Precedenti dell'articolo
L'articolo, che corrisponde al 1144 del Codice abrogato, sostituisce all’espressione di quello «
se l'affare fu bene amministrato » l'altra «
qualora la gestione sia stata utilmente iniziata ».
L'art. 64 del Progetto italo-francese e di quello della Commissione reale avevano mantenuto l'espressione del Codice abrogato, mentre l'art. 755 del Progetto ministeriale sostituiva a questa espressione l'altra: «
se l’affare fu utilmente intrapreso ». Osservava a questo proposito la Relazione come la dizione del progetto della Commissione reale non facesse progredire verso una soluzione la questione circa il momento in cui deve constatarsi l’utilità della gestione.
Sia la dottrina che la giurisprudenza avevano interpretato l'equivoca espressione del vecchio codice nel senso che presupposto della gestione fosse l’utilità iniziale, e pertanto la modificazione deve considerarsi come una più esatta aderenza alla elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria, la quale, a sua volta, nell'interpretazione dell’ espressione «
bene amministrato » teneva presente il concetto romano di «
utiliter coeptum », che l'espressione dell'art. 2031 traduce letteralmente.
Tuttavia la proposta sostituzione provocò vivace discussione in seno alle assemblee legislative, e questa discussione si concluse con la proposta, che non è stata poi accolta, dì tornare alla dizione del codice del '65.
La relazione al progetto così commenta il requisito dell’
utiliter coeptum: «
Per far sorgere a carico del dominus le obbligazioni dipendenti dalla gestione, basta che l'affare sia stato utilmente iniziato. La disposizione traduce letteralmente la formula romana dell'utiliter coeptum e pone a carico del dominus anziché del gestore, il rischio e pericolo della gestione purché iniziata con utilità ».
Il mutamento del codice non è pertanto solamente formale, dato che il trasferimento del rischio e pericolo della gestione dal gestore al
dominus può avere conseguenze giuridiche e pratiche di grande rilievo.
Il concetto di « utiliter coeptum »
Per chiarire meglio il concetto di «
utiliter coeptum » è opportuna qualche breve considerazione romanistica, tanto più utile se si tiene conto che il codice vigente ha voluto appunto in questa materia tornare ai concetti romani.
È innanzitutto opportuno precisare che i giureconsulti romani distinguevano due momenti nella gestione: quello iniziale sul quale doveva formularsi il concetto di «
utiliter coeptum », e quello dello svolgersi e proseguire della pione, per il quale poteva formularsi il concetto di «
diligenter gestum ». E’ da ritenersi pertanto inaccoglibile la teoria di chi confonde la utilità delle spese fatte nel conto della gestione stessa, mentre la distinzione è non solo utile, ma necessaria, per chiarire i problemi che sono connessi allo «
utiliter coeptum ».
Così è anche da respingere l'opinione di coloro che hanno voluto distinguere due specie di «
utiliter coeptum », differenziando il caso in cui il dominus sia assente o impedito dal caso opposto. Ciò perché il nostro codice non distingue vari tipi di gestione a seconda che presupposto di essa sia da
absentia o meno del
dominus; e dalla formulazione dell'art. 2031, come pure da quella dell’
art. 2028 del c.c., appare evidente come la absentia domini non serve a
caratterizzare un tipo speciale di gestione.
Criterio soggettivo e criterio oggettivo nel concetto di utilità
Stabilito che il concetto di utilità iniziale deve essere unitario, occorre fare cenno di un'altra controversia che si è agitata sul problema della utilità della gestione dovuta alla inevitabile duplicità, dei punti di vista rappresentati da un criterio soggettivo e da un criterio oggettivo.
Secondo il primo criterio, utile sarebbe qualsiasi gestione che risponde alla presumibile volontà del dominus; mentre seguendo il criterio oggettivo nella determinazione del concetto di utilità si dovrebbe prescindere dalla vera volontà del dominus e si dovrebbe fare riferimento solo a elemento obiettivi.
Seguendo l'opinione del Pacchioni, riteniamo possa accogliersi la teoria oggettiva, non solo per le considerazioni di ordine pratico, ma anche per un principio generale che ha trovato nella codificazione vigente la sua più decisa applicazione. Riferirsi ad un concetto obiettivo di utilità significa riconoscere la utilità di un negozio alla idee di un criterio che prescinde da gretti concetti particolaristici: significa, in altri termini, commisurare questa utilità a quella parte dell' interesse privato che collima coli' interesse pubblico. Pertanto la tendenza della nostra legislazione che è nel senso di far prevalere l'interesse pubblico su quello privato non può risolversi che a favore di una utilità della gestione intesa in senso obiettivo.
