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Articolo 949 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Azione negatoria

Dispositivo dell'art. 949 Codice Civile

Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio(1).

Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno [15 c.p.c.](2).

Note

(1) La legge, per evitare che l'azione negatoria venga esperita al solo scopo di ostentare (art. 833 del c.c.), ha condizionato il relativo esercizio al pericolo di un possibile pregiudizio per il titolare.
I giudici hanno specificato, però, che l'onere probatorio è più mitigato rispetto a quello di cui all'articolo precedente, in quanto, nell'ipotesi in esame, si tratta di dimostrare che il diritto in oggetto è libero da pesi e servitù.
(2) L'azione negatoria ha una funzione di accertamento, ma anche inibitoria, e di eventuale condanna al risarcimento del danno.

Ratio Legis

L'actio negatoria è posta a difesa della proprietà e mira a fare dichiarare l'inesistenza di diritti reali affermati da terzi sulla cosa e a far cessare eventuali molestie o turbative che manifestino l'esercizio di tali diritti.

Brocardi

Ius excludendi omnes alios
Vindicatio libertatis

Spiegazione dell'art. 949 Codice Civile

Natura dell'azione negatoria. Legittimazione attiva. Oggetto

L'art. 949 colma una lacuna del vecchio codice: l’azione negatoria reale di accertamento negativo, che spetta al proprietario che ha il possesso della cosa. Anche se l’articolo parla soltanto del proprietario, deve ammettersi che l'azione competa anche a coloro cui si è fatto cenno nella spiegazione dell’articolo 948, che potrebbero proporre l’azione di rivendicazione. L’ art. 1012 del c.c., inoltre, che riproduce nel primo comma l’art. 311 del vecchio codice, detta nel suo secondo comma, con una disposizione nuova, il principio per cui l’usufruttuario può agire non solo per far riconoscere l’esistenza della servitù a favore del fondo, ma anche l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo stesso, ma ha l’obbligo in tal caso di chiamare in giudizio il proprietario.

La negatoria può essere esercitata con l’azione surrogatoria (art. 2900 del c.c.) dai creditori di colui al quale compete.

L’azione non compete a chi ha sulla cosa un diritto reale di garanzia, né a chi detiene la cosa in conseguenza di un rapporto obbligatorio, come il conduttore. L’azione può essere proposta contro chiunque affermi di avere diritti sulla cosa ed ha come scopo quello di far dichiarare l’inesistenza dei diritti vantati e, di conseguenza, la libertà della cosa dai diritti stessi. Se chi afferma l’esistenza dei diritti accompagna l’affermazione con turbative o molestie, l’azione ha l’ulteriore scopo di farle cessare: ne deriva che l’azione ha carattere petitorio e si distingue dall’azione di manutenzione. Quest’ultima, infatti, è diretta soltanto a far riconoscere le condizioni per cui si può esercitare sulla cosa quel potere che si esteriorizza con l’ esercizio di una attività corrispondente a quella del proprietario o di chi sulla cosa ha un diritto reale.

Nel diritto romano la negatoria, quasi vindicatio libertatis, era regolata soprattutto per il caso di chi pretendeva di esercitare sul fondo altrui una servitù, trattandosi di un’azione contrapposta alla confessoria servitutis. Anche oggi questo è il caso più facilmente ipotizzabile, sia che il terzo vanti una servitù insussistente, sia che voglia estendere il contenuto di una servitù già costituita o modificare nella sostanza le sue modalità di esercizio. Ma deve ammettersi che ben più ampio e diverso può essere l’oggetto dell’azione: quale che sia il diritto che il terzo voglia far valere sulla cosa, il proprietario può agire, è solamente essenziale che si tratti di un diritto.

La turbativa o molestia di fatto, senza la volontà di estrinsecare l’esclusività e la pienezza del dominio, può eventualmente dar luogo alla tutela possessoria, a sanzioni penali, o rimanere irrilevante per l’ordinamento giuridico, ma non giustificherebbe l’azione.


Quando sorge l'interesse ad agire

Possono nascere dubbi per stabilire qual è la situazione che deve determinarsi in concreto perché sia giustificato l’esperimento dell’azione, cioè per stabilire quando sorge l’interesse ad agire.

L’art. 22 del Progetto della Commissione Reale era così formulato: «Contro chi vanti un diritto sulla cosa altrui attuandone l’esercizio contro la volontà del proprietario, questi può agire per ottenere che sia dichiarato inesistente il diritto e sia fatto cessare l’illegittimo esercizio ».

Come si vede, i concetti di affermazione del diritto e di esercizio dello stesso erano collegati. L’interprete, perciò, non avrebbe dovuto ammettere l’ azione se il terzo non avesse compiuto atti di esercizio del diritto valutato.

L'art, 949 venne formulato diversamente, infatti parla di diritti affermati e di motivi per temerne pregiudizio. Il significato delle parole e la loro connessione logica dimostrano che il codice non richiede atti di esecuzione del diritto vantato, basta 1'esercizio del diritto. Deve, però, concorrere la condizione che da tale affermazione sorga il timore di un pregiudizio al proprietario. Timore non vano, ma sostenuto da motivi che, secondo l’apprezzamento di un uomo medio, giustificano l’interesse attuale ad agire: l’art. 949 infatti non può servire a dare il passo libero ad azioni di iattanza. Questa interpretazione è confermata dal secondo comma dell'articolo, poiché prevede il caso di turbative o molestie che non occorrono per configurare l’altro caso del primo comma.


