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Articolo 1322 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Autonomia contrattuale

Dispositivo dell'art. 1322 Codice Civile

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [41 Cost.](1) e dalle norme corporative(2).

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [1323], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico(3)(4).

Note

(1) Tale comma individua il primo profilo dell'autonomia contrattuale, che attiene al contenuto del contratto, da intendersi come tutte le determinazioni con cui le parti regolano il loro rapporto: ad esempio, la prestazione dovuta dal lavoratore. Questa libertà non è sconfinata ma sconta i limiti imposti dalla legge che sono dati dalle norme imperative, dall'ordine pubblico e dal buon costume (1343 c.c.). Ad esempio, il datore di lavoro deve rispettare le norme che individuano limiti al lavoro minorile e femminile.
(2) Il d.lgs. 23 novembre 1944, n. 369 ha soppresso l'ordinamento corporativo. L'espressione "e dalle norme corporative" deve, dunque, intendersi abrogata.
(3) Il secondo profilo di autonomia delle parti attiene al tipo contrattuale, in quanto i contraenti non sono tenuti ad adottare le fattispecie individuate dalla legge ma possono anche creare nuovi contratti se questi sono più adatti a regolare i loro rapporti. Tali nuove figure devono, però, realizzare interessi che l'ordinamento ritiene degni di tutela e questo controllo è affidato al giudice in via successiva, non potendo provvedervi la legge in via preventiva. La loro disciplina è data dalle norme generali sul contratto (1323, 1326 c.c.) e da quella delle fattispecie tipiche (1470 ss. c.c.) applicabili in via analogica. Spesso tali nuovi contratti vengono fatti oggetto di disciplina specifica, come nel caso del franchising (l. 6 maggio 2004, n. 129).
Si ritiene che la norma, implicitamente, contempli autonomia delle parti anche in ordine ad ulteriori aspetti, quali la scelta di concludere il contratto e la scelta dell'altro contraente. Anche tali libertà, però, non sono illimitate: si pensi all'obbligo di contrarre che incombe su chi ha stipulato un contratto preliminare (1351 c.c.) o, per legge, sui gestori di servizi pubblici di linea (1679 c.c.).
(4) Tra i contratti atipici si distingue, in relazione alla causa (1325, 1343 c.c.), tra contratti misti e contratti collegati. Nei primi, la causa è il frutto della fusione di due fattispecie tipiche, come ad esempio nel negozio misto con donazione, che deriva dalla fusione di compravendita (1470 c.c.) e donazione (769 c.c.). Nei secondi si stipulano più contratti, diversi ma volti a raggiungere uno scopo unico, come nel caso del subcontratto.

Ratio Legis

La regola generale che viene sancita in tema contrattuale è quella per cui le parti sono libere di stabilire il contenuto del contratto e, secondo le teorie più recenti, tale regola trova un addentellato in quella parte della Costituzione che tutela la libertà di iniziativa economica privata (41, 42 Cost.). Tale libertà, però, non è assoluta ma deve essere svolta nel rispetto dei limiti di legge.
Analogamente, il comma 2 riconosce la libertà dei singoli anche sotto il profilo del tipo contrattuale, poiché consente di stipulare anche contratti non previsti dalla legge, con evidente favor per lo sviluppo dei traffici giuridici, fermo restando il limite degli interessi realizzati.

Brocardi

Conventiones sine nomine

Spiegazione dell'art. 1322 Codice Civile

Iniziativa individuale e autonomia della volontà: terminologia

Per quanto funzionale possa proclamarsi l'attività di ogni soggetto, in confronto agli scopi perseguiti del gruppo sociale nel cui quadro è inserito, deve riconoscersi che i rapporti giuridici patrimoniali
non possono ridursi ad una mera attuazione di norme prefissate dalla legge: l'iniziativa individuale è molla di progresso, e un ordinamento rigido che riducesse l’attività dei soggetti ad una meccanica utilizzazione di schemi giuridici insuperabili, isterilirebbe l'azione produttiva e non aderirebbe alla realtà economica, che aspira ad un perpetuo rinnovamento di risultati.

L’iniziativa individuale è potenziata, oltre che riconosciuta, dall'ordinamento vigente; il che si traduce nel conferire al soggetto il potere di determinarsi liberamente, per la realizzazione delle finalità che si propone di attuare.

Questo potere della volontà, con riferimento al contratto, è denominato, nella rubrica dell'art. 1322, «autonomia contrattuale» (in un senso più generale dovrà designarsi «autonomia negoziale»). La legittimazione di tale terminologia non è nel significato tradizionale di «autonomia» se, come vedremo (v. n. 2), il potere della volontà non può essere nè un potere di produrre norme giuridiche nè un potere originario e indipendente; ma in una accezione particolare che risulterà ultra, al n. 2. Si parla di autonomia privata; ma questa denominazione non riesce a comprendere anche quell'attività contrattuale (o negoziale) che la pubblica amministrazione pone in essere in re­gime di diritto privato, e, se mai, dovrebbe qualificare la più vasta libertà del soggetto di compiere atti giuridici. In tal senso deve anche intendersi la formula «autonomia della volontà» o «volontà autonoma», che infatti accenna alla volontà in modo troppo generico perché si possa riferire esclusivamente all'attività negoziale.


Efficacia giuridica della volontà individuale

Affermato il principio sociale come base e direttiva dell'ordinamento giuridico, il potere conferito al soggetto, di scegliere liberamente i mezzi necessari alla realizzazione degli scopi individuali, non poté intendersi come signoria della volontà e cioè come predominio di una sconfinata discrezione; ma la individualistica prevalenza di un potere senza limiti si trasformò in un principio di subordinazione di ogni manifestazione soggettiva ad un volere esterno e superiore che controlla e limita. Questa trasformazione è più evidente nel sistema del nuovo codice.

L' art. 1173 fa derivare il rapporto obbligatorio da ogni atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell'ordinamento giuridico; l’art. 1322 pone, alla libertà di determinare il contenuto del contratto, il confine delle norme cogenti (v. ultra, n. 3), e, alla libertà di produrre contratti atipici, il limite segnato dalla necessità che questi siano idonei a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico; l'art. 1987 esclude che la promessa unilaterale sia obbligatoria fuori dei casi determinati dalla legge; l’art. 2004 limita ai casi stessi la libertà di emissione di titoli al portatore contenente l'obbligazione di pagare una somma di danaro. Ciò vuol dire che il potere della volontà ha carattere secondario nelle sue manifestazioni efficaci, e che può sopravanzare la legge soltanto se la legge lo consente. Il problema della natura originaria della volontà individuale e della sua capacità di sviluppare un sistema giuridico indipendente dalla legge viene così risoluto nel senso assolutamente negativo; e si afferma inoltre che l'efficacia della volontà singola deve essere imputata in modo esclusivo all'ordinamento giuridico (c. d. principio di autorizzazione legale). In conseguenza la volontà individuale deve ritenersi competente a indicare solo gli effetti economici del negozio, non gli effetti giuridici, e, perché possa essere rivestita di efficacia, non deve necessariamente dirigersi agli effetti stessi.

La volontà non resta degradata con ciò ad elemento di fatto che la norma riveste di effetti giuridici, ma si manifesta quale fonte della situazione prevista dalla norma, come elemento cioè che determina il verificarsi di quegli effetti che sono dalla norma messi a disposizione del soggetto.

