - secondo la definizione contenuta nell’art. 1027 c.c. - consiste nel “peso” imposto sopra un fondo (detto fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (chiamato fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. Costituendo la servitù, dunque, non si trasferirebbe la proprietà della relativa porzione di terreno, ma si darebbe vita a un particolare diritto reale di godimento da esercitarsi - secondo le modalità e i limiti stabiliti nel titolo - sulla proprietà altrui.

Per quanto riguarda, invece, la domanda n. 2), si tratta di elementi che intervengono su piani diversi. Infatti il consenso del proprietario del futuro fondo servente è necessario per la costituzione della servitù volontaria di acquedotto; se, invece, le opere da realizzarsi richiedano o meno una o più autorizzazioni da parte della pubblica amministrazione (di regola del Comune), è questione diversa, che va affrontata con la consulenza di un tecnico, e che riguarda il piano amministrativo e non civilistico.

Infine, rispondiamo insieme alle ultime due domande. Certamente è necessario formalizzare l’accordo, in primo luogo perché la costituzione di una servitù richiede la forma scritta a pena di nullità e, in secondo luogo, per regolare l’esercizio della servitù stessa in modo da evitare - per quanto possibile - eventuali conflitti.
Quanto, però, al contenuto in concreto del contratto costitutivo della servitù, è bene che le clausole da inserirvi vengano stabilite in altra sede più idonea (anche perché presuppongono una trattativa e un accordo tra le parti). Si tratta di valutazione che non potremmo compiere in astratto, con una consulenza resa a distanza, in quanto occorrerebbe una conoscenza più approfondita di tutti gli elementi, ivi compresi gli aspetti tecnici.

Rispetto, in particolare, alla domanda n. 4 ricordiamo il disposto dell’art. 1069 c.c., il quale stabilisce che:
  • il proprietario del fondo dominante, nell'eseguire opere di manutenzione o conservazione della servitù, deve arrecare il “minor incomodo” possibile al proprietario del fondo servente;
  • le spese relative a tali opere sono a carico del proprietario del fondo dominante, a meno che l’atto costitutivo della servitù o la legge stabiliscano diversamente;
  • le spese vanno, però, proporzionalmente suddivise tra i due proprietari, del fondo servente e del fondo dominante, se le opere giovano anche al fondo servente, cioè a quello che “subisce” la servitù.

D. D. chiede
lunedì 20/05/2024
“Buongiorno.
Abitiamo in un immobile costituito dal nostro appartamento, dal nostro garage e da altre due unità che sono: un'altra abitazione e un'altra unità con categoria C1 (negozio di alimenti al dettaglio), queste ultime appartenenti a diversi proprietari.Tutte le unità sono collegate a impianti di fornitura di acqua e scarico fognario le cui tubazioni attraversano il nostro garage. Riteniamo che,ad oggi, l'unica servitù di acqua e fogna che possa ritenersi legittima sia quella dell'altro appartamento e che non possa configurarsi analoga servitù a favore dell'attività di vendita di alimenti per i seguenti motivi:
1) il bagno, pur presente nel negozio di vendita di alimenti, non risultava dai dati del catasto almeno fino al 16-marzo-2023.2) gli acquirenti del locale (negozio), da sempre affittuari dello stesso e già titolari dell'attività di vendita hanno sottoscritto nel rogito di acquisto il seguente impegno:"ATTUALMENTE ACQUA E FOGNA SONO COMUNI CON RESTANTE PARTE DEL FABBRICATO (ORIGINARIAMENTE INTERAMENTE DI PROPRIETÀ DEL SIG......., COSÌ COME SOPRA PRECISATO, LA PARTE ACQUIRENTE SI IMPEGNA A REALIZZARE AUTONOMI ALLACCI DI ACQUA E FOGNA ENTRO IL 30 SETTEMBRE 2023,CON LAVORI DA ESEGUIRSI INTERAMENTE A PROPRIE SPESE".
In virtù di quanto suesposto considerando anche l'anomalia di un bagno non accatastato, aggiungo che fino alla data del rogito il negozio di alimenti era accatastato con categoria C2 pur svolgendo all'interno da almeno 40 anni vendita di alimenti. Chiedo cosa possiamo fare per persuaderli a rendersi autonomi, avendo percepito che gli onerosi costi li trattengono ad oggi dall'effettuare gli interventi per i quali si sono impegnati nell'atto notarile.
Ringrazio anticipatamente per qualsiasi indicazione utile anche ad individuare soluzioni alternative(anche se estreme) come la costituzione dietro compenso a ns.favore di una servitù. Potrei contattare il notaio che ha redatto l'atto(la copia è in ns. possesso) ma mi chiedo come potrebbe aiutarmi e che domande porgli prima di procedere legalmente.
Grazie buona giornata”
Consulenza legale i 28/05/2024
Purtroppo, da un punto di vista civilistico e condominiale la servitù appare legittima, in quanto le argomentazioni descritte sono irrilevanti. Per quanto viene descritto appare evidente che sussiste una servitù di natura condominiale a favore di tutte le altre unità immobiliari ricomprese nel condominio (fondi dominanti) e a carico della unità immobiliare dell’autore del quesito (fondo servente).

Il fatto che il bagno non sia stato accatastato per diverso tempo, da un punto di vista civilistico non va ad inficiare la costituzione della servitù: il non accatastamento del bagno sicuramente è sintomo di una sua evidente irregolarità da un punto di vista amministrativo, peraltro poi sanata in quanto oggi tale stanza risulta accatastata.
Il piano civilistico deve essere tenuto ben distinto dagli aspetti che attengono alla legittimità amministrativa dell’immobile.

Anche ciò che è stato concordato nel rogito di vendita del negozio non è utilizzabile, per il semplice motivo che l’obbligo di distaccarsi dall’impianto fognario condominiale è stato assunto dagli attuali proprietari del negozio con gli allora venditori del cespite, che, per quanto si è capito, sono soggetti differenti dai proprietari dell’appartamento sul quale insiste la servitù. Questi ultimi, infatti, in quanto estranei alla vendita, non hanno alcun potere giuridico di costringere gli attuali proprietari del negozio a rispettare gli obblighi assunti nel rogito, possibilità che invece spetterebbe ai venditori.

La cosa importante è capire se tali venditori hanno ancora un effettivo interesse a far valere tale obbligo anche agendo giudizialmente, ad esempio perché condomini. Solo loro, infatti, facendosi forza degli accordi presi, potrebbero, anche per mezzo di un azione giudiziaria, obbligare i proprietari del negozio a distaccarsi dall’impianto condominiale e quindi a dismettere la servitù che passa per il garage dell’autore del quesito.


F. B. chiede
venerdì 17/05/2024
“Il nostro vicino di casa ha acquistato una porzione di abitazione adiacente la nostra. La nostra proprietà dalla loro nuova proprietà è separata da una loggia comune (ingresso). Per accedere a questa loggia comune c'è uno stradello di nostra proprietà e di un altro soggetto terzo. I nostri vicini vorrebbero attraversare questo stradello a piedi anche se non è di loro proprietà per accedere alla loggia comune (ingresso). Quello che stona però è che nessuno ha detto loro che possono passare e che questo eventuale diritto non è mai stato concesso (il rogito della porzione di casa che hanno acquistato è una compravendita del 2002,il vecchio proprietario non ha mai esercitato il diritto di passaggio che loro vorrebbero ora, loro hanno acquistato questa casa derivante da questa compravendita nel 2020). Quello che volevo capire è se, seppur io non sia d'accordo al loro passaggio (non so se lo sia il soggetto terzo) e che questo passaggio non sia mai stato da loro esercitato ma lo chiedono solo oggi, io sia tenuta a cedere senza nessun tipo di atto, contratto tra le parti, che certifichi questo e se loro intendono andare per vie legali, potrebbero essere dalla parte della ragione? Grazie.”
Consulenza legale i 30/05/2024
Il proprietario dell’unità immobiliare che affaccia su una loggia in comune con la proprietà altrui, vorrebbe poter accedere a detta area, e quindi al suo appartamento, tramite la strada di proprietà dell’altro comproprietario della loggia.
Su questa strada sembra non essere mai stata costituita una servitù di passaggio.
Attualmente la situazione presenta due porzioni immobiliari, a capo di un unico proprietario, di cui una affaccia sulla loggia.
Il proprietario della terza unità immobiliare, comproprietario della loggia, non vuole costituire una servitù di passaggio a favore del vicino sulla strada di sua proprietà per permettergli l’ingresso alla loggia e dunque alla casa.

È necessario quindi verificare se il bene sia o meno intercluso e se il vicino abbia il diritto a chiedere la costituzione di una servitù di passaggio coattivo ai sensi dell’art. 1051 del c.c..

Attualmente, le due unità immobiliari vanno considerate come un unico bene poiché hanno lo stesso proprietario e si suppone che siano state unite o possano esserlo agevolmente.

La loggia costituisce dunque una sorta di “terrazzo” a cui è possibile accedere tramite -si suppone- una porta finestra.
L’ingresso delle due unità immobiliari unite invece avverrà tramite un portone principale.
Non sembra quindi che ci sia uno stato dei luoghi tale da obbligare il titolare della strada a concedere la servitù di passaggio.

In ogni caso, qualora invece si volesse considerare l’unità immobiliare come un bene a sé stante (anche in caso di futura alienazione e separazione della due unità), bisognerebbe verificare se l’ingresso attuale, pare di capire solo tramite un garage, sia comodo e agevole.
Poiché il precedente proprietario non ha mai reclamato nulla, si immagina di sì.

Si segnala però la possibilità per il vicino ai sensi dell’art. 1052 del c.c. di chiedere la servitù coattiva di passaggio anche per il fondo non intercluso, se l’accesso è inidoneo avuto riguardo alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria e per il transito di persone disabili (Corte costituzionale n. 167/1999; Cass civ. n. 2150/2009).
La concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice (Cass. civ. n. 1508/2006).

Si consiglia, in conclusione, in un’ottica conciliativa e per evitare questioni future in caso di alienazione, di valutare la costituzione del diritto di servitù di passaggio sulla strada a fronte del pagamento di un corrispettivo.

Rimane fermo che, allo stato, non risulta esserci nessun diritto del vicino a pretendere la concessione di questo diritto.

M. P. chiede
mercoledì 05/07/2023
“Buongiorno, in qualità di tecnico di parte desidero avere il Vs parere in merito alla vicenda di seguito rappresentata.
3 sorelle ricevono, ciascuna, in eredità 1 negozio con sovrastante appartamento, gli immobili sono finittimi.
Il terreno retrostante i fabbricati risulta egualmente ripartito e rispettivamente assegnato.
Viceversa il terreno antistante a soli 2 negozi (lungo la via) risulta corte comune di tutti e 3 i negozi (non degli appartamenti).
Da circa 25 anni il negozio 1 (bar) ha occupato circa metà corte comune mediante una terrazza con tavolini (40 mq), previo consenso verbale delle sorelle.
Ora, in corso di ristrutturazione, anche il negozio 2 intende occupare la restante corte comune realizzando la medesima soluzione.
Sempre a seguito dei lavori sono stati posizionati, nella corte comune, i nuovi pozzetti per i sottoservizi a favore di negozi ed appartamenti 1 e 2 (acquedotto, elettricità) invece di posizionarli al limite delle rispettive proprietà.
Qualche giorno fa, la terza sorella ha lamentato che tali lavori, su l’area comune, vengono eseguiti senza averla consultata.
Subito le 2 sorelle hanno indetto una formale assemblea nella quale con la maggioranza di 2/3 hanno inteso approvare i sottoservizi e messo in stand-bay l’ampliamento della terrazza.
Quesiti:
In ragione del C.C. art 1108 i sottoservizi non si considerano servitù e quindi diritti reali per i quali necessita l’unanimità e non una maggioranza qualificata? Qualora servisse l’unanimità si deve impugnare la delibera entro 30 giorni o la stessa risulta nulla?
Ora come può la terza sorella tutelare il suo diritto sulla corte comune? Qualora concedesse i lavori per ampliare la terrazza e/o sulla terrazza già esistente è lecito chiedere alle sorelle un ristoro/affitto per occupazione del suolo ed il mancato godimento?
Sperando in una chiara e comprensiva esposizione porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 15/07/2023
L’ art. 1027 del c.c. definisce la servitù prediale come il peso imposto su un fondo (detto fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (detto fondo dominante) appartenente a diverso proprietario. È giusto precisare che nel diritto delle servitù il concetto di “fondo” è molto più ampio rispetto al linguaggio comune, potendovi tranquillamente rientrare non solo il classico appezzamento di terreno agricolo ma anche una unità immobiliare in condominio, come ad esempio un appartamento o un negozio.