Onere della prova

Nel vecchio codice si diceva come, nel giudizio, dovesse essere regolato l'onere della prova: tale discussione si è fatta per il diritto romano e si è fatta per le azioni di accertamento positivo o negativo in generale. L'art. 22 del Progetto della Commissione Reale recava il seguente comma: « la prova del diritto è a carico di chi ne afferma l’ esistenza. Questo comma non è stato riprodotto, ed in verità non era necessario, perché la natura dell'azione, il fine della stessa ed i principi generali circa l'onere della prova chiaramente dicono che l'attore deve provare il diritto di proprietà e l’ affermazione del diritto da parte del terzo, ma il convenuto deve dare la prova dell’ esistenza del diritto che egli vanta ». Il proprietario non deve provare anche la libertà della cosa, perché la proprietà è protetta dalla presunzione della sua pienezza e della sua esclusività. Può darsi però che il convenuto non riesca a provare l’esistenza del diritto che vanta e possa tuttavia domandare, nello stesso giudizio, la costituzione del diritto, come nel caso in cui il proprietario esperisca la negatoria servitutis per inibire al vicino il passaggio nel suo fondo e il vicino chieda la costituzione della servitù di passaggio necessaria.


Sentenza

Se la domanda è accolta, il giudizio si definisce, nel caso previsto dal primo comma, con la dichiarazione giudiziale dell’inesistenza del diritto affermato. Nel caso regolato dal secondo comma, il giudice, a richiesta del proprietario, ordina anche la cessazione delle turbative e delle molestie. Del risarcimento del danno si parla solo pel secondo caso. Ed i termini del primo comma sono nel senso che l'azione è ammessa quando non si sia verificato alcun danno. L'azione è giustificata dal timore del pregiudizio e il timore del danno non si identifica con il danno. È possibile, tuttavia, anche nel caso del primo comma, che un pregiudizio si verifichi comunque: se l'attore riesce a darne la dimostrazione, non c’è ragione per negarne il risarcimento.

Come si è accennato nelle osservazioni generali, il diritto romano prevedeva pure la condanna del convenuto alla prestazione della cautio de amplius non turbando. Non pare che tale statuizione sia conciliabile con l'ordinamento processuale moderno: infatti dalla pronuncia definitiva del giudizio scaturisce l’ impossibilità giuridica di agire contro di essa, ripetendo, nelle stesse condizioni, gli atti che furono dichiarati illegittimi. Se il terzo ricade, è condannato nuovamente alle spese, e, se del caso, ai nuovi danni.

L'azione, stante la sua natura, è imprescrittibile. Di estinzione si potrebbe parlare soltanto in relazione a singole turbative. A condizione, però, che queste si siano concretate nel compimento di atti posti in essere allo scopo di esercitare un potere sulla cosa corrispondente al contenuto di un diritto che col decorso del tempo possa essere stato acquistato per usucapione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 949 Codice Civile

Cass. civ. n. 1905/2023

In tema di "actio negatoria servitutis", la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l'inesistenza dell'altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi di essere il proprietario ha l'onere non già di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma all'ottenimento della cessazione dell'attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l'onere di provare l'esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dalla controparte.

Cass. civ. n. 803/2022

Nelle azioni di regolamento di confini e di accertamento negativo della servitù, ai fini della dimostrazione della proprietà dell'immobile non è richiesta la prova rigorosa, mediante titoli di acquisto o di usucapione, ma è sufficiente una dimostrazione fornita con ogni mezzo, anche con presunzioni.

Cass. civ. n. 20325/2021

Nel giudizio di "negatoria servitutis" il convenuto ha diritto di dimostrare l'interclusione del fondo e di chiedere la costituzione di una servitù di passaggio, ma è tenuto, in tal caso, a formulare un'espressa domanda riconvenzionale, perché non è la semplice allegazione dell'interclusione del fondo a costituire il corrispondente limite a carico dell'immobile gravato, ma solo l'accoglimento della domanda del proprietario del fondo intercluso.

Cass. civ. n. 19249/2021

La domanda di rimozione di una conduttura idrica, che l'attore assuma essere stata abusivamente installata sul proprio fondo da parte del proprietario di un fondo vicino, anche se accompagnata da richieste risarcitorie, va qualificata come " actio negatoria servitutis" (avente come contraddittore il proprietario del preteso fondo dominante) diretta a tutelare la libertà del fondo.

Cass. civ. n. 15142/2021

I poteri inerenti al diritto di proprietà, incluso quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell'usucapione del diritto a mantenere la costruzione di distanza inferiore a quella legale: ne consegue che anche la domanda volta ad ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'"actio negatoria servitutis", rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell'attore, ma a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 29/03/2016).

Cass. civ. n. 9637/2020

La sentenza di mero accertamento di una servitù o della sua inesistenza non costituisce, in difetto di statuizioni di condanna, titolo esecutivo per richiedere al giudice dell'esecuzione misure idonee a far cessare impedimenti, turbative o molestie. (Rigetta, TRIBUNALE BELLUNO, 10/07/2018).

Cass. civ. n. 7040/2020

In tema di "actio negatoria servitutis", sussiste un'ipotesi di litisconsorzio necessario allorché il fondo, nel quale sono state realizzate le opere di cui si chieda la rimozione, appartenga a più soggetti; ne deriva, in fase di appello, la inscindibilità delle cause, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., e, quindi, la necessità della partecipazione a tale fase di tutte le parti originarie, la quale deve essere verificata dal giudice del gravame preliminarmente ad ogni altra pronuncia, con l'emissione di un eventuale ordine d'integrazione del contraddittorio; in difetto, si determina la nullità, rilevabile di ufficio pure in sede di legittimità, dell'intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 16/05/2018).