Diversa interpretazione non potrebbe darsi all'art. 1322 senza condurre il sistema contrattuale ordinato dal nuovo codice verso direttive incoerenti, dato il principio generale posto nell'art. 1173 e applicato negli articoli 1987 e 2004, dal quale si estrae sicuramente la regola generale secondo cui la volontà individuale non ha la forza di creare in modo indipendente effetti giuridici. Si noti che il secondo com­ma dell'art. 1322 fonda il riconoscimento della giuridicità sulla valutazione dell'utilità generale degli effetti che ne derivano; ora il compito di far questa valutazione non può conferirsi al soggetto senza porre in pericolo l'uniformità a cui essa deve ispirarsi, senza, cioè, far luogo ad una relatività di giudizi che scompone disordinatamente gli scopi della pluralità organizzata.

Autonomia poi non vuole dire potere della volontà individuale di produrre norme giuridiche, sia pure in modo complementare in confronto della legge. Se altri argomenti non concorressero per escludere la parificazione (sostanziale) dell'atto di volontà con l'atto dovrebbe bastare la contrapposizione che si fa, nell'art. 1 delle preleggi e nell'art. 1321, fra fonte di produzione della norma e fonte di produzione della fattispecie presupposta dalla norma. Non si nega che autonomia della volontà può essere autoregolamento di interessi concreti; ma questo regolamento sarebbe sempre gestione, in. modo che non può essere nel tempo stesso posizione di norme. Non lo è per il motivo ulteriore che la norma è estrinsecazione di imperio, e imperio non è conferito al soggetto di diritti.

L'autonomia della volontà si manifesta piuttosto come discrezionalità di diritto privato; ma poiché, dopo quanto si è detto, apparirà chiaro che contenuto dell'autonomia stessa è la libertà di scelta dei mezzi per il raggiungimento dei fini propri del soggetto, deve ulteriormente spiegarsi che una differenza fra discrezionalità di diritto amministrativo e discrezionalità di diritto privato sta in ciò, che, mentre per la prima la legge determina tutti i fini che deve attuare, per la seconda la legge prefigge soltanto alcuni fini (esempi si vedano nei consorzi obbligatori e negli ammassi).

L'autonomia della volontà non deve naturalmente confondersi con l'attitudine del soggetto a porre i presupposti necessari per l'effetto giuridico, che si delinea come problema di capacità o di legittimazione: una differenza potrebbe darsi nel senso che la capacità è una qualità del soggetto e la legittimazione una posizione dello stesso, mentre autonomia della volontà è somma di poteri spettanti al soggetto stesso in quanto capace o legittimato, in modo che la capacità è la legittimazione sono antecedenti all'autonomia e suoi presupposti necessari.


L’autonomia contrattuale e i suoi limiti

L'autonomia della volontà, specificatasi quale autonomia contrattuale, viene delimitata nell'art. 1322 in un doppio ordine di direzione: si assegna alla volontà, da un lato il potere di esplicarsi
nell'appropriazione della fattispecie contrattuale astratta per adattarla a situazioni concrete (determinazione del contenuto del contratto: primo comma dell'art. 1322), e dall'altro i1 potere di creare fattispecie contrattuali concrete non corrispondenti ad alcuna fattispecie legale, per la soddisfazione di interessi non valutati preventivamente dalla legge (determinazione di contratti atipici: secondo comma dell'art. 1322).

La prima direzione, vincolata ai tipi legali, non soltanto, com’è noto, permette di integrare le determinazioni della legge, ma consente anche di sostituire la disciplina dispositiva predisposta dalla legge, di piegarla «alla soddisfazione di particolari interessi con modificazioni o aggiunte, con l’eliminazione di elementi naturali o con l’inserzione di elementi accidentali».

La seconda direzione, non vincolata a tipi legali, permette che siano creati elementi di fatto non corrispondenti ad alcuno di quelli espressamente previsti dalla legge; in modo che rimane contrastata la tendenza della dottrina, che vorrebbe ridurre i1 potere della volontà di produrre il novum, alla sola possibilità di combinare i tipi contrattuali riconosciuti dalla legge. Probabilmente questa tendenza è sorta dall'osservazione che gli schemi tipici tradizionali hanno potuto fino ad ora dare alla pratica soddisfacenti basi di disciplina per qualsiasi nuovo bisogno economico, e quindi per qualsiasi nuovo rapporto giuridico al quale i1 bisogno stesso ha potuto dar causa. Ciò si spiega col riflesso che nessuna situazione sfugge all'influsso delle norme, espresse o inespresse, dell'ordinamento giuridico, il quale, avendo la capacità di sussumere ogni nuova manifestazione della vita, riesce a far coincidere il suo ambito con le mobili e sempre rinnovantisi linee estreme dell'ordine sociale e di quello economico; ma proprio l’elasticità di limiti che è nel carattere dell'ordinamento consiglia di ritenere che esso riconosce anche le manifestazioni dell'autonomia individuale che abbiano un contenuto assolutamente nuovo, cioè che non possano ricondursi ad alcun tipo contrattuale riconosciuto. In questo caso si delinea senza alcun dubbio la figura del contratto innominato; la quale esiste però anche se si sono utilizzati elementi dei tipi riconosciuti, perché il tipo del rapporto va identificato nella sua organicità complessiva e non per i suoi componenti staccati, se non si vuole pregiudicare l'unità del rapporto. I contratti c. d. misti devono perciò considerarsi come altrettante fattispecie di contratti innominati: contratti misti in quanto comprendano elementi ricavati da tipi riconosciuti dalla legge, contratti misti in quanto siano formati di elementi propri di tipi legali e, assieme, di elementi extralegali.

Una terza direzione dell'autonomia della volontà non è espressamente prevista nell'art. 1322; ma è oggi riconosciuta legittima, e comporta il potere della volontà di utilizzare la fattispecie contrattuale astratta per la soddisfazione di scopi ulteriori rispetto a quelli, a realizzare i quali il contratto è tipicamente rivolto (produzione di negozi a scopi indiretti). Il potere di piegare il contratto tipico a funzioni nuove è un minus in confronto di quello indiscutibilmente consentito al soggetto privato, di produrre nuove figure giuridiche; perciò il procedimento indiretto deve ritenersi implicitamente tutelato dall'ordinamento positivo. Anche in un sistema aformalistico come quello che ci governa può essere utile assumere il negozio tipico in funzione strumentale: invece di affrontare i dubbi e le incertezze di risultati ai quali non di rado può condurre una forma nuova, è certo preferibile servirsi di mezzi apprestati dalla legge, di cui già si conoscono i risultati dell'applicazione; a parte il fatto che l'utilizzazione della forma esistente per funzioni nuove può consentire di sfruttare qualche aspetto della sua disciplina che la forma nuova non permetterebbe di utilizzare (v. ultra, sub art. 1323, 11. 2).

Ostacoli insuperabili alla libertà contrattuale del soggetto, risultano però, per l’art. 1322, a seconda che l'autonomia si svolga nell'ambito di tipi legali o si indirizzi alla creazione di rapporti atipici.

