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Articolo 1140 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Possesso

Dispositivo dell'art. 1140 Codice Civile

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa(1).

Note

(1) Il possesso può essere esercitato anche tramite altro soggetto, legato al possessore da un rapporto definito (si tratta di possesso mediato). Esso trova il suo fulcro in un titolo che attribuisce un diritto reale di godimento a chi, come il conduttore, detiene la cosa.

Brocardi

Adipiscimur possessionem corpore et animo, neque per se animo aut per se corpore
Animus detinendi
Animus possidendi
Animus rem sibi habendi
Brevi manu
Commoda possessionis
Constitutum possessorium
Corpore possidere
Corpus possessionis
Differentia inter dominium et possessionem haec est: quod dominium nihilominus eius manet, qui dominus esse non vult; possessio autem recedit, ut quisque constituit nolle possidere
Ignoranti possessio non acquiritur
In amittenda quoque possessione, affectio eius qui possidet intuenda est
Incertam partem possidere nemo potest
Nihil commune habet proprietas cum possessione
Possessio
Possessio iuris
Possessio non est iuris, sed facti
Possessio non tantum corporis, sed et iuris est
Possessio plurimum facti habet
Possideri possunt quae sunt corporalia
Possidet, cuius nomine possidetur
Usus est pro possessione
Ut nulla possessio acquiri nisi animo et corpore potest, ita nulla amittitur, nisi in qua utrumque in contrarium actum

Spiegazione dell'art. 1140 Codice Civile

L'elemento soggettivo e l'elemento oggettivo nel possesso

Il possesso consta di due elementi, uno soggettivo e l’altro oggettivo. L'esigenza del primo si deduce dalla stessa definizione che del possesso dà l'art. 1140: l' « attività corrispondente all'esercizio della proprietà di altro diritto reale » non può infatti prescindere dall'intenzione di esercitare il diritto in nome proprio.

Il punto risultava forse con maggior chiarezza dalla formula proposta nel progetto della Commissione Reale (art. 522), che qualificava il possesso « potere di fatto che alcuno ha sopra una cosa, con la volontà di avere per se tale potere in modo corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale »: la formula però era difettosa sotto un altro aspetto, poiché non poneva in sufficiente evidenza che l'elemento volitivo intanto diviene rilevante per l'ordinamento giuridico in quanto si concretizzi e si manifesti in un comportamento esterno del possessore, comportamento che vale appunto a differenziare le varie specie di possesso (il possesso a titolo di proprietà dal possesso a titolo di usufrutto, a titolo di enfiteusi, ecc.).

La formula accolta dal codice « potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà, o di altro diritto reale » pone invece nel necessario risalto l'elemento oggettivo oltre che quello soggettivo del possesso. Questo è costituito dall'intenzione di esercitare un diritto reale sulla cosa, quello dalla forma con cui, attuandosi il potere sulla cosa, l'intenzione si rende esternamente palese. Tanto l'uno quanto l' altro elemento devono naturalmente venire intesi non già in senso assoluto, ma con riferimento alla concezione economico-sociale del tempo, perciò ad esempio il potere sulla cosa non implica una continua insistenza su di essa, ma l'assunzione in ordine ad essa di quell'atteggiamento che e proprio del proprietario o del titolare dell'altro diritto posseduto.

Il capoverso soggiunge che si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.


La detenzione

Quest'ultimo termine è usato nel sistema del nuovo codice per designare due concetti: il possessore in nome altrui e la relazione materiale con la cosa.

Nel senso di relazione materiale con la cosa, la detenzione non indica un fenomeno giuridico a sè stante, ma piuttosto la base, il corpus di tutti i fenomeni possessori, i quali presuppongono appunto, più o meno spiritualizzata, quella relazione.

La detenzione, nel senso di possesso in nome altrui, postula la presenza di un particolare elemento soggettivo, l'animus detinendi, essa presuppone poi la laudatio possessoris, cioè il riconoscimento in altri della qualità di possessore della cosa su cui si esercita il potere.

È appena il caso di avvertire che it possesso e escluso ogniqualvolta vi sia questo riconoscimento (e ciò quand'anche il potere del detentore sulla cosa abbia ad atteggiarsi esteriormente come esercizio di facoltà che costituiscano il contenuto di un diritto reale), che nella stessa per­sona ben possono coesistere il possesso rispetto ad un diritto e la detenzione rispetto ad un altro (si pensi al possessore di un ius in re aliena che e ad un tempo detentore rispetto alla proprietà), che infine la detenzione può trovar luogo sia nell'interesse proprio (ad es. conduttore, comodatario), che in quello altrui (ad es. mandatario, depositario, commesso).

Tra le varie forme di detenzione nell'interesse altrui, il nuovo codice considera espressamente, escludendola dalla tutela in caso di spoglio (art. 1168 del c.c.), la detenzione a titolo di servizio e di ospitalità.

La detenzione per ragioni di servizio è una relazione materiale con la cosa che deriva da un rapporto di subordinazione personale, entro l'ambito della domus, del negozio, dell'ufficio ecc.

Parlando di relazione di ospitalità, il codice si riferisce invece a quelle situazioni per cui una persona entra nella casa di un'altra e dispone in una certa misura dei beni in essa contenuti, in forza di un rapporto personale, che può essere determinato da una speciale affectio (parenti, invitati, ecc.) o da altri motivi, ma a cui in ogni caso inerisce una presunzione di fiducia. Qui la mancanza di ogni diritto e anche più evidente che nella detenzione per ragioni di servizio: il proprietario non si priva affatto del possesso della cosa, limitandosi visibilmente a lasciarla solo a disposizione dell'ospite che, pertanto, non ha alcuna autorizzazione nei confronti della stessa, e la sua attività appare di fatto come una manifestazione dell'attività del proprietario, che, con la sua volontà e coi suoi poteri di controllo, assorbe, per così dire, in sè ogni movimento dell'ospite. Qui c’è in più, immediata e visibile - a differenza di molti casi di detenzione per ragioni di servizio - un'apparenza di precarietà.


Il compossesso

Il progetto preliminare del secondo libro prevedeva e regolava all' art. 523 il compossesso, stabilendo che « il possesso può appartenere a più persone per quote indivise od in solido, secondo che il diritto corrispondente sia divisibile o indivisibile » e che « nel primo caso si ha compossesso anche senza determinazione di quote quando, tutti intendono possedere insieme l'intero ».

La norma non è stata riprodotta nel codice perché inutile, costituendo un'applicazione dei principi generali.


Acquisto e perdita del possesso

Prima di procedere oltre nell'illustrazione dell'articolo è opportuno accennare in breve ad un argomento strettamente collegato con quello esaminato, all'acquisto cioè e alla perdita del possesso. Già si è rilevato come la disciplina del punto non abbia formato oggetto di espresse statuizioni da parte del legislatore e sia stata invece rimessa ai principi generali, si è del pari rilevato come il compito dell'interprete al riguardo sia però reso facile dalla precisione e completezza delle disposizioni di carattere generale ed in specie delle definizioni che il codice da del possesso e della detenzione.

Il possesso si acquista da parte di qualcuno quando concorrano nei suoi confronti i due elementi, oggettivo e soggettivo, che lo costituiscono, quando cioè egli abbia l' animus di esercitare sulla cosa il potere di fatto corrispondente ad un determinato diritto ed eserciti tale potere. Naturalmente, essendo il possesso uno stato di fatto, l'acquisto e in ogni caso originario e trova luogo mediante atto unilaterale, anche se avvenga con il consenso del precedente possessore (tradizione), o se la cosa fosse già in precedenza detenuta dall'acquirente.