Controversie in tema di concetto oggettivo
Due conclusioni abbiamo fin qui raggiunte relativamente al concetto di utilità: essa deve essere commisurata al momento iniziale della gestione; e deve essere intesa in senso obiettivo. Ma non basta, ché anche sul requisito dell’
utiliter coeptum, inteso in senso obiettivo, non mancano contrastanti opinioni.
Secondo alcuni, sarebbe da considerarsi giuridicamente utile la gestione intrapresa allo stesso modo che l'avrebbe potuto intraprendere il dominus attenendosi ai criteri di una gestione condotta secondo la diligenza del buon padre di famiglia; secondo altri, questa formula andrebbe corretta nel senso che la gestione per essere considerata utile dovrebbe essere intrapresa allo stesso modo col quale l'avrebbe dovuta intraprendere il dominus, sempre agendo da buon padre di famiglia.
Appare da accogliere la seconda opinione, e ciò sia perché é insito nei requisiti della gestione il criterio della sua necessità, poichè solo a questo patto la legge può permettere una non autorizzata intromissione nella sfera giuridica altrui, sia perché il concedere troppo facilmente
l’actio negotiorum gestorum contraria implicherebbe una soverchia non utile limitazione alla libertà individuale del
dominus.
Il momento determinativo dell'utilità
Controversie gravi si erano agitate sotto il dominio del Codice abrogato anche sulla determinazione del momento al quale ci si doveva riferire per conchiudere che il negozio era stato «
bene amministrato ».
Esistono infatti, oltre la gestione in sè e per sè, una serie di atti preparatori, i quali concettualmente sono da questa nettamente distinti, ma che tuttavia in pratica presentano spesso una connessione così intima con la gestione stessa, che riesce difficile separarli da essa. Cosi, ad esempio, i contratti che il gestore compie perché occorrenti alla esecuzione della gestione, se si considerano come già facenti parte della gestione propriamente detta, saranno, per quanto concerne rischio e pericolo, a carico del
dominus, mentre se vengono considerati al di fuori di essa dovrà concludersi che il rischio e pericolo restano a carico del gestore.
Appare accettabile in questa materia l’ opinione di coloro che ritengono debba ritenersi cominciata la gestione non già al momento nel quale viene realmente intrapresa, ma quando il gestore pone in essere qualsiasi atto che abbia l’esclusivo scopo di mettere il gestore in grado di iniziare l’effettiva gestione.
Ed è altresì ovvio che sia necessario non solo che questo atto di volontà sia stato determinato unicamente dalla intenzione di servire alla intrapresa della gestione, ma anche che questa intenzione permanga chiara e manifesta, tale cioè da non lasciare luogo alla possibilità di equivoci.
Così si può dire utilmente iniziata la gestione, quando il gestore compie alcuni atti preliminari con
l'animus negotia aliena gerendi, ed al solo ed esclusivo scopo di gerire il negozio. Chi, ad esempio, contrae un mutuo per riparare la casa di Caio che minaccia rovina, compie indubbiamente un atto che è in sé di gestione, per la presenza di tutti i requisiti che distinguono questo negozio: vi è infatti la mancanza di obbligazione che lega il gestore all'interessato, vi è
l'animus negotia aliena gerendi vi è l'alienità del negozio.
Naturalmente l'obbligazione dell' interessato sarà circoscritta all'obbligo di tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte, mentre siano fuori dal problema della responsabilità per spese, che è configurabile solo quando vi sia stata per l'interessato una effettiva concreta utilità.
Non è fondata l’opinione di quella dottrina secondo cui il principio che vale per le spese contenga un efficace argomento contro la teoria da noi accolta. E infatti chiaro, e la conclusione può facilmente rilevarsi dalla dizione dell'art. 2031, che i principi vigenti in materia di spese sono assolutamente diversi dai vigenti nella materia delle obbligazioni assunte. La tesi accolta trova del resto conferma in numerosi testi romani.
Il modo come l'affare fu amministrato
A differenza — come abbiamo visto — del codice abrogato, che ponendo come condizione per il sorgere degli obblighi dell'interessato fi requisito che l'affare sia stato bene amministrato, rendeva dubbia la soluzione da darsi alla questione circa il momento della gestione al quale ci si doveva riferire per commisurare questa utilità, il nuovo codice, parlando di utilità iniziale, ha eliminato ogni possibile dubbio in argomento.
Tuttavia, abbiamo già visto come nella gestione debbano distinguersi due momenti, quello dello
utiliter coeptum e quello del
diligenter gestum. Per il nostro diritto positivo, per il sorgere della gestione, cioè perché le azioni del gestore abbiano le stesse conseguenze di una rappresentanza senza conferimento di poteri (perché tale in effetti è la gestione in esame, nella sua struttura), è sufficiente l’utilità iniziale dell’affare, e si prescinde, pertanto, dal modo in cui prosegue e dalla sua utilità finale.