Nel primo caso la validità della scelta, compiuta dal soggetto, dei mezzi necessari all'attuazione dei propri scopi, è subordinata al fatto che ad essa non si oppongano norme di una qualsiasi legge: formale o sostanziale. A «limiti imposti» accenna, infatti, l' art. 1322 donde le norme che indicano l'estensione e l'efficacia della volontà individuale devono essere cogenti per produrre invalidità. Ma il contrasto fra norma e scelta può essere virtuale oltre che testuale, in modo che può consistere in una violazione dei principi che compongono l'ordine pubblico e delle regole del buon costume (cfr. art. 1343): questa violazione apparirà esclusivamente attraverso l'indagine sui motivi (comuni: art. 1345) o sulla causa concreta del singolo rapporto perché la liceità della causa astratta è assicurata dalla sua corrispondenza al tipo legale (v. ultra, sub art. 1343).

Nel caso di creazione di rapporti atipici il limite alla validità della scelta del mezzo è dato, come si è visto, dalla necessità che il rapporto formato realizzi finalità degne di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Il controllo opera sulla causa del rapporto, che non è stata apprezzata preventivamente dall'ordinamento giuridico (v. ultra, sub art. 1343), e deve essere quindi saggiata al paragone delle finalità ritenute degne di tutela dall'ordinamento stesso: indagine positiva perché non è sufficiente constatare, come nel caso di utilizzazione del tipo legale, che l'autonomia privata non urta contro norme cogenti (testuali o virtuali), ma è necessario accertare che il soggetto si propone fini di utilità sociale: «Si pensi, per esempio, ad un contratto col quale alcuno consenta, dietro compenso, all'astensione da un'attività produttiva, o a un'esplicazione sterile della propria attività personale, o a una gestione antieconomica o distruttiva di un bene soggetto alla sua libera disposizione, senza una ragione socialmente plausibile, ma solo per soddisfare il capriccio o la vanità della controparte».


Concetto di limite all’autonomia contrattuale

La disciplina della causa e dei motivi forma dunque un vero proprio limite all'autonomia contrattuale (ultra, sub art. 1325, n. 3), ma non è il solo, perché l’art. 1322 non esaurisce la materia.

Saranno di guida nell’individuazione delle altre ipotesi le costanti caratteristiche alle quali tutte devono rispondere: imposizione ad opera di una norma giuridica e imposizione di un obbligo, non di un onere.

Fonte del limite deve essere una norma giuridica, perché il limite comprime il potere della volontà individuale. Non si intenderebbe l'esistenza di un limite quando la sua costituzione derivasse non da una coazione esterna alla volontà medesima, come è la coazione promanante dalla legge, ma dalla libera valutazione che il soggetto fa del proprio interesse; in tal caso il limite sarebbe esso stesso espressione dell'autonomia del volere, e non potrebbe logicamente assurgere a vincolo di questa autonomia.

Contenuto del limite è l'imposizione di un obbligo, non di un onere infatti ogni vincolo all'autonomia della volontà si pone, per il soggetto che deve osservarlo, quale presupposto per la tutela di un interesse (pubblico o di terzi) estraneo alla sfera alla quale appartiene l'interesse dedotto net contratto.

Si è affermato che le manifestazioni dell'autonomia della volontà sono sempre caratterizzate dal potere, attribuito alla volontà di un soggetto di diritto, di interferire nella sfera giuridica di altro soggetto; ma l'opinione non convince, e non soltanto perché, in un certo senso, anche al rappresentante è conferito il potere di interferire nella sfera d'altri, senza che con ciò resti confusa rappresentanza e autonomia della volontà, ma anche perché l'enunciazione non si attaglierebbe, ad esempio, al caso in cui la libertà individuale si indirizza alla scelta delle forme per la manifestazione del consenso. Vero è, invece, che ogni limite si risolve in una soppressione della libertà di scelta dei mezzi giuridici relativamente ad un bene garantito dalla legge; e pertanto non possono distinguersi cause di limitazione e cause di soppressione dell'autonomia contrattuale: a proposito del diritto di proprietà, per esempio, si parla di limiti anche con riferimento ai vincoli che producono soppressione del potere di disporre.


Classificazione dei principali limiti all’autonomia contrattuale; rinvio per lo studio di alcuni di essi

Una classificazione dei limiti all'autonomia contrattuale non dà se non risultati incompleti. Il tentativo di compierla tenendo conto solo di quelli che hanno maggiore rilevanza ne permette un raggruppamento in separate categorie che rispettivamente hanno riguardo: alla posizione del soggetto rispetto all'interesse che è dedotto nel rapporto, alla funzione del rapporto, alla necessità e al modo di produrlo, agli effetti che ne derivano.

Il primo gruppo di vincoli adegua alla natura dei poteri che spettano al soggetto rispetto all'interesse che egli deduce net rapporto, il limite della discrezionalità nella quale si estrinseca l'autonomia del volere, e comprende, in particolare, ogni ipotesi di gestione di un interesse altrui (sostituzione, ufficio, rappresentanza organica, gestione d'affari); il secondo gruppo comprime la libertà del volere negando tutela alle situazioni non conformi alla volontà della norma, nel qual senso operano la causa e i motivi; il terzo gruppo costringe l'autonomia individuale col provocare una situazione giuridica anche contro la volontà del soggetto, nel qual senso agiscono: la costituzione coattiva del rapporto e l'obbligo di contrarre; il quarto gruppo, pur muovendo dalla volontà del soggetto favorevole alla costituzione della situazione giuridica, indirizza questa volontà verso modalità inderogabili che assicurano la realizzazione di scopi assunti dall'ordinamento giuridico (in questo gruppo vanno compresi i limiti alla libertà di scelta dell'altro contraente, alla libertà di forme nella manifestazione del consenso, alla libertà di determinare il contenuto del contratto); il quinto gruppo di vincoli parte ugualmente dalla volontà del soggetto favorevole alla costituzione della situazione, ma determina ,gli effetti che l'ordinamento vuole perseguire, nella quale direzione agiscono il principio di obbligatorietà del contratto, quello di tutela dell'affidamento, quello di conversione del contratto, la disciplina legale dell'efficacia soggettiva dei contratti.
Si rinvia rispettivamente al commento degli articoli 1343, 1345, 135o e 1372 lo studio dei limiti che l'autonomia contrattuale riceve in conseguenza delle disposizioni sulla causa, sui motivi, sulle forme e sull'efficacia obbligatoria del contratto, onde far cenno qui soltanto di tutti gli altri vincoli, con esclusivo riferimento all'argomento dell'articolo che si commenta.


