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Articolo 2031 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Obblighi dell'interessato

Dispositivo dell'art. 2031 Codice Civile

Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata(1), l'interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio(2) e rimborsargli tutte le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui le spese stesse sono state fatte [1720].

Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell'interessato(3), eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.

Note

(1) Si tratta del requisito del c.d. utiliter coeptum: ciò che rileva è solo l'inizio della gestione, a prescindere dal risultato finale. Si discute se l'utilità debba essere valutata in modo oggettivo o soggettivo.
(2) Questi due periodi si riferiscono, rispettivamente, alla gestione con spendita del nome dell'interessato (1704 c.c.) ed a quella senza spendita del suo nome (1705 c.c.).
(3) Si ritiene che il comma contempli un istituto autonomo, la "negotiorum gestio prohibente domino", in ordine alla quale non è necessaria l'assenza dell'interessato e l'utilità è implicita nell'intervento. Esso deriva dalla regola per cui nessuno può ingerirsi nella sfera giuridica altrui senza il suo consenso.

Ratio Legis

Poiché è l'interessato a beneficiare della gestione, egli deve sostenerne i costi ed anche rimborsare il gestore, salvo che questi abbia agito contro la sua volontà perché in tal caso non è corretto imputargli l'onere economico della gestione.

Spiegazione dell'art. 2031 Codice Civile

Precedenti dell'articolo

L'articolo, che corrisponde al 1144 del Codice abrogato, sostituisce all’espressione di quello « se l'affare fu bene amministrato » l'altra « qualora la gestione sia stata utilmente iniziata ».

L'art. 64 del Progetto italo-francese e di quello della Commissione reale avevano mantenuto l'espressione del Codice abrogato, mentre l'art. 755 del Progetto ministeriale sostituiva a questa espressione l'altra: « se l’affare fu utilmente intrapreso ». Osservava a questo proposito la Relazione come la dizione del progetto della Commissione reale non facesse progredire verso una soluzione la questione circa il momento in cui deve constatarsi l’utilità della gestione.

Sia la dottrina che la giurisprudenza avevano interpretato l'equivoca espressione del vecchio codice nel senso che presupposto della gestione fosse l’utilità iniziale, e pertanto la modificazione deve considerarsi come una più esatta aderenza alla elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria, la quale, a sua volta, nell'interpretazione dell’ espressione « bene amministrato » teneva presente il concetto romano di « utiliter coeptum », che l'espressione dell'art. 2031 traduce letteralmente.

Tuttavia la proposta sostituzione provocò vivace discussione in seno alle assemblee legislative, e questa discussione si concluse con la proposta, che non è stata poi accolta, dì tornare alla dizione del codice del '65.

La relazione al progetto così commenta il requisito dell’ utiliter coeptum: « Per far sorgere a carico del dominus le obbligazioni dipendenti dalla gestione, basta che l'affare sia stato utilmente iniziato. La disposizione traduce let­teralmente la formula romana dell'utiliter coeptum e pone a carico del dominus anziché del gestore, il rischio e pericolo della gestione purché iniziata con utilità ».

Il mutamento del codice non è pertanto solamente formale, dato che il trasferimento del rischio e pericolo della gestione dal gestore al dominus può avere conseguenze giuridiche e pratiche di grande rilievo.


Il concetto di « utiliter coeptum »

Per chiarire meglio il concetto di « utiliter coeptum » è opportuna qualche breve considerazione romanistica, tanto più utile se si tiene conto che il codice vigente ha voluto appunto in questa materia tornare ai concetti romani.

È innanzitutto opportuno precisare che i giureconsulti romani distin­guevano due momenti nella gestione: quello iniziale sul quale doveva for­mularsi il concetto di « utiliter coeptum », e quello dello svolgersi e proseguire della pione, per il quale poteva formularsi il concetto di « diligenter gestum ». E’ da ritenersi pertanto inaccoglibile la teoria di chi confonde la utilità delle spese fatte nel conto della gestione stessa, mentre la distinzione è non solo utile, ma necessaria, per chiarire i problemi che sono connessi allo « utiliter coeptum ».