In verità, il consenso del precedente possessore (che, si badi, non basterebbe laddove il potere di fatto non venisse effettivamente conseguito) influisce unicamente sul grado di intensità che deve avere l'atto costitutivo del potere sulla cosa.

Qualora infatti questo consenso non vi sia (e tanto più poi laddove si debba procedere allo spossessamento del precedente possessore) occorrerà, per l'acquisto del potere, un’ energia maggiore di quella che non occorra nel caso contrario, in cui non vi è alcuna resistenza da superare.

Al principio secondo cui, per aversi possesso occorre la simultanea presenza dell'elemento soggettivo e di quello oggettivo, consegue che il possesso si perde col venir meno dell'uno o dell'altro di tali elementi.

Il punto è pacifico per quanto concerne il venir meno dell'elemento soggettivo, cioè il sorgere di una volontà contraria ad avere il possesso della cosa, nonostante che per avventura si continui a detenerla: si è soliti invece dire che vale il principio contrario riguardo all'elemento oggettivo, non potendo il possessore fare continuamente atti di possesso. E si adducono, come applicazioni del principio, la conservazione del possesso dei pascoli estivi ed invernali durante le stagioni in cui ii pascolo non pile o non suole esercitarsi; il possesso della casa di citta e rispettivamente di campagna nelle corrispondenti stagioni e via dicendo.

L'affermazione si fonda però su una inesatta valutazione dell'esigenza del potere sulla cosa e su una inesatta configurazione di esso.

Si è visto come questo, al pari dell'elemento intenzionale, debba intendersi non già in senso materiale, ma con riferimento alla concezione economico-sociale, e si è del pari visto come ciò significhi che se un determinato comportamento rispetto alla cosa, pur senza implicare continuo esercizio di una potestà su di essa, corrisponda tuttavia al comportamento del proprietario o del titolare di altro diritto reale, chi tiene tale comportamento sia da considerare possessore a titolo di proprietà dell'altro diritto. Orbene, nei casi sopra riferiti, non è che il possesso del pascolo o della casa di città o di campagna si conservi solo animo, ma tale possesso si conserva poiché, oltre all'animus, sussiste nel possessore in ordine al pascolo od alla casa quella stessa estrinsecazione del potere di fatto con riferimento ad essi, la quale verrebbe posta in essere dal proprietario o dal titolare dell'altro diritto.


Possesso di cosa e possesso di un diritto

La dottrina è solita contrapporre il possesso di cosa al possesso di un diritto, intendendo per possesso di cosa l'esercizio di fatto corrispondente al diritto di proprietà o di superficie, provenga esso esercizio dal proprietario o da un terzo non proprietario; e per possesso di un diritto l'esercizio di fatto, corrispondente ad uno dei diritti reali di godimento (o di pegno) su cosa altrui, provenga esso esercizio dal titolare del diritto frazionario o da chi non ne è il titolare.

Tuttavia questa è una contrapposizione priva di base dal punto di vista della costruzione dogmatica e fondata su una terminologia imprecisa. Del resto, è stata abbandonata dal nuovo codice, che, pur menzionando separatamente l’ attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, e l'attività corrispondente all'esercizio di altro diritto reale, sottopone entrambe alla stessa disciplina ed anzi parla unicamente di possesso di cosa, intendendo per esso tanto il possesso a titolo di proprietà come il possesso a titolo di altro diritto.

L'una e l'altra espressione pertanto valgono ad indicare, sia pure sotto un diverso punto di vista, tanto il possesso della cosa a titolo di proprietà (o possesso della proprietà) quanto il possesso della cosa a titolo di ius in re aliena (o possesso del ius in re aliena).


Cose che possono essere efficacemente oggetto di possesso

Ciò posto, quali cose possono essere efficacemente oggetto di possesso ? Dall' art. 1044 del c.c. si argomenta a contrario che tutte le cose, le quali non siano fuori commercio, sono suscettibili di possesso senza limitazione: e così può aversi possesso di beni materiali ed immateriali, di cose singole o di universalità (di fatto od anche di diritto ove questa consti di elementi, che, considerati isolatamente, siano tutti suscettibili di possesso).

Non sono naturalmente suscettibili di possesso autonomo le parti non staccate di cose composte.

Quid per il sottosuolo e lo spazio aereo? Sono essi capaci di possesso separatamente dal suolo? La soluzione della questione dipende naturalmente dalla risposta che si dà a quella sull'ammissibilità o meno di una proprietà distinta su tali beni. Qualora si ritenga che per il nuovo codice la proprietà fondiaria sia costituita dal suolo e, per estensione ed entro i limiti della sua possibile utilizzazione, dal sottosuolo col diritto, secondo il criterio dell'interesse, alla utilizzazione dello spazio aereo, il quale è concepito quale unità negativa, non quale res, si dovrà pure ritenere che, mentre lo spazio aereo non è suscettibile di possesso, sul sottosuolo, in quanto estensione del suolo, possano esercitarsi soltanto iura in re aliena, e quindi sia ipotizzabile un possesso a tale titolo, non invece un possesso a titolo di proprietà separata.


Diritti capaci di possesso

Quali sono i diritti capaci di possesso? In altre parole, a quale titolo la cosa può essere posseduta ?

La locuzione quanto mai generica dell'art. 685 codice del 1865, che contrapponeva al possesso a titolo di proprietà, configurato come « detenzione » della cosa, il « godimento di un diritto », ha fornito lo spunto per la proposizione di una dottrina, secondo la quale di ogni diritto sarebbe ipotizzabile un possesso, e perciò, oltre che di un diritto reale vi sarebbe possesso di un diritto di credito, di un diritto personale, ecc.

La dottrina di gran lunga dominante è pero sempre stata nel senso che non solo l'esercizio di fatto di questi ultimi diritti non possa qualificarsi possesso in senso tecnico, ma che non sia nemmeno ammissibile un vero possesso dei diritti reali di garanzia; secondo altri, invece, entrambi questi diritti, o, quanto meno, il pegno, sarebbero capaci di possesso. possesso sia dell'uno che dell'altro diritto. L'art. 1140 fa senz'altro giustizia della prima dottrina, limitando espressamente l'ipotizzabilità del possesso al campo dei diritti reali.

Che dire in ordine al pegno e all' ipoteca ? Appare preferibile la tesi che ammette l’ ammissibilità di un possesso sia dell'uno che dell'altro diritto: ciò sia in relazione alle espressioni usate dalla legge, sia perché gli argomenti di carattere generale, ai quali si raccomanda la contraria tesi, sono in realtà privi di fondamento.

Quanto al primo punto è infatti da rilevare che, mentre l' art. 1153 del c.c. prende in considerazione un'ipotesi di possesso del diritto di pegno e non consente quindi più alcun dubbio in proposito, l’art. 1140 parla in termini affatto generali di possesso della « proprietà o di altro diritto reale ». L'uso di questa espressione, già eloquente in se stesso, è poi tanto più significativo qualora si abbiano presenti le espressioni usate nelle norme, la cui applicabilità ilo legislatore ha inteso limitare ai soli diritti reali di godimento. Si tenga a mente, per rimanere nella sedes materiae, l'esplicita limitazione che gli articoli relativi all'usucapione (art. 1158, 1159, 1160, 1161) fanno alla « proprietà od altri diritti reali di godimento ». L'essere state queste norme redatte in tali termini, mentre dimostra che, quando il legislatore ha inteso riferirsi ai soli diritti di godimento lo ha dichiarato expressis verbis, non può fare a meno di confermare la più ampia portata della formula usata nell’art. 1141: se infatti così non fosse, non vi sarebbe stata alcuna ragione per sottolineare la limitazione a proposito dell'usucapione.