I) limiti derivanti dalla posizione del soggetto rispetto all’interesse dedotto

Si può parlare di limiti all'autonomia contrattuale dipendenti dalla posizione del soggetto rispetto all'interesse dedotto nel rapporto, perché, quando il rapporto è creato da un soggetto diverso dal titolare dell'interesse, la discrezionalità nella quale si estrinseca l'autonomia non si espande con la stessa elasticità che è propria dell'analoga discrezionalità spettante al titolare. La ragione è che colui il quale gestisce l'interesse altrui, mettendo la sua autonomia a disposizione di un interesse che non è il proprio, deve commisurare l'esercizio dei poteri agli obblighi che la gestione comporta, e soprattutto deve apprezzare la convenienza di ogni atto con un criterio valutativo che pone al suo centro il dovere di operare nel senso che meglio realizzi l'interesse gestito. Perciò il soggetto si considera in una originaria prevalente situazione di obblighi anziché in una originaria prevalente situazione di diritti come vive il titolare dell'interesse: il gestore esplica, infatti, dei poteri-doveri, ossia delle facoltà scaturenti dal dovere di realizzare l'interesse altrui, là dove il titolare dell'interesse esercita facoltà del suo diritto soggettivo, che signoreggia fino a poterne far gettito. Anche al gestore può spettare un potere di disposizione, ma nella necessità di un conferimento specifico (art. 1708) o di una autorizzazione spesso vincolata (articoli 320, 374 e 375) e nella possibilità di vederne controllato l'esercizio (art. 1713) si rinvengono dei limiti di autonomia, che si estendono fino al dovere di diligenza, ignoti all'autonomia del titolare dell'interesse. Si aggiunga che, in qualche caso, come nella negotiorum gestio, solo l'utiliter compone l'autonomia (art. 2031), la quale risulta perciò particolarmente compressa in relazione alla spon­taneità di assunzione della gestione.


II) Limiti derivanti dalla necessità di produrre il rapporto: a) costituzione coattiva

Costituzione coattiva del rapporto si ha quando la legge conferisce all'autorità amministrativa il potere di formarlo per atto della sua volontà, indipendentemente dalla volontà degli interessati. La categoria è legittimata dalle disposizioni concernenti la costituzione di consorzi obbligatori che tuttavia, danno luogo, sempre,ad un rapporto associativo qualificato dagli scopi per il quale il consorzio è stato costituito. E tale rapporto non potrà essere ritenuto di diritto pubblico per ciò solo che la sua costituzione deriva dall'atto dell'amministrazione o dall'atto legislativo: la eventuale natura pubblicistica dell'ente che sorge dal rapporto costituito ex auctoritate si riflette con conseguenze esterne, mai con risultati incidenti sul vincolo che lega i consorziati, qualora manchino gli estremi della c. d. causa pubblica. E’ agevole escludere la qualifica negoziale al rapporto costituito coattivamente, non essendo sostenibile che esso si formi in base ad un obbligo di contrarre: creativo del consorzio obbligatorio infatti è l'atto amministrativo e non un atto di volontà privata. A fortiori deve escludersi la contrattualità del rapporto nei casi in cui la costituzione di esso avviene ex lege.

Il rapporto costituito coattivamente ha fonte nella legge sia direttamente, che indirettamente. Quando occorre la pronuncia amministrativa, questa riconosce l'esistenza degli estremi richiesti dalla Legge per la cooperazione dei soggetti ai quali è comune la situazione presupposta, e in concreto dà vita alla situazione che produrrà gli effetti voluti dalla legge. L'atto amministrativo perciò ha una funzione meramente strumentale rispetto alla volontà della norma, alla quale risale sempre l'effetto giuridico che esso verrà a produrre; a sua volta la volontà privata può rappresentare elemento d'impulso per la costituzione della situazione concreta consentita dalla norma (esempio nell’art. 2 a, legge 16 giugno 1932, n. 834, per i consorzi industriali obbligatori), ma non è sempre un elemento necessario, nemmeno per i limitati effetti di provocare la costituzione della situazione stessa (così negli articoli 850, 862, 863, 914, 921 cod. civ.).

Si è sostenuto che, quando è richiesta l'adesione preventiva di un minimo di interessati (art. 2 della predetta legge sui consorzi industriali), l'atto amministrativo non costituisce il consorzio, ma estende il vincolo contrattuale già formatosi fra coloro ai quali è consentita l'iniziativa di provocare collettivamente la costituzione del rapporto. La tesi, se muove dall'esatto rilievo che la richiesta di un numero minimo di interessati presuppone necessariamente un accordo fra tutti coloro che lo fanno, giunge ad inaccettabili conseguenze perché il rapporto che si instaura fra gli autori dell'iniziativa ha per contenuto di promuovere la produzione del contratto, non di produrre i1 contratto.


b) Obbligo di contrarre

Quanto all'obbligo di contrarre, in un sistema che riconoscesse carattere legislativo ai contratti collettivi (esempio negli articoli n. 3, e 5 preleggi) sarebbe da escludere che possa ritenersi vincolo all'autonomia contrattuale l'obbligo di costituirli che fosse imposto alle associazioni professionali.

Si ha poi onere e non obbligo di contrarre quando la prestazione coattiva del consenso mira a realizzare un interesse proprio, i1 che, come si è detto (supra, sub n. 4), elide in realtà la figura del limite all'autonomia contrattuale: esempio da riferire a questa ipotesi è l'onere di cauzione previsto negli articoli 238 e 283 cod. pen. nonché nell'art. 2 r. d. 7 marzo 1925, n. 222, che si risolve nella costituzione di pegno o di fideiussione.

L'adempimento dell'obbligo di contrarre dà vita ad un rapporto contrattuale, perché il vincolo non si sarebbe potuto costituire senza la volontà della parte obbligata; ciò basterebbe a differenziarlo nettamente dalla precedente categoria di limiti, che non produce rapporti negoziali. L'atto amministrativo che costituisce il rapporto obbligatorio ha, con la sentenza prevista dall'art. 2932, il solo punto di contatto della comune produzione coattiva di effetti giuridici; la seconda interviene soltanto in caso di inadempimento dell'obbligo, mentre il primo non presuppone un precedente obbligo del soggetto, in modo che non sarebbe mai, come la sentenza ex art. 2932, un atto di esecuzione forzata, a parte l'ovvia distinzione dipendente dalla diversa natura dell'organo statuale dal quale l'uno e l'altra promanano.

Talune manifestazioni dell'obbligo di contrarre costituiscono dei limiti all'intensità di un diritto, altre specificano il contenuto di una funzione (pubblica o privata).

1° - Nel primo gruppo vanno anzitutto sistemati i casi in cui l'obbligo di contrarre ha per oggetto la costituzione di un rapporto a favore di un qualsiasi soggetto, com'è l'obbligo che incombe su coloro che esercitano monopoli o sui concessionari di servizi pubblici. Quest'obbligo, espressamente previsto per i monopoli di diritto (art. 2597 cod. civ. ) e per alcuni servizi (art. 1679 cod. civ.; art. I, § I, r. d. l. 25 gennaio 1940, n. I; art. 121, t.u. 9 maggio 1912, n. 1447; art. 6 legge 20 giugno 1935, n. 1349, per i trasporti; art. 16 t.u. 3 maggio 1893, n. 118, per i servizi telegrafici; art. 16 t.u. 3 maggio 1903, n. 196, e l’art. 2, r.d. 3 ottobre 1929, n. 1887, per i servizi telefonici) ha una portata più vasta. Concerne anche i casi di monopolio di fatto se il rifiuto di obbligarsi da parte del monopolista possa ledere un interesse pubblico, come quando comporti abuso del diritto; i concessionari di qualsiasi servizio pubblico non possono rifiutare la prestazione per la natura del servizio che esercitano, destinato fondamentalmente al soddisfacimento dei bisogni generali, in modo che ognuno ha il diritto di goderli.