Cass. civ. n. 20040/2019

Nell'ipotesi di comunione impropria sul fondo interessato, caratterizzata dalla coesistenza di diritti non omogenei, nuda proprietà e usufrutto, allorquando l'azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall'usufrutto sia promossa dal (o contro il) nudo proprietario, non è necessaria la partecipazione al giudizio dell'usufruttuario del fondo passivamente o attivamente gravato dalla servitù, non sussistendo i presupposti per l'applicazione analogica dell'art. 1012, comma 2, c.c. L'onere di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto dall'art 1012 c.c. a carico dell'usufruttuario che intenda esercitare l'azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall'usufrutto, trae la sua giustificazione dal particolare contenuto, assai ristretto nel tempo e nelle facoltà, che caratterizza l'estensione di tale diritto nei confronti della proprietà e dalla correlativa esigenza di evitare la formazione di giudicati la cui inopponibilità al nudo proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione al giudizio, contrasterebbe con la finalità di accertare una "conditio" o "qualitas fundi" cui i giudicati stessi sono preordinati, esigenza che non ricorre, invece, nella diversa ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse dal (o contro il) nudo proprietario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA).

Cass. civ. n. 8694/2019

L'azione con la quale l'attore, sostenendo di essere proprietario di un immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, limitandosi quest'ultimo ad opporre di essere comproprietario del bene stesso, va qualificata come "negatoria servitutis", poiché la proprietà dell'attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, mentre il detto attore adempie il suo onere probatorio esibendo il suo titolo d'acquisto, incombe alla controparte dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 25/02/2016).

Cass. civ. n. 31382/2018

La "actio negatoria servitutis" ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa. Ne consegue che un'opera astrattamente idonea a consentire il transito da un fondo ad un altro, come un cancello, non può essere posta a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione se tale passaggio non venga concretamente esercitato.

Cass. civ. n. 11823/2018

Nelle azioni reali di "negatoria servitutis" ai sensi dell'art. 949 c.c., la legittimazione processuale attiva compete non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà.

Cass. civ. n. 19145/2017

Legittimato passivo rispetto all'"actio negatoria servitutis" esercitata da colui che, essendo nel possesso di un bene immobile, vanti di averne acquistato la proprietà a titolo di usucapione è chi contesti detto acquisto a titolo originario ovvero vanti altri diritti sul bene, e non anche l'apparente proprietario dello stesso.

Cass. civ. n. 472/2017

L'azione "negatoria servitutis", quella di rivendica e la “confessoria servitutis” si differenziano in quanto l'attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione; con la terza, infine, dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù. Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; da ultimo, nell'ipotesi di "confessoria servitutis", ha l'onere di provare l'esistenza della servitù che lo avvantaggia.

Cass. civ. n. 203/2017

L’azione “negatoria servitutis” tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitù esistente prospetta un’alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitù prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli artt. 1063 e 1067 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in presenza di una servitù di accesso carraio e di letamaia, ne aveva escluso l'aggravamento, a seguito della chiusura della buca usata per la letamaia ed il collocamento, sul fondo servente, di attrezzi, materiali agricoli e rifiuti, senza tuttavia esaminare il profilo, specificamente denunziato dall'attore, attinente all'inerenza di tali attività rispetto all'"utilitas" conseguente alla funzione di detta buca, destinata ad agevolare la cura e l'allevamento del bestiame).

Cass. civ. n. 25342/2016

L'azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell'”actio negatoria servitutis”, essendo rivolta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto.

Cass. civ. n. 476/2016

In tema di "actio negatoria servitutis", ai sensi dell'art. 2697 c.c., il proprietario del fondo servente che ammetta l'esistenza legittima della servitù, deducendo solo che la stessa debba esercitarsi con determinate modalità ed entro certi limiti, ha l'onere di provare l'esistenza delle dedotte modalità e limitazioni.

Cass. civ. n. 27564/2014

La "actio negatoria servitutis" può essere diretta sia all'accertamento dell'inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione disturbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un'opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell'opera stessa, ma non l'ordine di esecuzione di opere eccedenti la finalità dell'azione, che è quella di rimuovere una situazione comportante una menomazione del godimento del fondo oggetto del pregiudizio.

Cass. civ. n. 26769/2014

Nell'"actio negatoria servitutis" la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù, e, nel caso in cui la legittimazione di una delle parti, pur assente all'atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all'emissione della decisione, dato che la legittimazione ad agire, rappresentando una condizione dell'azione, non può subire limitazioni temporali, sicché è sufficiente che essa sussista al momento della decisione, poiché la sua sopravvenienza rende proponibile l'azione "ab origine", indipendentemente dal momento in cui si verifichi.

Cass. civ. n. 21851/2014

In tema di azione negatoria, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce in giudizio non ha l'onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade nell'azione di rivendica, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in via presuntiva, del possesso del fondo in forza di un titolo valido, mentre incombe sul convenuto l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore.

Cass. civ. n. 21110/2013

Qualora nel corso del giudizio di "negatoria servitutis" il convenuto acquisti la comproprietà del bene (nella specie, una strada), ogni questione relativa alla servitù è assorbita, atteso che la turbativa della proprietà non può essere più inquadrata come tentativo di acquisire un diritto di servitù, ma deve essere regolata nell'ambito del regime di amministrazione della cosa comune tra comproprietari.

Cass. civ. n. 13710/2011

La "actio negatoria servitutis" ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa. Ne consegue che un'opera astrattamente idonea a consentire il passaggio da un fondo ad un altro, come l'esistenza di un cancello, non può essere posta a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione se tale passaggio non venga concretamente esercitato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto la semplice esistenza di un cancello, non utilizzato, idonea a rappresentare per il futuro una situazione di apparenza necessaria per fondare l'acquisto a titolo originario di una servitù di passaggio).