Dalla lettura dell’art. 1027 del c.c. emergono a prima vista due requisiti fondamentali delle servitù i quali, come vedremo saranno anche molto importanti per districare il caso che è stato prospettato.
Il primo requisito è l’utilità: in altre parole la servitù deve rappresentare un vantaggio nella utilizzazione e nel godimento del fondo dominante ed essere rispetto a quest’ ultimo in un rapporto di strumentalità ed accessorietà.
Il secondo requisito previsto dall’art.1027 del c.c. è la diversità soggettiva tra il proprietario del fondo dominante e quello del fondo servente: tradotto in altri termini per le norme del codice civile non può sussistere un rapporto di servitù tra due fondi se questi ultimi appartengono alla stessa persona (nemini res sua servit).

In merito a questo ultimo requisito, la giurisprudenza ha chiarito che il carattere della intersoggettività sussiste anche in ambito condominiale: quindi è ben possibile, ad esempio, costituire una servitù a favore del fondo dominante Alfa di proprietà esclusiva del solo Tizio e a carico del fondo servente Beta in comproprietà tra Tizio (proprietario del fondo Alfa), Caio e Sempronio (Cass.Civ. n.6994 del 17.07.98). Questo, ad una prima superficiale lettura, parrebbe essere ciò che è accaduto nel caso prospettato: i proprietari esclusivi dei due negozi hanno posto in essere una servitù a carico della corte interna di cui sono comproprietari unitamente ad un terzo soggetto, ovvero la sorella.

Rispetto a tutto quanto detto finora dobbiamo tener conto anche di un'altra norma estremamente importante per il caso specifico, ovvero l’art. 1102 del c.c. Esso come è noto attribuisce la facoltà al singolo comproprietario di utilizzare la cosa comune per sé, a condizione che non ne alteri la destinazione economica e non si impedisca agli altri comproprietari di fare parimenti uso del bene. Ammettere, infatti, che si possa costituire una servitù prediale a carico di un bene comune condominiale apre delle conseguenze molto rilevanti, in quanto non sempre è facile capire quando un determinato peso posto sul fondo comune da un comproprietario possa costituire servitù a favore del suo bene in proprietà esclusiva, oppure, viceversa, costituire un legittimo utilizzo del bene comune ammesso dall’ art. 1102 del c.c.

Questo a ben pensare non è un problema da poco e porta con sé delle conseguenze molto rilevanti per il caso che si è prospettato.
Se infatti si ritenesse l’occupazione della corte comune e il posizionamento dei pozzetti come una servitù posta a carico della corte comune e a favore dei due negozi, è ovvio che per la sua legittima costituzione per via contrattuale sarebbe necessario il consenso dell’altro comproprietario, ovvero la sorella. Inoltre, in un contratto costitutivo del diritto di servitù a carico della corte essa ben potrebbe pretendere il pagamento di un corrispettivo a fronte del peso che deve sopportare il fondo di cui anche lei risulta essere proprietaria in quota indivisa.

Le cose cambiano, invece se si considerassero le condotte poste in essere dai due proprietari dei negozi come un legittimo esercizio della facoltà di utilizzo della corte comune loro garantita dall’art. 1102 del c.c. In questo caso, infatti, non vi sarebbe alcuna necessità di assumere il consenso della sorella per la realizzazione dei lavori, né sicuramente essa avrebbe il diritto di poter richiedere agli altri due comproprietari un compenso per l’occupazione della corte comune. Questo per il semplice motivo che le condotte poste in essere dai due comproprietari risultano ammesse dall’art. 1102 del c.c.

La giurisprudenza ha tentato di dare una risposta alla domanda che ci si è fatti poco sopra. Interessante sotto questo aspetto è Cass.Civ. n.18661 del 22.09.2015. Tale pronuncia specifica che siamo innanzi ad una servitù prediale imposta su bene comune e non ad un legittimo esercizio delle facoltà di cui all’art. 1102 del c.c., quando i condomini-comproprietari impongono sul loro bene comune e a vantaggio delle loro proprietà esclusive un peso che rappresenta una utilità ulteriore e qualitativamente diversa rispetto alla naturale destinazione garantita dalla cosa comune.
Ora se questa pronuncia della Cassazione detta una linea guida di apparente facile comprensione, sicuramente molto più complessa appare la messa a terra di tale concetto nella vita reale, in quanto non sempre è possibile distinguere quel qualcosa in più rispetto alla destinazione economica del bene comune la cui esistenza fa scattare l’applicazione della disciplina della servitù con tutte le conseguenze viste sopra.
Nel caso specifico però appare piuttosto ovvio che l’occupazione della distesa da parte delle due attività rappresenta l’esercizio della naturale utilità che la destinazione della corte comune apporta agli esercizi commerciali che vi si affacciano, come parimenti discorso può farsi per il posizionamento dei pozzetti per i sottoservizi. Ad ogni modo se chi scrive fosse il legale della sorella quest'ultimo aspetto sarebbe oggetto di un serrato confronto col tecnico di parte che assiste la sua cliente: quindi si rimanda all’autore del quesito ogni ulteriore valutazione sul punto.

A parere di chi scrive però apparentemente le pretese della sorella non hanno un solido fondamento in un ipotetico contenzioso se si affronta il problema utilizzando l’istituto delle servitù prediali. Viceversa, si potrebbe fare leva proprio sull’art. 1102 del c.c.: in quanto se da un lato è vero che tale norma ammette che il singolo comproprietario possa fare un uso più intenso del bene comune che può spingersi anche ad una sua occupazione totalitaria, è anche vero che la medesima norma precisa che deve essere garantito a tutti i comunisti di fare parimenti uso del bene.
Orbene, una occupazione totalitaria della corte comune da parte degli altri due comproprietari se è ammissibile oggi, può non esserlo domani nel momento in cui anche l’altro esercizio commerciale di proprietà della sorella vorrà utilizzare la corte comune. Per tale motivo potrebbe essere vantaggioso raggiungere un accordo tra tutti i comproprietari che disciplini la facoltà d’uso della corte comune. In alternativa si potrebbe prevedere la rinuncia da parte della sorella a beneficiare della corte comune a fronte del pagamento di una somma di denaro che ristori quest’ultima della perdita del valore commerciale del negozio di sua proprietà.



R. C. chiede
sabato 05/11/2022 - Lombardia
“Buongiorno, vorrei una consulenza su una servitù di passo. Per raggiungere la mia casa devo percorrere una strada privata di circa 300 metri che ha vari proprietari (per esempio io sono proprietario di un tratto centrale di circa 50 metri). Come riporta l'atto notarile tutti i proprietari devono lasciare libera una striscia di terreno di larghezza 5 metri costanti da adibire appunto a strada dove tutti gli attuali acquirenti, eredi e aventi causa avranno reciproco diritto di passo carrabile e pedonale. Nel ultimo tratto di strada di circa 30 metri prima del cancello che porta al mio domicilio i proprietari della casa prima della mia e del tratto di 30 metri parcheggiano in modo selvaggio e voluto x dispetto restringendo la strada anche a circa due metri (con i garage che hanno in teoria ci sarebbe posto per tutte le loro auto ) e a volte capita che se hanno visite mi ritrovo una macchina davanti al mio cancello). Tutto questo è lecito? Grazie in anticipo per la risposta”
Consulenza legale i 12/11/2022
Il comportamento di “parcheggio selvaggio” descritto nel quesito è sicuramente illegittimo, in quanto attuato in violazione delle previsioni contrattuali; inoltre, la circostanza che autovetture appartenenenti a estranei ostruiscano a volte il passaggio risulta illecita anche a prescindere dal contratto, come si vedrà tra poco.

Ora, da un punto di vista civilistico, al fine di stabilire quali siano i mezzi di tutela applicabili contro tali comportamenti è necessario verificare se l’obbligo di lasciare libera una determinata striscia di terreno, con il correlativo diritto di passaggio in favore degli altri comproprietari, costituisca effettivamente una servitù, dunque un diritto reale di godimento o, piuttosto, un diritto di natura personale.
Il principale criterio per distinguere le due situazioni è dato dalla cosiddetta inerenza al fondo: ovvero, la servitù viene costituita per un vantaggio proprio del fondo e segue le vicende di quest’ultimo, mentre il diritto personale rappresenta un vantaggio solo per il soggetto, o i soggetti, cui viene attribuito. Si veda in proposito Cass. Civ., Sez. III, 20/11/2002, n. 16342: “il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà per i privati di costituire servitù meramente personali (cosiddette "servitù irregolari"), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo bensì del singolo proprietario di quest'ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, inidonea alla costituzione di un diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell'ambito del diritto d'uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o di contratti affini, quali l'affitto e il comodato”.
Ciò premesso, la qualificazione del diritto di passaggio come servitù, cioè come diritto reale di godimento, comporta la possibilità di reagire ad eventuali molestie nell’esercizio della stessa con l’azione di manutenzione, prevista dall’art. 1170 del c.c., purché il possesso (nel nostro caso, della servitù) duri da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non sia stato acquistato violentemente o clandestinamente.

Al di là dei profili e delle problematiche di ordine civilistico, va aggiunto che comportamenti quali quelli descritti nel quesito possono assumere rilevanza penale, ai sensi dell'art. 610 del c.p.. Infatti, secondo un orientamento consolidato della Cassazione penale (si veda per tutte la recentissima pronuncia della Sez. V, 02/02/2022, n. 22594), “integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio, impedendo l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione”.
Va ricordato che, sotto il profilo penalistico, la responsabilità appartiene al singolo conducente che abbia posto in essere il “parcheggio selvaggio”, poiché la responsabilità penale è, appunto, personale.

D.P. chiede
domenica 25/09/2022 - Campania
“Dispongo di un’abitazione nel Comune di XXX. Il bene fa parte di un fabbricato di sette unità immobiliari ed è stato realizzato nel 1964 in regime della legge 17.8.1942 n. 1150, con regolare licenza edilizia rilasciata dal Comune. Il terreno faceva parte di una lottizzazione comunale (lotto 76) acquisito dal concessionario/costruttore/venditore per rogito del segretario comunale reso esecutivo dal Prefetto di YYY il 21.3.1961.
Il costruttore/venditore, in tutti gli atti di prima compravendita di ciascun bene, ha ben specificato che “…non è di proprietà condominiale il terreno di rispetto al fabbricato…” riservandone, praticamente per se, la proprietà.
Per controversie condominiali che mi hanno indotto ad eseguire la ricerca degli atti di compravendita, già acquisiti in copia, per il condomino G. del piano terra (vedere schizzo planimetrico) è risultata l’acquisizione dell’unità immobiliare (appartamento) con annesse due zonette – facenti parte del terreno di rispetto – di mq. 30 e mq. 55 (in giallo sulla planimetria). Nell’atto di acquisizione del G. nulla si cita in ordine alla zonetta – anch’essa facente parte del terreno di rispetto – di circa 75 mq. (in verde sulla planimetria); zonetta che è delimitata al suo imbocco dalla Via ZZZ da una catena che consente il solo passaggio pedonale – dovendola scavalcare – e le cui chiavi sono detenute esclusivamente dal G. e da altro condominio, tale M., che è proprietario del garage in fondo (in rosso sulla planimetria).
Devo precisare, inoltre, che nella zonetta di 55 mq. (in giallo sulla planimetria) e, quindi, in proprietà esclusiva di G., esiste una sorta di armadio a muro dove sono allocati i sette contatori idrici che alimentano le rispettive unità immobiliari. Si tratta di condotte idriche di proprietà di ciascuno dei sette condomini.
Ebbene, il G., risalendo all’originario primo contratto di compravendita del suo bene – atto di provenienza stipulato tra il costruttore/venditore e la prima acquirente, tale signora D.G., vi ha rintracciato quanto segue:
1)- In ordine al passaggio per recarsi ai contatori (si riporta integralmente):
“La acquirente si impegna per se e per i suoi aventi causa a permettere l’accesso sulla zona di terreno annessa all’appartamento compra-venduto sul lato est (zonetta di 55 mq. in giallo sulla planimetria) onde consentire la lettura dei contatori dell’acqua e la loro chiusura da parte del personale incaricato o dei titolari dei contratti medesimi.”
2)- In ordine alla zonetta di terreno di 75 mq. (in verde sulla planimetria) (si riporta per sintesi):
“Deve intendersi di proprietà comune dei condomini G. e M. … la striscia di terreno … di circa mq. 75 … posta sul lato sud del fabbricato” (in verde sulla planimetria).
In base a tali indicazioni, il G. pretende che il passaggio per andare a chiudere ed aprire l’acqua potabile, sia permesso (oltre che ai tecnici dell’azienda idrica) solo ai condomini titolari delle concessioni, non potendo transitare nella sua proprietà nessun altro componente dalle rispettive famiglii. Per la zonetta di 75 mq. (in verde sulla planimetria), inoltre, ritiene che l’espressione “deve intendersi di proprietà comune” attribuisca a lui ed al M. la piena proprietà della zonetta, tanto che, insieme,hanno apposto la catena per il solo passaggio pedonale per recarsi ai contatori idrici (solo il titolare della concessione e non altri membri della famiglia).
Quanto riportato ai punti 1 e 2 non si rintraccia, non si richiama né si fa riferimento in nessun altro atto di compravendita, compresi quelli di G. e di M.
Quesiti:
1)-E’ da ritenersi corretta l’interpretazione del G. o deve ritenersi sussistente un obbligatorio diritto di servitù per recarsi a chiudere e ad aprire l’acqua (si tratta di condotte di proprietà di ciascuno) o può tentarsi l’acquisizione e, quindi, il riconoscimento, del diritto di servitù (per tutti i membri della famiglia) in sede civile?
2)-L’espressione “Deve intendersi di proprietà comune” (che nessuno ha mai conosciuto né vi è traccia negli atti di compravendita di tutti, compresi quelli di G. e di M.) va interpretata quale diritto di proprietà della zonetta di 75 mq. (in verde sulla planimetria) oppure, non essendo stata oggetto di specifica contrattazione/vendita a nessun acquirente, deve ritenersi ancora proprietà “ab origine” del concessionario/costruttore/venditore e, quindi, al servizio dell’intero condominio, con la consequenziale eliminazione della catena citata?
Preciso che il G. sostiene, inoltre, di essere proprietario (con il M.) della zonetta in questione, anche perché per oltre vent’anni l’hanno considerata loro “uti domini” provvedendo a loro spese a lavori di pavimentazione e manutenzione; non vi è, però, alcuna pronuncia giudiziale di usucapione. Tale tesi fa sorgere spontanea la domanda: se effettivamente costituisse diritto di proprietà derivante dall’espressione “Deve intendersi di proprietà comune” perché fr richiamo all’insistente precisazione di acquisizione “uti domini”???
Si chiede parere in merito.
Attendo istruzioni per l’invio su mail della planimetria più volte citata.
Attendo.”
Consulenza legale i 03/10/2022
Seppur la vicenda del quesito è stata illustrata in maniera molto chiara, è giusto premettere che per poter dare una risposta precisa sarebbe necessario un esame approfondito di tutti i rogiti di acquisto che hanno coinvolto le proprietà del complesso, esame che deve essere necessariamente accompagnato da una ispezione ipotecaria. Ad ogni modo in questa sede è possibile fornire quantomeno una prima ricostruzione preliminare sulla base di quanto riferito, che dovrebbe comunque giocoforza essere riconfermata da un esame più approfondito.

