Natura della servitù
La servitù viene definita «
peso imposto sopra un fondo ». Si legge nella Relazione al Re Imperatore (n. 144) che si tratta di un’immagine che raffigura
l’aspetto economico del rapporto, ma che, comunque, questa formula è preferibile all'altra «
limitazione del godimento di un fondo » proposta nel progetto della Commissione reale “Cose e diritti reali” (art. 182). Tale affermazione è corretta: a parte la considerazione per cui l'espressione «
peso » esprime meglio il carattere reale delle servitù, la sua inerenza passiva, è da notare che l'altra formulazione è impropria perché la limitazione del diritto di proprietà è solo un effetto della servitù, e in genere dei
iura in re aliens, ma non ne costituisce l'essenza e il contenuto, tant’ è vero che, come si è visto, è possibile aversi una servitù su
res nullius.
Naturalmente la definizione va completata con la considerazione dell’aspetto, possiamo dire, attivo del rapporto, e cioè della natura di diritto soggettivo, precisamente di
diritto reale su cosa altrui. Tale completamento si compie facilmente, sviluppando la definizione stessa: l'inerenza passiva (peso) è un riflesso della realità del diritto.
Un altro punto è da chiarire: poiché il diritto di proprietà del fondo servente (quando questo, come di regola, non è
res nullius) e il diritto di servitù sono diritti reali che incidono sulla stessa cosa, il diritto di servitù comporta necessariamente una
limitazione del diritto di proprietà. Ciò, però, non vuol dire affatto che un pezzo del diritto di proprietà si è staccato dal tutto ed ha formato diritto autonomo: la teoria dei c. d. diritti reali frazionari è stata abbandonata da molto tempo. Essa urta, del resto, contro una barriera insormontabile: nelle servitù negative
(servitus altius non tollendi, ecc.) nessuna facoltà di fare passa al titolare della servitù (proprietario del fondo dominante), da lui si acquista solo il potere di proibire al proprietario del fondo servente l'esercizio di una facoltà che sarebbe contenuta nel diritto di proprietà.
La questione pare, a prima vista, di mera costruzione lessicale ma, in realtà, potrebbero discendere conseguenze giuridiche e pratiche diverse dall'una e dall'altra soluzione. Se il diritto di servitù fosse una frazione del diritto di proprietà, in caso di estinzione della servitù sarebbe necessario un negozio di retro-trasferimento per reintegrare la piena proprietà. Invece di un tale negozio non c’è alcun bisogno: estinta la servitù, cessa la limitazione gravante il diritto di proprietà, e questo, per la sua forza espansiva (
elasticità del dominio), riprende l'antico vigore e tutta l'ampiezza.
Fondo dominante e fondo servente
Gli
elementi materiali della servitù sono: a) il fondo servente ; b) il fondo dominante.
a) Oggetto della servitù è il
fondo servente: fondi sono i terreni e gli edifici, ma per fondi possono intendersi anche i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo, ecc. (
art. 812 del c.c., comma 2). Non rileva invece che la costruzione debba avere una breve durata, come l'edificio per una esposizione. Gli alberi e i frutti — finché non vengono separati dal suolo o dalla pianta — possono essere oggetto di servitù, ma in quanto partes fundi, rispetto a cui ha luogo la localizzazione dell'esercizio della servitù: questa, come tale, coinvolge tutta la cosa, e quindi il fondo nella sua interezza. La servitù costituita su un fondo necessariamente si estende alle accessioni, non alle pertinenze (
art. 817 del c.c.).
Non possono essere oggetto di servitù le cose mobili, nè le cose immobili e incorporali. Sono
esclusi, pertanto,
tutti i diritti reali immobiliari e cioè l'enfiteusi, il diritto del concedente come tale, l'usufrutto, la servitù: infatti questi non sono «
fondi ». Non significa nulla la circostanza che anche l'enfiteuta possa costituire servitù sul fondo enfiteutico (
art. 1077 del c.c.): questa ha per oggetto il fondo, e se l'enfiteuta si ritiene titolare di un diritto reale su cosa altrui, e non proprietario, vuol dire che eccezionalmente un non proprietario, che sia titolare di un ampio diritto reale quale è l'enfiteusi, può gravare il fondo di servitù, che, invero, durano quanto il diritto di colui che le ha costituite (art.
1077 cit.).
Oggetto della servitù non può essere neppure il
diritto di servitù:
servitus servitutis esse non potest. Questa è una conseguenza del principio dell'inalienabilità, che rende impossibile l'alienazione parziale così come quella totale, e, per altro verso, si trae dall' 1027, secondo cui la servitù è un peso imposto su di un fondo. Ciò non esclude che il proprietario del fondo dominante possa, a sua volta, fare oggetto di servitù il suo fondo,
in quanto avvantaggiato dalla servitù. Così, si viola il principio
servitus servitutis esse non potest, se il proprietario del fondo dominante, a cui favore è costituita, ad es., una condotta di acqua sul fondo altrui, concede una servitù mediante una presa diretta dal canale conduttore che è sul suolo altrui. Non si violerebbe, invece, detto principio se la presa si legasse ad un canale o ricettacolo esistente nel fondo dominante.
Tornando al punto di partenza, si ricorda che oggetto della servitù è il fondo, il quale deve essere di un altro proprietario, come si è visto; può anche essere
res nullius, come detto precedentemente. Ora ci si deve chiedere: un
bene demaniale può essere oggetto di servitù prediale? I beni demaniali sono inalienabili e imprescrittibili (
art. 823 del c.c.), però su di essi sono possibili diritti a favore dei privati, purché compatibili con l'uso pubblico. Tali diritti possono essere conferiti come diritti meramente personali, in base a concessioni del tutto transitorie; possono anche essere muniti di efficacia reale, e quindi di forza e valore verso i terzi. Soltanto che, pure in tale ipotesi, sono revocabili per atto della pubblica amministrazione, che ad un dato momento li ritenga in contrasto con l'interesse generale: se la revoca ha luogo, al privato titolare della servitù non spetta che un indennizzo. Casi comuni e sicuri di servitù su beni demaniali sono quelli di presa d'acqua da fiumi o altre acque pubbliche, il diritto di tenere tombe nei cimiteri comunali, ecc.