Esame e critica degli argomenti di carattere generale addotti in senso contrario

Passiamo ad esaminare le varie obiezioni di carattere generale addotte dalla dottrina dominante. Si dice, in primo luogo, che i diritti di garanzia non sarebbero capaci di possesso perché non suscettibili di un esercizio continuato e durevole, dal momento che l'esercizio rivolto a ciò che costituisce il fine di tali diritti (la vendita della res obnoxia per soddisfarsi col ricavato) ne produce l'estinzione.

L'affermazione parte da una configurazione unilaterale di tali diritti, da quella stessa configurazione che ha indotto alcuni scrittori a negare la realità dei diritti di garanzia ed a configurarli come modalità dell'azione esecutiva. Senza indugiare sul punto, che esorbiterebbe dai limiti della presente trattazione, basti qui rilevare, da un lato che il potere di far vendere la cosa non spetta soltanto al titolare di un diritto di garanzia ma a qualunque creditore, dall'altro che, prima della fase che potremmo chiamare dinamica o di realizzazione della garanzia, c’è una fase statica, che ne è la preparazione e nella quale il diritto di garanzia vive ed è causa di limitazioni alla libertà di comportamento del proprietario della cosa e dei terzi. Si adducono ancora, da un lato il fatto che il diritto di garanzia non implica la facoltà di usare della, cosa, dall'altro la scarsa riconoscibilità degli atti di esercizio di un diritto di garanzia.

Quanto al primo punto, è da tenere presente che uso della cosa non è se non una delle tante forme di esplicazione del potere di fatto su di essa e che il possesso di un diritto di garanzia non può evidentemente atteggiarsi alla stessa guisa del possesso di un diritto di godimento. Quanto alla seconda obiezione, ad essa è stato giustamente risposto in primo luogo che non è vero che l'esercizio del pegno o dell'ipoteca non abbia manifestazioni esteriori, ed inoltre che vi sono dei diritti il cui esercizio e ancora meno appariscente e di cui tuttavia la legge riconosce il possesso.1

Nè ha maggior valore l'argomento che si vuol trarre dalla accessorietà dei diritti di garanzia. L'accessorietà infatti implica bensì tra accessorio e principale un rapporto di dipendenza in ordine alla funzione ed allo scopo, ma non influisce sulla natura giuridica dell'accessorio, non è di ostacolo a che questo abbia vita e disciplina affatto autonoma, e tanto meno poi potrebbe influire su un rapporto di mero fatto quale è il possesso.

Vero è che la vita del diritto di garanzia è in tale rapporto di dipendenza con quella del credito, che, estinto il secondo, viene meno anche il primo: da questo non può tuttavia trarsi alcuna obiezione contro l’ ammissibilità di un possesso del diritto di garanzia, dal momento che ogni possesso si modella sul diritto cui corrisponde.

Non meno inesatta è infine l'affermazione della incompatibilità pratica dell'istituto del possesso con i diritti di garanzia. In primo luogo, il fatto che alcuni effetti del possesso non possano applicarsi in questa materia non è di per se sufficiente a far escludere la possibilità di un possesso. È poi lo stesso punto di partenza del ragionamento, che non corrisponde a realità. Secondo parte della dottrina, considerati in se stessi e indipendentemente dal diritto di credito del quale costituiscono l'accessorio, i diritti di garanzia non avrebbero ragion d'essere. « Lo scopo loro — dice il Venzi — è quello di attribuire al creditore la facoltà di realizzare le sue ragioni sul prezzo della cosa: ora è evidente che la manutenzione e la reintegrazione nel possesso di questa facoltà, senza la possibilità di tradurla in atto sarebbe completamente inutile ».

A tale osservazione è stato però giustamente risposto in primo luogo che altro è lo scopo ed altro il contenuto di un diritto inoltre che non si vede davvero in che cosa, in ordine al pegno o all'ipoteca, la manutenzione o reintegrazione del possesso abbiano un risultato meno utile che non in ordine ai diritti di godimento. Si è anche osservato che la reintegrazione nel possesso di un diritto di godimento non assicura l'esercizio di tale diritto contro l'azione petitoria, perché mai ciò allora si dovrebbe pretendere con riferimento ai diritti di garanzia ?


Caratteristiche del possesso dei diritti di garanzia

Non c’è quindi alcuna ragione per negare che i diritti reali di garanzia siano suscettibili di possesso. Certo in questo possesso non si riscontrano tutti i caratteri del possesso dei diritti di godimento, ma ciò è da porre in relazione all’ innegabile differenza strutturale dei diritti appartenenti all'una ed all'altra categoria, differenza che non può evidentemente fare a meno di riflettersi in materia possessoria, essendo il possesso l'immagine in fatto del diritto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

533 Il codice del 1865, pur regolando il possesso sotto un titolo autonomo (a differenza del codice napoleonico, che del possesso trattava incidentalmente in tema di prescrizione), non conteneva un sistema organico di norme, ma dettava soltanto poche disposizioni frammentarie. L'istituto riceve nel nuovo codice una disciplina unitaria armonica, la quale si avvantaggia della ricca elaborazione scientifica della materia, per tanti aspetti ardua e delicata. L'impostazione fondamentale della nuova disciplina è data dalla determinazione legale del concetto di possesso e dall'abbandono di vecchie partizioni, come quella connessa con la categoria, tanto discussa e discutibile, del possesso così detto legittimo. Ponendo nettamente la distinzione tra possesso e detenzione, riceve il dovuto rilievo nella nozione del possesso (art. 1140 del c.c.) l'elemento psicologico, che il codice del 1865 accentuava particolarmente in tema di possesso legittimo. La detenzione si eleva al grado di possesso quando al potere di fatto si accompagna l'intenzione di esercitare sulla cosa il diritto di proprietà o un diritto reale minore. Per vero, allo stesso sistema così detto soggettivo o della volontà era ispirato il progetto della Commissione Reale, che definiva il possesso (art. 522) "il potere di fatto che alcuno ha sopra una cosa, con la volontà di avere per sè tale potere in modo corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale". Questa formulazione però non poneva forse sufficientemente in evidenza che l'elemento volitivo in tanto diviene rilevante per l'ordinamento giuridico in quanto si concreta e si manifesta in un comportamento esterno del possessore, il quale appunto vale a differenziare le varie specie di possesso (il possesso come proprietarie (dal possesso come usufruttuario, enfiteuta, ecc.). La nuova formula "il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale" pone invece nel necessario rilievo l'elemento subiettivo e l'elemento obiettivo del possesso. Il primo è, costituito dall'intenzione di esercitare un diritto reale sulla cosa; il secondo dalla forma con cui, attuandosi il potere sulla cosa, l'intenzione si rende esternamente palese. Aggiunge il secondo comma dell'art. 1140 che si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona; ed è chiaro che quest'ultima, in quanto riconosce in altri il possesso della cosa su cui esercita il potere, è semplice detentore, se anche tale potere si atteggi esteriormente come esercizio di facoltà che costituiscono il contenuto di un diritto reale.