Nell’originario rogito di acquisto tra il costruttore del complesso e la prima proprietaria della unità abitativa oggi in ragioni G., venne costituita una servitù condominiale a carico della sola zonetta di 55 mq. (fondo servente) e a favore delle altre proprietà del complesso edile (fondi dominanti). Con ogni probabilità (ma si dovrebbe verificare questa affermazione) tale disposizione è stata trascritta presso i registri immobiliari: per l’effetto di ciò, essa è divenuta opponibile anche ai futuri proprietari della zonetta di 55 mq. e quindi anche nei confronti della attuale proprietà. In forza di detta servitù ogni proprietario che ha sito il contatore dell’acqua della propria abitazione su quel terreno è legittimato ad accedervi per controllare le letture ed effettuare le manutenzioni conseguenti per mezzo di personale incaricato. Sotto questo aspetto, quindi, le affermazioni del Signor G. non trovano riscontro nei rogiti di acquisto da lui stesso reperiti, ma si presti attenzione!
La servitù di cui si è detto, coinvolge solo ed esclusivamente la zonetta di 55 mq. colorata in giallo e non la zona colorata in verde. Quest’ ultima, per quanto ci è dato capire, è stata attribuita dai rogiti di acquisto in proprietà esclusiva a ragioni G. ed M. e non è stata gravata da nessun peso o servitù di qualsiasi natura: pertanto gli attuali proprietari hanno la piena facoltà ex art. 841 del c.c. di recintare tale porzione di terreno per mezzo di una catena e di impedire agli altri condomini di accedervi.
Se non esiste altro modo per gli altri condomini di accedere alla zona di 55 mq. se non quello di transitare per la zona colorate in verde, è molto probabile che nel momento in cui fu redatto il primo rogito con il costruttore nel complesso descritto vi fosse la possibilità per tutti i condomini - proprietari di accedere alla zona di 55 mq. gravata da servitù senza transitare per la zona verde oggi di proprietà G. ed M., accesso che è stato chiuso od impedito con successivi interventi susseguiti negli anni.

Si tenga, inoltre, presente che se per assurdo il Signor G. avesse concesso una servitù anche sull’area verde, essa, per essere efficace ai sensi dell’art. 1059 del c.c., richiederebbe anche il consenso dell’altro proprietario M, ma di questo ulteriore consenso non pare esservi traccia.

Si precisa inoltre che, in forza delle disposizioni citate, con ogni probabilità le zone evidenziate nella planimetria sono state sottratte alla proprietà superficiaria gravante sulla restante parte del terreno su cui sorge il complesso, proprietà superficiaria che con apposita disposizione contrattuale si era riservata in origine l’impresa costruttrice.


D. A. chiede
domenica 01/05/2022 - Campania
“Preg.mo Studio Brocardi,
i miei genitori sono i proprietari della nostra abitazione principale, acquistata nel lontano 1998, costituita all'epoca da due piani con annesso cortile e giardino pertinenziale; l'immobile è confinante con due strade comunali, una sul lato nord ed una sul lato sud e confinante con altre proprietà ai lati est ed ovest; ha due ingressi, uno al civico 52 e l'altro al civico 46/a, il primo costituito da un portone fronte strada, il secondo da un cancello che permette l'ingresso nel cortiletto con annesso giardino dal quale entriamo abitualmente.
Successivamente, nel gennaio 2004 viene stipulato una promessa di compravendita, perfezionata con il rogito del notaio nel febbraio 2004, dove i miei genitori vendevano, esclusivamente, il piano inferiore ai miei zii (sorella di mia mamma). In entrambi gli atti del 2004, fra gli articoli, è ben specificato che "gli acquirenti riconoscono che l'accesso all'appartamento acquistato avviene esclusivamente dal civico 52; gli acquirenti potranno continuare ad accedere pedonalmente, a titolo personale non esistendo alcuna servitù di passaggio, attraverso il giardino e la rampa di scale di proprietà dei venditori fin quando i medesimi venditori lo riterranno opportuno".
Inoltre nel 2009, tra le parti, viene sottoscritta per mezzo di scrittura privata, autenticata presso l'Agenzia delle Entrate, un atto ricognitivo nel quale si davano anche riconferma di quanto precisato nell'articolo appena menzionato sul passaggio pedonale.
Ora, considerando quanto detto, cioè la presenza di questo articolo, che specifica l'inesistenza di qualsiasi servitù, sia nella promessa, sia nel rogito ed anche quanto pronunciato dall'articolo 1144 del c.c., è corretto affermare che non potranno mai verificarsi i presupposti di un diritto di passaggio per usucapione, per quanto riguarda l'accesso dal civico 46/a, da parte dei miei zii? Sarebbe opportuno procedere con una ulteriore scrittura privata a riconferma di questa situazione bonaria momentanea, per far si non si verifichi mai un usucapione sulla nostra proprietà?
Vi ringrazio anticipatamente e colgo l'occasione per porgere i miei più Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 07/05/2022
Occorre, innanzitutto, fare una breve premessa sulla distinzione tra la servitù (che è un diritto reale di godimento) e il diritto personale di godimento che può essere attribuito su un determinato bene.
Ora, secondo la definizione contenuta nell’art. 1027 c.c., la servitù prediale consiste nel peso imposto su un fondo, per soddisfare una utilità che è anch’essa di un fondo, appartenente a diverso proprietario.
Dunque la servitù sorge non in favore di una persona determinata, ma in relazione a un fondo; il che significa che la servitù segue le vicende dei fondi cui si riferisce sia dal lato attivo, sia dal lato passivo. Si parla di “doppia inerenza reale” della servitù; in termini più semplici, la servitù continua a gravare sul fondo servente a beneficio del fondo dominante anche in caso di trasferimento della proprietà dell’uno e/o dell’altro, diversamente da quanto si verifica nel caso di un diritto personale di godimento che venga, ad esempio, contrattualmente previsto.
Ora, stabilire se una clausola contrattuale comporti la costituzione di una servitù, e dunque di un diritto reale, anziché attribuire un diritto di natura personale su un bene è operazione non sempre agevole nella pratica.
Sul punto, esiste un costante indirizzo giurisprudenziale che afferma, in primo luogo, la legittimità della creazione pattizia di diritti personali di godimento. In particolare, secondo Cass. Civ., Sez. II, 09/10/2014, n. 21356, “in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria” (principi espressi anche da Cass. Civ., Sez. II, sent. 11/02/2014, n. 3091; Cass. Civ., Sez. II, 04/02/2010, n. 2651).
Nel nostro caso, il tenore della previsione contrattuale riportata sembrerebbe deporre - con qualche incertezza, però - a favore dell’interpretazione sostenuta da chi pone il quesito ed evidentemente voluta da chi ha predisposto la clausola: ovvero che si tratti di un diritto di natura personale e non di una servitù.
Tuttavia, occorre tenere presente che, a tal fine, non ha rilevanza decisiva la semplice affermazione che si tratta di un passaggio concesso “a titolo personale”: deve emergere chiaramente, infatti, che il diritto di passaggio è stato attribuito a persone determinate e non stabilito a beneficio di un fondo. In effetti, sempre dal tenore del testo sembrerebbe che il termine “acquirenti” sia riferito a tali soggetti in quanto parti di un determinato contratto di compravendita e non a tutti i futuri acquirenti o comunque a coloro che diverranno proprietari, a qualsiasi titolo, del bene.
Per fugare eventuali incertezze, potrebbe essere opportuno specificare, in aggiunta alle previsioni contrattuali già esistenti, che il diritto di passaggio, da ritenersi di natura personale, viene attribuito ai sig.ri Tizio e Caia (indicati nominativamente anziché semplicemente come “acquirenti”) in virtù dei rapporti di parentela con la parte venditrice, ma che, ad esempio, non può ritenersi esteso ad eventuali terzi (invece, nella servitù di passaggio, il diritto di transitare sul fondo servente si estende anche a coloro che debbano accedere al fondo dominante in virtù di particolari rapporti con i proprietari, per esigenze connesse alla normale vita di relazione: parenti, ospiti, visitatori…).
Resta inteso che in caso di controversia l’interpretazione del contratto spetta al giudice; pertanto, non è possibile escludere a priori che egli possa valutare la situazione in maniera diversa.

Alex B. chiede
martedì 20/10/2020 - Emilia-Romagna
“Dal 2015 sono proprietario di un immobile su fondo intercluso, sito in zona residenziale e che ha "diritto di passaggio e di uso" sul cortile della proprietà confinante. La servitù risulta costituita con un atto notarile del 1956 in seguito ad un frazionamento: "Il cortile del fabbricato rimane in proprietà alle s.lle [OMISSIS], ma la parte compratrice ha su questo diritto di passaggio e di uso, però si vieta di adibirlo a deposito di materiale o a luogo di sosta per autoveicoli. Il diritto di passaggio è esteso a qualsiasi mezzo, oltre ben inteso ai pedoni". Tale atto è regolarmente trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e conservo copia autenticata della trascrizione.

Il cortile su cui grava la servitù è largo 2,80 metri e lungo circa 12 metri (distanza dalla strada comunale alla mia loggia di ingresso), si affaccia sulla via comunale con passaggio a raso protetto da un cancello (pedonale e carrabile, apposto in precedenza al mio acquisto nel 2015), è delimitato ad est dalla facciata dell'immobile costruito sul fondo servente e ad ovest da un muretto di confine alto 30 centimetri da terra con sovrastante recinzione in rete (che separa l'area cortilizia da un altrui fondo) e termina a nord con la loggia di ingresso al mio immobile. Il mio immobile è privo di garage: ha solo questa loggia frontale, di mia esclusiva proprietà. Di rado entro con l'auto per brevi esigenze di carico/scarico.