In secondo luogo deve sistemarsi in questa prima categoria l'obbligo di contrarre costituito a favore di un numero determinato di soggetti particolarmente qualificati, come è l'obbligo di assumere alle proprie dipendenze un numero di lavoratori prefissato in rapporto all'importanza dell'attività economica esercitata dall’obbligato in rapporto all'importanza dell’attività economica che l'obbligato deve per legge svolgere (imponibile di mano d'opera risultante dai contratti collettivi in un sistema che considerasse questi contratti come fonti di diritto; art. II legge 21 agosto 1921, n. 1312, per i mutilati e invalidi della prima guerra mondiale; art. 58, r. d. 26 luglio 1929, n. 1397, per gli orfani della guerra predetta; d. 1. t. 4 agosto 1945, n. 453; d. 1. Lt. 14 febbraio 1946, n. 27 e d. 1. Lt. 5 marzo 1946, n. 81, per i mutilati, invalidi, combattenti, patrioti, deportati dal nemico, orfani e vedove dei caduti della seconda guerra mondiale ; decreto legislativo 16 settembre 1947, n. 929, circa il massimo impiego di lavoratori agricoli). Infine debbono prospettarsi anche ipotesi di obbligo di contrarre costituito a favore di un determinato soggetto, come è nel caso della facoltà attribuita all'erede di soddisfare mediante rendita o assegno di frutti le ragioni ereditarie del coniuge superstite (art. 547 cod. civ.), che dà luogo a coattiva trasformazione di diritti; come è nel caso della comunione obbligatoria (art. 874 cod. civ.) e nel caso dell'ammasso o dell'assegnazione di materie prime o di prodotti in un sistema di economia controllata o pianificata, che implicano cessioni coattive e come è infine nel caso delle servitù coattive (art. 1032 cod. civ.) che creano vincoli al diritto di proprietà.

2° - Anche per l'obbligo di contrarre connesso all'esercizio di una funzione può distinguersi la destinazione all'interesse di tutti, all'interesse di alcuni o all'interesse di un solo soggetto; esempi ne sono, rispettivamente, l'obbligo del medico condotto e del notaio di prestare la loro opera ogni qualvolta ne siano richiesti (art. 4, r. d. 27 luglio 1934, n. 1265 ; art. 27, legge 16 febbraio 1913, n. 89), quello imposto agli istituti assicuratori di costituire una riserva matematica (art. 13 r. d. 29 aprile 1923, n. 996), l'obbligo imposto al tutore di dare un determinato impiego al patrimonio del minore (art. 372 cod.civ.).

Il carattere pubblico o privato della funzione non incide sui presupposti della classificazione fatta; e può aversi funzione pubblica e destinazione dell'obbligo di contrarre all'interesse di un solo (caso nella tutela) e funzione privata con destinazione dell'obbligo stesso ad un interesse più generale (caso delle imprese di assicurazione).


III) Limiti concernenti il modo di produrre il rapporto: a) limiti alla libertà di scelta dell’altro contraente

I limiti alla libertà di scelta dell'altro contraente si distinguono da quelli che hanno per contenuto l'obbligo di contrarre, perché raggruppano ipotesi nelle quali oggetto della coazione non è la produzione del contratto, che rimane nella piena libertà giuridica del soggetto, ma la libertà di contrarre con qualsiasi soggetto, che viene sottratta all'arbitrio individuale. L'altro contraente deve essere, in tali casi, o il soggetto al quale la legge attribuisce un diritto di preferenza come nelle ipotesi previste dagli articoli 732, 966, 2157 e 2441 cod. civ., dall'art. 3 legge 24 luglio 1936, n. 1692, per le vendite degli immobili ad uso alberghiero e dall'art. 24, r. d. 29 giugno 1939, n. 1127, sui brevetti, ovvero un soggetto compreso in una categoria predeterminata dalla legge. La scelta per categoria è consentita talvolta senza riferimento a speciali qualità, come quando si impone di assumere soltanto lavoratori iscritti nelle liste degli uffici di collocamento, liberamente o in turno di lavoro (art. 2098 cod. civ.) ; talvolta però deve aver luogo con riferimento a qualità tecniche, come è previsto nelle norme che regolano l'esercizio delle professioni, in base alle quali il rapporto si può produrre esclusivamente con le persone che hanno avuto il riconoscimento delle qualità predette.


b) Limiti alla libertà di determinare il contenuto del contratto

I limiti all'autonomia della volontà circa il contenuto del contratto sono stabiliti dalla norma in modo diretto o indiretto.

La norma costituisce fonte diretta per la determinazione coattiva del contenuto del contratto quando pone l'obbligo di regolare in modo conforme il rapporto (articoli 2066, 2077), quando stabilisce il divieto di pattuire clausole ritenute contrarie ad un interesse da tutelare (articoli 1229, 1379, 1654, 1815, 1838, 1932, 2113, 2265, 2596, 2744) ovvero fa divieto di promettere prestazioni inique (art. 1447), o sproporzionate alla controprestazione (art. 1448), quando rinvia ad altre fonti normative la determinazione del contenuto inderogabile del contratto (calmiere, tariffe di prestazioni, ecc.: art. 1339; art. 12 decreto legislativo 15 settembre 1947, n. 896).

La norma è fonte indiretta di vincoli alla libera determinazione del contenuto stesso quando preordina l'approvazione amministrativa delle condizioni che siano state predisposte in via uniforme per tutti i rapporti identici (art. 1679 cod. civ.; art. 19 e segg., r. d. 29 aprile 1923, n. 966, per le imprese di assicurazione); con il che non si vuole affermare che le condizioni generali di contratto, dopo l'approvazione amministrativa, diventino norme giuridiche, o che l'approvazione stessa vincoli all'osservanza di tutte le clausole approvate. L'approvazione mira soltanto a controllare se l’attività contrattuale dell'impresa può essere lesiva dell'ordine giuridico, mentre fonte dell'obbligatorietà delle clausole approvate e la legge, che subordina all'osservanza di esse la concessione del servizio pubblico o l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa. L'inderogabilità delle clausole approvate e poi in funzione del loro carattere determinante rispetto all'atto di approvazione: se può ritenersi che questa non sarebbe stata data quando le condizioni generali avessero contenuto la clausola derogante, la deroga dovrà considerarsi violatrice del vincolo costituito dall'approvazione; in ogni altro caso la deroga e efficiente. Non è a distinguere, quindi, come si è fatto, fra clausole rispetto alle quali l'approvazione è data a garanzia della parità di trattamento riservata ai singoli, che sarebbero inderogabili, e clausole rispetto alle quali l'approvazione serve ad assicurare regolare funzionamento dell'impresa e ad evitare la concorrenza con altre imprese esercenti uguale attività, che sarebbero derogabili; perché anche in questo ultimo caso l'approvazione condiziona la concessione del servizio pubblico o l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa.

Si noti, ad ogni modo, che, di massima, l’obbligo di contrarre importa un vincolo alla determinazione del contenuto del contratto. Questa determinazione, infatti, non può essere lasciata all'arbitrio della parte tenuta a contrarre, senza attenuare la forza vincolante dell'obbligo che le fa carico, il quale soprattutto importa parità di trattamento di coloro che chiedono la conclusione del contratto (art. 2597).