Cass. civ. n. 884/2011

La domanda diretta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della "negatoria servitutis" e può assumere la veste di azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale se è intesa al ristabilimento di un'attività esercitata sulla base del diritto di proprietà, in quanto l'azione si fonda sul diritto di credito conseguente alla lesione del diritto reale; in tal caso, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione non è idonea a trasformare l'azione personale in reale, poiché la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, né la semplice contestazione da parte del convenuto può porre a carico dell'attore il più gravoso onere della prova dell'azione di rivendicazione (c.d. "probatio diabolica").

Cass. civ. n. 5569/2010

L'interesse ad agire in "negatoria servitutis" sussiste anche quando, pur non denunciandosi l'avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell'attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l'accertamento dell'infondatezza delle dette pretese.

Cass. civ. n. 22348/2009

In tema di limitazioni legali della proprietà, l'azione per denunciare la violazione da parte del vicino della distanze nelle costruzioni ha natura di "negatoria servitutis", essendo diretta a far valere l'inesistenza di "iura in re" a carico della proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù, e pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma dell'art. 1012, secondo comma, c.c., anche il titolare del diritto di usufrutto sul fondo.

Cass. civ. n. 3389/2009

L'«actio negatoria servitutis» non è esercitabile dal proprietario quando, pur verificandosi una molestia o turbamento del possesso o godimento del bene, la turbativa non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa, in tal caso essendo apprestati altri rimedi di carattere essenzialmente personale. Per altro verso, non è precluso a colui che abbia ottenuto, con sentenza passata in giudicato, declaratoria di inesistenza sul suo fondo di una servitù di passaggio, di agire in giudizio per far cessare il comportamento del proprietario dell'altrui fondo che ne abbia continuato l'esercizio nonostante il giudicato sfavorevole.
La costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, che è fattispecie non negoziale, postula, ai sensi dell'art. 1062 cod. civ., l'esistenza di segni ed opere visibili e permanenti, costituenti indice non equivoco ed obiettivo del peso imposto al fondo servente, nonché l'originaria appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario prima dell'acquisto di uno di essi da parte di altro soggetto e il perdurare di tale situazione fino alla separazione della originaria unica proprietà, sempre che non risulti una manifestazione di volontà contraria all'atto del negozio con cui si attua detta separazione, che determina l'automatica conversione dello stato di fatto in quello di diritto; ne consegue che non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo.

Cass. civ. n. 1778/2009

L'azione negatoria della servitù, può essere esercitata non solo contro colui che vanti un preteso diritto configurabile come ius in re aliena ma anche contro chi si affermi proprietario della porzione immobiliare oggetto dell'azione pur non avendone il possesso, in quanto finalizzata a rimuovere una situazione che comporti una manomissione del godimento del fondo stesso.

Cass. civ. n. 2857/2008

Nelle azioni a difesa della proprietà, l'identificazione della porzione immobiliare in contestazione può essere desunta da un frazionamento, anche se redatto in epoca antecedente, purché venga espressamente richiamato nel titolo, proprio al fine di individuare l'area o il lotto oggetto del contratto, senza che sia necessaria né l'apposita sottoscrizione delle parti contraenti sul documento, nè l'allegazione al rogito.

Cass. civ. n. 20126/2006

In materia di distanze legali tra costruzioni, l'azione del proprietario di un fondo diretta a conseguire la demolizione o l'arretramento dell'opera è esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante, in considerazione del carattere reale dell'azione medesima, qualificabile come negatoria servitutis.

Cass. civ. n. 11784/2006

L'azione volta ad ottenere l'accertamento della inesistenza della servitù di apporre le tubature del gas sul muro perimetrale di un edificio e la conseguente condanna alla loro rimozione va proposta non nei confronti dell'utente del servizio di fornitura comproprietario del muro, che è privo di legittimazione passiva, ma nei confronti dell'ente erogatore del gas, quale proprietario del fondo dominante costituito dall'impianto di distribuzione.

Cass. civ. n. 16495/2005

In tema di azioni a difesa della proprietà, costituisce actio negatoria servitutis non solo la domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto del terzo corrispondente all'esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l'acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui. Ne consegue che l'azione diretta a conseguire la riduzione in pristino a favore di colui che ha subito danno per effetto della violazione delle distanze legali deve qualificarsi come actio negatoria servitutis, essendo volta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore libero da servitù vantate da terzi, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dare luogo a servitù.

Cass. civ. n. 12233/2002

L'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell'attore, e dunque non soltanto all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo, e si differenzia dall'azione di rivendicazione in quanto ciò che caratterizza quest'ultima azione e ne costituisce un presupposto è un eventuale conflitto tra titoli; conseguentemente, l'onere della prova che grava sull'attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell'azione di rivendicazione, essendo sufficiente provare l'esistenza del titolo di proprietà, ed anche il possesso del terreno qualora il convenuto eccepisca l'intervenuta usucapione.

Cass. civ. n. 12166/2002

L'azione negatoria, diversamente da quella di rivendicazione, pone un onere probatorio di minor rigore, potendo essere dimostrata la proprietà con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, in ipotesi di insufficienza dei titoli di provenienza

Cass. civ. n. 4366/2002

In tema di azione negatoria di servitù, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva, qualora il convenuto la contesti, la parte che agisce ha l'onere di provare il suo diritto di proprietà nei confronti del convenuto.