L'attuale proprietario del fondo servente:
- occupa un lato del cortile addossando alla facciata del suo fabbricato varie biciclette, una motocicletta e un grande bidone della spazzatura con annesse scope e palette; la presenza di tali oggetti restringe il passaggio ben al di sotto dei 2,75 metri previsti dal CdS per una corsia carrabile;
- utilizza la recinzione perimetrale ed il sottostante muretto di confine per stendere giornalmente ad asciugare indumenti e scarpe; il muretto viene anche utilizzato per accatastare del materiale edile (nello specifico dei profili per cartongesso), che è lì depositato da oltre 2 anni;
- utilizza l'area cortilizia per le proprie faccende e per quelle dei suoi ospiti (al momento ospita tre persone in casa): chiacchierano seduti sul muretto, stendono il bucato, lavano il tappeto con l'idropulitrice, effettuano ogni tipo di manutenzione ad automobili, moto e biciclette, che a volte restano smontate per ore o giorni nel cortile, con i pezzi appoggiati a terra lungo il perimetro o sul muretto.

L'estate scorsa - mentre io ero in ferie - aveva posizionato una piscina gonfiabile in mezzo al cortile per far giocare il figlio. Lo spazio residuo per il passaggio era di circa 90 cm. Alle mie proteste costui ha risposto che avrebbe spostato la piscina solo se avessi avuto effettiva necessità di passare con l'auto, visto che a piedi si passava. Sostiene, poi, che se volesse potrebbe fare il barbecue o mettere un tavolo per mangiare in cortile, lasciandomi solo lo spazio per passare a piedi.

Il suo cane è abbandonato a sé stesso in cortile, fa le proprie deiezioni sul selciato, abbaia di continuo e fa le feste ogni volta che passa qualcuno, imbrattandone i vestiti e le scarpe (il che è particolarmente fastidioso quando si sta andando a lavoro o si invitano ospiti a casa) e generando il rischio di inciampare se si hanno le borse della spesa. Ultimamente il vicino mi ha pure intimato di non lasciare il cancello socchiuso quando entro con le borse della spesa o la bicicletta, perché altrimenti il cane scappa in strada.

Concludendo: il vicino conosce la sussistenza della servitù, ma rivendica il diritto di usare il cortile a proprio piacimento in qualità di esclusivo proprietario. Non ha quindi alcuna intenzione di cessare i comportamenti suddetti. In alternativa si dice disponibile a rimuovere solo temporaneamente eventuali intralci al passaggio, su mia richiesta verbale ed in caso di effettivo bisogno (in pratica dovrei suonare il suo campanello per chiedere di passare e lui valuterebbe se è necessario spostare qualcosa, cane compreso).

Di seguito i miei dubbi:
- la presenza di oggetti e mezzi sul perimetro dell'area cortilizia e le condizioni indecorose determinate dalla presenza del bucato e di vari materiali sono compatibili con il titolo costitutivo della servitù ("[...] però si vieta di adibirlo a deposito di materiale [...]", anche se non mi è chiaro se tale enunciato faccia riferimento al solo fondo dominante o ad entrambi i fondi)?
- il cortile può essere usato dal proprietario del fondo servente come ricovero del cane (con relative deiezioni), luogo di svago delle persone e per ogni altra suddetta attività?
- non avendo il garage, posso comunque entrare con l'auto ed effettuare brevi fermate nel cortile (1-2 minuti) per esigenze di carico/scarico?

Da ultimo, vorrei capire se è ancora in essere e come si concretizza il "diritto di uso" citato nel titolo costitutivo della servitù.

Se necessario posso produrre diverso materiale fotografico che ritrae lo stato dei luoghi.

Grazie per l'attenzione.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 28/10/2020
Alcune brevissime premesse in punto di diritto prima di rispondere alle domande contenute nel quesito.

La servitù fa parte dei diritti reali di godimento e consiste in una limitazione imposta a un fondo (detto servente) per l’utilità di un altro fondo (detto dominante) che appartiene a un diverso proprietario.
La relativa disciplina è contenuta negli articoli 1027 e seguenti del codice civile.
Due caratteristiche fondamentali della servitù sono dunque l’altruità e l’utilità (utilitas). Riguardo quest’ultima, la Cassazione già con la risalente pronuncia n.10370 del 1997 aveva chiarito che: "il concetto di utilitas, intesa come elemento costitutivo di una servitù prediale, non può avere riferimento ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi all'attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma va correttamente ricondotto al solo fondamento obiettivo e "reale" dell'utilità stessa, sia dal lato attivo che da quello passivo, dovendo essa costituire un vantaggio diretto del fondo dominante come mezzo per la migliore utilizzazione di questo”.
Ciò che dunque distingue la servitù prediale da un mero di diritto personale è che quest’ultimo è costituito per il vantaggio della persona e non del fondo. Sempre la Cassazione con la sentenza n.21356 del 2014 sul punto ha evidenziato che: "in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., é consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria”.

Ciò premesso in linea generale, in merito al caso in esame possiamo osservare quanto segue.

Nel quesito leggiamo questa dicitura: “la parte compratrice ha su questo diritto di passaggio e di uso, però si vieta di adibirlo a deposito di materiale o a luogo di sosta per autoveicoli. Il diritto di passaggio è esteso a qualsiasi mezzo, oltre ben inteso ai pedoni".
A dire il vero, stando al tenore letterale di tale clausola sembrerebbe quasi trattarsi più di un diritto personale di godimento che non di una servitù prediale. Ma considerato che ci viene riferito che essa è stata costituita con atto notarile nel 1956, nonostante la dicitura, evidentemente si tratta di una vera e propria servitù.
Ad ogni modo, il suo contenuto appare piuttosto chiaro: è consentito passare sul fondo del vicino per arrivare al proprio fondo sia a piedi che in auto (o altro mezzo) senza però che si possa sostare in esso o depositarvi materiale.

Le risposte quindi ai Suoi dubbi sono le seguenti:

1) il Suo vicino (il proprietario del fondo servente) può collocare anche degli oggetti nel suo fondo.
E’ nel suo diritto di proprietario. Ciò però non può escludere o limitare il Suo diritto di passaggio in maniera considerevole.
Dalle foto che ci ha inviato, vediamo che in alcuni casi quest’ultimo invece appare piuttosto limitato dagli oggetti collocati lungo il cortile o comunque reso più difficoltoso (“sono da qualificarsi come molestia quei comportamenti che non incidono sulla consistenza materiale della cosa, ma impediscono l'esercizio del potere di fatto su di essa o lo rendono più difficoltoso” .Cass.n.12258/2014).
Pertanto, un tale atteggiamento (soprattutto se reiterato) potrebbe costituire molestia e turbativa del Suo diritto (diritto che comprende comunque il solo passaggio e non la possibilità di depositarci materiale per espresso divieto contenuto nell’atto costitutivo).
Laddove la situazione dovesse persistere, suggeriamo (se non è possibile risolvere la questione a voce, bonariamente) di inviare una diffida formale con cui si invita il vicino a consentire il pieno esercizio del diritto di servitù di passaggio senza collocare oggetti che ostacolino o limitino il passaggio a piedi o in auto. Qualora nemmeno una diffida formale dovesse sortire effetto, resterebbe da intraprendere una azione legale (nello specifico, quella prevista dall’art. 1170 del codice civile).

2) Il cortile può essere usato dal proprietario del fondo servente come ricovero del cane ma anche in questo caso ciò deve avvenire senza compromettere considerevolmente il Suo diritto di passaggio. Se ciò avviene, vale quanto sopra specificato. Chiaramente, anche le deiezioni possono costituire molestia (senza contare gli aspetti relativi alla tutela della salute e del decoro).

3) Come già sopra specificato, Lei Può comunque entrare con l’auto dal momento che ciò è previsto nell’atto costitutivo della servitù (“il diritto di passaggio è esteso a qualsiasi mezzo”), anche se non c’è il garage. Quello che non è Le è consentito è di utilizzarlo come luogo di sosta del veicolo (cioè un vero e proprio parcheggio). Una fermata di un minuto per scaricare le borse della spesa riteniamo non possa essere considerata quale vera e propria sosta del veicolo e, pertanto, appare consentita.

Da ultimo, quanto al diritto di uso esso è disciplinato dall’art. 1021 del codice civile.
Sul punto, la Cassazione con sentenza n. 17320/2015 ha evidenziato che: “Il titolare del diritto reale d'uso ha diritto di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia, sì da poter ricavare dal bene, nel suo concreto esercizio, ogni utilità ricavabile.” Nel caso in esame, visto il tipo di bene in questione (un cortile) il diritto di uso enunciato nell’atto costitutivo della servitù appare di fatto di difficile concreta realizzazione restando più che altro sulla carta.

Anonimo chiede
lunedì 05/11/2018 - Veneto
“L’assemblea condominiale di uno stabile commerciale ha deliberato (all’unanimità dei presenti rappresentanti più della metà dei millesimi della proprietà) la rimozione, in quanto non autorizzata, di una grossa insegna pubblicitaria posta sul lastrico solare del condominio stesso da parte di un singolo condomino (nella specie un cartellone sorretto da quattro tralicci in ferro fissati sulla base del terrazzo condominiale). Intimato a rimuovere il manufatto il condomino in questione (una s.r.l.), decorsi peraltro i termini per l’impugnazione della delibera assembleare, ha risposto contestando:

1) che il cartello risulta di sua proprietà, viene utilizzato secondo le norme vigenti ed è autorizzato dai competenti enti in quanto, per l’utilizzo dello stesso, costui versa le relative imposte di legge;

2) costui utilizzerebbe da quasi 30 anni ininterrotti gli spazi in questione esercitando un possesso pieno ed esclusivo dei predetti spazi;

3) costui avrebbe pertanto acquistato a titolo originario la proprietà degli spazi in questione e/o comunque, quantomeno, idonea servitù e diritto all’uso ed al godimento dello stesso.

Va peraltro evidenziato che il regolamento condominiale (nella specie trattasi di regolamento contrattuale allegato agli atti d’acquisto degli immobili facenti parte del condominio) sul punto così precisa: “ .. i lastrici solari potranno essere utilizzati solo per l’accesso per controllo, manutenzione, riparazione, agli impianti di riscaldamento, locali caldaia, ascensore”, poi però aggiunge: “La società venditrice si riserva, per sé ed aventi causa a qualsiasi titolo, il diritto di utilizzare i lastrici solari per l’installazione di insegne pubblicitarie di qualsiasi tipo.”

Va inoltre precisato che l’attuale condomino utilizzatore del cartello pubblicitario, non risulterebbe essere diretto avente causa del costruttore del complesso immobiliare in oggetto, bensì acquirente successivo.

Il quesito è questo: è possibile nel caso di specie che l’utilizzo di un cartello pubblicitario possa configurare un possesso ad usucapionem degli spazi occupati o comunque che possa configurarsi l’usucapione di un simile diritto d’uso o addirittura di una servitù?

In definitiva, alla luce di quanto esposto, anche con riferimento al regolamento condominiale, appare possibile legittimamente contestare l’utilizzo di tale cartellone ed imporne la rimozione ?

In attesa di cortese riscontro, ringrazio e saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 11/11/2018
Sulla base di quanto riferito nel quesito, si ritiene che la materia del contendere penda a favore del proprietario del cartellone pubblicitario. Non solo costui può opporre alle pretese condominiali una avvenuta usucapione, ma il regolamento condominiale contrattuale ha portato alla costituzione di un diritto di servitù di uso a favore della proprietà della società s.r.l e a carico del lastrico solare condominiale.
Ai sensi dell’art.1027 del c.c. la servitù prediale consiste in un peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
Le servitù possono costituirsi in vari modi; per i fini che ci pone il quesito è opportuno la costituzione tramite contratto (art.1058 del c.c.) e la costituzione a titolo originario per usucapione (art. 1061 del c.c).
La costituzione tramite contratto si ha attraverso la sottoscrizione di un rogito notarile; il rogito viene poi successivamente trascritto a cura del notaio rogante nei Registri Immobiliari. Tale trascrizione, in caso di passaggio di proprietà del fondo servente, renderà possibile far valere la servitù anche nei confronti dei successivi aventi causa.

Nel caso prospettato dal quesito, la società costruttrice dello stabile, ha unilateralmente predisposto unregolamento condominiale contrattuale, che ha poi allegato ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari e fatto proprio dai singoli acquirenti con la sottoscrizione innanzi al notaio.
Nell’effettuare la trascrizione ai registri il notaio avrà sicuramente richiamato le servitù costituite attraverso il regolamento condominiale, rendendo opponibile detti paesi anche ai successivi aventi causa degli originari proprietari, nei cui rispettivi rogiti di acquisto, tra l’altro, verrà sicuramente richiamato il regolamento condominiale contrattuale con le servitù con esso costituite. L’opponibilità della servitù va avanti all’infinito nei confronti di tutti i soggetti che via via acquisteranno le singole unità immobiliari.

