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Articolo 1100 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Norme regolatrici

Dispositivo dell'art. 1100 Codice Civile

Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone(1), se il titolo o la legge [258 ss. cod. nav.] non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti.

Note

(1) La comunione si distingue in volontaria, incidentale e forzosa. E' volontaria quella che nasce da un accordo dei partecipanti (ad es., più soggetti acquistano il medesimo bene); è incidentale quella che origina da un fatto giuridico naturale (es. la morte di un soggetto) o da un atto del terzo; infine, è forzosa la comunione che si instaura nei casi previsti dalla legge (es. artt. 874 e 875 c.c.).

Ratio Legis

La disposizione in esame ha carattere suppletivo, si applica, cioè, solo in mancanza di una differente volontà dei partecipanti o di una diversa disciplina prevista per legge.

Brocardi

Communio
Communio est mater rixarum
Communio pro diviso
Communio pro indiviso
In societate omnium bonorum, omnes res quae coentium sunt, continuo communicantur

Spiegazione dell'art. 1100 Codice Civile

Oggetto della comunione

Ai termini « la comunione di beni », di cui all'art. 673 del vecchio codice, il nuovo ha sostituito, specificando, ? quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone ».

In tal modo il legislatore ha preso posizione, contro la sua stessa volontà di non dare una determinazione costruttiva del contenuto della comunione, per un'attribuzione del diritto in comune a più persone, ed ha precisato inoltre che la comunione può aversi rispetto alla proprietà o altro diritto reale.

Di comunione in senso tecnico non può parlarsi, quindi, in tema di diritti di obbligazione, non fosse altro perché nella comunione in senso tecnico c'è quella immediatezza di godimento del comunista sulla cosa, che fa del diritto dello stesso un diritto reale, mentre tale immediatezza manca nei diritti di credito.

Quanto ai diritti reali, poi, è da ritenere che il legislatore, a parte i gravi dubbi sull'ammissibilità della comunione riferita ai diritti reali di garanzia non abbia inteso ricomprenderli nella formula dell'art. 1100, se successivamente nell' art. 1103 del c.c. ha parlato di godimento « della cosa » ed al godimento, più o meno ampio di essa, è informata la maggior parte delle disposizioni del Titolo.


Caratteri delle norme regolatrici di essa

Per il resto l'art. 1100 riproduce l'art. 673: le norme dettate sulla comunione avrebbero applicazione « in mancanza di convenzioni o di speciali disposizioni di legge ».

Senonché il carattere suppletivo delle norme regolatrici della comunione dettate dal codice non è cosi assoluto come potrebbe sembrare con la formula generale dell'art. 1100. Anche in questo campo l'autonomia della volontà delle parti è limitata da quelle norme che rispondono all'essenza dell'istituto della comunione. Così, p. es., non sarebbe valido il patto per il quale uno solo dei condomini abbia diritto di godere della cosa comune ad esclusione di tutti gli altri condomini, contro la disposizione dell' [[1102]] o il patto per il quale a un comunista siano attribuiti tutti i vantaggi o caricati tutti i pesi; oppure il patto per cui si rinunci preventivamente al diritto d'impugnazione, di cui all' art. 1109 del c.c., contro le deliberazioni della maggioranza dei comunisti.


Tempo della convenzione regolatrice

La convenzione richiamata nel testo dell'articolo può essere tanto quella, cui si deve l'origine convenzionale della comunione, quanto una convenzione successiva alla costituzione di una comunione incidentale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1100 Codice Civile

Cass. civ. n. 29506/2019

In materia di comunione nei diritti reali, la domanda di risarcimento danni da fatto illecito del terzo (nella specie, realizzazione di manufatto abusivo sul fondo confinante) esperita da uno dei comproprietari, pur riguardando anche gli altri non richiede l'integrazione necessaria del contraddittorio trattandosi di azione a tutela della proprietà comune, non implicante l'accertamento della titolarità del proprio o dell'altrui diritto di proprietà.

In tema di comunione, se il bene appartiene a più proprietari, ciascuno è da ritenersi legittimato attivamente, oltre che passivamente, rispetto a tutte le azioni a tutela della proprietà comune, senza bisogno dell'intervento in giudizio degli altri comproprietari, pur riguardando tutti costoro la lesione lamentata. Tale legittimazione poggia sul presupposto che ricorre un diritto di ciascuno dei proprietari della cosa comune di compiere nell'interesse degli altri, e senza il loro consenso, atti di straordinaria amministrazione, quali la proposizione di domande giudiziali, in virtù del principio della rappresentanza reciproca fondata sulla comunione di interessi.