Massime relative all'art. 1140 Codice Civile

Cass. civ. n. 29594/2021

In un contratto ad effetti obbligatori, la "traditio" del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l'insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una "interversio possessionis", mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso "uti dominus", atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile "ad usucapionem", previsto dall'art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ravvisando l'esistenza di un contratto di comodato, aveva escluso che l'utilizzo esclusivo del bene ed il compimento di atti di amministrazione, per la conservazione ed il miglioramento delle sue condizioni, integrasse un atto di interversione del possesso nei confronti del proprietario, e successivamente dei suoi eredi, idoneo al mutamento del titolo). (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 18/05/2016).

Cass. civ. n. 13153/2021

Per escludere la sussistenza del possesso utile all'usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l'altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l'"animus possidendi" non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 24/04/2019).

Cass. civ. n. 26521/2020

Qualora un contratto di enfiteusi stipulato in luogo di un precedente affitto agrario sia affetto da nullità, nondimeno può valere a fondare il possesso utile per l'usucapione del bene, ogni qualvolta il rapporto instauratosi da lì in avanti tra l'"accipiens" e la "res tradita" sia sorretto dall'"animus rem sibi habendi", ossia dalla riferibilità del potere di fatto esercitato sul fondo alla pretesa titolarità di un diritto reale, anziché ai diritti derivanti da un mero rapporto obbligatorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d'appello, che aveva trascurato di valutare che il contratto di enfiteusi concluso fra le parti, ancorché invalido ed inidoneo a produrre effetti giuridici, era suscettibile di valere quale prova della mutata volontà del soggetto nella disponibilità del fondo di possederlo, non più come semplice affittuario, ma come enfiteuta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 13/06/2018).

Cass. civ. n. 23850/2018

Il decreto di espropriazione è idoneo a fare acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa incompatibile e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino a svolgere sulla cosa attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, la notifica del detto decreto comporta la perdita dell'"animus possidendi", con la conseguenza che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso "ad usucapionem", è necessario un atto di "interversio possessionis". (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/02/2013).

Cass. civ. n. 14272/2017

Per stabilire se, in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile, si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine accertare se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'"animus possidendi" nell'indicato soggetto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 16/04/2015).

Cass. civ. n. 24637/2016

In un contratto ad effetti obbligatori, la “traditio” del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l’insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una “interversio possessionis”, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso “uti dominus”, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile “ad usucapionem”, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto

Cass. civ. n. 4945/2016

La relazione di fatto esistente tra la "res" e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di contratto di vendita concluso con il "falsus procurator" è configurabile in termini di possesso e non di detenzione qualificata come per la promessa di vendita produttiva solo di effetti obbligatori, giacché in tal caso il negozio, benché inefficace, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene ed è, pertanto, idoneo a far ritenere sussistente, in capo all'"accipiens", l'"animus rem sibi habendi" ai fini dell'usucapione ordinaria, ma non anche per l'usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., che è possibile solo se l'inidoneità del titolo derivi dall'avere alienante disposto di un immobile altrui e non anche dalla sua invalidità od inefficacia.

Cass. civ. n. 1723/2016

Il possesso (o la detenzione) può essere conservato "solo animo", purché il possessore (o il detentore) sia in grado di ripristinare "ad libitum" il contatto materiale con la cosa, sicché, ove tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l'elemento intenzionale non è, da solo, sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità della cosa.

Cass. civ. n. 3026/2015

Quando la controversia sul possesso riguardi zone prediali non recintate, soggette al potere promiscuo dei confinanti, l'esercizio del possesso sul piano quantitativo non può essere desunto dalle mappe catastali identificative delle rispettive proprietà, ma deve basarsi su dati circostanziati di carattere storico, poiché in tali casi il possesso deve necessariamente estrinsecarsi in un'attività concreta, idonea ad includere la parte del bene controversa nell'ambito del potere di uno solo dei contendenti.

Cass. civ. n. 1584/2015

È possibile la coesistenza simultanea sulla medesima cosa di una pluralità di situazioni possessorie, di diverso contenuto, in capo a diversi soggetti, che si concretizzino, per ognuno di essi, in attività corrispondenti all'esercizio di differenti diritti reali, sicché l'accertamento dell'esistenza di un possesso conforme all'esercizio di una servitù di passaggio, non esclude che altri esercitino, sul medesimo bene, un possesso corrispondente alla estrinsecazione dei poteri propri del proprietario di un bene, ancorché gravato di servitù.

Cass. civ. n. 9671/2014

L'"animus possidendi", necessario all'acquisto della proprietà per usucapione, non consiste nella convinzione di essere proprietario, ma nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile all'usucapione. Ne consegue che la consapevolezza di possedere senza titolo e l'attività negoziale (nella specie, proposta di acquisto) diretta a ottenere il trasferimento della proprietà non escludono che il possesso sia utile all'usucapione.

Cass. civ. n. 6742/2014

Il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la proprietà piena del bene, e ad escludere qualsiasi situazione, di diritto o di fatto con essa incompatibile, e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continui ad esercitare sulla cosa attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, la notifica del decreto ne comporta la perdita dell'"animus possidendi", conseguendone che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad "usucapionem", è necessario un atto di "interversio possessionis".

Cass. civ. n. 26641/2013

Per escludere la sussistenza del possesso utile all'usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l'altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l'"animus possidendi" non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà.

Cass. civ. n. 13700/2011

In tema di servitù discontinue, l'esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l'"animus derelinquendi", la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per la utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore.

Cass. civ. n. 181/2011

La circostanza che l'accesso ad un immobile (nella specie, un vano ammezzato) sia particolarmente disagevole (nella specie, possibile solo mediante arrampicamento su una scala a pioli) non vale di per sé ad escluderne il possesso, potendo al più costituire un indizio dal quale desumere l'insussistenza dell'esercizio di esso.

Cass. civ. n. 14092/2010

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell'"animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'"animus possidendi" nell'indicato soggetto. Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell"animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un, contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l"'animus possidendi" nell'indicato soggetto.

Cass. civ. n. 13669/2007

Il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la proprietà piena del bene, e ad escludere qualsiasi situazione, di diritto o di fatto con essa incompatibile, e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continui ad esercitare sulla cosa attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, la notifica del decreto ne comporta la perdita dell'animus possidendi conseguendone che ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem è necessario un atto di interversio possessionis.

Cass. civ. n. 4444/2007

Ai fini dell'usucapione del diritto di proprietà di beni immobili, l'elemento psicologico, consistente nella volontà del possessore di comportarsi e farsi considerare come proprietario del bene, può essere desunto dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione del possessore con il bene stesso. In questo contesto va esclusa la sussistenza dell'elemento psicologico, richiesto ai fini dell'usucapione, qualora sia dimostrato che il possessore aveva la consapevolezza di non potere assumere iniziative sulla conservazione e disposizione del bene e qualora l'intestatario del bene non ha dismesso l'esercizio del suo diritto di proprietà ma abbia invece continuato ad assumersene i relativi diritti e facoltà e i corrispettivi obblighi ed oneri. (Fattispecie in cui i possessori interpellati dal tecnico comunale per il permesso all'interramento nel fondo dell'acquedotto comunale avevano invitato quest'ultimo a rivolgersi all'intestatario del bene).