Nel regolamento condominiale descritto nel quesito, il diritto di utilizzo (o servitù di utilizzo) viene costituito attraverso la chiarissima clausola:” La società venditrice si riserva, per sé ed aventi causa a qualsiasi titolo, il diritto di utilizzare i lastrici solari per l’installazione di insegne pubblicitarie di qualsiasi tipo.
Poco importa che l’assemblea condominiale abbia deliberato la rimozione del cartello pubblicitario. L’assemblea condominiale non può, infatti, a colpi di maggioranza decidere di rimuovere una servitù condominiale regolarmente costituita, ed essa deve considerarsi nulla sul punto, e pertanto impugnabile anche oltre i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c.
L’ unico modo per addivenire alla cancellazione di detta servitù è che i tutti i condomini da una parte e il legale rappresentante della s.r.l. sottoscrivano avanti al notaio un rogito, che andrà successivamente trascritto, con il quale di comune accordo si addivenga alla cancellazione del diritto.
Se ciò non bastasse, la società può validamente opporre al condominio anche l’acquisto del diritto di servitù tramite usucapione.
Il tipo di servitù descritta nel quesito è un tipico caso di servitù apparente, come tale usucapibile ex art. 1158 del c.c., attraverso un esercizio pacifico ed ininterrotto per un periodo di venti anni.
Le servitù si definiscono apparenti quando per il loro esercizio è necessaria la costruzione di opere specifiche. Nel caso di specie la installazione del cartello pubblicitario sul lastrico solare condominiale costituisce, appunto, l’opera attraverso la quale il diritto di utilizzo degli spazi condominiali viene esercitato.
In un eventuale contenzioso l’onere di dimostrare in giudizio l’acquisto del diritto di servitù tramite usucapione incomberebbe sul titolare del fondo dominante, in questo caso la società proprietaria del cartellone pubblicitario; onere che non necessariamente viene assolto in maniera soddisfacente per l’organo giudicante. Vi è da sottolineare, tuttavia, che se si andasse in giudizio la società s.r.l.,oltre ad opporre una eventuale usucapione, avrebbe gioco facile nel far valere un valido titolo contrattuale costitutivo del diritto di utilizzo fatto valere: il regolamento condominiale.

Claudio P. chiede
sabato 03/11/2018 - Lombardia
“Vorrei sapere se un condomino può creare una servitù privata.

Creando una porta nel pianerottolo delle scale condominiali, per poi accedere nella stanza riunioni condominiale, e nella stanza aprire una seconda porta per accedere in un garage privato.

Se possibile vorrei sapere come contrastare tale richiesta

Grazie”
Consulenza legale i 05/11/2018

Ai sensi dell’art.1027 del c.c. la servitù prediale consiste in un peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
Per aversi quindi una servitù è necessario:1) che vi siano due fondi;2) che tali fondi appartengano a diversi proprietari;3) che il peso posto sul fondo (detto servente) abbia una utilità per l’altro fondo (detto dominante).
La utilità deve riferirsi non al proprietario del fondo dominante ma al fondo stesso; in altre parole essa deve essere necessaria per permettere un maggiore godimento e una maggiore fruibilità del fondo dominante.
Le servitù possono costituirsi in vari modi. Per i fini che ci pone il quesito, è opportuno la costituzione tramite contratto (art.1058 del c.c.) e la costituzione per usucapione (art. 1061 del c.c).
La costituzione tramite contratto(servitù volontarie) si ha attraverso la sottoscrizione di un rogito notarile; il rogito viene poi successivamente trascritto a cura del notaio rogante nei registri immobiliari. Tale trascrizione, in caso di passaggio di proprietà del fondo servente, renderà possibile far valere la servitù anche nei confronti del nuovo proprietario.
Per ovviare all’intervento del notaio, sovente, spesso in un contesto condominiale, capita che i proprietari dei due fondi sottoscrivano una semplice scrittura privata, senza effettuare la trascrizione nei registri immobiliari. La giurisprudenza in questi casi parla di costituzione di servitù irregolare, e tale fattispecie differisce dalla precedente, in quanto in caso di vendita del fondo servente la servitù non sarà opponibile al nuovo proprietario.
Sia che si costituisca una servitù tramite rogito notarile o che si costituisca una servitù irregolare, presupposto imprescindibile è che vi sia l’espressione del consenso in un atto scritto di entrambi i proprietari dei fondi coinvolti nella servitù: sia del dominante che del servente.
Se, come nel caso di specie, sono state realizzate delle opere per l’esercizio della servitù (le c.d. servitù apparenti), tale diritto reale può essere acquisito da parte del proprietario del fondo dominante anche tramite l’istituto della usucapione; l’acquisto per usucapione si realizza con l’esercizio pacifico del diritto di servitù per un periodo continuativo e ininterrotto di venti anni ex art 1158 del c.c.

Per dare dei consigli pratici all’autore del quesito, è importante ribadire che per costituire validamente un diritto di passaggio a carico delle parti comuni dell’edificio e a favore di una unità immobiliare in proprietà esclusiva, è necessario il consenso unanime di tutti i partecipanti il condominio. Secondo infatti l’art. 1108 3° co. del c.c., pacificamente applicabile in tema di condominio secondo il rinvio operato dall’ art.1139 del c.c., "è necessario il consenso di tutti i partecipanti (alla comunione n.d.r.) per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni".
Tale consenso dovrà necessariamente essere formalizzato in un atto scritto, il quale potrà avere la forma o dell’atto pubblico notarile successivamente trascritto, e in questo caso avremo la costituzione di una vera e propria servitù prediale ex art 1027 del c.c. opponibile ad eventuali futuri aventi causa, oppure della semplice scrittura privata, e in questo caso si avrà la costituzione di una servitù irregolare che vincolerà solo gli attuali firmatari dell’accordo e non potrà essere fatta valere contro successivi acquirenti delle unità immobiliari.

Sulla base di quanto disposto dall’art 1108 3° co. del c.c., un diritto di passaggio a favore di una unità immobiliare e a carico delle parti comuni dell’edificio, non potrà quindi costituirsi per mezzo di una delibera assembleare a colpi di maggioranza e, se per assurdo, l’assemblea emanasse una delibera in tal senso, la stessa sarebbe nulla e quindi impugnabile oltre i rigidi termini previsti dall’art 1137 del c.c..

Poniamo ora il caso che un condomino arbitrariamente e senza autorizzazione alcuna, realizzi sulle parti comuni dell’edificio opere che permettano un più comodo accesso al suo garage privato. In tal caso, è opportuno che[ def ref=amministratore (di condominio)] l’amministratore[/def] invii al condomino indisciplinato una raccomandata con ricevuta di ritorno, intimando allo stesso di cessare immediatamente ogni opera volta alla realizzazione del passaggio abusivo; tale raccomandata è fondamentale per evitare che possa maturare il tempo necessario per l’acquisto della servitù di passaggio tramite usucapione.
Se nonostante detta missiva il comportamento non dovesse cessare, ecco che l’unica strada sarebbe intraprendere le vie legali, ed in particolar modo instaurare un procedimento cautelare ex art 700 c.p.c., con il quale ottenere un provvedimento del giudice che intimi al condomino di cessare ogni comportamento volto all’esercizio di una servitù abusiva.
È opportuno precisare che in questi casi l’amministratore potrebbe dare incarico ad un legale anche senza la preventiva autorizzazione della assemblea, rientrando tale attività tra le attribuzioni specifiche dell’organo amministrativo, ed in particolare tra gli atti conservativi delle parti comuni previsti dal n. 4) dell’art. 1130 del c.c.
In ogni caso il bravo amministratore, seppur nella possibilità di agire in via autonoma, dopo aver eventualmente avuto un primo incontro col legale, convocherà il consesso dei condomini, con la dovuta urgenza, per permettere agli stessi di prendere contezza del problema e concordare con loro le opportune azioni future.

Poniamo ora il caso che le opere necessarie per realizzare il diritto di passaggio sulle parti comuni siano state attuate dal condomino senza autorizzazione alcuna ma da più di venti anni, e che il diritto di passaggio sia esercitato dallo stesso senza alcuna contestazione da parte dell’amministratore o degli altri condomini a far tempo da quel periodo. In questo caso siamo di fronte all’acquisto del diritto di passaggio da parte del condomino a titolo originario per usucapione ex art. 1158 del c.c.
In tale secondo caso, in un eventuale contenzioso sicuramente il singolo condomino avrebbe al suo arco una freccia in più, ma ad ogni modo l’onere in giudizio di dimostrare l’avvenuta usucapione della servitù ricadrebbe su di lui, non certo sulla compagine condominiale; onere probatorio che non sempre in contenzioso viene adeguatamente assolto dalla parte onerata.

Lelia A. M. H. chiede
martedì 12/06/2018 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
sono proprietaria di un piccolo immobile a schiera nel centro storico di Rimini in zona 3 acquistato 11 anni fa. Trattasi di una casetta ricavata dal precedente proprietario e imprenditore edile da una suddivisione dell'immobile preesistente in due parti. Sia in fase di contratto preliminare che di rogito non è mai emersa una parola da parte del precedente proprietario che dichiarasse che parti della casa fossero in comune con il vicino o che alcune tubature passassero nella mia proprietà. Attualmente sto terminando dei lavori di ristrutturazione sulla muratura della casetta obbligati a causa dell'umidità ma soprattutto per via di un fortissimo cattivo odore che permaneva da tempo al suo interno e del quale il vicino dichiarava di non sapere quale potesse essere la causa. Per capire quale potesse essere il motivo dopo aver accertato con un tecnico che non ci fossero perdite di gas ho provveduto a far aprire il pavimento in corrispondenza dello allaccio fognario dove ho trovato con sorpresa in casa mia il tubo fognario del vicino che confluiva nel mio allaccio, per giunta montato all’incontrario e con perdita visibile di acqua sporca. Inoltre sia il mio che il suo sfiatatoio erano interrati nel mio pavimento. Inizialmente, il vicino, non voleva pagare il danno, ci siamo poi con fatica accordati per pagare a metà le spese inerenti l'aggiustatura del suo tubo e l'innalzamento dello sfiatatoio sopra al tetto della casa senza ricevuta fiscale in quanto il vicino voleva fare le spese in economia. Ora è il momento di pagare ma il vicino ha detto che paga a patto che io firmi una scrittura privata in cui si evidenzia che parte dei suoi tubi fognari passano in casa mia e quindi devo concedergli la servitù. Premesso questo chiedo: 1) cosa comporta per me la firma di un tale documento? Può un domani il vicino rivalersi contro di me con l'usucapione? Nel caso volessi vendere la mia casa cosa comporterebbe in termini di perdita economica o di altro genere? Eventuali altri danni futuri alle tubature del vicino e riapertura del mio pavimento chi le pagherebbe? Rimanendo in attesa di un riscontro
Porgo i più Cordiali Saluti
Lelia Alma Maria Hoffer”
Consulenza legale i 14/06/2018
Prima di affrontare nel merito il quesito proposto, riteniamo doveroso un breve accenno alle servitù.
Una servitù indica un diritto reale minore di godimento su cosa altrui, consistente nel peso o limitazione posto a un fondo (detto servente) per l’utilità di un altro fondo (detto dominante) appartenente a un’altra persona.
Due sono le condizioni posti dalla normativa in materia. Innanzitutto, che i fondi, anche se non confinanti, siano almeno vicini così da permettere l’esercizio della servitù. La seconda condizione posta dalla legge è che sia ravvisabile una effettiva utilità pur se non perpetua ma provvisoria.
L’art. 1028 c.c. precisa che tale utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante o nella sua destinazione industriale.
Esistono diversi tipi di servitù. In particolare, le servitù possono distinguersi in apparenti e non apparenti a seconda che siano o meno destinate al loro esercizio opere visibili e permanenti ( art. 1061).
Si distingue, poi, tra servitù affermative e negative, a seconda cioè che la posizione del titolare del fondo servente sia quella di dover subire l’altrui iniziativa positiva ovvero consista in un mero non fare che realizza di per sé l’utilità altrui.
Si distingue infine tra servitù continue e discontinue a seconda che non sia o sia necessario il fatto dell’uomo per il loro esercizio.
Quanto ai modi di costituzione delle servitù, si distingue tra servitù volontarie che si realizzano per atto inter vivos (contratto) o mortis causa (testamento) e servitù coattive che si realizzano quando il proprietario di un fondo, in forza di legge, ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù e questa, in mancanza di contratto, è costituita con sentenza.
Del tutto peculiare è , invece, l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia che ha luogo se due fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti dallo stesso proprietario, che ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.