Così è anche da respingere l'opinione di coloro che hanno voluto distinguere due specie di « utiliter coeptum », differenziando il caso in cui il dominus sia assente o impedito dal caso opposto. Ciò perché il nostro codice non di­stingue vari tipi di gestione a seconda che presupposto di essa sia da absentia o meno del dominus; e dalla formulazione dell'art. 2031, come pure da quella dell’ art. 2028 del c.c., appare evidente come la absentia domini non serve a caratterizzare un tipo speciale di gestione.


Criterio soggettivo e criterio oggettivo nel concetto di utilità

Stabilito che il concetto di utilità iniziale deve essere unitario, occorre fare cenno di un'altra controversia che si è agitata sul problema della utilità della gestione dovuta alla inevitabile duplicità, dei punti di vista rappresentati da un criterio soggettivo e da un criterio oggettivo.

Secondo il primo criterio, utile sarebbe qualsiasi gestione che risponde alla presumibile volontà del dominus; mentre seguendo il criterio oggettivo nella determinazione del concetto di utilità si dovrebbe prescindere dalla vera volontà del dominus e si dovrebbe fare riferimento solo a elemento obiettivi.

Seguendo l'opinione del Pacchioni, riteniamo possa accogliersi la teoria oggettiva, non solo per le considerazioni di ordine pratico, ma anche per un principio generale che ha trovato nella codificazione vigente la sua più decisa applicazione. Riferirsi ad un concetto obiettivo di utilità significa riconoscere la utilità di un negozio alla idee di un criterio che prescinde da gretti concetti particolaristici: si­gnifica, in altri termini, commisurare questa utilità a quella parte dell' interesse privato che collima coli' interesse pubblico. Pertanto la tendenza della nostra legislazione che è nel senso di far prevalere l'interesse pubblico su quello privato non può risolversi che a favore di una utilità della gestione intesa in senso obiettivo.


Controversie in tema di concetto oggettivo

Due conclusioni abbiamo fin qui raggiunte relativamente al concetto di utilità: essa deve essere commisurata al momento iniziale della gestione; e deve essere intesa in senso obiettivo. Ma non basta, ché anche sul requisito dell’ utiliter coeptum, inteso in senso obiettivo, non mancano contra­stanti opinioni.

Secondo alcuni, sarebbe da considerarsi giuridicamente utile la gestione intrapresa allo stesso modo che l'avrebbe potuto intraprendere il dominus attenendosi ai criteri di una gestione condotta secondo la diligenza del buon padre di famiglia; secondo altri, questa formula andrebbe corretta nel senso che la gestione per essere considerata utile dovrebbe essere intrapresa allo stesso modo col quale l'avrebbe dovuta intraprendere il dominus, sempre agendo da buon padre di famiglia.

Appare da accogliere la seconda opinione, e ciò sia perché é insito nei requisiti della gestione il criterio della sua necessità, poichè solo a questo patto la legge può permettere una non autorizzata intromissione nella sfera giuridica altrui, sia perché il concedere troppo facilmente l’actio negotiorum gestorum contraria implicherebbe una soverchia non utile limita­zione alla libertà individuale del dominus.


Il momento determinativo dell'utilità

Controversie gravi si erano agitate sotto il dominio del Codice abrogato anche sulla determinazione del momento al quale ci si doveva riferire per conchiudere che il negozio era stato « bene amministrato ».

Esistono infatti, oltre la gestione in sè e per sè, una serie di atti prepara­tori, i quali concettualmente sono da questa nettamente distinti, ma che tut­tavia in pratica presentano spesso una connessione così intima con la gestione stessa, che riesce difficile separarli da essa. Cosi, ad esempio, i contratti che il gestore compie perché occorrenti alla esecuzione della gestione, se si considerano come già facenti parte della gestione propriamente detta, saranno, per quanto concerne rischio e pericolo, a carico del dominus, mentre se vengono considerati al di fuori di essa dovrà concludersi che il rischio e pericolo restano a carico del gestore.

Appare accettabile in questa materia l’ opinione di coloro che ritengono debba ritenersi cominciata la gestione non già al momento nel quale viene realmente intrapresa, ma quando il gestore pone in essere qualsiasi atto che abbia l’esclusivo scopo di mettere il gestore in grado di iniziare l’effettiva gestione.