Cass. civ. n. 9226/2005

In tema di conservazione del possesso o della detenzione solo animo è necessario che il possessore (o il detentore ) abbia la possibilità di ripristinare il contatto materiale con la cosa quando lo voglia, con la conseguenza che qualora tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da un'obiettiva situazione dei luoghi, il solo elemento intenzionale non è sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione ), che si perde nel momento in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità del bene. (Nella specie, l'affittuario di un'azienda alberghiera aveva agito lamentando di esserne stato spogliato dal concedente, al quale aveva conferito il mandato per la gestione della relativa impresa ; la domanda di reintegra era stata accolta sul rilievo che il ricorrente, continuando a detenere solo animo l'azienda mediante la detenzione o sub detenzione esercitata nell'interesse suo dal mandatario, ne aveva conservato l'effettiva disponibilità, essendo in grado di ripristinare in ogni momento il potere di fatto sulla cosa ).

Cass. civ. n. 3076/2005

In tema di servitù discontinue, l'esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l'animus dereliquendi la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per la utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore. (Nella specie è stato ritenuta l'esistenza del possesso della servitù di passaggio anche se il viottolo di accesso al fondo dominante non era utilizzato nei periodi in cui le condizioni atmosferiche impedivano di praticare il passaggio).

Cass. civ. n. 24033/2004

L'elemento psicologico del possesso ad usucapionem delle servitù di veduta e di stillicidio, consistente nella volontà del possessore di comportarsi come titolare del relativo diritto reale, va desunto dalle concrete circostanze nelle quali il possesso si è estrinsecato, cioè da una serie di elementi caratterizzati da precise esplicazioni materiali sul bene, suscettibili, per loro natura, di conoscenza e controllo, e non anche da comportamenti estranei ai rapporti diretti tra possessore e bene (nel caso, impostazione della difesa in giudizio; richiesta di autorizzazione all'esecuzione di opere di ristrutturazione oggetto di successiva rinunzia.

Cass. civ. n. 22776/2004

Per acquistare il possesso è sufficiente la capacità d'intendere e di volere (capacità naturale) della quale può essere dotato in concreto anche il minore di età. L'accertamento dell'esistenza di tale stato soggettivo è demandato al giudice di merito, al cui potere discrezionale è rimessa la determinazione dei relativi criteri.

Cass. civ. n. 6331/2003

L'alienazione della proprietà di una cosa non comporta, ipso facto che l'alienante, nel trattenerla presso di sè, realizzi automaticamente la trasformazione del possesso nomine proprio in mera detenzione per conto dell'acquirente, dovendosi, per converso, accertare, caso per caso, in base al comportamento delle due parti contraenti rispetto al bene alienato, se la prosecuzione, da parte del venditore, dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa invece qualificabile (ancora) in termini di possesso, in quanto caratterizzata dall'intenzione di tenere la cosa presso di sé (ancora) come proprietario. (Nella specie, la corte di merito, con sentenza confermata dalla S.C., aveva evidenziato come l'atto pubblico di trasferimento di alcuni beni rurali contenesse la precisazione che, all'acquirente, era stato trasferito il possesso dei beni medesimi e che, pur avendo l'alienante continuato a detenere gli immobili dopo la vendita, i più importanti atti ad essi relativi — e cioè quelli di disposizione, o quelli comunque spettanti al proprietario — erano sempre stati compiuti dall'acquirente, sì che la prova dell'esistenza di un legittimo constitutum possessorium, gravante integralmente sugli alienati pretesi possessori, doveva dirsi fallita).

Cass. civ. n. 10230/2002

L'animus possidendi, necessario all'acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione. Di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo, ed il compimento di attività negoziali o di altra natura, finalizzate a ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto o la stabilità sul piano formale della situazione giuridica rispetto ad esso non esclude che il possesso sia utile ai fini dell'usucapione.

Cass. civ. n. 8737/2001

Ai fini dell'acquisto per usucapione di un diritto di servitù, l'elemento oggettivo del possesso protratto per l'arco temporale richiesto dalla legge viene integrato dalla semplice utilizzazione di fatto, da parte dei proprietario di un fondo, di un contiguo immobile altrui, a vantaggio del proprio, senza che assuma rilievo ostativo la circostanza che la medesima attività venga svolta anche da terzi estranei, salvo che questa dia luogo ad una interruzione naturale del possesso, impedendone l'esercizio. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio enunciato nella massima, ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano accolto la domanda dei condomini di un edificio di essere dichiarati titolari di un diritto di servitù, acquistato per usucapione, avente quale contenuto la facoltà di parcheggiare i propri autoveicoli in un adiacente terreno di proprietà di altro soggetto, utilizzato «abusivamente» allo stesso scopo anche da terzi estranei al condominio, che, peraltro, aveva sempre cercato di impedire tale utilizzazione da parte di costoro transennando l'area in questione in modo sempre più efficace).

Cass. civ. n. 8047/2001

Il solo fatto della convivenza, anche se determinata da rapporti intimi, non pone di per sé in essere nelle persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso autonomo sullo stesso bene o come una sorta di compossesso (nella specie, la S.C., sulla base dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso con il quale si pretendeva di rivendicare il possesso di alcuni oggetti sul presupposto che i beni che si trovavano nella casa di abitazione nella quale convivevano la ricorrente ed il proprietario appartengono pro quota alle persone ivi conviventi).

Cass. civ. n. 5293/2000

In tema di possesso ad usucapionem, tanto il trasferimento volontario quanto quello coattivo di un bene non integrano necessariamente, di per sé, gli estremi del constitutum possessorium, poiché — con particolare riguardo ai trasferimenti coattivi conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità — il diritto di proprietà è trasferito contro la volontà dell'espropriato-possessore, e nessun accordo interviene fra questi e l'espropriante, né in relazione alla proprietà, né in relazione al possesso. Ne consegue che il provvedimento ablativo non determina, ex se, un mutamento dell'animus rem sibi hebendi in animus detinendi in capo al proprietario espropriato, il quale, pertanto, può del tutto legittimamente invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore dell'usucapione (a ciò non ostando, tra l'altro, il disposto degli artt. 52 e 63 della legge 2359/1865) tutte le volte in cui (come nella specie) alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti né l'immissione in possesso, né l'attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell'espropriante, del tutto irrilevante appalesandosi, ai fini de quibus, l'acquisita consapevolezza dell'esistenza dell'altrui diritto dominicale.

Cass. civ. n. 3906/2000

Il passaggio pedonale e il passaggio carrabile costituiscono servitù distinte e autonome, sicché dall'esistenza della prima non può desumersi l'esistenza della seconda, né il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitù di passaggio anche con carri.

Cass. civ. n. 1253/2000

È possibile conservare il possesso mediante il solo animus possidendi e, quindi, prescindendo dal concreto esercizio del corpus, quando il possessore, che abbia cominciato a possedere animo et corpore, pur conservando la disponibilità materiale e, quindi, la possibilità di godere di fatto della res, in concreto se ne astenga per ragioni che non dipendono dal mutato stato dei luoghi o dall'eventuale acquisto del possesso da parte di terzi, sicché egli abbia in ogni tempo la possibilità di ripristinare il corpus, senza far ricorso ad azioni violente o clandestine.

Cass. civ. n. 8799/1999

Atti di saltuaria utilizzazione di un bene non valgono di per sé ad integrare gli estremi del possesso, poiché un soggetto può essere considerato possessore o compossessore di una cosa solo quando abbia in concreto la possibilità di disporre materialmente di essa senza che altri soggetti abbiano di fatto odi diritto il potere di escluderlo e d'altra parte la disposizione materiale della cosa non rileva ai fini in esame se non corrisponde all'attività del proprietario o del titolare di un diritto reale. (Fattispecie relativa ad azione possessoria esperita a seguito della recinzione di un'area utilizzata saltuariamente dal proprietario di un'abitazione confinante).

