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Articolo 1077 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Servitù costituite sul fondo enfiteutico

Dispositivo dell'art. 1077 Codice Civile

Le servitù costituite dall'enfiteuta [959] sul fondo enfiteutico cessano quando l'enfiteusi si estingue per decorso del termine, per prescrizione o per devoluzione.

Ratio Legis

All'enfiteuta è permessa esclusivamente la costituzione delle servitù volontarie sul fondo enfiteutico. La medesima facoltà è consentita, in relazione costituzione alle servitù coattive riferite allo stesso, al solo proprietario; esse devono, infatti, durare fin quando persiste la necessità della loro esistenza, a prescindere dalla durata dell'enfiteusi.

Spiegazione dell'art. 1077 Codice Civile

Estinzione e conservazione delle servitù costituite dall'enfiteuta.

La disciplina dell'estinzione delle servitù costituite dall'enfiteuta, passivamente, sul fondo enfiteutico, era disciplinata dal codice abrogato in termini non adeguati. L'articolo 665, con formula generica, le dichiarava estinte con l'estinzione dell'enfiteusi.

Alcuni autori prospettarono la necessità di distinguere fra varie ipotesi di estinzione dell'enfiteusi, e precisamente fra i casi in cui l'enfiteusi si estingue con ritorno del fondo al concedente (decorrenza del termine, non uso, devoluzione) e quelli in cui cessa bensì l'enfiteusi come diritto formale, ma non cessa il dominio dell'ex-enfiteuta sul fondo, che anzi passa in sua proprietà (affrancazione, successione al concedente, ecc.). Se era logico riconnettere l'estinzione delle servitù costituite dall'enfiteuta all'estinzione dell'enfiteusi nella prima serie di ipotesi, perché altrimenti la loro permanenza avrebbe pregiudicato gli interessi del concedente che doveva avere il fondo in ritorno libero dalle servitù di cui non l'avesse egli stesso gravato, non lo era nella seconda in quanto il fondo servente si consolidava nel pieno dominio di chi l'aveva assoggettato a servitù.

La distinzione fu accolta nell'attuale art. 1077 che dispone l'estinzione delle servitù costituite dall'enfiteuta non più sic et simpliciter per l'estinzione della stessa enfiteusi (come faceva il codice abrogato e anche il progetto preliminare), ma solo per i casi di estinzione da decorso del termine, non uso e devoluzione: per i casi cioè in cui l'enfiteusi finisce col ritorno del fondo al proprietario concedente.

Negli altri casi, pertanto, quando l'enfiteuta consolida il diritto di proprietà sul fondo che ha già in enfiteusi, anche le servitù passive da lui costituite rimangono e si consolidano definitivamente.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

513 Circa le servitù costituite dall'enfiteuta sul fondo enfiteutico, ho avuto già occasione di accennare che, non potendo pregiudicare gli interessi del concedente, esse seguono la sorte dell'enfiteusi, se questa si estingue per decorrenza del termine, per devoluzione o per prescrizione (art. 1077 del c.c.). Con formula generica il codice precedente (art. 665) le dichiarava estinte con l'estinzione dell'enfiteusi; appare però necessario distinguere i vari casi di estinzione del rapporto enfiteutico, non potendo nella norma ricomprendersi, senza ledere i diritti dei terzi, anche l'ipotesi che l'enfiteusi si estingua per confusione. Non si estinguono, invece, per l'estinzione dell'enfiteusi, qualunque sia la causa dell'estinzione, o per l'estinzione dell'usufrutto le servitù attive costituite dall'enfiteuta o dall'usufruttuario, poiché esse si concretano in un miglioramento del fondo, di cui accrescono il valore; né, per identità di ragione, si estinguono con lo scioglimento del matrimonio le servitù costituite dal marito a favore del fondo totale (art. 1078 del c.c.). Anche questa norma ha rispondenza nel codice precedente (art. 665), il quale, però, come si è notato, taceva circa il potere dell'usufruttuario di costituire servitù attive.