Si noti ancora che di contenuto necessario del contratto deve discorrersi in un doppio senso: o la norma detta una disciplina rigida che non può essere in alcun modo sorpassata, salva la determinazione di effetti secondari ed accessori, come avveniva, ad esempio, in regime corporativo, per l'atto costitutivo delle associazioni professionali destinate al riconoscimento, o il contenuto del contratto è predisposto su un piano elastico, che è suscettibile di flessione, e cioè consente di comporre il contratto con clausole che danno un risultato di maggior favore per l'interesse che la norma ha voluto tutelare (articoli 1932, 2077 cod. civ.; articoli 424, 953 cod. nav.; art. 12 citato decreto legislativo 15 settembre 1947, n. 896).


IV) Limiti derivanti dalla determinazione legale degli effetti giuridici del contratto: a) tutela dell’affidamento

L'esigenza di tutelare l'affidamento che il terzo ha tratto dal significato obiettivo della dichiarazione fattagli (art. 1362) costituisce un limite all'autonomia contrattuale derivante dalla disciplina legale degli effetti del rapporto, perché fa prevalere il significato obiettivo della dichiarazione della parte sulla volontà che questa poteva avere.

Si suole ricondurre tale tutela ad un principio di autoresponsabilità, ritenuto quale indissolubile portato dell'autonomia della volontà, e risolventesi nell'obbligo di soggiacere alle conseguenze onerose della propria iniziativa giuridica, allo stesso titolo che attribuisce i1 diritto di apprenderne le conseguenze vantaggiose. Comunque sia, sembra indubbio che l'affidamento si viene a garantire non soltanto in via di interpretazione della volontà contrattuale, ma anche sul terreno della rilevanza dei vizi del contratto. Infatti l'ordinamento giuridico non presta efficacia alla volontà dell'autore della dichiarazione quando essa non corrisponde alla rappresentazione che può obiettivamente fame colui al quale la dichiarazione e diretta, e viceversa dà effetto alla dichiarazione inficiata da un vizio se l'anomalia non era inescusabilmente riconoscibile dalla controparte (articoli 1428 e 1433; cfr. articolo 428). Nel primo caso i1 dichiarante non ottiene il risultato che si riprometteva dal compimento dell'atto di autonomia, e vi è mutamento nella considerazione degli effetti garantiti all'atto, rispetto agli effetti voluti, cioè, coazione alla volontà circa il contenuto dell'atto; nel secondo caso il dichiarante soggiace ex lege alle conseguenze della dichiarazione come se fosse valida, donde vi è coazione alla volontà dell'atto.


c) conservazione del contratto

Anche il principio di conservazione dei contratti reca vincoli all'autonomia, imponendo di stare al rapporto, quando e nei limiti in cui sia possibile, nonostante l'anomalia che lo inficia e che avrebbe potuto determinare effetto distruttivo.

Il principio di conservazione dei contratti, studiato particolarmente a proposito dell'art. 1367, va oltre la materia dell'interpretazione, per affermare l'esigenza dell'ordinamento giuridico di fondare su una base di serietà ogni espressione dell'autonomia e di ogni iniziativa autonoma trarne massimo effetto utile. In fondo è lo stesso principio di autoresponsabilità, ricordato a proposito dell'affidamento (supra, sub n. II) che impone di mantenere il rapporto quando, purificato da ogni vizio originario o sopravvenuto, e potendo ugualmente realizzare l'effetto che era destinato a produrre o un effetto minore corrispondente ad un intento ugualmente perseguito dalle parti, non si giustificherebbe la sua distruzione se non con la tutela della capricciosa volontà della parte di liberarsi da una situazione onerosa da lei posta in essere volontariamente.

Gli istituti della nullità parziale (art. 1419), della convalida (articolo 1444), della conversione (art. 1424) e della correzione (articoli 1432, 1339) del contratto devono perciò riportarsi al principio di conservazione alla stessa stregua della regola contenuta nell'art. 1367; ma soltanto la conversione e la correzione si risolvono in un vincolo all'autonomia contrattuale, in quanto solo esse impediscono, alla parte che avrebbe potuto far valere la nullità, la rescissione o la risoluzione, di riacquistare autonomia giuridica rispetto al bene dedotto in contratto e, contro la volontà della parte che avrebbe potuto ottenerne la distruzione, mantengono in vita il rapporto, sia pure con effetti minori o modificati. La nullità parziale presuppone una scindibilità del rapporto, in modo che rispetto alla parte sana di esso non si può prospettare alcuna pretesa distruttiva; la sanatoria è atto volontario della parte che avrebbe potuto chiedere l'annullamento del rapporto al quale l'altra parte è rimasta tenuta.


d) efficacia soggettiva del contratto

Ulteriore limite all'autonomia contrattuale scaturisce dalla determinazione legale circa l'efficacia soggettiva dei contratti.

Nell'art. 1321 il contratto è descritto come vincolo fra le parti che lo producono (« accordo... fra loro»); nell'art. 1372 si proclama che esso ha forza di legge tra le parti, e che produce effetto rispetto ai terzi soltanto nei casi previsti dalla legge. Dopo tutto, questa posizione della legge è un dato naturale e logico prima che giuridico, perché ogni sfera individuale può essere dominata soltanto dal suo titolare, la cui volontà non è suscettibile di piegarsi ad una volontà esterna che non sia la volontà della legge. Comunque sia, certo è che il limite all'efficacia soggettiva del rapporto regolato dal contratto è anche limite all'autonomia della volontà, di cui il contratto è espressione, perché, a causa della esistenza del limite, rimane chiaro che il potere della volontà non si potrà esercitare se non nella direzione di quei soggetti verso i quali il contratto riceve tutela da parte dell'ordinamento giuridico. Da ciò in primo luogo la conseguenza che la volontà del soggetto non ha il potere di produrre contratti costitutivi di diritti reali atipici che restringerebbero, oltre alla libertà di chi li produce, anche quella di chi acquista un diritto sulla cosa oggetto del diritto atipico; da ciò ancora la conseguenza che non sia consentita la produzione di contratti atipici ad effetti reali, che imporrebbero ugualmente ai terzi vincoli da loro non consentiti rispetto alla cosa oggetto del contratto; da ciò infine l’inammissibilità della produzione di tipi contrattuali nuovi, che costituissero un qualsiasi vincolo alla libertà giuridica dei terzi (ad esempio: negozio atipico di disposizione di un credito, che dovrebbe essere osservato dal debitore).

Né basta, perché, nei casi in cui l'ordinamento giuridico assoggetta al presupposto dell'osservanza di alcune forme l'effetto estensivo a terzi di un contratto ai quali essi non partecipano (notifica della cessione del credito: art. 1264; notifica della cessione del contratto: art. 1407; trascrizione: art. 2643 e segg.), l'osservanza di queste forme è condizione dell'esercizio del potere di creare atti efficaci oltre alla sfera delle parti, e perciò l'atto di autonomia non può dirigersi alla produzione di un rapporto che si imponga ai terzi indipendentemente dall'osservanza della forma prescritta.

Si noti che ogni limite soggettivo all'efficacia del contratto si pone soltanto perché l'atto di autonomia provochi effetti diretti nella sfera giuridica d'altri; per altri scopi non vi è limite al valore dell'atto stesso. Così esattamente si afferma che ogni rapporto ha valore verso i terzi, in quanto fatto giuridico, la cui esistenza deve essere da ognuno riconosciuta come deve essere da ognuno riconosciuto qualsiasi mutamento del mondo esterno.