Ed è altresì ovvio che sia necessario non solo che questo atto di volontà sia stato determinato unicamente dalla intenzione di servire alla intrapresa della gestione, ma anche che questa intenzione permanga chiara e mani­festa, tale cioè da non lasciare luogo alla possibilità di equivoci.

Così si può dire utilmente iniziata la gestione, quando il gestore compie alcuni atti preliminari con l'animus negotia aliena gerendi, ed al solo ed esclusivo scopo di gerire il negozio. Chi, ad esempio, contrae un mutuo per riparare la casa di Caio che minaccia rovina, compie indubbia­mente un atto che è in sé di gestione, per la presenza di tutti i requisiti che distinguono questo negozio: vi è infatti la mancanza di obbligazione che lega il gestore all'interessato, vi è l'animus negotia aliena gerendi vi è l'alienità del negozio.

Naturalmente l'obbligazione dell' interessato sarà circoscritta all'ob­bligo di tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte, mentre siano fuori dal problema della responsabilità per spese, che è configurabile solo quando vi sia stata per l'interessato una effettiva concreta utilità.

Non è fondata l’opinione di quella dottrina secondo cui il prin­cipio che vale per le spese contenga un efficace argomento contro la teoria da noi accolta. E infatti chiaro, e la conclusione può facilmente rilevarsi dalla dizione dell'art. 2031, che i principi vigenti in materia di spese sono assolu­tamente diversi dai vigenti nella materia delle obbligazioni assunte. La tesi accolta trova del resto conferma in numerosi testi romani.


Il modo come l'affare fu amministrato

A differenza — come abbiamo visto — del codice abrogato, che ponendo come condizione per il sorgere degli obblighi dell'interessato fi requisito che l'affare sia stato bene amministrato, rendeva dubbia la solu­zione da darsi alla questione circa il momento della gestione al quale ci si doveva riferire per commisurare questa utilità, il nuovo codice, parlando di utilità iniziale, ha eliminato ogni possibile dubbio in argomento.

Tuttavia, abbiamo già visto come nella gestione debbano distinguersi due momenti, quello dello utiliter coeptum e quello del diligenter gestum. Per il nostro diritto positivo, per il sorgere della gestione, cioè perché le azioni del gestore abbiano le stesse conseguenze di una rappresentanza senza conferimento di poteri (perché tale in effetti è la gestione in esame, nella sua struttura), è sufficiente l’utilità iniziale dell’affare, e si prescinde, pertanto, dal modo in cui prosegue e dalla sua utilità finale.

La conseguenza più importante di questa caratteristica é che le azioni gestorie dirette non si basano sull’arricchimento dell’interessato, ma sull’essenza rappresentativa dell'istituto.

Tuttavia anche il modo con cui l'affare è amministrato ha la sua im­portanza per i rapporti fra gestore e interessato. Cosi, se il gestore sarà venuto meno all'obbligo, che discende, come ab­biamo visto, dall'art. 2030, di condurre l'affare con la diligenza del buon padre di famiglia, lo farà incorrere nella responsabilità da noi precedente­mente esaminata; ed egli dovrà pertanto risarcire l'interessato di tutti i danni prodotti e sarà responsabile, in caso di negligenza grave, delle obbligazioni assunte dalle persone con le quali ha contrattato.

Solo dalla combinazione delle norme riguardanti l'utiliter coeptum con quelle relative agli obblighi del gestore si pub giungere ad una visione esatta delle conseguenze giuridiche del rapporto di gestione. Ché altrimenti, con­siderando solo il requisito dell'utiliter coeptum, si giungerebbe alla aberrante conclusione di ritenere il dominus tenuto ad adempiere tutte le gravose obbli­gazioni per lui contratte da un gestore negligente e incapace.

Se però, nonostante la cattiva gestione, non vi saranno stati danni (caso non frequente, ma comunque ipotizzabile), qualora l'affare sia stato utilmente iniziato, il dominus sarà soggetto alle obbligazioni di cui all'art. 2031.


La gestione a favore dello Stato

Un problema che va esaminato a questo punto è quello che riguarda la possibilità di una gestione a favore delle persone giuridiche, di un incapace e dello Stato.