Controverso è il caso che riguarda le
case latistanti alle vie pubbliche: la questione si presenta quando, per innovazioni stradali, le case che hanno sulla strada accesso e finestre si rendono in tutto o in parte inabitabili. La soluzione dominante è quella secondo cui spetta il risarcimento dei danni al proprietario dell'edificio. Dubbia è, in particolare, la configurazione del diritto spettante al proprietario dell'
edificio sulla strada: è preferibile la tesi che si tratti di servitù su beni demaniali, come tali revocabili dall'amministrazione, salvo il diritto al risarcimento dei danni.
b) Essenziale è anche un
fondo dominante: la servitù dev'essere utile a questo, e indirettamente alla persona del proprietario. Il fondo dominante deve appartenere a persona diversa dal proprietario dell’altro fondo:
nemini res sua servit. Non può essere
res nullius, come si è detto a suo tempo. Fondo dominante può essere, naturalmente, una
res extra commercium, ad es. il demanio dello Stato.
Grave e dibattuta questione è quella se possano ammettersi, con natura reale, diritti di godimento a carico di fondi privati e a vantaggio di collettività (abitanti di un comune, ecc.), che vengono definiti
diritti di uso pubblico o servitù di uso pubblico: caso celebre fu la controversia sul diritto di uso del popolo di Roma sulla villa Borghese. La natura reale di tali diritti non sembra possa essere negata, essi, però, non sono servitù prediali vere e proprie, perché manca un fondo dominante. Piuttosto si avvicinano di più alle servitù irregolari, soltanto che queste ultime sono a vantaggio di una persona come tale e non sono ammesse dal nostro ordinamento, come si vedrà. Le norme sui modi di costituzione delle servitù prediali non sono applicabili a queste particolari servitù nell'interesse della collettività.
Come si dirà commentando l'art.
1029 comma 2, sia il fondo servente che il fondo dominante possono essere
cose future rispetto al momento in cui si stipula la servitù. In ogni caso, però, l'uno e l'altro fondo devono essere specificamente designati.
Utilitas
Requisito della servita è
l'utilitas. Nel vecchio codice (art. 531) si statuiva che la servitù può essere costituita per l'uso e l’utilità di un fondo: nel nuovo codice giustamente si è eliminato l'accenno all'uso, essendo il concetto dell'uso compreso in quello generico di utilità. Utilità, dunque,
è non necessità: per lo più la necessità è prevista dalla legge come ragione giustificatrice di servitù coattive, ammesse dalla stessa. L'utilità deve essere del fondo dominante, e non di una persona come tale: in quest’ultimo caso si ha una servitù irregolare che non è ammessa dalla nostra legge, come si è visto precedentemente.
Erronea è la tesi secondo cui l'interesse va distinto dall'utilità, e che solo il primo è necessario per l'esistenza delle servitù.
L’
utilitas può essere di
qualunque genere e contenuto, purché rivolta ad un fondo: di qui
l'atipicità delle servitù prediali: sono possibili non solo le figure previste dalla legge, ma tutte quelle immaginabili.
Vicinitas
Nè la
vicinitas dei fondi
(praedia vicina esse debent), né la contiguità possono ritenersi essenziali perché si abbia la servitù prediale. Checché se ne pensi nel diritto romano, certo è che oggi
la vicinanza non è un requisito essenziale: essa può solo servire come criterio pratico per determinare se vi è o no l
'utilitas, ma non è certo un requisito autonomo delle servitù, visto che nel codice non se ne fa alcun cenno.
Causa perpetua
La
causa perpetua era per i romani un requisito necessario, ed era considerata come la conseguenza del concorso di due elementi,
l'utilitas e la provenienza di questa dal fondo servente. «
Causa perpetua significava questo : le condizioni del fondo servente, capaci di assicurare l'utilitas, devono essere naturali, non artificiali; devono trovar riscontro nelle energie naturali (quod ex coelo cadit), non in forze artificiali (quod manit fit) ».
Oggi il requisito della
causa perpetua non è più richiesto: così, si può costituire su uno stabilimento che produca elettricità utilizzando una cascata di acqua una servitù di derivazione di corrente a favore di una fabbrica, o in generale di altro fondo; e non vi si può opporre che, se non vi osta la
causa perpetua, perché non più richiesta, vi osta il principio, tuttora vigente, secondo cui
servitus in faciendo consistere nequit: infatti, viene conseguita senza bisogno del fatto del proprietario del fondo servente.
Indubbiamente possono apparire
incerti i confini fra i casi in cui manca la
perpetuitas e quelli in cui vi è un
facere da parte del proprietario del fondo servente e necessario perché si abbia
utilitas: ove un tale
facere costituisca il contenuto diretto e primario della servitù, il principio
« servitus in faciendo… » viene violato, e non può sorgere alcuna servitù come diritto reale.
Dalla
causa perpetua servitutis non derivava per i romani, e non deriva per chi voglia ammetterla tutt'oggi, la conseguenza che la servitù dev'essere
perpetua: una cosa è la
causa perpetua nel senso detto, altra è la durata della servitù. Le servitù prediali, come possono essere perpetue (a differenza delle personali), così possono essere sottoposte a termine finale.