La conseguenza più importante di questa caratteristica é che le azioni gestorie dirette non si basano sull’arricchimento dell’interessato, ma sull’essenza rappresentativa dell'istituto.
Tuttavia anche il modo con cui l'affare è amministrato ha la sua importanza per i rapporti fra gestore e interessato. Cosi, se il gestore sarà venuto meno all'obbligo, che discende, come abbiamo visto, dall'art. 2030, di condurre l'affare con la diligenza del buon padre di famiglia, lo farà incorrere nella responsabilità da noi precedentemente esaminata; ed egli dovrà pertanto risarcire l'interessato di tutti i danni prodotti e sarà responsabile, in caso di negligenza grave, delle obbligazioni assunte dalle persone con le quali ha contrattato.
Solo dalla combinazione delle norme riguardanti
l'utiliter coeptum con quelle relative agli obblighi del gestore si pub giungere ad una visione esatta delle conseguenze giuridiche del rapporto di gestione. Ché altrimenti, considerando solo il requisito dell'
utiliter coeptum, si giungerebbe alla aberrante conclusione di ritenere il dominus tenuto ad adempiere tutte le gravose obbligazioni per lui contratte da un gestore negligente e incapace.
Se però, nonostante la cattiva gestione, non vi saranno stati danni (caso non frequente, ma comunque ipotizzabile), qualora l'affare sia stato utilmente iniziato, il dominus sarà soggetto alle obbligazioni di cui all'art. 2031.
La gestione a favore dello Stato
Un problema che va esaminato a questo punto è quello che riguarda la possibilità di una gestione a favore delle persone giuridiche, di un incapace e dello Stato.
Gli scrittori che fondavano la gestione sul quasi-contratto e quindi su un incontro di volontà, non potevano ovviamente ammettere gestione a favore di persone giuridiche e di incapaci, non avendo essi la possibilità di esprimere direttamente questa volontà. Ma, caduta la teoria quasi contrattuale e quindi anche le ragioni dogmatiche che si opponevano a che potesse concepirsi una gestione a favore di incapace, pensiamo che a favore della persona giuridica e dell' incapace possa ammettersi la gestione comunque intesa, né possiamo approvare la limitazione, che alcuno ha voluto in questo campo introdurre, asserendo essere possibile la gestione a favore di una persona giuridica e di un incapace solo quando si tratta di affari necessari.
Tuttavia è necessario non confondere il caso di un'utile gestione a favore di una persona giuridica e di un incapace con i casi nei quali una responsabilità verso chi ha gerito un affare nasce per la possibilità di esperire una
actio de in rem verso. I due casi presentano una certa analogia esteriore, ma sono profondamente diversi nella loro essenza, badandosi negli uni alla utilità iniziale, negli altri all'affettivo arricchimento.
Si è specialmente fatto ricorso al concetto di gestione per giustificare l'obbligo della persona morale di pagare l'indennità nei casi in cui un privato o l'amministratore, abbiano fatto delle spese a suo favore senza un contratto regolare e senza le forme prescritte. In questo caso sarà innanzi tutto necessario indagare se esistano tutti i requisiti della utile gestione, e cioè
. la mancanza di obbligazione fra gestore e interessato e
l'animus negotia aliena gerendi. Poiché se qualcuno dei requisiti della gestione dovesse mancare dovrà piuttosto farsi ricorso alla
actio de in rem verso.
Un altro problema interessante riguarda la possibilità di una utile gestione a favore dello Stato e degli altri enti pubblici. Gli argomenti per escludere una tale possibilità sono di duplice ordine. Innanzi tutto, a termini dell’art. 2031 cpv, è ritenuto immune dagli obblighi che nascono da una gestione a suo favore, l’interessato che li abbia espressamente vietati. Ora è noto come non solo tutte le leggi amministrative escludono che gli estranei all’organizzazione amministrativa si ingeriscano comunque nei pubblici servizi, ma che questa illecita intromissione è dalle leggi penali addirittura considerata come reato, quando configura l’usurpazione di pubbliche funzioni (
art. 347 del c.p.).
A questa considerazione si aggiunga che, ai sensi dell'art. 2031 del Cod. civ., gli obblighi del gestore nascono dal fatto che l'affare fu una utilmente iniziato e prescindono dall'esito della attività gestoria, mentre una simile obbligazione non potrebbe ammettersi per gli enti pubblici.
Tuttavia nel caso che l'affare sia stato gerito a favore di un ente pubblico in modo da costituire un arricchimento per l'amministrazione, già sotto l' impero del codice abrogato si ammetteva l'azione d'indennizzo a favore del gestore nella misura dell'arricchimento dell'ente interessato
(actio de in rem verso).