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Consulenze legali
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GIUSEPPE G. chiede
martedì 12/11/2019 - Lazio
“La società AGRICOLA Alfa SRL è proprietaria di un terreno ed affida in concessione a diversi enfiteuti la costruzione di abitazione, negozi. Nell' 86 il concedente condona tutti gli immobili.
Lo stato delle planimetrie al condono è il seguente: gruppo di particelle A con 3 finestre su un portico
Gruppo di particelle B vi è un portico su cui insistono le 3 finestre dell'altro enfiteuta.
Nel 2003 gli enfiteuti affrancano, con due cause separate di affrancazione e diventano proprietari dei rispettivi immobili. Gruppo di particelle A e B hanno due proprietà differenti. Accade che il portico diventa di proprietà esclusiva solo di B.
Nel 2019 divento proprietario del gruppo B.
Delle tre finestre sul portico, due sono trasformate in luci l'anno scorso, appena l'immobile viene messo in vendita ed una viene lasciata (quella nell'angolo) ma è enorme e fastidiosa. Alla stessa stregua esiste un altro corpo di fabbricati a DX dove insiste una finestra a meno di 75 metri dal portico che è stata murata, lasciando un piccolo punto d'aria. Perché sono state murate alcune finestre?
Forse c'è stato un contenzioso che io non conosco con i precedenti proprietari?
Ai sensi dell'art 1077, ledendo la mia privacy fortemente (il portico si trova tra gli ingressi di due particelle di mia proprietà) non ho diritto a far chiudere anche l'ultima finestra rimasta attiva?
E posso richiedere la chiusura della luce sotto il portico?”
Consulenza legale i 21/11/2019
La soluzione del caso in esame deve necessariamente ricercarsi nelle norme dettate dal codice civile in materia di enfiteusi e di servitù.
Dall’analisi delle prime si ricava innanzitutto che sono larghissimi i poteri che vengono riconosciuti in capo all’enfiteuta, tant’è che al riguardo si parla tradizionalmente di c.d. dominio utile (spettante appunto all’enfiteuta) in contrapposizione al c.d. dominio diretto (che permane in capo al proprietario).

Ai sensi dell’art. 959 del c.c. l’enfiteuta ha in sostanza tutti i poteri che spettano al proprietario, poteri che trovano il proprio fondamento non solo nella legge, ma anche nel relativo titolo costitutivo, in quest’ultimo senso dovendosi argomentare dal chiaro disposto dell’art. 957 del c.c., il quale fa salvo quanto da esso eventualmente disposto.
A tal proposito occorre subito prendere in esame, per il caso che ci riguarda, il relativo titolo costitutivo, nel quale si legge che l’originario enfiteuta ha avuto in concessione, insieme ad altri sette fratelli, un terreno agricolo, con obbligo di trasformazione in orto irriguo, nonchè altri piccoli terreni, solo in proprio esclusivo uso, sempre in concessione a colonia migliorativa, con obbligo di costruzione di alloggi ed accessori necessari per la diretta coltivazione sul posto.

E’ proprio in adempimento di tale obbligo che l’enfiteuta originario ha provveduto alla realizzazione dei corpi di fabbrica di cui si parla nel quesito, costituendo tale attività edilizia esplicazione di quello che prima è stato definito “dominio utile”.
A legittimare l’esercizio di tale ius aedificandi ha contribuito anche l’intervento della società concedente, la quale (come si dice nello stesso quesito), nell’anno 1986 si è occupata di far condonare tutti gli immobili, per i quali sono state elaborate delle planimetrie (che si presume siano quelle depositate presso il competente ufficio tecnico comunale), e dalle quali risultano ben evidenti le tre finestre del gruppo di particelle A che si affacciano sul portico del gruppo di particelle B.

Il passaggio successivo si ha nel momento in cui l’originario enfiteuta consente ai propri figli di subentrare nel rapporto miglioratizio, coltivando il terreno e abitando le case ivi realizzate, ciò che si ritiene trovi legittimazione nel disposto dell’art. 965 del c.c., norma che consente all’enfiteuta di disporre del suo diritto sia per atto tra vivi che per atto di ultima volontà, salvo che nel titolo costitutivo vi sia contenuto un espresso divieto in tal senso.

Sono proprio i figli dell’enfiteuta originario che, successivamente ancora, esercitano il diritto di affrancazione, quale disciplinato dall’art. 971 del c.c., norma che, per l’ipotesi in cui vi siano più enfiteuti, riconosce a ciascuno di essi il diritto di promuovere anche singolarmente l’affrancazione, ma per la totalità.
All’affrancazione si giunge con provvedimento emesso dal Giudice unico presso il Tribunale di Roma, Sezione VII civile, in data 16.01.2003, per effetto del quale i figli dell’originario enfiteuta acquisiscono, indivisamente e per quote eguali, la proprietà (il c.d. dominio diretto, a cui prima si è accennato) dei diversi immobili realizzati in virtù del rapporto enfiteutico.