Gli scrittori che fondavano la gestione sul quasi-contratto e quindi su un incontro di volontà, non potevano ovviamente ammettere gestione a fa­vore di persone giuridiche e di incapaci, non avendo essi la possibilità di esprimere direttamente questa volontà. Ma, caduta la teoria quasi contrat­tuale e quindi anche le ragioni dogmatiche che si opponevano a che potesse concepirsi una gestione a favore di incapace, pensiamo che a favore della persona giuridica e dell' incapace possa ammettersi la gestione comunque intesa, né possiamo approvare la limitazione, che alcuno ha voluto in questo campo introdurre, asserendo essere possibile la gestione a favore di una persona giuridica e di un incapace solo quando si tratta di affari necessari.

Tuttavia è necessario non confondere il caso di un'utile gestione a fa­vore di una persona giuridica e di un incapace con i casi nei quali una responsabilità verso chi ha gerito un affare nasce per la possibilità di esperire una actio de in rem verso. I due casi presentano una certa analogia esteriore, ma sono profondamente diversi nella loro essenza, badandosi negli uni alla utilità iniziale, negli altri all'affettivo arricchimento.

Si è specialmente fatto ricorso al concetto di gestione per giustificare l'obbligo della persona morale di pagare l'indennità nei casi in cui un pri­vato o l'amministratore, abbiano fatto delle spese a suo favore senza un contratto regolare e senza le forme prescritte. In questo caso sarà innanzi tutto necessario indagare se esistano tutti i requisiti della utile gestione, e cioè. la mancanza di obbligazione fra gestore e interessato e l'animus negotia aliena gerendi. Poiché se qualcuno dei requisiti della gestione dovesse mancare dovrà piuttosto farsi ricorso alla actio de in rem verso.

Un altro problema interessante riguarda la possibilità di una utile gestione a favore dello Stato e degli altri enti pubblici. Gli argomenti per esclu­dere una tale possibilità sono di duplice ordine. Innanzi tutto, a termini dell’art. 2031 cpv, è ritenuto immune dagli obblighi che nascono da una gestione a suo favore, l’interessato che li abbia espressamente vietati. Ora è noto come non solo tutte le leggi amministrative escludono che gli estranei all’organizzazione amministrativa si ingeriscano comunque nei pubblici servizi, ma che questa illecita intromissione è dalle leggi penali addirittura considerata come reato, quando configura l’usurpazione di pubbliche funzioni (art. 347 del c.p.).

A questa considerazione si aggiunga che, ai sensi dell'art. 2031 del Cod. civ., gli obblighi del gestore nascono dal fatto che l'affare fu una utilmente iniziato e prescindono dall'esito della attività gestoria, mentre una simile obbligazione non potrebbe ammettersi per gli enti pubblici.

Tuttavia nel caso che l'affare sia stato gerito a favore di un ente pub­blico in modo da costituire un arricchimento per l'amministrazione, già sotto l' impero del codice abrogato si ammetteva l'azione d'indennizzo a favore del gestore nella misura dell'arricchimento dell'ente interessato (actio de in rem verso).

Tale soluzione deve essere ammessa anche oggi e tanto più considerando che il nuovo codice ammette espressamente l'azione d'indebito arricchimento.

Tuttavia l'ammissibilità di tale azione incontra l'ostacolo processuale consistente nel fatto che il giudizio sul vantaggio dell'opera implica un apprez­zamento tecnico discrezionale che può essere compiuto solo dalla Pubblica Amministrazione. Pertanto la giurisprudenza ha esattamente ritenuto che l’ammissibilità dell'azione di arricchimento sia subordinata all'apprezzamento che sul vantaggio dell'opera abbia dato l'amministrazione, o in modo espresso, o tacitamente utilizzando l'opera come rispondente ai propri fini.


La prohibitio domini

Le cose anzidette ci portano, per connessione, a considerare anche il problema della « prohibitio domini ».

Il codice del '65 non considerava espressamente il caso, ma dal requisito della liceità, espressamente richiesto per i quasi contratti dall'art. 1140, la dottrina e la giurisprudenza sono stati concordi nel ritenere che, nell'ipo­tesi del divieto dell' interessato, la gestione non sorgesse per la illiceità insita nell'attività del gestore.