Nel caso in esame viene in rilievo proprio la citata servitù per destinazione del padre di famiglia.
Ai sensi dell’art. 1062 c.c. “la destinazione del padre di famiglia ha luogo quando, mediante qualunque genere di prova, che due fondi attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.
Alla luce della citata disposizione normativa, perché si abbia una servitù per destinazione del padre di famiglia è necessario che i due fondi siano oggettivamente subordinati o al servizio l’uno dell’altro; inoltre tale circostanza deve permanere quando venga meno la titolarità di essi facente capo allo stesso proprietario.
Vi devono poi essere opere visibili e permanenti e devono mancare disposizioni sulla servitù.
Lo stato di asservimento di un fondo in favore dell’altro è automatico per il solo fatto che lo stato dei luoghi rimanga come quello preesistente.
Pertanto, la servitù per destinazione del padre di famiglia può essere provata in qualsiasi modo, anche senza bisogno di un atto scritto.

Premesso, dunque, a nostro avviso l’esistenza di una servitù per destinazione del padre di famiglia a favore del Suo vicino, con la firma del documento non fa altro che riconoscere l’esistenza della detta servitù. Ottenendo tale riconoscimento, il Suo vicino si eviterebbe un giudizio per vedersi riconosciuto il diritto di servitù. Cioè la servitù a favore del vicino esiste già; gli si evita solo di dover affrontare un processo per vedersi riconosciuto il suo diritto.

Quanto all’usucapione, quest’ultima è un ulteriore modi di acquisto della servitù fondato sul possesso pacifico ed ininterrotto, che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale.
Ai sensi dell’art. 1158 c.c. “la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per vent’anni”.
Sia per l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia, sia per l’acquisto per usucapione, occorre che la servitù sia apparente. Il requisito dell’apparenza della servitù fa riferimento alla presenza di opere visibili di natura permanente, obiettivamente destinate al suo servizio e che rivelino in maniera non equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l’animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile (cfr. sul punto Cass. del 21 luglio 2009, n. 16961).
Dunque, se l’acquisto della servitù non avviene per destinazione del padre di famiglia, potrà avvenire per usucapione decorso il termine di 20 anni.

La presenza di una servitù sul bene da vendere può dar luogo ad una riduzione sul prezzo dell’immobile. Per il resto non vi sono altre conseguenze purché nell’atto di compravendita sia menzionata l’esistenza della servitù.

Infine, in merito alle spese di riparazione, esse sono ripartite di comune accordo tra i proprietari.
Nel caso in cui i proprietari non si siano accordati sulla gestione e divisione delle suddette spese, queste sono a carico del proprietario a cui giovano, ossia a quello del fondo dominante (nel suo caso gravano sul vicino). Se dalla manutenzione traggono vantaggio entrambi i proprietari, le spese sono divise in parti uguali se il vantaggio è equo, oppure in misura maggiore a carico di chi trae più benefici dalla manutenzione stessa.
Quindi nel caso in esame, trattandosi di tubature che interessano la proprietà del vicino, le spese graveranno interamente su di lui.
Si distingue infine tra servitù continue e discontinue a seconda che non sia o sia necessario il fatto dell’uomo per il loro esercizio.
Quanto ai modi di costituzione delle servitù, si distingue tra servitù volontarie che si realizzano per atto inter vivos (contratto) o mortis causa (testamento) e servitù coattive che si realizzano quando il proprietario di un fondo, in forza di legge, ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù e questa, in mancanza di contratto, è costituita con sentenza.
Del tutto peculiare è , invece, l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia che ha luogo se due fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti dallo stesso proprietario, che ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.



Francesco P. chiede
giovedì 03/05/2018 - Calabria
“Buongiorno, espongo brevemente il mio quesito:
io sono l'attuale proprietario della casa che fu di mio nonno, precedentemente la casa era di tre proprietari (mia madre e due suoi fratelli); la quota di mia madre e la quota di un mio zio sono state date a me con un atto di donazione, mentre la quota dell'altro zio è stata da me acquistata.
Questa casa è ubicata alla fine di una via senza uscita ed è circondata da un ampio giardino; dietro la casa c'è un terreno e i proprietari non avendo altra via di accesso sono obbligati a passare nel mio giardino per raggiungerlo.
Questa consuetudine di passare nel mio giardino va avanti da decenni ma i proprietari del terreno non hanno alcun documento che dimostri che hanno diritto alla servitù di passaggio, io stesso ho fatto controllare i documenti all'ufficio tecnico del Comune in questione e neppure li risulta nulla, neanche sugli atti di donazione e di compravendita stipulati dal notaio c'è scritto nulla al riguardo di eventuali servitù di passaggio sulla proprietà in questione.
A questo punto avrei quattro domande:
1- Presso quali uffici dovrei controllare se la servitù di passaggio effettivamente esiste o non è mai stata registrata?
2- Fino a quando i proprietari del terreno non mi dimostreranno di avere la servitù io posso chiudere a chiave il cancello della mia proprietà e non farli passare?
3- Se loro dovessero rompere il mio cancello per passare ugualmente io potrei denunciarli?
4- Mi è stato consigliato di procedere con un'azione negatoria nei loro confronti, sarebbe utile farla o lascio a loro l'onere di dimostrare di avere il diritto a passare nella mia proprietà?

Ringrazio anticipatamente per le risposte e colgo l'occasione per porgere cordiali saluti.”
Consulenza legale i 11/05/2018
Occorre premettere che il nostro ordinamento tutela il possesso, definito come “il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale” (art. 1140 del c.c.).
Fra gli “altri diritti reali” vi è, appunto, anche il diritto di servitù, disciplinato dagli artt. 1027 ss. c.c. In particolare, la servitù prediale “consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”.

Le servitù si dividono in volontarie e coattive. Le servitù volontarie possono essere costituite per contratto o per testamento (art. 1058 del c.c.). Inoltre, le servitù possono acquistarsi anche per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (artt. 1061 ss. c.c.), ad esclusione però di quelle “non apparenti” (che non hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio).
Le servitù coattive (artt. 1032 ss. c.c.) possono essere costituite per contratto o, in mancanza, con sentenza, nonché con atto dell'autorità amministrativa nei casi espressamente previsti dalla legge.

Nel nostro caso, appare pacifico che i proprietari del fondo confinante esercitino, almeno di fatto, una servitù di passaggio sul giardino di proprietà del cliente. Tale situazione, secondo quanto riferito nella premessa del quesito, si protrarrebbe ormai “da decenni”.
Già in base a queste brevi premesse è possibile cominciare a fornire le risposte ai diversi interrogativi posti nel quesito.
L’eventuale esistenza di un diritto di passaggio sul fondo del richiedente può essere verificata mediante una visura presso la conservatoria dei registri immobiliari.

Tuttavia, anche qualora non risultassero pesi imposti sul terreno, il proprietario del fondo cosiddetto “servente” (su cui grava la servitù) non potrebbe, di propria iniziativa, chiudere a chiave il cancello della proprietà né adottare qualsivoglia altro comportamento che impedisca il passaggio ai proprietari del terreno limitrofo.
In tal modo, infatti, porrebbe in essere uno “spoglio”, cioè una privazione del possesso, esponendosi così ai rischi di un’azione legale da parte dei vicini. Ai sensi dell’art. 1168 del c.c., chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. Si precisa che per spoglio “violento” si intende quello effettuato contro la volontà, espressa o presunta, del possessore.

Nonostante il carattere illegittimo della eventuale chiusura del cancello di accesso, i proprietari del fondo confinante non sarebbero per ciò stesso legittimati a distruggere o danneggiare il cancello stesso. Qualora lo facessero, si esporrebbero al rischio di una querela per esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ex art. 392 del c.p.
In proposito, la giurisprudenza ha precisato che, “in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è invocabile la scriminante di cui all'art. 51 del c.p. da parte del titolare di un diritto di servitù di passaggio che abbia abbattuto il cancello posto dal proprietario della strada per impedirne l'altrui ingresso, in quanto l'esercizio di un diritto cosiddetto “contestabile” non può che avvenire ricorrendo all'intervento dirimente del giudice, non potendosi legittimare l'autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto suo esercizio” (Cass. Pen. VI, 19040/2006).

Da ultimo, va esaminata la questione dell’opportunità di proporre un’actio negatoria servitutis. L’azione negatoria è prevista dall’art. 949 del c.c., ai sensi del quale il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa (nel nostro caso, della servitù di passaggio), quando ha motivo di temerne pregiudizio. Inoltre, se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.

Tuttavia, occorre tenere presente che, come riferito nel quesito, il passaggio attraverso il giardino verrebbe esercitato “da decenni”. Pertanto potrebbero essersi verificati i presupposti di un acquisto della servitù per usucapione (artt. 1158 ss. c.c.), ossia per effetto del possesso continuato per un periodo di tempo determinato dalla legge (venti anni per gli immobili). Dunque controparte, convenuta nell’azione negatoria, potrebbe far valere l’intervenuta usucapione in via di eccezione (al fine di ottenere il rigetto dell’azione negatoria) se non addirittura come domanda riconvenzionale.

Inoltre, sempre nel quesito si riferisce che i proprietari del fondo confinante non avrebbero “altra via di accesso” e sarebbero “obbligati” a passare nel giardino in questione. Potrebbe dunque, in astratto, sussistere anche una situazione c.d. di interclusione del fondo, che si ha quando un fondo è circondato da fondi altrui, e non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (art. 1051 del c.c.): ciò legittimerebbe i proprietari a chiedere la costituzione di una servitù coattiva.

Alla luce delle osservazioni che precedono, è evidente che ogni valutazione circa la convenienza della proposizione di un’azione negatoria non potrà prescindere da un accurato esame delle circostanze del caso concreto (protrarsi nel tempo del passaggio, caratteristiche dei luoghi ecc.).

Hubert S. chiede
sabato 11/06/2016 - Trentino-Alto Adige
“Mio fratello ha ricevuto dalla nostra zia in dono un immobile, mentre io ho ricevuto dalla stessa zia in eredità un appartamento nello stesso fabbricato. Abbiamo diviso consensualmente il terreno contiguo e iscritto il tutto al catasto. Durante la suddivisione delle quote spettanti a ciascuno abbiamo dimenticato di iscrivere nel suo terreno una servitù necessaria a me per raggiungere il mio appartamento. Questo, perché la zia ha usato sempre questa via per accedere alla sua proprietà. Ci siamo accorti subito della dimenticanza e lo stesso giorno ma ha rilasciato una dichiarazione che accesso vale per me come per la zia, si rifiuta però di registrare questa servitù al catasto.
Questa è l'unico accesso all'appartamento.
Esiste in questi casi una servitù coatta sancita dal giudice? E può valere il diritto al passaggio che ho ereditato dalla zia?
Grazie per il parere”
Consulenza legale i 14/06/2016
La servitù prediale è un istituto disciplinato dall’ art. 1027 del c.c., che la definisce come “un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo”. Nel caso di specie, in particolare, si è in presenza di una servitù di passaggio, che secondo il nostro ordinamento può essere costituita anche mediante atto tra vivi avente natura negoziale, come è accaduto nel caso di specie (è, infatti, lo stesso scrivente a precisare che il fratello gli ha rilasciato “una dichiarazione per cui l’accesso vale per me come per la zia, si rifiuta però di registrare questa servitù al catasto”).

Occorre sottolineare che, secondo il codice civile, i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali devono, a pena di nullità, effettuarsi per atto pubblico o scrittura privata (art. 1350, co. 1, n° 4) e che la successiva trascrizione del titolo (la “registrazione” di cui parla lo scrivente), non è obbligatoria per la nascita di una valida servitù ma serve unicamente per poter opporre l'esistenza della servitù ai terzi che eventualmente potrebbero vantare diritti su di essa.
La giurisprudenza afferma, infatti, che “è vero che si richiede che il diritto di servitù sia stato trascritto, ma, tenuto conto del valore non costitutivo della trascrizione, è evidente che ciò non inficia la conclusione che un titolo di trasferimento della proprietà di un bene, nella specie un contratto, sia atto astrattamente idoneo a trasferire il connesso diritto di servitù, afferente il medesimo bene, pur in mancanza della sua espressa menzione nell'atto” (in tal senso, Cass. n. 20817 del 2011; Cass. n. 17301 del 2006; Cass. n. 6680 del 1995).
In altre parole la registrazione (c.d. trascrizione) della servitù non ha valore costitutivo della stessa, poiché la servitù ha piena efficacia tra le parti già dal momento della stipula del contratto, senza bisogno di altro: la trascrizione del titolo rileva invece solamente al fine di opporre l’esistenza della servitù ai terzi (si immagini il caso in cui un domani il fratello volesse vendere l'appartamento: se la servitù non venisse trascritta, contro chi acquista non potrebbe essere fatta valere).