Cass. civ. n. 2159/2002

Il proprietario del fondo su cui si esercita una veduta illegale può proporre l'azione negatoria e chiedere l'accertamento dell'inesistenza della servitù e anche la sua eliminazione in ogni momento, purché non sia decorso il termine ventennale necessario per l'usucapione delle servitù apparenti, quale è quella di veduta.

Cass. civ. n. 649/2000

L'interesse ad agire in negatoria servitutis postula la sussistenza dell'esercizio attuale e concreto della servitù, accompagnato dalla pretesa di esercitare un diritto sulla cosa asservita. Ne consegue che l'attore è carente di un interesse attuale e concreto ad agire in negatoria in ordine ad una servitù di veduta esercitata in passato su una terrazza di sua proprietà attraverso una finestra successivamente murata.

Cass. civ. n. 2982/1999

Esercitata l'azione negatoria per sentir dichiarare l'inesistenza di un diritto di servitù sul fondo dell'attore, qualora il convenuto eccepisca di essere egli stesso proprietario del fondo che si assume gravato, oggetto del giudizio è l'accertamento della libertà del fondo mentre l'accertamento della proprietà del medesimo ha valore soltanto strumentale; conseguentemente, non essendo la domanda volta al recupero del bene, l'onere della prova che grava sull'attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell'azione di rivendica e la prova, in caso di insufficienza dei titoli di provenienza, può essere data con ogni mezzo ed anche con presunzioni.

Cass. civ. n. 2838/1999

La parte che agisce con l'actio negatoria servitutis non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido. Al convenuto incombe, invece, l'onere di provare l'esistenza del diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore.

Cass. civ. n. 5299/1998

Colui che agisce in negatoria servitutis, dimostrata la sua qualità di proprietario della res, può limitarsi a contestare la titolarità del diritto altrui su di essa senza necessità di contestarne anche l'esistenza, la quale non ha l'effetto di costringerlo a subirne l'esercizio da parte di chiunque. Omologamente, il convenuto che affermi un diritto in re aliena deve dimostrare di esserne anche il titolare.

Cass. civ. n. 4658/1998

La actio negatoria servitutis può essere proposta da uno solo dei proprietari del bene, anche se, oltre ad essere diretta all'accertamento dell'inesistenza di diritti reali su di esso, sia volta a conseguire la cessazione dell'attività illegittima del convenuto e, ove questa consista in opere, ad ottenerne la demolizione, in quanto la quota ideale di interessi di ognuno dei partecipi è compenetrata nell'intera consistenza della cosa comune.

Cass. civ. n. 12810/1997

Configura actio negatoria servitutis, come tale imprescrittibile, la domanda del proprietario di rispetto delle distanze legali tra costruzioni (art. 873 c.c.), ravvisabile anche se manca la richiesta di demolire le opere costituenti l'esercizio della pretesa servitù.

Cass. civ. n. 12488/1995

In tema di azione negatoria, di cui all'art. 949 c.c., nel difetto di proposizione di una specifica domanda di accertamento positivo o, da parte del convenuto, di accertamento negativo della proprietà del bene oggetto dell'azione, la titolarità del bene stesso, ponendosi come mero requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della causa, può essere provata anche in base a presunzioni semplici. (Nella specie, le risultanze dell'atto d'acquisto dell'immobile od il possesso della cosa a partire dalla stessa data).

Cass. civ. n. 1460/1995

Mentre rispetto all'azione prevista dall'art. 949 c.c., che ha natura reale e si caratterizza in quanto diretta a difendere la proprietà da pretese di diritto avanzate dai terzi, legittimato passivo è il proprietario del fondo pretesamente dominante, quando l'azione, avuto riguardo ai fatti posti a suo fondamento ed alle ragioni di essa, valutati dal giudice di merito con apprezzamento insindacabile se congruamente e logicamente motivato, mira a proteggere la proprietà da indebite intromissioni o utilizzazioni di terzi, non accompagnate dalla pretesa di esercitare sulla cosa un diritto reale limitato, legittimati passivi rispetto ad essa sono gli autori delle anzidette turbative o molestie di fatto.

Cass. civ. n. 509/1995

L'assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico non elimina l'interesse del proprietario ad agire in negatoria servitutis nei confronti dei proprietari frontisti che abbiano aperto accessi diretti dai loro fondi su detta strada, in guisa da determinare un aggravamento dell'intensità del passaggio in ragione dell'utilizzo dei detti accessi non riconducibile al contenuto della servitù già esercitata uti civis.

Cass. civ. n. 5734/1994

Chi agisce giudizialmente per fare dichiarare la inesistenza a carico del proprio fondo di una servitù di veduta diretta deve limitarsi a provare che sul fondo del vicino si aprono delle vedute a distanza inferiore a un metro e mezzo dal confine, in quanto l'art. 905 c.c. gli dà il diritto di pretenderne l'eliminazione, e incombe al convenuto, ai sensi dell'art. 2697 c.c., per evitare il riconoscimento di tale diritto, fornire la prova di un titolo che gli attribuisca la servitù di veduta, atteso che solo se l'attore affermi che la veduta sia stata aperta in sostituzione di un'altra veduta di cui ammetta o non contesti la conformità al diritto, deve, altresì, dimostrare il presupposto su cui si basa la sua pretesa, cioè la difformità della nuova veduta rispetto a quella preesistente.

Cass. civ. n. 1599/1993

Nel caso in cui uno dei comproprietari di un fondo esegua delle opere su un fondo confinante di sua esclusiva proprietà i rapporti tra i due fondi ed i limiti dei relativi diritti di proprietà non sono disciplinati dai principi che regolano la proprietà comune, ma dalle norme che regolano la contiguità di immobili appartenenti rispettivamente a soggetti diversi. Pertanto, l'altro comproprietario dell'immobile può agire in petitorio per l'accertamento dell'inesistenza dei diritti astrattamente ricollegabili al comportamento del confinante e per la cessazione delle altrui molestie al libero esercizio del diritto di proprietà a norma dell'art. 949 commi 1 e 2 c.c.