Naturalmente l’ interessato deve far conoscere al gestore questo suo divieto, ma non vi sono elementi per conchiudere che a questo divieto debba essere data una qualsiasi pubblicità, anche se può essere consigliabile una diffida nelle forme consuete.

Tuttavia se il gestore abbia taciuto ai terzi l'esistenza della prohibitio, essi potranno intentare contro di lui eventuali azioni di danni.

In caso di prohibitio l' interessato non è tenuto agli obblighi stabiliti dall'art. 2031, ma se vi fu da parte sua arricchimento interviene, come già si é detto prima a proposito degli enti pubblici, la azione generale di arric­chimento al favore del non desiderato gestore.

Le conclusioni contrarie che da alcuni sono state tratte, sulla base di una decisione di Giustiniano (c. 24 C. 2, 18) accolta nel Codice austriaco (§ 10140) e nel Codice prussiano (§§ 249, 250, 253), non trovano alcun appoggio nel nostro diritto positivo.

Del resto, nello stesso diritto romano, la questione era controversa, e non erano neanche mancati giuristi che, pur negando il sorgere di una azione diretta a favore di chi aveva gerito prohibente domino, ritenevano addirittura ad esso applicabile in via utile l'actio negotiorum gestorum directa, mentre l'a­zione generale di arricchimento fu concessa in questo caso da alcuni giuristi del medioevo.

L'azione generale di arricchimento, introdotta nell'art. 2041 del Cod. civ., non soffre di eccezioni ed ha una portata così ampia, che non pare comunque accoglibile l'osservazione della dottrina secondo cui di tale azione non potrebbe servirsi il gestore contro il domino prohibente perché chi gerisce contro il divieto del dominus deve attribuire a se stesso, al suo atto volontario, la diminuzione del suo patrimonio. È infatti ovvio che anche in questo caso non vi sono elementi per ritenere che intervenga una causa donationis, e pertanto l'arricchimento deve sempre considerarsi avvenuto senza una giusta causa. Non potrebbe infatti sostenersi che il gestore prohibente domino si trovi in una posizione deteriore rispetto a colui che ha posseduto in mala fede.

Tale divieto deve non soltanto essere serio e non già cervellotico e biz­zarro — come del resto, era già pacifico in dottrina —; ma per di più non deve essere contrario alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico. In ambedue i casi esso sarebbe inefficace.


Effetti della gestione

La gestione produce, rispetto al dominus, determinati effetti, che vanno esaminati sotto un duplice aspetto, cioè in quelli che sono i rapporti esteriori, e nei rapporti interni.

Nei rapporti esterni la, gestione produce l'effetto di mettere il dominus di fronte a quei terzi, con i quali il gestore ha stretto rapporti in nome di lai: si hanno, in sostanza, in questo campo, i normali effetti della rappresentanza.

Nei rapporti interni essa crea degli obblighi per il dominus, cioè degli effetti a suo carico e degli effetti a suo favore.

Gli effetti a carico del dominus (e quindi per converso a favore del gestore) consistono nell'obbligo che egli ha di tenere il gestore indenne dalle obbli­gazioni personalmente assunte verso i terzi e rimborsarlo delle spese neces­sarie ed utili con gli interessi dal giorno in cui furono fatte.

A favore del dominus la gestione crea, invece, l’obbligo della continuazione della gestione e tutti gli altri di cui si è precedentemente parlato.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

645 Circa l'utiliter coeptum, riproducendo nell'art. 64 la frase "se l'affare fu bene amministrato" usata nell'art. 1144 cod. civ., il progetto del 1936 non faceva progredire verso la sua soluzione la questione circa il momento in cui deve constatarsi l'utilità della gestione.
Poiché è sicuro nella dottrina e nella giurisprudenza il concetto che presupposto della gestione è la sua utilità iniziale, ho preferito nell'art. 757 precisare che l'affare deve essere utilmente "intrapreso": contro le conseguenze della cattiva amministrazione l'interessato è protetto dall'art. 754, la cui esistenza non si giustificherebbe se l'utiliter coeptum potesse considerarsi con riguardo al momento finale della gestione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