Cass. civ. n. 4702/1999

In tema di «possesso», l'animus possidendi — da presumersi iuris tantum in presenza del corpus possessionis — consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come a sé spettante, indipendentemente dalla conoscenza che si abbia del diritto altrui e del regime giuridico del bene su cui si esercita il potere di fatto. Da ciò discende, ai fini dell'usucapione, l'assoluta irrilevanza — una volta accertati l'appartenenza del fondo a privati e il possesso corpore et animo — del fatto per cui, in concreto, il «possessore» possa aver erroneamente ritenuto di proprietà demaniale il bene, e conseguentemente di non poterlo usucapire.

Cass. civ. n. 8823/1998

Ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non è necessario consista nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, bensì che tale potere venga esercitato come se si fosse titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece questo appartiene ad altri.

Cass. civ. n. 4908/1998

Nel contratto d'appalto il committente non perde il possesso del bene, ma continua ad esercitarlo tramite l'appaltatore ancorché questi sia un detentore autonomo, legittimato ex art. 1168 c.c. all'azione di reintegrazione contro il terzo autore dello spoglio.

Cass. civ. n. 6260/1997

Quando si manifesta in una attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà sulla cosa unitariamente considerata, il possesso si estende all'intero bene ed in tal modo si conserva anche se si esprime in forme di godimento limitate solo ad una sua parte. Ne consegue che perché si riconosca l'esercizio del possesso sull'intero fondo non è necessario che il soggetto compia atti di potere su ogni singola zona di terreno essendo sufficiente che mantenga come propria la cosa nella sua individualità.

Cass. civ. n. 5964/1996

L'elemento psicologico del possesso utile per l'usucapione ordinaria della proprietà di un immobile consiste nella intenzione del possessore di comportarsi come proprietario del bene, e prescinde dallo stato soggettivo di buona fede, che non è richiesto dall'art. 1158 c.c. Pertanto quel che rileva ai fini dell'usucapione non è la convinzione di esercitare un proprio diritto o l'ignoranza di ledere un diritto altrui, bensì la volontà di disporre del bene come se fosse proprio.

Cass. civ. n. 4360/1995

La conservazione del possesso acquisito animo et corpore non richiede l'esplicazione di continui e concreti atti di godimento ed esercizio del possesso, essendo sufficiente che il bene posseduto, in relazione alla sua natura e destinazione economico-sociale possa ritenersi nella virtuale disponibilità dei possessore nel senso che questi possa quando lo voglia ripristinare il rapporto materiale con lo stesso. Ne consegue che, permanendo l'animus, il possesso perdura finché persista la possibilità di ripristino del corpus, la quale viene meno sia quando altri si impossessi del bene esercitando sullo stesso un potere di fatto corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale sia quando, in relazione alla natura del bene, l'animus dereliquendi sia inequivocabilmente manifestato. (Nella specie la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto inidonei a configurare acquisizione del possesso il passaggio su di un terreno per accedere alla propria abitazione e la sua utilizzazione quale spazio di manovra per la propria autovettura ed aveva escluso che la mancata utilizzazione della stessa area da parte del possessore costituisse segno chiaro ed univoco del suo animus derelinquendi).

Cass. civ. n. 1428/1994

Con riguardo al possesso di una servitù discontinua, la sporadicità del relativo esercizio è indissolubilmente connessa alla natura stessa delle servita appartenenti a tale categoria; tuttavia perché possa ritenersi che un soggetto ne sia in possesso, occorre che l'attività umana esplicata per la sua utilizzazione sia ripetuta con una frequenza corrispondente al concreto interesse del fondo dominante ed al contenuto stesso della utilità perseguita, sì da evidenziare sia l'aspetto materiale dell'esercizio, sia l'intenzione dell'utente di realizzarlo come se esso corrispondesse ad un diritto. (Nella specie in applicazione di detto principio la C.S. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il possesso da parte dell'istante della servitù di passaggio anche con mezzi meccanici in base al rilievo che il transito con i mezzi meccanici era avvenuto pochissime volte, in episodi verificatisi a lunghissimi intervalli di tempo).

Cass. civ. n. 12621/1993

Nel negozio traslativo della proprietà o di altro diritto reale non è ravvisabile un costituto possessorio implicito, nel senso che al trasferimento del diritto a favore dell'acquirente segua immediatamente il possesso della cosa, perché tale trasferimento costituisce, ai sensi dell'art. 1476 c.c., l'oggetto di una specifica obbligazione del venditore per il cui adempimento non sono previste forme tipiche. Pertanto, nel caso in cui si protragga il godimento della cosa da parte dell'alienante, occorre indagare caso per caso, secondo il comportamento delle parti e alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione da parte dell'alienante dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall'animus rem sibi habendi, ovvero configuri una detenzione nomine alieno.

Cass. civ. n. 10642/1993

Nel caso di perdita del rapporto materiale con la cosa, il possesso (o la detenzione) possono anche essere conservati solo animo purché il possessore abbia la possibilità di ripristinare, ad libitum il contatto materiale con la cosa, con la conseguenza che quando questa possibilità sia di fatto preclusa da altri, il solo elemento intenzionale non è sufficiente alla conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità della cosa.

Cass. civ. n. 10615/1993

La convenzione con la quale le parti, riconoscendo di avere stipulato una vendita dissimulante un patto commissorio, si accordino per lasciare la proprietà e l'utilizzazione del bene al venditore e per attribuire all'acquirente il potere di compiere alcuni atti di gestione per mandato dell'effettivo proprietario concreta un contratto privo di effetti reali e come tale inidoneo a determinare nell'apparente acquirente l'animus possidendi.

Cass. civ. n. 4380/1993

Nell'ipotesi di occupazione preordinata alla futura espropriazione, lo spossessamento — che, nell'ipotesi in cui la P.A. agisca in carenza di potere integra uno spoglio perseguibile con l'apposita azione davanti al giudice ordinario — deve ritenersi realizzato in conseguenza del cosiddetto dimensionamento, cioè dell'individuazione dell'area mediante infissione di picchetti, e nell'affermazione degli incaricati dell'operazione che da quel momento l'area si intende trasferita all'occupante, costituendosi, per effetto di tali comportamenti, una impossibilità giuridica dell'ulteriore godimento del bene, rispetto alla quale la prosecuzione di fatto del godimento stesso, compiuta senza opposizione dell'occupante, non integra gli estremi del possesso.

Cass. civ. n. 2260/1993

Ai fini del mantenimento del potere di fatto, non occorre da parte del possessore l'esplicazione di continui e concreti atti di fruizione e di possesso sulla cosa, ma è sufficiente che questa, anche in relazione alla sua destinazione, possa continuare a considerarsi rimasta nella sua virtuale disponibilità, salvo che non risulti esteriorizzato, attraverso chiari ed inequivoci segni, l'animus derelinquendi.

Cass. civ. n. 4760/1991

Il possesso di una servitù di veduta presuppone soltanto il possesso delle opere necessarie al suo esercizio, indipendentemente dal fatto che il possessore in concreto eserciti la veduta cioè si avvalga dell'opera per inspicere e prospicere in alienum.