Fermo quanto ora precisato, occorre comunque rilevare che lo scrivente riferisce anche che “la zia ha usato sempre questa via per accedere alla sua proprietà”.
Potrebbe allora sostenersi che nel caso di specie trovi applicazione quanto l’ordinamento prevede all'art. 1062 del c.c. (servitù costituite per destinazione del padre di famiglia), in base al quale quando si provi in qualsiasi modo che due fondi divisi siano stati posseduti dallo stesso proprietario, il quale ha posto o lasciato le cose in uno stato dal quale risulti una servitù, nel caso in cui tali fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario (ad esempio se sono stati lasciati in eredità a soggetti diversi o, come nel caso di specie, sono stati successivamente divisi), si viene a creare automaticamente la servitù.
Anche qui, come detto nel precedente paragrafo, questo modo di costituzione delle servitù riguarda soltanto le servitù apparenti (art. 1061 del c.c.). Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che in tal caso sarà necessario dimostrare, oltre all’esistenza delle opere permanenti accennate sopra, anche la mancanza di una espressa volontà contraria del proprietario dei fondi al momento della separazione (tra le molte, si veda Cass. 12 marzo 2008, n. 6520).

Infine, occorre evidenziare una quarta eventuale via che lo scrivente potrebbe seguire per rivendicare il proprio diritto di passaggio sul fondo del fratello. Sino a qualche tempo fa l’istituto della servitù di passaggio veniva utilizzato esclusivamente nei rapporti tra proprietari di fondi per consentire lo svolgimento dell’attività agricola e industriale, ma oggi è possibile utilizzarlo anche per garantire l’accessibilità degli spazi abitativi.
Infatti, a seguito della sentenza 10 maggio 1999 n. 167, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 1052 c.c. nella parte in cui riconosceva la possibilità di chiedere al giudice la costituzione di una servitù di passaggio a favore di un fondo solo per esigenze agricole o industriali. La Consulta, infatti, ha invece ritenuto che sia opportuno riconoscere la possibilità di concedere una servitù di passaggio anche per rispondere a esigenze di accessibilità degli edifici destinati ad uso abitativo, ogniqualvolta l’accesso risulti inadatto o insufficiente e non ampliabile. In altre parole il diritto a passare sul fondo altrui per poter accedere alla propria proprietà può essere imposto solo nel caso in cui costituisca l’unica concreta possibilità.
Quanto ora affermato dalla giurisprudenza appare perfettamente applicabile anche al caso di specie, poiché, come lo scrivente ha specificato, il passaggio attraverso la parte di fondo di proprietà del fratello costituisce “ l'unico accesso all'appartamento” lasciatogli dalla zia.

In conclusione, lo scrivente può rivendicare il proprio diritto di passaggio sul fondo del fratello, in via principale, poiché così è stato stabilito in una scrittura privata, la quale ha diretta efficacia tra le parti (e la cui trascrizione rileva solo al fine di opporre l’esistenza della servitù a terzi). In presenza poi dei requisiti stabiliti dalla legge, potrebbe comunque essere possibile un acquisto automatico della servitù per destinazione del padre di famiglia. Infine, in considerazione del fatto che il passaggio attraverso la parte di fondo di proprietà del fratello costituisce l'unico accesso all’appartamento ereditato, lo scrivente, alla luce di quanto afferma la giurisprudenza, potrebbe anche richiedere al giudice una sentenza costitutiva della servitù di passaggio.

Michael L. chiede
martedì 16/06/2015 - Toscana
“Chi è responsabile e ha il potere decisionale per la strada su cui pesa la servitù di passaggio, il proprietario del fondo servente o il titolare della servitù
Consulenza legale i 22/06/2015
Il titolare della servitù, proprietario del fondo dominante, ha diritto di esercitare la servitù innanzitutto nel modo convenuto con il proprietario del fondo servente (art. 1063 del c.c.: "L'estensione e l'esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti"). Quindi, chi ha la servitù di passaggio pedonale, ad esempio, non può pretendere improvvisamente di passare con un automezzo, se non ha un ulteriore titolo, come una usucapione della nuova servitù.

Se il titolo non dice nulla, si guarda al possesso del diritto, cioè alle modalità effettive con cui la servitù è stata esercitata, ovviamente laddove pacificamente riconosciute dal proprietario del fondo servente. Nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente (art. 1065 del c.c.).

Ciò premesso, il codice civile prevede che il proprietario del fondo dominante (titolare della servitù) possa compiere tutte le opere necessarie per conservare il suo diritto, dovendo però scegliere un tempo e un modo tali da arrecare minore incomodo al proprietario del fondo servente: di tali opere deve sostenere le spese necessarie, ove non diversamente stabilito dal titolo o dalla legge (v. [[1069]]). Va precisato che se le opere - si parla sempre di opere necessarie! il titolare della servitù non può arbitrariamente effettuare interventi per ragioni estetiche, di suo gusto personale, etc. - vanno anche a vantaggio del proprietario del fondo servente, questi deve partecipare alle spese in proporzione ai rispettivi vantaggi (v. Cass. civ., sentenza n. 949/1982).

Una regola fondamentale è stabilita dall'art. 1067 del c.c.. Il proprietario del fondo dominante, che può compiere le opere necessarie all'esercizio della servitù, come sopra detto, non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente, perché il proprietario di quel fondo ha pur sempre diritto a non veder diminuire il valore o la funzionalità del bene che gli è proprio.

Allo stesso modo, il proprietario del fondo servente, in quanto titolare del fondo, ha diritto di usarne come dominus a tutti gli effetti, ma non può compiere alcuna opera che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo (ad esempio, in caso di servitù di passaggio, diminuire la larghezza del passaggio in modo che il titolare della servitù non possa più esercitarla). Proprio sotto questo profilo emerge la limitazione del diritto di proprietà ad opera degli altri diritti reali "limitati" che insistano sullo stesso bene.

In conclusione, sia il proprietario del fondo servente, ma in particolare quello del fondo dominante, possono decidere di intervenire sulla strada oggetto della servitù di passaggio, ma entrambi con dei limiti ben precisi.
Se il proprietario del fondo dominante vuole compiere opere che il proprietario del fondo servente reputa non necessarie o gravose per il suo terreno, l'unica soluzione per dirimere la controversia è quella di rivolgersi al giudice (e, prima, al mediatore).

GIBILISCO chiede
martedì 21/09/2010

“Il diritto di servitù prediale di passaggio su un fondo che non serve un fondo dominante ma arriva ad una scogliera quindi ad un bene demaniale: può essere esperito reclamo da parte di singoli cittadini di reintegrazione del possesso e gravare il fondo di una servitù prediale per raggiungere la scogliera per comodità ed amenità, malgrado insistono nel raggio di 100 mt.strade pubbliche che conducono allo stesso luogo? grazie per l'eventuale chiarimento.”

Consulenza legale i 21/09/2010

Non si comprende dal quesito se la servitù sia già in essere o la si voglia costituire.
Ad ogni modo la costituzione di una servitù coattiva è prevista dal legislatore solo in limitati casi. Tra questi non è contemplata la maggiore comodità o amenità del fondo a favore del quale la si vorrebbe costituita. Infatti, per la ratio legis che sottende la norma, il sacrifico imposto al fondo servente deve essere giustificato da rilevanti ragioni di natura economico-patrimoniale (ben rappresentate, ad esempio, dal caso di un fondo che non ha accesso alla via pubblica).


Roberto D. chiede
domenica 11/04/2021 - Veneto
“Nell'atto di compravendita di un lotto di terreno di 464 mq avvenuto nel 1953, all'art. VI, si legge: "I compratori assumono l'obbligo, per loro, eredi ed aventi causa, di costruire sull'appezzamento rispettivamente acquistato, soltanto case di civile abitazione o villette, comprendenti non più di tre piani oltre lo scantinatoe con assoluto divieto di costruire fabbricati di tipo popolare o rustico, o adibiti ad esercizio di commercio o di industria o di altra attività rumorosa, molesta, o indecorosa".

Ad oggi si sta costruendo un edificio di 6 piani con regolare permesso di costruire rilasciato dal comune di Venezia in cui non vi è cenno al vincolo di non costruire più di tre piani.
Quesito: Il vincolo di "non più di tre piani" del 1953 ha ancora qualche validità ?

Allego artt. VI e XII dell'atto di compravendita del 1953.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/04/2021
Dalla lettura dell’atto di compravendita, allegato al quesito, è emerso che i due appezzamenti di terreno oggetto del contratto costituiscono il risultato di un frazionamento operato da colui che, all'epoca, era l'unico proprietario.
Il primo problema che si pone è quello della qualificazione dell’impegno, assunto in quella sede dagli acquirenti, di non costruire, sui terreni acquistati, edifici aventi determinate caratteristiche o superiori ad una certa altezza: occorre stabilire se si tratta di un obbligo avente natura personale o, viceversa, di un diritto reale (nella specie, si configurerebbero una servitus non aedificandi (o inaedificandi), ovvero una “servitù di non costruire”, e una servitus altius non tollendi, cioè di non costruire oltre una certa altezza).
Le ricadute pratiche di tale distinzione sono state ben spiegate da Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 3091/2014, secondo cui “in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria”. Trattasi di principio consolidato (si veda anche Cass. Civ., Sez. II, n. 2651/2010).
Nel nostro caso, l’impegno degli acquirenti a non costruire non appare stabilito in favore di una persona determinata; anzi, tale impegno è assunto dai compratori per sé, per i propri eredi ed aventi causa, il che contribuisce a rafforzare l’opinione del carattere reale del divieto di edificare, in quanto pattuito in funzione di una utilità del fondo, consistente nella maggiore amenità, e dunque anche in un maggior valore, dei luoghi, derivante appunto dall’assenza di edifici con altezza eccessiva (che potrebbero togliere aria e luce agli immobili circostanti), o considerati di scarso pregio, o all’interno dei quali si svolgano attività tali da turbare la quiete e la serenità del vicinato.
La questione merita comunque di essere approfondita, anche alla luce di una recente pronuncia della Cassazione (Sez. II, n. 20694/2018), la quale evidenzia un ulteriore profilo, quello relativo alla trascrizione degli atti. In particolare, la S.C. ha osservato che “se un contratto di compravendita prevede anche la costituzione di una servitù a favore di un terzo o dello stesso alienante devono chiedersi due separate iscrizioni: la prima per la compravendita e la seconda per la costituzione della servitù. La richiesta della trascrizione della sola compravendita, infatti, non è sufficiente a ricomprendere anche l'altra”.
Qualora si propenda per la natura reale del vincolo, si tratterà appunto di una servitù, che è posta a vantaggio non delle persone, ma di uno o più fondi: essa dunque “seguirà” tanto il fondo dominante quanto il fondo servente nelle loro vicende traslative, negli eventuali passaggi di proprietà.
Il problema, semmai, nel nostro caso, risiede nell’identificare il fondo dominante, cioè quello a vantaggio del quale la servitù è stata costituita; se, infatti, non pone particolare problemi l’individuazione del fondo servente (ciascuno dei due lotti di terreno a carico dei quali è stato stabilito il divieto di costruire), occorrerebbe conoscere meglio la situazione dei luoghi, per comprendere chi sia legittimato a far valere il mancato rispetto della servitù in esame.
In proposito, la giurisprudenza ha affermato l’utilizzabilità dell’istituto del contratto a favore di terzo, di cui all’art. 1411 c.c. In particolare, si veda Cass. Civ., Sez. II, n. 6030/2000: “il titolo costitutivo di una servitù prediale può rinvenirsi in un contratto cui abbia partecipato soltanto il proprietario del fondo servente, rispetto al quale il proprietario del fondo dominante abbia assunto la posizione di terzo favorito, non sussistendo nel contratto a favore di terzo limiti in ordine alla qualità ed al contenuto della prestazione a favore del terzo, la quale può consistere in un "dare, in un "facere" o in un "non facere" presente o futuro ed anche nella costituzione di un diritto reale, purché tale costituzione corrisponda ad un interesse anche non patrimoniale dello stipulante”.
Tale possibilità è stata espressamente riconosciuta nel caso di lottizzazione da Cass. Civ., Sez. II, n. 1842/1993.
Nel nostro caso, l’interesse del venditore alla costituzione del vincolo potrebbe essere ravvisato sia nell’esigenza, prettamente patrimoniale, di evitare un possibile deprezzamento delle proprietà confinanti (non è chiaro se all’epoca il venditore fosse ancora proprietario dei terreni finitimi, ma sembrerebbe di sì), sia nell’aspirazione ad una maggiore amenità, preservando la tranquillità di una zona residenziale ed evitando il sorgere di condomini, abitazioni “popolari”, ed attività moleste.