789 Non è stato mai facile alla dottrina e alla giurisprudenza intendere l'avverbio "volontariamente" usato nell'art. 1141 del codice del 1865, che qualche scrittore ha ritenuto fosse pleonastico. Certo è che, nell'enunciazione dell'art. 1141 suddetto, mancava ogni chiaro accenno all'animus negotia aliena gerendi, che è pure un elemento caratteristico della gestione d'affari. Si è riparato alla lacuna del codice precedente sostituendo e volontariamente con scientemente; avverbio che, collegato con l'estremo dell'assunzione di un affare altrui, fa intendere senza ombra di dubbio che il gestore deve sapere di trattare affari altrui, cioè dì avvantaggiare, con la sua azione, il dominus assente. Per far sorgere a carico del dominus le obbligazioni dipendenti dalla gestione, basta che l'affare sia stato utilmente iniziato (art. 2031 del c.c.). La disposizione traduce letteralmente la formula romana dell'utiliter coeptum, e pone così a carico del dominus, anziché del gestore, il rischio e pericolo della gestione, purché cominciata con utilità. Il gestore rimane però responsabile per la colpa nell'amministrazione dell'affare. Egli ha infatti gli obblighi stessi del mandatario, per quanto non sia un mandatario (art. 2030 del c.c., primo comma); o può reclamare il beneficio di un'attenuazione della sua responsabilità solo se ciò appaia equo, in considerazione delle circostanze che lo hanno indotto ad assumere la gestione (art. 2030, secondo comma).

Massime relative all'art. 2031 Codice Civile

Cass. civ. n. 22540/2019

Il comodato della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari ed è soggetto alle regole di tale istituto, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non concedente può ratificare l'operato del gestore a norma dell'art. 2032 c.c. ed esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c. (applicabile per effetto del richiamo contenuto nel citato art. 2032 c.c.), assolvendo tali regole alla funzione di tutela dell'affidamento del terzo dagli effetti delle modifiche della volontà di contrarre eventualmente sopravvenute tra comproprietari; nondimeno, il comproprietario non concedente può manifestare il proprio dissenso a norma dell'art. 2031, comma 2, c.c., con l'effetto di essere esonerato dal dovere di adempiere alle obbligazioni che il gestore ha assunto.

Cass. civ. n. 6819/2017

Il coniuge che abbia integralmente adempiuto l'obbligo di mantenimento dei figli, pure per la quota facente carico all'altro coniuge, è legittimato ad agire "iure proprio" nei confronti di quest'ultimo per il rimborso di detta quota, ed anche per il periodo anteriore alla domanda, atteso che l'obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione e che nell'indicato comportamento del genitore adempiente è ravvisabile un caso di gestione di affari, produttiva, a carico dell'altro genitore, degli effetti di cui all'art. 2031 c.c.

Cass. civ. n. 743/2009

Al comproprietario e compossessore di buona fede di un immobile, che vi abbia eseguito addizioni costituenti miglioramenti (nella specie, costruendo un fabbricato sul terreno acquistato "pro indiviso"), non si applica la normativa dell'art. 936 cod. civ, nel richiamo fattone all'art. 1150, quinto comma, cod. civ., in quanto tale disciplina postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo, non potendo qualificarsi come tale il titolare di un diritto di natura reale, avente ad oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite; a tale comproprietario, per i predetti miglioramenti, non è pertanto dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dal bene ma, dovendo egli essere considerato, secondo i casi, un mandatario degli altri partecipi alla comunione, ai sensi dell'art. 1720 o un utile gestore nel loro interesse, ai sensi dell'art. 2031 cod. civ spetta soltanto il rimborso degli oneri sostenuti.

Cass. civ. n. 1222/2002

Il credito dell'utile gestore ex art. 2031 c.c. è un credito di valuta; pertanto, poiché il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell'ammontare di un debito pecuniario né costituisce di per sé un danno risarcibile, in caso di ritardato pagamento di somme di denaro sono dovuti al creditore solamente agli interessi, mentre, in applicazione dell'art. 1224, secondo comma, c.c., il maggior danno derivante dalla mora può essere riconosciuto solamente là dove il medesimo previamente deduca e fornisca, con ogni possibile mezzo, la prova del pregiudizio patrimoniale a tale titolo subito.