Cass. civ. n. 29457/2018

Nel caso in cui più soggetti, esclusivi proprietari di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell'accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista la sola proprietà della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell'intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano, per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà dell'uno o dell'altro, salvo l'istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l'obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, evidenziando l'erroneo presupposto da cui era partita la corte d'appello, rappresentato dall'affermazione secondo cui anche laddove un manufatto sia realizzato su due fondi contigui, ma appartenenti a soggetti diversi, si instaura una comunione sull'opera realizzata, trascurando che la proprietà resta esclusiva nella parte che si sviluppa in proiezione verticale sulle porzioni di rispettiva titolarità).

Cass. civ. n. 19994/2008

L'accertamento della comunione di una via privata, costituita "ex collatione agrorum privatorum", non è soggetto al rigoroso regime probatorio della rivendicazione, potendo, tale comunione, al pari di ogni altra "communio incidens", dimostrarsi con prove testimoniali e presuntive, comprovanti l'uso prolungato e pacifico della strada da parte dei frontisti e la rispondenza della stessa alle comuni esigenze di comunicazione in relazione alla natura dei luoghi,con la conseguente necessità di una valutazione complessiva degli elementi, anche indiziari addotti, al fine di stabilire l'effettiva destinazione della via alle esigenze comuni di passaggio. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito per avere escluso rilevanza, ai fini della comproprietà di una strada interpoderale, di elementi quali un'antica mappa del tracciato della strada, l'ampiezza di questa, l'idoneità al percorso di mezzi meccanici, la presenza di numerazione civica e di varie porte a fronte strada, una lettera attestante l'esistenza, al di sotto della strada, di una tubatura per le acque di scolo delle proprietà frontiste). (Cassa con rinvio, App. Torino, 18 Febbraio 2003).

Cass. civ. n. 19929/2008

Nelle vicende del rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione; sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che ciascun condomino è legittimato ad agire per il rilascio del detto immobile, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi sussistente il consenso già indicato, senza che sia necessaria la partecipazione degli altri e, quindi, l'integrazione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 14813/2008

Il condominio esiste per la sola presenza di un edificio in cui vi sia una separazione della proprietà per piani orizzontali, indipendentemente dall'approvazione di un regolamento e dalla validità del medesimo.

Cass. civ. n. 8727/2005

Il diritto di servitù, per sua natura indivisibile in quanto inerente a tutto il fondo dal lato sia attivo che passivo, non può formare oggetto di comunione, poiché essa presuppone la frazionabilità per quote della cosa o del diritto comune, e ciò neppure nella sua forma cosiddetta impropria (che ricorre là dove il proprietario partecipa anch'egli per una determinata quota al godimento della cosa, insieme all'usufruttuario, ovvero quando su di un medesimo bene concorrono un diritto di proprietà ed uno di usufrutto, nella prima ipotesi trattandosi di vera e propria comunione di godimento, e nella seconda di concorso di diritti reali differenti per tipo). Infatti, diversamente da quest'ultima ipotesi (il cui elemento caratterizzante, coincidente con quanto si ha nella comunione propria, è da ravvisare nella estensione in forma diffusa sull'intero cespite di tutti i diritti coincidenti sul medesimo bene, solo astrattamente limitati dalla quota), in presenza di più servitù di passaggio sul medesimo fondo (a fortiori se quest'ultimo è in comproprietà tra più soggetti) si ha coesistenza di diritti di godimento di tipo diverso, differentemente connotati e non omogenei, il cui rispettivo contenuto è delimitato dalle utilità che il fondo dominante può trarre da quello asservito, con occasionale, frammentata e parziale coincidenza di facoltà inerenti all'esercizio di diritti di proprietà comune e servitù in rapporto a circoscritte porzioni del bene, sicché la disciplina di cui agli artt. 1100 e segg. c.c. risulta in tal caso inapplicabile.

Cass. civ. n. 18226/2004

Il condominio si costituisce ex se ed ope iuris senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine.

Cass. civ. n. 4971/1991

La contitolarità di un'utenza di irrigazione pubblica non cade sulla proprietà o su altro diritto reale e quindi non è comunione in senso tecnico ai sensi dell'art. 1100 c.c., con conseguente inapplicabilità a. tale rapporto della disciplina prevista dagli artt. 102 e 784 c.p.c.

Cass. civ. n. 4446/1982

In tema di differenza fra società e comunione, in cui si verifica comunque un conferimento di beni o il fenomeno di una massa di beni comuni, rileva la prevalenza nella comunione dell'elemento statico e nella società di quello dinamico nel senso che i beni sui quali cade il condominio sono direttamente oggetto di godimento secondo la destinazione loro propria, mentre — nella società — sono strumento per il compimento di un'attività, i cui utili saranno poi ripartiti fra le parti, senza che ad escludere l'esistenza di una società (occasionale) sia sufficiente l'unicità dell'affare, in dipendenza della sua rilevanza economica e della molteplicità e complessità degli atti che lo svolgimento ai fini di lucro comporta.