Tale soluzione deve essere ammessa anche oggi e tanto più considerando che il nuovo codice ammette espressamente l'azione d'indebito arricchimento.
Tuttavia l'ammissibilità di tale azione incontra l'ostacolo processuale consistente nel fatto che il giudizio sul vantaggio dell'opera implica un apprezzamento tecnico discrezionale che può essere compiuto solo dalla Pubblica Amministrazione. Pertanto la giurisprudenza ha esattamente ritenuto che l’ammissibilità dell'azione di arricchimento sia subordinata all'apprezzamento che sul vantaggio dell'opera abbia dato l'amministrazione, o in modo espresso, o tacitamente utilizzando l'opera come rispondente ai propri fini.
La prohibitio domini
Le cose anzidette ci portano, per connessione, a considerare anche il problema della «
prohibitio domini ».
Il codice del '65 non considerava espressamente il caso, ma dal requisito della liceità, espressamente richiesto per i quasi contratti dall'art. 1140, la dottrina e la giurisprudenza sono stati concordi nel ritenere che, nell'ipotesi del divieto dell' interessato, la gestione non sorgesse per la illiceità insita nell'attività del gestore.
Naturalmente l’ interessato deve far conoscere al gestore questo suo divieto, ma non vi sono elementi per conchiudere che a questo divieto debba essere data una qualsiasi pubblicità, anche se può essere consigliabile una diffida nelle forme consuete.
Tuttavia se il gestore abbia taciuto ai terzi l'esistenza della prohibitio, essi potranno intentare contro di lui eventuali azioni di danni.
In caso di
prohibitio l' interessato non è tenuto agli obblighi stabiliti dall'art. 2031, ma se vi fu da parte sua arricchimento interviene, come già si é detto prima a proposito degli enti pubblici, la azione generale di arricchimento al favore del non desiderato gestore.
Le conclusioni contrarie che da alcuni sono state tratte, sulla base di una decisione di Giustiniano (c. 24 C. 2, 18) accolta nel Codice austriaco (§ 10140) e nel Codice prussiano (§§ 249, 250, 253), non trovano alcun appoggio nel nostro diritto positivo.
Del resto, nello stesso diritto romano, la questione era controversa, e non erano neanche mancati giuristi che, pur negando il sorgere di una azione diretta a favore di chi aveva gerito
prohibente domino, ritenevano addirittura ad esso applicabile in via utile
l'actio negotiorum gestorum directa, mentre l'azione generale di arricchimento fu concessa in questo caso da alcuni giuristi del medioevo.
L'azione generale di arricchimento, introdotta nell'art. 2041 del Cod. civ., non soffre di eccezioni ed ha una portata così ampia, che non pare comunque accoglibile l'osservazione della dottrina secondo cui di tale azione non potrebbe servirsi il gestore contro il
domino prohibente perché chi gerisce contro il divieto del
dominus deve attribuire a se stesso, al suo atto volontario, la diminuzione del suo patrimonio. È infatti ovvio che anche in questo caso non vi sono elementi per ritenere che intervenga una
causa donationis, e pertanto l'arricchimento deve sempre considerarsi avvenuto senza una giusta causa. Non potrebbe infatti sostenersi che il gestore
prohibente domino si trovi in una posizione deteriore rispetto a colui che ha posseduto in mala fede.
Tale divieto deve non soltanto essere serio e non già cervellotico e bizzarro — come del resto, era già pacifico in dottrina —; ma per di più non deve essere contrario alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico. In ambedue i casi esso sarebbe inefficace.
Effetti della gestione
La gestione produce, rispetto al
dominus, determinati effetti, che vanno esaminati sotto un duplice aspetto, cioè in quelli che sono i rapporti esteriori, e nei rapporti interni.
Nei rapporti esterni la, gestione produce l'effetto di mettere il
dominus di fronte a quei terzi, con i quali il gestore ha stretto rapporti in nome di lai: si hanno, in sostanza, in questo campo, i normali effetti della rappresentanza.
Nei rapporti interni essa crea degli obblighi per il
dominus, cioè degli effetti a suo carico e degli effetti a suo favore.
Gli effetti a carico del
dominus (e quindi per converso a favore del gestore) consistono nell'obbligo che egli ha di tenere il gestore indenne dalle obbligazioni personalmente assunte verso i terzi e rimborsarlo delle spese necessarie ed utili con gli interessi dal giorno in cui furono fatte.
A favore del
dominus la gestione crea, invece, l’obbligo della continuazione della gestione e tutti gli altri di cui si è precedentemente parlato.