Cass. civ. n. 7984/1991

La domanda diretta ad ottenere la rimozione di una situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della negatoria servitutis e può assumere la veste dell'azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale.

Cass. civ. n. 6258/1991

Ove l'attore, sostenendo di essere proprietario di un'immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest'ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell'attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l'azione va qualificata negatoria servitutis, in quanto la proprietà dell'attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, mentre l'attore adempie il suo onere probatorio esibendo il suo titolo d'acquisto, incombe alla controparte dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene.

Cass. civ. n. 4355/1989

Il titolare di un impianto di trasmissioni televisive via etere, il quale, senza autorizzazione dell'amministrazione, utilizzi di fatto e con preuso un determinato canale o banda di frequenza, ancorché effettuando soltanto prove tecniche di trasmissione, è portatore, nel rapporto con altro imprenditore privato che, anche esso privo di autorizzazione, interferisca con altra emittente su detto canale o banda, di posizioni soggettive tutelabili non solo in sede possessoria, ma anche in sede petitoria, con l'azione negatoria a norma dell'art. 949, secondo comma, c.c., potendo inoltre, ove eserciti attività imprenditoriale, mediante la diffusione di programmi televisivi, proporre l'azione diretta alla tutela del diritto di impresa, attraverso il conseguimento ex art. 2599 c.c. di provvedimenti idonei ad eliminare gli effetti dell'atto di concorrenza sleale (art. 2598, n. 3, c.c.), salvo il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2600 c.c.

Cass. civ. n. 1561/1989

L'azione con la quale il proprietario di una terrazza chiede la rimozione di uno stenditoio, collocato nel confinante edificio ed aggettante sulla terrazza stessa con conseguenti immissioni (nella specie, gocciolio di panni e creazione di ombra) deve essere qualificata come negatoria servitutis, ai sensi dell'art. 949 c.c., implicando i fatti posti in essere dal vicino l'affermazione di un diritto di natura reale sulla terrazza, il cui esercizio per il tempo prescritto dalla legge potrebbe comportare l'acquisto per usucapione della servitù.

Cass. civ. n. 781/1989

L'interesse a proporre l'actio negatoria servitutis sorge allorquando venga posta in essere dal terzo un'attività implicante in concreto l'esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, mentre non può essere proposta l'azione al fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa, i quali possono anche consistere nell'esplicita pretesa di esercitare una determinata servitù.

Cass. civ. n. 646/1985

La negatoria servitutis è diretta non solo all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo. Ne consegue che la contestuale domanda concernente la rimozione di opere lesive del diritto di proprietà, inerendo allo stesso oggetto della negatoria, deve ritenersi già considerata nel valore di questa, da determinarsi secondo il criterio fissato dalla legge, senza che trovi applicazione il principio del cumulo delle domande.

Cass. civ. n. 1312/1984

In tema di actio negatoria servitutis, diretta al riconoscimento della libertà del fondo e non del dominio, l'onere probatorio relativo alla proprietà non ha il carattere rigoroso proprio della rivendicazione essendo sufficiente che l'attore dimostri, con qualsiasi mezzo, non escluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto.

Cass. civ. n. 3637/1982

La domanda di rimozione di una conduttura idrica, che l'attore assume essere stata abusivamente installata sul proprio fondo da parte del proprietario di un fondo vicino, anche se accompagnata da richieste risarcitorie, va qualificata actio negatoria servitutis (avente come contraddittore il proprietario del preteso fondo dominante), e non azione di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica, in quanto — per la natura dell'opera, tale da determinare, nel suo uso normale, l'asservimento del primo fondo al secondo — la domanda deve ritenersi intesa a difendere in prospettiva la libertà del fondo dall'acquisto per usucapione della corrispondente servitù.

Cass. civ. n. 1523/1978

Come le limitazioni legali della proprietà sono essenzialmente diverse dalle servitù prediali così l'azione di chi tende alla affermazione di tali limitazioni a carico della proprietà del vicino — il quale le ha, di fatto, trasgredite pur senza vantare sul fondo altrui un diritto di servitù che legittimerebbe tale inosservanza o che da questa, per usucapione, sarebbe comunque derivato, legittimandola ab origine — non può confondersi con l'azione negatoria servitutis. Soltanto nella prima ipotesi, infatti, la libertà attuale del fondo dell'attore da vincoli correlati al fatto del convenuto non è materia né di azione né di eccezione, ma semplice presupposto, non controverso, di fondatezza della domanda, la quale non mira all'accertamento, positivo o negativo, di un diritto reale di godimento.

Cass. civ. n. 695/1977

L'azione negatoria servitutis e l'azione di rivendicazione, pur avendo quale presupposto comune il diritto di proprietà, differiscono nei requisiti e nel contenuto. Nella prima l'attore, proprietario e possessore di un immobile, tende ad ottenere il riconoscimento della libertà del bene contro terzi che, vantando diritti reali su di esso, ne attentino il libero ed evolutivo godimento da parte sua. Nella seconda, invece, l'attore mira a conseguire il riconoscimento giudiziale del suo diritto di proprietà, al fine di ottenere, in dipendenza di tale riconoscimento, anche la restituzione della res che ne è oggetto; ciò che caratterizza quest'ultima azione e ne costituisce il presupposto è un effettuale conflitto di titoli, il quale manca, invece, nella prima.