Cass. civ. n. 3716/1990

L'animus possidendi, necessario ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non può ritenersi escluso a motivo del promovimento dell'azione costitutiva volta ad ottenere, per il tramite della sentenza ex art. 2932 c.c., il trasferimento della proprietà del bene posseduto, trattandosi della mera utilizzazione di uno strumento processuale nella prospettiva di conferire stabilità sul piano formale alla situazione giuridica rispetto al bene, né per la richiesta avanzata in giudizio, subordinatamente alla domanda principale di acquisto della proprietà per usucapione, di pagamento delle accessioni, trattandosi di istanza preordinata a finalità meramente tuzioristica.

Cass. civ. n. 3344/1989

Non si ha possesso della servitù di passaggio — utile ai fini dell'usucapione — in caso di attraversamenti sporadici o saltuari del fondo altrui, allorquando la intermittenza o periodicità degli stessi non sia collegata a ricorrenti esigenze del fondo dominante.

Cass. civ. n. 4698/1987

Ad integrare il possesso ad usucapionem di una servitù prediale è necessario che, con l'esercizio continuo ed ininterrotto di una attività a vantaggio di un fondo e a carico di un altro, si accompagni anche l'intento di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale a cui corrisponde la concreta attuazione del potere di fatto. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha escluso potersi ravvisare esercizio di fatto della servitù di tenere costruzioni a distanza inferiore a quella legale rispetto al fondo vicino, nell'avere il locatario di un cortile eseguito illegittimamente nello stesso dette costruzioni, senza che fosse dimostrato che il locatore, dante causa di chi pretendeva di unire tale possesso al proprio ai fini dell'usucapione della servitù, avesse acconsentito alla nuova destinazione del cortile e l'avesse accettata, comportandosi di conseguenza con l'animus rem sibi habendi).

Cass. civ. n. 3864/1986

L'elemento psicologico del possesso ad usucapionem della servitù di passaggio, consistente nella volontà del possessore di comportarsi come titolare del relativo diritto reale, va desunto dalle concrete circostanze nelle quali il possesso si è estrinsecato, quali l'abitualità del transito, con inizio nel preteso fondo dominante ed esercizio attraverso il preteso fondo servente, nonché il conseguimento di una obiettiva utilità per il primo a danno del secondo, cioè da una serie di elementi, caratterizzati da precise esplicazioni materiali e così suscettibili di controllo.

Cass. civ. n. 368/1986

La conservazione del possesso (solo animo), nel caso in cui l'utilizzazione della cosa, su cui si esercita il potere di fatto, subisca interruzioni dipendenti dalla natura o dalla destinazione economica della cosa stessa, postula il permanere della possibilità di ripristinare ad libitum il contatto materiale con la cosa. Tale possibilità viene meno allorché altri abbia frattanto instaurato sulla cosa medesima il proprio possesso, sia pure attraverso un autonomo atto di apprensione, vivificato dall'animus e seguito da un esercizio del potere di fatto per un tempo apprezzabile sino al consolidamento della situazione possessoria. In tal caso il possessore privato del possesso, che non possa avvalersi o non si avvalga dell'azione reintegratoria, non può recuperare di sua iniziativa la perduta disponibilità, senza incorrere, sussistendone anche gli altri estremi, in un atto di spoglio.

Cass. civ. n. 2717/1982

Al fine della usucapione, il passaggio, come atto di esercizio di una servitù attiva, deve potere avvenire in qualsiasi momento, indipendentemente dalla collaborazione prestata dal titolare del fondo servente. Ne consegue che deve considerarsi solo occasionale e non idoneo a configurare l'esercizio di una servitù attiva, il passaggio che venga esercitato attraverso il portone d'ingresso di un edificio con la collaborazione dei condomini o del portiere che, di volta in volta, procedano alla rimozione della chiusura del portone stesso legittimamente apposta.

Cass. civ. n. 2277/1982

L'esecuzione di opere, che rendano inagibile il fondo servente, non è di per sé sufficiente ad evidenziare il venir meno del possesso di servitù di passaggio sul fondo medesimo, occorrendo a tal fine accertare, alla stregua dell'obiettiva situazione dei luoghi, nonché dei segni che evidenzino il suddetto asservimento (nella specie, accessi muniti di porte apribili anche dall'esterno), se l'indicata inagibilità sia o meno definitiva, e se non consenta comunque una prosecuzione del transito, sia pure con modalità precarie o di fortuna.

Cass. civ. n. 4987/1977

Il passaggio, come atto di esercizio di una servitù attiva, deve poter avvenire in qualsiasi momento, indipendentemente dalla circostanza che il tempo in cui si presenti il bisogno di passare coincida con il tempo in cui tale passaggio sia possibile, per essere aperto l'accesso del preteso fondo servente. Pertanto, deve considerarsi solo occasionale, e non idoneo a configurare esercizio di una servitù attiva, il passaggio che venga esercitato attraverso il portone di un ingresso di un edificio in coincidenza con l'orario di apertura di un pubblico ufficio e non possa essere esercitato al di fuori di tale orario e neppure quando per una qualsiasi ragione sia chiuso il detto portone.

Cass. civ. n. 306/1975

È giuridicamente configurabile la coesistenza di più situazioni possessorie di diverso contenuto sulla medesima cosa nei confronti di differenti soggetti in corrispondenza delle attività dipendenti dall'esercizio di diritti diversi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1140 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Virginio G. chiede
giovedì 03/10/2019 - Lombardia
“Ho soggiornato 6 giorni in un Hotel 4 Stelle -il mio cane ha danneggiato -mordicchiandoli-2/3 serramenti.
La compagnia assicuratrice nega il pagamento del danno asserendo che sono esclusi i danni a cose" detenute" a qualsiasi titolo.
E' giusto affermare che io detenevo la camera ?”
Consulenza legale i 09/10/2019
Nel quesito viene posta una domanda specifica: ovvero se sia corretto parlare di “detenzione” della camera da parte chi soggiorna in albergo.
Va innanzitutto premesso che, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza (v. Cass. Civ., Sez. VI, 21419/2013), il contratto di albergo è “un contratto atipico o misto, con cui l'albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la fornitura di servizi o il deposito”.
Quindi, rispetto alla camera d’albergo (con i relativi arredi) si configura un rapporto di locazione.

In secondo luogo è necessario precisare cosa si intenda per “detenzione”, a fini civilistici.
Il codice civile non contiene una definizione della detenzione, la cui nozione viene ricavata in contrapposizione a quella di possesso: quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1140 del c.c., è il “potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”. Inoltre, prosegue la norma, “si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
Dunque la detenzione è un potere di fatto sulla cosa, esercitato da chi non intende comportarsi uti dominus, cioè come se fosse proprietario, o titolare di un diritto reale di godimento, sul bene.
Si parla di detenzione qualificata quando il detentore è titolare di un vero e proprio diritto personale di godimento sulla cosa, come avviene, appunto, nel caso della locazione (artt. 1571 e 1575 del c.c.).

Pertanto chi ha in locazione una camera d’albergo ne ha la detenzione, nel senso sopra specificato del termine.
Per stabilire, invece, se sia o meno corretta l’interpretazione delle condizioni contrattuali adottata dalla compagnia assicuratrice, occorrerebbe conoscere queste ultime nel dettaglio.