Si parla di contratto a danno di terzi; ma i principi che regolano l'argomento determinano nuova conferma alla regola secondo la quale l'interesse del terzo costituisce limite all'autonomia della volontà, perché, o la legge attribuisce al terzo che ha avuto pregiudizio dal contratto il potere di farlo dichiarare inefficace (articoli 1415 e 2901), o gli conferisce il diritto di chiedere il risarcimento del danno, se il contratto produce una lesione concreta nella sfera del terzo (art. 2043). Questa lesione è una conseguenza di mero f atto del rapporto costituitosi, e perciò la possibilità che si produca non addita la possibilità di interferenze giuridiche tra l'atto di autonomia e l'ambito del terzo.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

158 Non ho innovato, come si voleva da qualcuno, l'ordinamento del codice civile per quel che concerne l'ammissibilità di contratti innominati.
L'ostracismo ad essi troverebbe giustificazione in un sistema giuridico che restringesse la circolazione dei beni privati. L'ordine fascista garantisce, invece, la libertà di iniziativa nel quadro dell'interesse sociale; entro una sfera così vasta la volontà del singolo può liberamente determinarsi, senza essere costretta dal vincolo di contratti tipici. Questa vincolo intralcia lo sviluppo naturale del rapporti economici, e costringe la produzione entro l'angusto limite di forme giuridiche preordinate, determinando una cristallizzazione al posto di quella evoluzione nella vita degli scambi [...]
La libertà giuridica di soddisfare le esigenze della vita economica mediante forme contrattuali atipiche garantisce l'adeguamento del diritto alla realtà pratica; a questa libertà contrattuale può essere posto il solo confine che le forme nuove devono pur sempre rispondere a funzioni sociali di tutela giuridica.
Così ho riprodotto la sostanza dell'art. 1103 (art. 180 cpv.). La forma la ho mutata perché ho eliminato il richiamo dei contratti che non hanno una denominazione propria; il riferimento a questi contratti mi è parso ridondante, se il sistema non contiene un divieto di regolare, anche all'infuori delle figure negoziali tipiche, rapporti della vita realizzanti uno scopo lecito.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

603 Se si traggono le logiche conseguenze dal principio corporativo che assoggetta la libertà del singolo all'interesse di tutti, si scorge che, in luogo del concetto individualistico di signoria della volontà, l'ordine nuovo deve accogliere quello più proprio di autonomia del volere. L'autonomia del volere non è sconfinata libertà del potere di ciascuno, non fa del contratto un docile strumento della volontà privata; ma, se legittima nei soggetti un potere di regolare il proprio interesse, nel contempo impone ad essi di operare sempre sul piano del diritto positivo, nell'orbita delle finalità che questo sanziona e secondo la logica che lo governa (art. 1322 del c.c., comma primo). Il nuovo codice, peraltro, non costringe l'autonomia privata a utilizzare soltanto i tipi di contratto regolati dal codice, ma le consente di spaziare in una più vasta orbita e di formare contratti di tipo nuovo se il risultato pratico che i soggetti si propongono con essi di perseguire sia ammesso dalla coscienza civile e politica, dall'economia nazionale, dal buon costume e dall'ordine pubblico (art. 1322 del c.c., comma secondo): l'ordine giuridico, infatti, non può apprestare protezione al mero capriccio individuale, ma a funzioni utili che abbiano una rilevanza sociale, e, come tali, meritino di essere tutelate dal diritto. Si pensi, per esempio, ad un contratto col quale alcuno consenta, dietro compenso, all'astensione da un'attività produttiva o a un'esplicazione sterile della propria attività personale o a una gestione antieconomica o distruttiva di un bene soggetto alla sua libera disposizione, senza una ragione socialmente plausibile, ma solo per soddisfare il capriccio o la vanità della controparte. Un controllo della corrispondenza obiettiva del contratto alle finalità garantite dall'ordinamento giuridico è inutile se le parti utilizzano i tipi contrattuali ,legislativamente nominati e specificatamente disciplinati: in tal caso la corrispondenza stessa è stata apprezzata e riconosciuta dalla legge col disciplinare il tipo particolare di rapporto e resta allora da indagare, come si dirà più avanti (n. 614), se per avventura la causa considerata, non esista in concreto o sia venuta meno. Quando il contratto non rientra in alcuno degli schemi tipici legislativi, essendo mancato il controllo preventivo e astratto della legge sulla rispondenza del tipo nuovo di rapporto alle finalità tutelate, si palesa invece necessaria la valutazione del rapporto da parte del giudice, diretta ad accertare se esso si adegui ai postulati dell'ordinamento giuridico.

Massime relative all'art. 1322 Codice Civile

Cass. civ. n. 5657/2023

Non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., né uno strumento finanziario derivato implicito - con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 58 del 1998 - la clausola di un contratto di leasing che preveda a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera, b) l'invariabilità nominale dell'importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni.

Il giudizio di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, non già alla convenienza, chiarezza o aleatorietà del contratto o delle sue clausole. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, nella quale, con riferimento ad un contratto di leasing traslativo con clausola di doppia indicizzazione del canone, il giudizio di immeritevolezza era stato formulato in base a circostanze irrilevanti, quali la difficoltà di interpretazione della clausola, la sua aleatorietà e l'asimmetria delle prestazioni).

Cass. civ. n. 2269/2023

L'accordo con cui le parti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare ha natura atipica ed è valido ed efficace a condizione che sussista l'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La causa del preliminare di preliminare va in particolare ricercata nella funzione, considerata meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, ai sensi dell'art. 1322 cod. civ., di vincolare negozialmente le parti nel corso delle trattative, fissando punti fermi della successiva stipula del contratto preliminare e rinviando a tale momento e sede la fissazione di altri punti rilevanti.

Cass. civ. n. 12981/2022

Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", quale deroga convenzionale all'art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall'art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell'art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l'ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto - sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l'osservanza, da parte dell'impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle "claims made") e quella dell'attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale "on claims made basis" vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall'assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso, considerandola non meritevole di tutela, l'operatività della clausola "claims made", sul presupposto che essa non solo limitava la garanzia nei limiti della vigenza contrattuale - così escludendo gli esiti delle lungolatenze, tipici dei danni da responsabilità medica - ma affiancava detto limite ad una retroattività solo a "secondo rischio").

Cass. civ. n. 35524/2021

Per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale previsto all'art. 1322 c.c., i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante, in senso sospensivo o risolutivo dell'efficacia, il concreto adempimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto, con la conseguenza, ove in tal caso insorga controversia sull'esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la relativa prova ed al giudice del merito compiere un'approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 8881/2020

La vendita al pubblico incanto di cosa ricevuta in pegno, ai sensi dell'art. 2797 c.c., configura una forma di autotutela privata esecutiva, diversa e distinta dall'espropriazione forzata, sicché alla stessa non si applica la disciplina prescritta per la vendita forzata e, in particolare, l'art. 2922 c.c., che nega alla parte acquirente la possibilità di fare valere i vizi della cosa venduta, in quanto le cose ottenute in pegno non sono liberamente negoziabili dal creditore garantito, comunque tenuto al rispetto delle leggi speciali inerenti alle forme specifiche di costituzione del pegno. Deve, tuttavia, considerarsi lecita e meritevole di tutela, in ossequio al principio di autonomia privata ex art. 1322 c.c., la previsione regolamentare e convenzionale (desumibile anche in via implicita dal regolamento d'asta) di esclusione del diritto del partecipante all'asta di contestare i vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta in base agli artt. 1490 e 1497 c.c., fatta salva la tutela riconosciuta in caso di vendita di "aliud pro alio".