Cass. civ. n. 510/1982

L'avvenuta costruzione di un edificio, del quale siano proprietari più soggetti, è sufficiente — ancorché non sia ancora intervenuto il rilascio del certificato di abitabilità dei singoli appartamenti — per l'esistenza del condominio, con la conseguente applicabilità delle norme (artt. da 1100 a 1139 c.c.) ad esso relative, costituendo la nomina dell'amministratore, l'approvazione del regolamento e la determinazione delle quote millesimali soltanto strumenti per la gestione degli interessi comuni e l'osservanza degli obblighi connessi al preesistente rapporto di comunione, che di essi costituisce la fonte, salve eventuali modifiche od integrazioni pattizie.

Cass. civ. n. 3331/1974

Quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi non si realizza un'unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni; sicché alla pluralità dei titoli di divisione del complesso, si hanno tante divisioni quante sono le masse predette.

Cass. civ. n. 1023/1974

Nel caso di successione ereditaria nella quotaparte di un bene indiviso, ove nella quota caduta nella successione ereditaria subentrino due o più eredi, alla comunione convenzionale originaria, che si estende all'intero bene che forma oggetto della comunione — e a cui partecipano anche gli eredi aventi diritto alla quota della comunione convenzionale caduta nella successione — si aggiunge una comunione ereditaria, che resta, peraltro, distinta dalla comunione convenzionale, sia dal lato soggettivo che oggettivo: in quanto, da un lato, resta limitata, nei loro rispettivi reciproci rapporti, tra i soli aventi diritto alla successione; e, d'altro lato, ha per oggetto la sola quota di comproprietà che, nella comunione convenzionale, spettava al de cuius, estendendosi nel contempo a tutti gli altri beni che sono caduti nella successione ereditaria.