Patrizia M. chiede
lunedì 15/03/2021 - Lombardia
“La mia richiesta ha lo scopo di verificare se io abbia fondati diritti, e se sì, quali possibilità di pretendere l'adozione di misure atte a risolvere i problemi legati al degrado e al decoro dell'immobile dove abito oltre a varie turbative del mio diritto di proprietà. Si tratta di una di casa di corte, nella quale sono proprietaria di una porzione, libera su tre lati, oltre ad una unità immobiliare separata e pertinenziale (autorimessa). In questa corte vi sono altre 3 unità immobiliari appartenenti a tre altri distinti proprietari (vicino A, vicino B, vicino C). Le unità non sono costituite in condominio, ma hanno vari elementi in comune perché tutto l'edificio con corte apparteneva un tempo ad un solo proprietario ed è stato in varie successive riprese suddiviso fino a comprendere le attuali 4 unità immobiliari. Gli elementi in comune sono una facciata esterna ed una interna, il tetto e l'androne di passaggio. Alcune unità hanno in comune anche gli impianti fognari, che sono ubicati in una porzione di corte privativa e soggetta a servitù di accesso, carico e scarico, veduta e sporto di gronda a favore della mia proprietà, la quale si trova interclusa.

Elenco e riassumo i punti critici presenti, pregandoVi di esaminare se le mie richieste siano fondate giuridicamente e come possa agire per tutelarmi.

a) IMMISSIONE FUMI E DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
1) l'uscita dello scarico/gas della caldaia del vicino A è situato in posizione troppo bassa e sotto il livello del tetto della mia veranda (vedi scarico in alto a ds. nella foto 1), emanando continuamente fumi di odore acre che si immettono nella mia porzione di casa in proporzione alla direzione del vento;
2) i fili elettrici e il punto luce sono stati installati dal vicino A in spregio del decoro della facciata esterna ed interna, facendo inoltre passare i fili elettrici su di un muro non suo, quello della mia autorimessa, che non è un muro comune bensì di mia esclusiva proprietà (foto 2);

b) DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
il tubo del gas è stato fatto installare sulla facciata esterna comune dal vicino B durante la ristrutturazione del suo appartamento nel 2015, senza alcun riguardo per l'estetica e il decoro della facciata stessa, lasciando inoltre nel muro, la sua vecchia nicchia con il vecchio contatore e il vecchio tubo del gas, abbandonati sulla facciata senza alcuno scopo di utilità (foto 3).

c) MANUTENZIONE CANALE DI GRONDA, POSIZIONE MOTORE CONDIZIONATORE, TURBATIVA DIRITTO DI SERVITÙ DI VEDUTA
1) tale canale è costantemente intasato di foglie e di rifiuti ed è totalmente inclinato verso il canale di gronda di mia proprietà, in direzione del quale, a causa di questa pendenza, si vanno a riversare tutte le acque piovane del suo tetto (foto 4). Queste acque tracimano poi all'interno della mia veranda ogni qualvolta vi siano forti piogge. Vi sono inoltre continue azioni di disturbo nel mio uso (regolare servitù iscritta in atti) del locale caldaia adiacente;
2) il motore del condizionatore d'aria del vicino C è posizionato su una delle facciate interne (cortile) sul mio passaggio verso casa (foto 5);
3) il mio diritto di veduta (regolare servitù dichiarata nei titoli di proprietà) è leso con continui comportamenti emulativi da parte del vicino (foto 6).

Allego a parte una piantina e la documentazione fotografica citata, e Vi chiedo di trattare il mio quesito e gli allegati in forma riservata e di non pubblicarli né sul Vs. sito né altrove.

RingraziandoVi, invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/03/2021
Il quesito offre diversi spunti di riflessione che si andranno ad affrontare per paragrafi separati.

a) Immissioni fumi
L’art. 844 del c.c. al suo primo comma ci detta una regola estremamente importante che giova ripeterla in tale sede: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".

Se si analizza sommariamente tale importante norma del codice civile, si nota subito una prima importante regola: le immissioni di fumo e le esalazioni derivanti dal fondo del vicino sono di per se considerate lecite e non possono essere vietate o limitate.
Tale principio generale trova una importante limite nel momento in cui la immissione supera la normale tollerabilità. Interessante in questo senso e Cass.Civ.,Sez.II, n.939 del 17.01.2011, la quale ci dice che l’immissione supera la normale tollerabilità quando essa pregiudica le altrui condotte di vita.
Da qui ne discende che l’esalazione di fumo e l’odore acre diventano un atto illecito del nostro vicino e quindi come tale idonei per essere contestati in giudizio, solo nel momento in cui essi non siano meramente episodici, ma si protraggono per un considerevole periodo di tempo durante la giornata. Solo in questo caso si potrebbe ragionare di una eventuale illiceità della immissione con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
Da quello che ci è dato capire, le immissioni non sono di una intensità tale da integrare il requisito richiesto dalla giurisprudenza assolutamente dominante.

Forse sarebbe più interessante e proficuo capire se lo scarico dei fumi possa considerarsi a norma ed anche capire la eventuale tossicità di ciò che promana dall’impianto, ma sotto questo aspetto non sono stati dati sufficienti elementi per esprimere un parere sul punto. Il consiglio che ci si sente di dare è di far periziare lo scarico da un termotecnico per avere una prima idea su come muoversi.

b) Decoro architettonico
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.

La problematica maggiore delle controversie aventi ad oggetto la tutela del decoro architettonico, sta proprio nella soggettività del concetto, rendendo di fatto estremamente incerto l’esito di un eventuale contenzioso. Una determinata opera, infatti, può apparire del tutto in linea con l’estetica del fabbricato per il tecnico edile chiamato da un condomino a difenderlo in giudizio, come invece può apparire del tutto disarmonioso per il tecnico di controparte, o per quello nominato dal giudice chiamato a dirimere il contenzioso.

A mitigare l’assoluta soggettività del concetto la giurisprudenza a più riprese ha precisato che l’alterazione delle linee estetiche del fabbricato non è di per sé sufficiente affinché si possa verificare una lesione del decoro architettonico, ma tale alterazione deve essere significativa e rilevante per portare ad una rimozione dell’opera lesiva e tradursi in un pregiudizio economicamente valutabile per giustificare un eventuale risarcimento del danno.

Fatta questa dovuta premessa è importante, anche in questo caso, far periziare la facciata dell’edificio da un tecnico edile che possa dire se le opere contestate dall’autore del quesito provochino una alterazione delle linee architettoniche del palazzo tale da poter giustificare un contenzioso.

Soffermiamoci però un po’ più attentamente su un aspetto importante che viene fatto notare nel quesito: le opere che vengono accusate di ledere il decoro, erano un tempo al servizio esclusivo di un appartamento e oggi, a seguito di ristrutturazione, sono inutilizzate.
Sulla base di quanto riferito nel quesito, si ritiene che tali opere sono inerenti ad un diritto di servitù, molto probabilmente costituitosi per destinazione del padre di famiglia, a favore dell’appartamento del vicino e a carico del condominio, in quanto i muri portanti ed esterni del corpo di fabbrica devono considerarsi comuni a tutti.

Posto questo, può il singolo condomino richiedere la rimozione delle opere attinenti ad una servitù inutilizzata? L’art. 1027 del c.c., ci dice che le servitù sono un peso posto su un fondo detto servente per l’utilità di un altro fondo detto dominante. In altri termini, la servitù trova la sua giustificazione nel momento in cui essa arreca un vantaggio al fondo dominante che giustifica una limitazione al diritto di proprietà del fondo servente: nel caso specifico, l’utilità era rappresentata dalla possibilità per l’appartamento del vicino di allacciarsi alla rete del gas.

Tale utilità è sicuramente venuta meno a seguito della ristrutturazione del 2015, ma ciò, purtroppo, non è causa di per se per chiederne la rimozione. L’art.1074 del c.c. ci dice che il venir meno della utilità della servitù non fa estinguere la servitù, se non dopo che sia decorso il termine di prescrizione ventennale indicato dal precedente art. 1073 del c.c. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui si è cessato di usare la servitù.

La rimozione di tali opere quindi potrà essere pretesa solo se si dimostrerà in giudizio che esse non sono utilizzate da venti anni, a meno che non si riesca a dimostrare che esse ledono il decoro architettonico nei limiti che si sono detti poco sopra.

Attenzione ad un altro aspetto importante. Nel quesito si dice che vi sono alcuni muri di proprietà esclusiva, perché facenti parte delle singole unità immobiliari: tale affermazione non può dirsi scontata. Se infatti, il muro è parte integrante della facciata del corpo di fabbrica, o è elemento portante della costruzione esso viene considerato comune ai sensi del n.1) dell’art. 1117 del c.c. e quindi sicuramente condominiale. Anche in questo caso solo un tecnico edile può illuminarci sulla effettiva natura del bene.


c) Manutenzione del canale di gronda
Sotto questo aspetto, sarebbe utile esaminare i rogiti di acquisto delle singole unità abitative per capire se sono stati costituiti delle specifiche servitù.

Tuttavia al di là di quello che dispongono i rogiti, si ha il forte sospetto (per non dire la certezza), che tutto il sistema di scolo di acque del corpo di fabbrica, e quindi anche la gronda ricompresa in tale sistema debba considerarsi bene condominiale ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c,. in quanto necessario all’uso comune. La riprova di tale affermazione risiede proprio nel fatto che la scarsa manutenzione della gronda pregiudica anche le proprietà circostanti.
Ciò comporta un vantaggio, in quanto l’autore del quesito avrebbe tutto il diritto di attivarsi autonomamente per pulire la gronda intasata: anche essa infatti deve considerarsi bene di sua proprietà. Quanto sostenuto per la pulizia potrà poi essere preteso pro quota agli altri proprietari o ai sensi dell’art. 1134 del c.c., se la spesa riveste il carattere di urgenza, o, altrimenti, ai sensi dell’art. 2031 del c.c.

E’ ovvio che se gli altri proprietari non provvedono al pagamento spontaneamente sarebbe possibile teorizzare un ricorso alla autorità giudiziaria, come lo si potrebbe fare nel caso in cui la situazione di inefficienza della gronda causasse un danno alla proprietà esclusiva dell’autore del quesito, ma in questo caso i danni vanno dimostrati.

Se, viceversa, la gronda deve considerarsi come bene esclusivo del vicino e quindi non condominiale, l’autore del quesito può pretendere, anche giudizialmente, che la stessa sia tenuta in buono stato manutentivo invocando l’art. 908 del c.c., il quale dispone: "Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". Anche in questo caso se lo scolo abusivo causa un danno dimostrabile questo può essere fatto valere in giudizio.
Ad ogni modo per tutte le motivazioni che si sono già dette si è convinti che la gronda rivesta carattere di bene comune condominiale

d) Disturbo diritto di servitù accesso locale caldaia e diritto di veduta

Da quanto ci è dato capire l’autore del quesito è molestato nel possesso di due diritti di servitù, uno di veduta e uno di passaggio e utilizzo del locale caldaia. Nel quesito non ci si dilunga particolarmente nel descrivere come in concreto vengono poste in essere tali azioni di disturbo, ma, anche analizzando il materiale fotografico a corredo, si ritiene che i vicini pongano in essere varie, distinte condotte tese ad ostruire e a rendere più difficoltoso il pacifico godimento di tali diritti regolarmente riconosciuti nei rogiti di acquisto della proprietà.

Se si riuscisse a dimostrare le azioni di disturbo con materiale fotografico e testimonianze, si potrebbe teorizzare la possibilità di radicare innanzi alla autorità giudiziaria una azione di manutenzione del possesso ex art. 1170 del c.c., tesa ad ottenere un provvedimento che imponga ai vicini la cessazione dei comportamenti molesti. Anche in questo caso si potrebbe pretendere un risarcimento, se si riuscisse a raggiungere la prova di aver subito un effettivo danno patrimoniale derivante dalle condotte di disturbo. L’azione di manutenzione ha il vantaggio di poter godere di un rito piuttosto celere, compatibilmente alla situazione dei tribunali nel nostro paese, ma deve essere iniziata entro l’anno dalla sofferta turbativa. Tale rigido termine decadenziale non deve di per sé spaventare, in quanto, se i comportamenti che arrecano molestia sono più di uno e distinti nel tempo, tale termine si rinnova al compimento di ogni condotta.

In conclusione vi sono diversi spunti per tutelare entro certi limiti le ragioni dell’autore del quesito, spunti che necessariamente devono essere approfonditi, non solo con un legale ma anche con un tecnico che necessariamente affianchi l’avvocato nella sua attività.

Ci si sente comunque di consigliare, piuttosto che una causa giudiziaria, l’istituto della mediazione civile, strumento che se accompagnato da buon senso e spirito conciliativo potrebbe dare maggiori soddisfazioni in tempi più rapidi.

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