In materia successoria, stante la compatibilità delle norme sull'amministrazione della cosa comune con l'istituto della gestione di affari altrui, il coerede gestore ha diritto, ex art. 2031 c.c., al rimborso delle spese necessarie o utili per la conservazione o il miglioramento dei beni ereditari comuni ma, non essendo rappresentante della massa ereditaria, né tenuto a garantirne l'integrità, non può pretendere il pagamento dai coeredi delle somme da costoro dovute a diverso titolo alla massa.

Cass. civ. n. 9386/1999

Il coniuge che abbia integralmente adempiuto l'obbligo di mantenimento dei figli, pure per la quota facente carico all'altro coniuge, è legittimato ad agire iure proprio nei confronti di quest'ultimo per il rimborso di detta quota, anche per il periodo anteriore alla domanda, atteso che l'obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione e che nell'indicato comportamento del genitore adempiente è ravvisabile un caso di gestione di affari, produttiva a carico dell'altro genitore degli effetti di cui all'art. 2031 c.c. Quanto agli interessi sul capitale del figlio minore, essi, come in genere i frutti dei beni del medesimo, spettano al genitore esercente la potestà, ai sensi dell'art. 324 c.c., sicché deve escludersi che il figlio, divenuto maggiorenne, sia legittimato ad agire per il pagamento dei suddetti interessi inerenti al periodo antecedente al raggiungimento della maggiore età.

Cass. civ. n. 2636/1969

La negotiorum gestio prohibente domino, di cui al secondo comma dell'art. 2031 c.c. è configurata normalmente come intervento di un terzo, che, stante l'inadempimento di un obbligo, avente contenuto di dovere giuridico d'ordine pubblico, da parte del soggetto obbligato, si sostituisce spontaneamente a questo nell'adempimento di tale obbligo, nonostante l'opposizione dello stesso obbligato. Ne consegue che in tale figura di gestione la utilitas è insita nel fatto stesso dell'intervento del terzo, e non è richiesta la absentia dell'obbligato quale causa dell'inadempimento. Sono quindi requisiti necessari di detta figura esclusivamente l'inadempimento di un obbligo, avente il contenuto sopra specificato, da parte del soggetto obbligato, e l'intervento del terzo con l'intento di adempiere l'obbligo altrui, ossia di gestire l'affare altrui.

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I.C. chiede
venerdì 29/10/2021 - Piemonte
“Buongiorno, descrivo il fatto; mia figlia è proprietaria dal 1998 di un alloggio facente parte di edificio costituito da 14 alloggi + alcuni box auto; il detto alloggio lo occupo io come ufficio; fino all'anno 2017 non vi era né condominio né amministratore né assemblee, la gestione di tutte le spese ordinarie (una sola straordinaria rifacimento impianto di riscaldamento saldata e pagata) veniva fatta per tacito consenso (non mio in quanto più volte avevo ribadita l’anomalia ma soprattutto la mancanza di informazione di assemblee e autorizzazione dei condomini per tutta la gestione della casa, spese comprese) in via bonaria da un condomino pseudo amministratore proprietario di una o più unità che agiva senza alcun incarico ma unicamente per il fatto che la sua famiglia era proprietaria in origine di tutto l’edificio; il tal condomino come si suol dire gestiva tutto senza informare nessuno di nulla, spese comprese, come se lui e la sua famiglia fossero ancora unici proprietari dell’intero stabile. Tutto questo fino all'anno 2010. Quando mi venivano esibiti brevi manu dei conteggi abbiamo pagato un po' di spese, dopodiché dal 2010 fino al 2017 è rimasto tutto fermo, non è stato più esibito-richiesto nulla e quindi non abbiamo più pagato nulla di spese ordinarie se non il solo rifacimento dell’impianto di riscaldamento. Finalmente dal 2017 è stato costituito il condominio e nel 2019 è stato approvato solo in una assemblea il regolamento con tanto di tabelle millesimali e ad oggi vi è regolare amministratore che indice regolarmente le assemblee e redige i resoconti e quindi paghiamo le spese. Ad oggi a distanza di undici anni con raccomandata a firma del condomino-pseudo amministratore e della mamma (chissà cosa ci entra la mamma) con la quale non abbiamo né io né mia figlia mai avuto alcun rapporto, viene richiesto a mi figlia di rimborsare loro varie somme a loro dire rappresentate da spese di proprietà e di gestione dal 2010 al 2017, che avrebbero anticipato per l’unità immobiliare di mia figlia. A questo punto vorrei sapere anche in considerazione di quanto previsto dall’art. 1134 c.c. stante la situazione perdurata dal 2010 al 2017 con un condomino pseudo amministratore sprovvisto di ogni autorizzazione dell’assemblea dei condomini, se sia legittimo quanto viene richiesto e se di contro nel frattempo è intervenuta anche la prescrizione che mi sembra sia di 5 anni.
Preciso che riferendomi appunto all’art. 1134 ed alla intervenuta prescrizione mia figlia ha dato risposta negativa alle richieste che gli sono state avanzate e nel frattempo è pervenuta convocazione dell’assemblea condominiale nella quale all’ordine del giorno riscontriamo la voce “presa in carico da parte dell’amministrazione attuale dell’insoluto che il condomino ex pseudo amministratore addebita a mia filgia.. Detto quanto relativamente anche a questo ultimo punto vorrei sapere quale sia la realtà delle cose, quali siano i diritti di chi avanza le richieste e quindi se il condominio di oggi e inesistente al momento delle spese di cui si richiede rimborso può subentrare a tutti gli effetti al posto del condomino che avanza la richiesta di rimborso .-
Consulenza legale i 07/11/2021
Stante il quadro fattuale descritto la strategia corretta è quello di continuare a negare la debenza di qualsiasi somma, anche se l’assemblea di condominio dovesse adottare qualche decisione in merito, attendendo che il presunto creditore si faccia avanti (se lo farà) con una richiesta formale di pagamento anche attraverso l’intervento di un legale. Questo permetterà di valutare al meglio la sua richiesta e capirne anche con maggior precisione la fondatezza.