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Eugenio P. chiede
sabato 05/03/2016 - Friuli-Venezia
“Abito in una strada privata vicinale aperta al traffico di pedoni e ciclisti che dalle mappe catastali risulta di proprietà dei diversi frontisti che abitano la strada stessa .
Attualmente tutte le spese (comprese quelle relative all'impianto di illuminazione) sono a carico dei residenti nella strada .
Purtroppo, però, non c'è accordo fra i diversi proprietari per cui alcuni non intendono pagare la quota di competenza .
QUESITI :
- come si dovrebbe procedere per regolamentare la situazione che fino ad oggi è andata avanti con il solo rapporto di buon vicinato ?
- le diverse spese è giusto che siano sostenute dai frontisti oppure dovrebbe concorrere anche il Comune ?
- volendo assumere un amministratore per gestire il tutto cose se fosse un "condominio" cosa occorrebbe fare ? (naturalmente sempre che una cosa del genere sia possibile) ?”
Consulenza legale i 10/03/2016
Ci viene richiesto, in primo luogo, a chi spettino le spese di manutenzione inerenti una strada vicinale privata (se spettino solamente ai frontisti ed eventualmente in che quote, oppure se debba concorrere anche il Comune); in secondo luogo, se sia possibile costituire un condominio per gestire tale strada vicinale.
Per quanto riguarda il primo quesito, in base a quanto riferito, sembra emergere che la strada vicinale privata non sia destinata ad uso pubblico. Pertanto, non essendo idonea all'attuazione di un pubblico interesse, e rimanendo essenzialmente a disposizione dei soli frontisti, sembrerebbe doversi confermare la ripartizione di spese tenuta sino ad oggi, secondo cui le medesime sono di competenza dei singoli frontisti in relazione alle loro singole quote di proprietà.
La destinazione di uso pubblico sembra doversi escludere perché "la destinazione di strade vicinali ad uso pubblico necessariamente comporta il loro coinvolgimento in un transito generalizzato con la conseguenza che, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il Comune può vantare sulla strada vicinale, ai sensi dell'art.825 c.c., un diritto reale di transito, cui segue un correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4398).
In maniera ancora più chiara il T.A.R. Palermo, (Sicilia), Sez. II, 12 giugno 2013, n. 1322, ha chiarito quanto segue: "per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici); pertanto, deve essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, con la conseguenza che non è configurabile l'assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa è adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica".
Chiarito che, nel caso di specie, si tratta di strada vicinale privata non destinata ad uso pubblico occorre evidenziare che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, è tuttora in vigore l'art. 51, comma 1, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, il quale stabilisce che:
"1. La riparazione e conservazione delle strade vicinali sta a carico di quelli che ne fanno uso per recarsi alle loro proprietà, sia che queste si trovino o no contigue alle strade stesse, quando per diritto o per consuetudine un tale carico non ricada sopra determinate proprietà o persone.
2. Il municipio potrà essere pure tenuto ad una determinata quota di concorso nella spesa di riparazione delle strade vicinali più importanti".
Pertanto le spese di manutenzione spettano, in generale, a coloro che utilizzano tale strada vicinale per raggiungere le loro proprietà, salvo che il Comune partecipi ad un Consorzio precedentemente costituito (come chiarito, ancora, dalla Giurisprudenza, cfr. a titolo meramente esemplificativo Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4398).
A ciò fa eco la giurisprudenza civile (cfr., p. es., Cass., III, 25 febbraio 2009 n. 4480), in base alla quale "fermo il principio vigente nell'ordinamento sull'obbligo del soggetto cui la strada appartiene in materia di manutenzione, non sussiste in capo al Comune la responsabilità per i danni derivanti dalla mancata manutenzione d'una strada vicinale privata. Invero, ai soli fini della definizione di "strada" ex art. 2, c. 1 del decreto n. 285 cit. rileva la destinazione all'uso pubblico d'una data superficie e non anche la sua proprietà (la quale può esser pubblica o privata: cfr., p. es., Cass., II, 25 giugno 2008 n. 17350), ma, al di là dei compiti di vigilanza e polizia spettanti al Comune su dette strade per ragioni di sicurezza collettiva ai sensi dell'intero art. 14 del medesimo decreto n. 285 (p.es., di polizia stradale, d'apposizione cartelli, di eseguire opere di ripristino a spese degli interessati, ecc.), non implicano anche l'obbligo di provvedere a quella manutenzione, facente carico anzitutto ai proprietari interessati e, se del caso e nei limiti ex art. 3 del Dlgt. 1° settembre 1918 n. 1446, anche al Comune" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4398).
Per completezza si riporta altresì il dato testuale dell'art. 3 del D.Lgt.1° settembre 1918 n. 1446:
"1. Il Comune è tenuto a concorrere nella spesa di manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali soggette al pubblico transito in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, secondo la diversa importanza delle strade.
2. Per le vicinali non soggette ad uso pubblico il concorso del Comune è facoltativo; e può essere concesso soltanto per opere di sistemazione o ricostruzione, in misura non eccedente il quinto della spesa.
3. Il Comune è rappresentato nei Consorzi con voto proporzionale alla misura del concorso".
Per concludere, si ribadisce che nel caso di specie, il Comune non è tenuto a partecipare, unitamente ai proprietari, alle spese di manutenzione della strada vicinale.
Per quanto riguarda il secondo quesito - relativo alle modalità di gestione della strada vicinale privata - si conferma che "le strade vicinali si presumono costituite "ex collatione agrorum privatorum", di guisa che sulle stesse si forma una comunione incidentale di proprietà tra tutti i proprietari antistanti la strada, che all'occorrenza può risultare anche gravata da uso pubblico" (cfr. T.A.R. Torino, (Piemonte), Sez. I, 22 novembre 2013, n. 1251).
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato che: "nell'ipotesi della formazione di una strada vicinale agraria "ex collatione agrorum privatorum", le porzioni di suolo a tal fine utilizzate non restano nella proprietà individuale di ciascuno dei conferenti, ma danno luogo a una nuova entità economica e giuridica, oggetto di comunione e godimento da parte di tutti, in base ad un comune diritto di proprietà" (cfr. Cassazione civile, Sez. II, 4 maggio 2012, n. 6773).
Per concludere, è ben possibile gestire la strada ai sensi delle regole previste nel codice civile in materia di comunione: "in base ai principi dettati dal codice civile in materia di comunione - e la strada vicinale, in quanto costituita attraverso l'apporto di tanti pezzi di terra conferiti dai vari proprietari frontisti, ricade in tale fattispecie, estendendosi il diritto reale d'uso da parte del singolo comunista sulla totalità della medesima (c.c. 15 aprile 1994 n. 3536) - la deliberazione con la quale i comunisti, ovvero i consorziati, procedono all'approvazione delle tabelle millesimali, in quanto diretta alla determinazione dei valori delle singole proprietà individuabili e delle singole quote di proprietà comune spettanti a ciascuno di essi ai fini di prestabilire la misura del carico delle spese condominiali o consortili e del diritto di partecipazione della volontà assembleare di ciascuno di costoro, riveste natura contrattuale incidendo, appunto, sulla sfera dei loro diritti soggettivi e dei loro obblighi e ai fini della validità di una siffatta delibera è necessario il consenso di ogni comunista o consorziato (cfr. T.A.R. Firenze, (Toscana), Sez. III, 9 febbraio 2007, n. 162).