L’ultimo passaggio è quello che ha portato alla vendita degli immobili affrancati in virtù dell’atto notarile del 18/10/2019, nel corpo del quale, tra l’altro, si fa espresso riferimento alle risultanze della planimetria catastale depositata in catasto, riconosciuta dalla parti contraenti perfettamente conforme allo stato di fatto della porzione immobiliare compravenduta.

Ora, questo breve excursus dell’intera vicenda, accompagnato dall’analisi degli atti e dei principi giuridici che la regolano, inducono a dover concludere per la legittimità delle finestre di cui ci si lamenta e, conseguentemente, per l’inesistenza in capo a chi pone il quesito, di un preteso diritto alla chiusura delle stesse.

Diverse sono le motivazioni che, purtroppo, devono addursi a sostegno di tale conclusione, e precisamente:

  1. Quando si costituisce un rapporto di enfiteusi, anche se all’enfiteuta competono i poteri e le facoltà del proprietario, il dominio diretto e, dunque, la proprietà formale del bene o dei beni dati in enfiteusi permangono sempre in capo al concedente.
Tale situazione comporta che, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, si vengano a costituire delle servitù reciproche, rispettivamente a carico ed a favore delle diverse porzioni degli immobili facenti capo all’unico proprietario (la società concedente), nel momento in cui quelle porzioni immobiliari cessano di appartenere all’unico proprietario, troverà applicazione l’art. 1062 del c.c., norma che prevede la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.
Infatti, mentre prima di tale momento non poteva neppure parlarsi di servitù ex art. 1072 del c.c., in quanto proprietà del fondo dominante e proprietà del fondo servente facevano capo allo stesso soggetto (la società concedente ed i figli dell’enfiteuta, divenuti proprietari per quote indivise a seguito dell’affrancazione), con la divisione (realizzatasi per effetto della recente alienazione), essendo state le cose lasciate nello stato in cui si trovavano, la servitù di mantenere quelle finestre deve intendersi stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati.

  1. Anche se l’espressione contenuta all’art. 4 dell’atto notarile di compravendita, in cui è detto che la porzione immobiliare viene venduta “nello stato di fatto e di diritto in cui si trova”, assume generalmente natura di mera clausola di stile, in quanto è tipica di ogni atto di compravendita, nel caso di specie vi è un dato inconfutabile che lascia presumere l’accettazione incondizionata da parte dell’acquirente dello stato di fatto dell’immobile in ordine al porticato ed alle finestre che sullo stesso si affacciano, ossia l’esistenza di una planimetria allegata al medesimo atto, che le parti hanno riconosciuto corrispondente allo stato reale dell’immobile e nella quale quelle finestre risultano ben evidenti e delineate.
A ciò si aggiunga che tale planimetria sembra essere proprio quella sulla cui base è stata portata avanti e conclusa positivamente la pratica di condono edilizio da parte della società concedente, nella sua qualità di unica proprietaria e titolare del dominio diretto, e che peraltro dovrebbe risultare depositata al catasto ed al competente ufficio tecnico comunale.

  1. Non vale richiamare, al fine di pretendere l’estinzione di quella servitù, il disposto di cui all’art. 1077 c.c.
Tale norma, infatti, si fonda sul principio secondo cui la servitù costituita dall’enfiteuta, pur gravando sul fondo, incide soltanto sul contenuto del diritto parziario (quello di enfiteusi), del quale deve necessariamente seguire le sorti in base al principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis.
Con ciò vuol dirsi che essa può trovare applicazione soltanto nel caso in cui l’enfiteusi si estingua con il ritorno del fondo al concedente, ma non in ogni altra ipotesi, ivi compreso il caso dell’affrancazione; in quest’ultimo caso, infatti, viene meno l’enfiteusi, ma non il dominio dell’ex enfiteuta, il quale si consolida unitamente alla servitù costituita (nel caso di specie per destinazione del padre di famiglia).

In conclusione, dunque, essendo state già due finestre chiuse spontaneamente, ciò che può consigliarsi è di non sollevare alcuna questione per la terza finestra, in quanto si corre il rischio di vedersi riaperte le altre, senza poter opporre alcunchè.