Di M. Giovanni chiede
lunedì 30/11/2015 - Sicilia
“Alcune particelle di immobili (terreni ed una casa) site nel Comune di P. sono in comproprietà indivise provenienti da eredità delle madri sorelle :
Tizio 50% ( cugino dello scrivente)
Caio 25% ( fratello dello scrivente)
Sempronio (scrivente) 25%.
Mentre solamente altre DUE particelle sono di proprietà intera di Tizio (100%) e tutte sono tra di loro contigue costituendo un unico fondo agricolo con annessa la summenzionata casa che costituisce particella a se stante.
Tizio, che non risiede a P. ma altrove in Italia da diversi anni, ha completamente abbandonato le particelle in comproprietà nonché le due particelle di cui è proprietario unico e sono anni che non viene a Palermo, giammai ha partecipato a spese di conduzione, estraniandosi da tutto, negandosi finanche al telefono; probabilmente avrà pagato l'IMU ex ICI di sua pertinenza sulla casa.
Di fatto il possesso è esercitato per intero dallo scrivente con l'assenso di Caio. Questa situazione dura da anni.( Da valutarsi se sussistano gli estremi dell'usucapione, ma non è questo l'oggetto del quesito). Lo scrivente e Caio hanno ripetutamente scritto raccomandate (otto) in foglio ed in busta a Tizio al suo indirizzo anagrafico, che sono state TUTTE respinte al mittente per compiuta giacenza e quindi conosciute dal destinatario ex art. 1335 C.C.. Nella prima in busta, del Novembre 2014 si comunica la perdita di possesso per Tizio con sostituzione dei serramenti ed altro già perdurante da anni, nella seconda in foglio, si conferma il contenuto della prima, e nella successive in foglio si invita e si diffida Tizio a manifestare interesse per il possesso e compossesso (tutte respinte). Poiché sulla base delle date delle Raccomandate, (particolarmente la prima) si evince che è già trascorso UN ANNO dalla ricezione dell'informativa, si ritiene che Tizio sia o possa essere decaduto, dal diritto dell'azione di reintegro del possesso e compossesso (azione da farsi davanti al Giudice, che ovviamente NON c'è stata, facendo decorrere il perentorio termine).
Quesito:
È possibile adire, per lo scrivente ed eventualmente insieme a Caio o separatamente, il Giudice competente, per avere riconosciuto il diritto all'intero possesso 100%, basandosi sull'eccezione di decadenza, anche se non c'è stata alcuna molestia nel possesso integrale di fatto, da parte di Tizio che ha abbandonato tutto disinteressandosi e mostrando negligenza respingendo le Raccomandate?
Insomma, cosa si può fare per regolarizzare questa situazione di fatto e lasciare ai figli una situazione certa nel possesso e non semplici raccomandate quantunque respinte ?
N.B. Si ripete che tutte le raccomandate sono state respinte.”
Consulenza legale i 07/12/2015
L'art. 1140 del c.c. definisce il possesso come "il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale". Si tratta, quindi, di una situazione di fatto che produce effetti giuridici secondo quanto disposto dalla legge ma che, anticipiamo subito, non è destinata ad avere una "stabilità" pari a quella garantita al diritto di proprietà.

Nello specifico, la legge contempla alcune azioni a difesa del possesso (artt. 1168 e 1170 c.c.), le quali possono essere intraprese solo se sussistono precisi requisiti. Così, l'azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) e quella di manutenzione (art. 1170 c.c.) presuppongono, tra l'altro, l'avvenuto spoglio (i.e.: privazione del possesso). Non è invece possibile "paralizzare" in via anticipata la pretesa possessoria altrui: solo se l'azione venisse intrapresa si potrebbe, verificata la sussistenza dei presupposti, reagire di conseguenza.

A questo fine, possiamo fare alcune brevi considerazioni per chiarire questi concetti e la loro rilevanza rispetto al caso trattato.

In primo luogo, le azioni citate devono essere esperite entro un anno dal sofferto spoglio (se clandestino, da quando viene scoperto) o dalla turbativa. Trattasi di termine di decadenza, che costituisce uno dei presupposti dell'azione: se Tizio agisse con questa azione Sempronio potrebbe contestare l'avvenuta decadenza e sarebbe l'attore a dover provare il rispetto del termine (Cass. 9123/2012).
In secondo luogo, le azioni possessorie possono essere fatte valere solo da chi sia effettivamente possessore, cioè da chi eserciti un possesso (l'azione di reintegrazione può essere esercitata anche dal detentore). Di conseguenza, se Tizio non riveste questa qualifica (come sembra dedursi dal quesito), Sempronio potrà contrastare la sua domanda già opponendo subito che lui non è legittimato ad agire con l'azione, a prescindere dal rispetto del termine di decadenza.

In effetti, in base alla situazione descritta, se Tizio decidesse di agire è probabile che sceglierebbe non un'azione possessoria ma un'azione petitoria, cioè a difesa della sua proprietà, quale l'azione di rivendica ex art. 948 del c.c.. Essa è concessa al proprietario al fine di rivendicare il bene da chi lo possiede o detiene ed è imprescrittibile, proprio perché anche il non utilizzo del proprio bene è una possibile manifestazione del diritto di proprietà che l'ordinamento giuridico ritiene meritevole di tutela.

Questo non significa che Sempronio sia senza difese, infatti potrebbe paralizzare la pretesa di Tizio eccependo l'usucapione del bene, come specifica anche l'art. 948 co. 3 c.c.. Ciò rappresenta anche l'unico modo di "regolarizzare" la situazione di fatto descritta dal quesito, mediante riconoscimento di una situazione non più di fatto ma di diritto (riconoscimento di un acquisito diritto di proprietà sul quel bene).

Affinché l'usucapione di un bene immobile sia possibile sono necessari (art. 1158 del c.c.):

1) un possesso pacifico (non ottenuto con violenza), pubblico, non clandestino (non conseguito di nascosto), cui corrisponda la totale inerzia del proprietario e non la sua mera tolleranza;
2) la continuità del possesso;
3) un possesso non interrotto né da una causa naturale (ad es. abbandono del fondo) né da una causa civile (ad es. domanda giudiziale o riconoscimento del diritto altrui);
4) il decorso del periodo di tempo stabilito dalla legge, cioè 20 anni (oppure 15 se il bene rientra nella previsione di cui all'art. art. 1159 bis del c.c. co. 3 c.c.).

Pertanto, rispetto al bene in comunione, possiamo dire che Sempronio non può usucapire la quota di Caio, visto che questi, dando il suo assenso, si dimostra tollerante riguardo al possesso di Sempronio stesso. Invece, rispetto alla parte indivisa di Tizio, Sempronio dovrebbe dimostrare l'intenzione di possedere non più a titolo di contitolare con Tizio ma di titolare esclusivo (v. Cass. 5416/2011).

Quanto all'usucapione della parte (indivisa e di proprietà esclusiva) di Tizio, inoltre, possiamo osservare, rispetto al quesito posto, che se questi avesse effettivamente pagato le tasse sul fondo, ciò solo potrebbe essere ritenuto sufficiente per impedire che si configuri un possesso utile all'usucapione di Sempronio. Inoltre, una causa interruttiva del possesso potrebbe essere anche il riconoscimento del diritto altrui implicitamente proveniente da una lettera indirizzata al proprietario (o a un terzo) con la quale si esprima inequivocabilmente la volontà di riconoscere il diritto in capo al suo legittimo titolare.

Considerato il quesito posto, possiamo così concludere: se sussistono i requisiti perché maturi l'usucapione, Sempronio potrà scegliere tale soluzione per vedersi riconosciuto un diritto di proprietà anche sui beni di Tizio; dovrà sceglierla se intende adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. Altrimenti, dovrà attendere una eventuale pretesa di Tizio sui beni e reagire ad essa.