Cass. civ. n. 3245/1976

In tema di negatoria servitutis, l'azione tendente a far dichiarare la libertà del fondo dell'attore non muta qualificazione per il fatto che il convenuto opponga, in via di eccezione, di essere comproprietario del fondo stesso, rendendo così necessario, ma pur sempre mezzo al fine, l'accertamento della proprietà, il cui onere probatorio ricade in ogni caso a carico dell'attore, mercé la produzione di un valido titolo di acquisto.

Cass. civ. n. 2487/1976

Nell'actio negatoria servitutis, la qualità di proprietario del fondo, in ordine al quale si nega l'esistenza della servitù, costituisce presupposto essenziale della legittimazione ad agire.

Cass. civ. n. 1460/1976

L'azione negatoria, di cui all'art. 949 c.c., si distingue dalla rivendica e dall'azione di accertamento della proprietà perché l'oggetto principale del giudizio, instaurato con tale azione, non è la sussistenza del diritto di proprietà dell'attore, bensì la libertà della cosa dai diritti reali vantati dal convenuto, sia stata o meno, la pretesa di tali diritti tradotta in atti concreti di molestia o di turbativa che attentino al libero ed esclusivo godimento del dominus; ne consegue che rientra nel paradigma dell'azione negatoria la domanda dell'attore rivolta ad ottenere l'accertamento che la cosa gli appartiene in via esclusiva, quando il convenuto, pur riconoscendo il diritto della controparte, assuma, a sua volta, di essere comproprietario del medesimo bene; in tal caso infatti, l'appartenenza della cosa all'attore esula dalla materia del contendere, la quale resta circoscritta esclusivamente alla coesistenza sullo stesso bene del distinto e concorrente diritto di comproprietà vantato dal convenuto.

Cass. civ. n. 835/1976

L'azione negatoria, che, a norma dell'art. 949 c.c., il proprietario può esercitare per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, ovvero per far ordinare la cessazione di turbative e di molestie sulla stessa, e per ottenere l'eventuale risarcimento dei danni — anche se considerata nella sua più limitata e ristretta configurazione di azione reale — non postula necessariamente l'esistenza di un rapporto di contiguità materiale tra l'immobile la cui tutela sia esperita e quello a cui vantaggio venga esercitato il diritto negato o da cui promanino le turbative e le molestie; essa presuppone semplicemente che tra i due immobili sussista un rapporto di contiguità in senso giuridico, che permetta, cioè, lo stabilirsi, tra di essi, di situazioni corrispondenti di pregiudizio e vantaggio. (Nella specie si è ritenuta non impeditiva dell'esperibilità dell'azione suddetta la circostanza che le acque, di cui l'attore denunciava l'illecita immissione nel suo canale, erano riversate dal convenuto in un fosso comunale e di qui, poi, defluivano nella proprietà dell'attore).

Cass. civ. n. 4124/1975

L'azione negatoria di cui all'art. 949 c.c., sia nel primo che nel secondo comma (salva l'ultima parte, circa il ristoro dei danni, la cui azione resta disciplinata dall'art. 2043 c.c.), ha come essenziale, indispensabile, presupposto la sussistenza di altrui pretese di diritto sul bene dell'attore e non può essere utilizzata allorché, anche in presenza di turbative o molestie, esse non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 949 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Saverio D. chiede
lunedì 19/06/2017 - Lazio
“Ho un passo carrabile da 40 anni a confine con un mio difficile vicino ; da qualche tempo questi ha cominciato a invadere la carreggiata con un pesante blocco di travertino rendendo quasi impossibile il passaggio ; egli asserisce che la parte da lui occupata gli appartiene ; il vicino e' in stato fallimentare da anni ; posso chiedere al curatore la cessazione delle molestie a tutela del patrimonio a lui affidato ? quali altre azioni posso convenientemente percorrere ?”
Consulenza legale i 04/07/2017
Un aspetto che si ritiene indispensabile chiarire è quello di stabilire se sulla carreggiata sulla quale è stato posizionato il blocco di travertino gravi o meno una servitù reciproca di passaggio, ossia se si tratti di una striscia di terreno asservita volontariamente o per usucapione al passaggio in favore dei fondi di proprietà esclusiva.

Il tema delle servitù reciproche risulta per la verità alquanto dibattuto, avendo parte della dottrina negato l’esistenza di esse, in ragione del fatto che generalmente la servitù è per sua natura unilaterale, nel senso che deve essere ben distinguibile qual è il fondo sul quale grava il peso a favore dell'altro, respingendo tale dottrina la tesi che lo stesso fondo possa rivestire, contemporaneamente, in ordine alla stessa utilità oggettiva, la qualità di servente e dominante, dato che la caratteristica fondamentale del diritto di servitù è quella di ius in re aliena.

Tuttavia, altra parte della dottrina e la stessa giurisprudenza ritengono che non si può escludere che due fondi possano essere gravati reciprocamente dalla medesima servitù, poiché il rapporto che viene a costituirsi in tal caso non è quello di corrispettività tra i due fondi, bensì quello relativo a due diverse ed autonome servitù in cui il fondo che nell'una è considerato come servente, nell'altra figura come dominante (cfr., in dottrina, S. Cervelli; in giurisprudenza: Cass. n. 4697/1986; Cass. n. 1738/1969; Cass. n. 2171/1967).

Se questa è la fattispecie che si presenta, dunque, potrà farsi applicazione delle norme dettate dal codice civile in materia di servitù, ed in particolare la norma cui poter ricorrere per tutelare la propria posizione sostanziale sarà quella di cui all’art. 1067 c.c., il quale fa divieto al proprietario del fondo servente di compiere qualunque atto che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo.