Si tenga presente che, oltre a rivestire la qualifica di condomino, il presupposto affinchè sorga l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali risiede nel fatto che vi sia un rendiconto regolarmente approvato da un organo assembleare secondo le procedure previste dall’ art 1136 del c.c. Per quanto ci è dato sapere, nel caso specifico, tra il 2010 e 2017 esisteva si un ente condominiale, in quanto vi erano più proprietari che abitavano le singole unità immobiliari, ma la sua gestione è stata fatta in totale spregio di qualsiasi procedura prevista dalla legge.

È possibile, quindi, che controparte possa giustificare la richiesta di pagamento invocando la normativa della gestione di affari altrui (negotiorum gestio), richiedendo il rimborso di quanto speso nell’interesse del condominio ai sensi dell’art. 2031 del c.c. Si ha la gestione di affari altrui nel momento in cui un soggetto senza esservi obbligato assume scientemente la gestione di un affare di un’altra persona.
Tale normativa è largamente applicata nei piccoli condomini ove la gestione spesso esce dai canoni legislativi: si pensi, ad esempio, al caso di un proprietario volenteroso, il quale è condomino in un palazzo con solo quattro proprietari (lui compreso), che in assenza di amministratore e di riunioni condominiali periodiche, e quindi di bilanci regolarmente approvati, provvede al pagamento della luce delle scale.

Nel caso in cui si intraprenda la gestione di un affare altrui, ai sensi dell’art. 2028 del c.c. chi assume tale iniziativa ha l’obbligo di portarla a termine finché l’interessato non vi provvede autonomamente.

Nel contempo l’interessato ai sensi dell’art. 2031 del c.c. è tenuto ad adempiere alle obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui e a tenerlo indenne dagli obblighi che il medesimo ha assunto in nome proprio, rimborsandogli anche con gli interessi tutte le spese necessarie e utili a portare avanti la gestione. Tale ultima norma non si applica nel momento in cui l’atto di gestione sia stato compiuto in violazione del divieto del soggetto interessato.

E’ possibile, come si diceva, che controparte invochi tale normativa per giustificare una richiesta di pagamento, ma in assenza di specifiche contestazioni non si può che avanzare mere ipotesi. Ci si limita a dire che una richiesta di pagamento che trova il suo fondamento nella normativa citata è soggetta al termine prescrizionale ordinario di dieci anni.