Per tale ipotesi l’azione esperibile sarà quella prevista dall’art. 1079 c.c., norma che consente al titolare della servitù di far cessare gli eventuali impedimenti e turbative, chiedendo la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni.

Qualora, invece, non possa configurarsi alcuna servitù, ed il blocco di travertino sia stato posto dal confinante su terreno di sua proprietà esclusiva e nel pieno esercizio del suo stesso diritto di proprietà, allora occorrerà valutare se tale comportamento possa configurarsi o meno quale atto emulativo della proprietà, come tale previsto dall’art. 833 c.c., ossia atto che abbia come scopo soltanto quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Il significato di tale divieto (atti emulativi) è evidente: l’esercizio del proprio diritto di proprietà non può divenire strumento per danneggiare o infastidire gli altri soggetti.
Si tenga presente che la sussistenza di un atto emulativo presuppone il concorso di due elementi:
- che sia privo di utilità per chi lo compie
- che abbia il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri.

Qualora l’atto venga riconosciuto come emulativo, dovendo, ai sensi dell’art. 833 c.c. considerarsi illecito, produce come conseguenza il diritto ad ottenere la rimozione della molestia o il risarcimento del danno se sussistente, anche in applicazione degli articoli 2043 e 2058 del c.c.
In particolare, per quanto riguarda la specifica tutela esperibile, va detto che, vertendosi in materia di proprietà, in caso di comportamenti emulativi è attribuita una tutela sia inibitoria che risarcitoria ex art. 949, comma 2, c.c.

Per quanto riguarda il soggetto passivo verso cui indirizzare eventuali azioni processuali di natura personale, poiché consequenziale al fallimento è la perdita da parte del fallito della legittimazione processuale in tutte le controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, sarà il curatore il soggetto legittimato ex art. 43 L.F. a stare in giudizio in luogo del fallito.

Quindi a quest’ultimo, nella sua qualità di curatore, dovrà essere notificato un eventuale atto di citazione, mentre al vicino personalmente dovrà indirizzarsi una necessaria e preventiva diffida volte a far rimuovere il blocco di travertino, in quanto concretantesi nella richiesta di compimento di un atto materiale e non giuridico.

PIETRO chiede
mercoledì 26/01/2011

“Ho informato, diversi mesi or sono, la proprietaria degli immobili che confinano con la mia proprietà della situazione di precarietà in cui versano i suoi fabbricati (fabbricati disabitati e in totale abbandono) che presentano innumerevoli problematiche, tra cui:
- copertura sconnessa, col colmo che in diversi punti è distaccato dal resto del tetto e con i coppi che sono scivolati lungo tutta la falda;
- addensamento di coppi al limite della falda che col vento potrebbero cadere sulla mia proprietà pregiudicando la sicurezza per le persone, animali e cose;
- quando piove, in conseguenza delle condizioni del tetto su descritte, il muro si inzuppa talmente d'acqua che si formano rigagnoli che scendono lungo tutta la parete (che ha una estensione di circa 10 m.) che dà sulla mia proprietà; acqua che si scarica sul pavimento del mio porticato formando consistenti chiazze;
- il gelo di questi giorni sta causando il distacco di consistenti parti di intonaco che cade sopra il tetto della mia abitazione (costituita, in quella parte, dal solo piano terra) causando intasamento dei coppi, della grondaia e ancor peggio del sistema fognario;
- ...
Nonostante le fotografie fatte pervenire all'interessata delle situazioni descritte e alla constatazione sul posto, in occasione di due suoi sopralluoghi, la stessa si trincera dietro la necessità di far fare i lavori di manutenzione quando ci saranno le condizioni di sicurezza accampando che il tetto si deve asciugare, alludendo forse alla prossima estate;
La stessa mi ha chiaramente detto che non vuole affrontare la questione sicurezza ricorrendo all'utilizzo delle attrezzature che ho suggerito.

Vi chiedo gentilmente se ricorrendo alle vie legali, vi è la certezza che il giudice, esaminando il caso, obblighi la mia confinante ad agire immediatamente a tutela della mia proprietà e sicurezza.
Vi ringrazio fin d'ora della risposta.”

Consulenza legale i 02/02/2011

Nel caso di specie, potrebbe essere opportuna l'applicazione dell'art. 1172 del c.c. rubricato "Denunzia di danno temuto". L'azione, la cui funzione è, evidentemente, preventiva, secondo parte della dottrina trae fondamento dal comportamento omissivo del proprietario del bene da cui proviene il pericolo per non avere vigilato sulla sicurezza delle cose sottoposte al proprio potere di disposizione. Essa tende a rimuovere il pericolo.
Vengono in tali casi, quindi, concessi al giudice poteri più ampi di quelli previsti, ad esempio, all'art. 1171 del c.c., essendogli permesso finanche di disporre eventuali demolizioni al fine di evitare il danno paventato.
In questo caso, il contenuto del provvedimento da emettere non è tipizzato. Sarà il giudice, a seconda delle circostanze, ad individuare la misura cautelare ritenuta più idonea ad ovviare al pericolo denunciato (quale, ad esempio, il transennamento dei luoghi o, addirittura, in casi limite, l'abbattimento del fabbricato in tutto o in parte).
Secondo la dottrina, gli interventi dovranno comunque imporre la minima limitazione possibile alla proprietà o al possesso altrui, in relazione alla necessità di conseguire lo scopo di eliminare il pericolo di danno.
La situazione di pericolo, per tale tipo di azione, deve concretarsi nell'incombente minaccia di un danno grave e prossimo, che appare sussistere nel caso descritto.