Cass. civ. n. 12552/2019

In seguito all'entrata in vigore dell'art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017, gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore, devono essere regolati sulla base di quanto previsto dall'art. 72 quater l. fall., che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti. (Rigetta, TRIBUNALE FOGGIA, 20/07/2017).

Cass. civ. n. 3965/2019

In tema di locazione finanziaria, la risoluzione del leasing traslativo per inadempimento dell'utilizzatore è disciplinata dall'art. 1526 c.c., non incidendo sull'applicazione di tale ultima disposizione l'art. 72-quater l. fall. introdotto dall'art. 59 del d.lgs. n. 5 del 2006, atteso che siffatta norma non disciplina la risoluzione del contratto di leasing, bensì il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, accertata la risoluzione di diritto di tre contratti di leasing traslativo, ritenendo applicabili i principi desunti dall'art. 72-quater l. fall., aveva rigettato la domanda, proposta dall'utilizzatrice, di restituzione dei canoni incamerati dalla concedente). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 10/09/2014).

Cass. civ. n. 22216/2018

Affinché possa configurarsi un collegamento tra atti giuridici di varia natura tipologica (contratti, provvedimenti amministrativi, accordi non aventi contenuto patrimoniale), con una loro considerazione unitaria allo scopo di trarne un vincolo a carico di una parte, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l'effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Accertare la natura, l'entità, le modalità e le conseguenze del collegamento tra tale eterogeneo complesso di atti (negoziali, autoritativi, ecc.) rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 18585/2016

Il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un unico regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, ravvisato un collegamento negoziale tra un contratto di agenzia per il collocamento di prodotti finanziari e un contratto di finanziamento, aveva ritenuto che la risoluzione del primo si ripercuotesse sul secondo, per effetto di una clausola risolutiva espressa ivi prevista).

Cass. civ. n. 15370/2015

Nell'esplicazione della loro autonomia privata, le parti di un contratto possono convenire l'unilaterale o reciproca assunzione di un prefigurato rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, a tale stregua modificandolo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, purché nel rispetto del criterio della meritevolezza di cui all'art. 1322 comma 2, c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la valutazione del giudice di merito che non aveva ravvisato l'esistenza "ex ante" di uno squilibrio tra le prestazioni delle parti di un contratto di finanziamento in lire con clausola parametrica in yen, avendo entrambe assunto il rischio delle oscillazioni del cambio, a quel tempo notoriamente più favorevole alla valuta straniera).

Cass. civ. n. 14695/2015

L'intestazione fiduciaria di un bene - frutto della combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti obbligatori a vantaggio del fiduciante - comporta che il trasferimento vero e proprio in favore del fiduciario sia limitato dall'obbligo, "inter partes", del ritrasferimento al soggetto fiduciante, oppure al beneficiario da lui indicato, in ciò esplicandosi il contenuto del "pactum fiduciae", laddove manca in detta figura qualsiasi intento liberale del fiduciante verso il fiduciario e la posizione di titolarità creata in capo a quest'ultimo si rivela soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante.

Cass. civ. n. 13861/2013

Il collegamento negoziale presuppone, nella prospettiva unificatrice della "causa in concreto", che tutti i negozi coordinati siano voluti per i loro effetti tipici; ne consegue che esso non può realizzarsi fra negozi simulati e dissimulati, essendo di per sé la simulazione già deputata al perseguimento di scopi estranei a quelli del negozio formalmente posto in essere.

Cass. civ. n. 7255/2013

Il collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi "simul stabunt, simul cadent".

Cass. civ. n. 11314/2010

L'acquisto della quota di una società di persone da parte di un fiduciario si configura come combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l'una costituita da un negozio reale traslativo, a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi, e l'altra (il vero e proprio "pactum fiduciae"), avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l'obbligo assunto dal fiduciario di ritrasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha formato oggetto dell'acquisto. In un simile contesto negoziale, non trova applicazione l'art. 1706 c.c., il quale, in tema di mandato, attribuisce effetti reali immediati nel patrimonio del mandante all'acquisto operato per suo conto dal mandatario, in quanto tale meccanismo negoziale è estraneo alla funzione stessa del negozio fiduciario voluto dalle parti.

Cass. civ. n. 2651/2010

In base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., é consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori; pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto provato un accordo verbale tra le parti relativo al passaggio, sul fondo di una di esse, della rete fognante proveniente dal fondo dell'altra, accordo che, pur inidoneo a configurare un valido contratto costitutivo di una servitù di scarico, per difetto della forma scritta richiesta "ad substantiam", era tuttavia idoneo a costituire una servitù irregolare, a carattere non reale ma obbligatorio, sussistendo i requisiti necessari per la conversione del contratto nullo ai sensi dell'art. 1424 c.c.).

Cass. civ. n. 8024/2009

Il negozio fiduciario rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, ma in via indiretta: il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene infatti posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico, e corrispondente in sostanza alla funzione di un negozio diverso. Pertanto, l'intestazione fiduciaria di un bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore del fiduciario, limitato però dagli obblighi stabiliti "inter partes", compreso quello del trasferimento al fiduciante, in cui si ravvisa il contenuto del "pactum fiduciae". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato per vizio di motivazione la sentenza impugnata, la quale, pur ravvisandovi un'ipotesi di intestazione fiduciaria, aveva ritenuto nulla, per violazione dell'art. 28, settimo comma, della legge 8 luglio 1977, n. 513, una scrittura privata con cui l'acquirente di un alloggio di edilizia residenziale pubblica aveva riconosciuto che lo stesso era stato acquistato per la metà con denaro fornito dal fratello, impegnandosi a trasferirgliene la comproprietà non appena fosse scaduto il vincolo d'inalienabilità previsto dalla norma citata).

Cass. civ. n. 7640/2009

Il negozio di accertamento è caratterizzato dall'intento di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto, cui si collega, al fine di precisarne contenuto ed effetti, rendendo definitive e immutabili situazioni di obiettiva incertezza; in particolare, nel caso in cui le parti vogliano riconoscere e determinare l'esatto confine tra terreni contigui, il negozio di accertamento non è soggetto a forme scritte, potendosi perfezionare anche verbalmente o mediante comportamento concludente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che un negozio di accertamento riguardo alla linea di confine tra due fondi potesse desumersi dal fatto che era stato costruito un muro "su indicazione" dei confinanti proprietari, poiché a ciò si era provveduto esclusivamente per sostituire quello preesistente che era crollato).

Cass. civ. n. 24792/2008

La sussistenza di un collegamento negoziale tra due negozi giuridici si desume dalla volontà delle parti, le quali possono anche concordare che uno soltanto dei contratti sia dipendente dall'altro, se il regolamento di interessi che l'uno è volto a disciplinare non dipende da quello dell'altro; l'interpretazione di tale volontà negoziale costituisce "quaestio facti" insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.

Cass. civ. n. 11656/2008

In tema di contratto misto (nella specie, di vendita e di appalto), la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente.

Cass. civ. n. 6739/2008

In tema di negozio di accertamento, la sua efficacia dichiarativa deriva dalla natura di mera ricognizione degli obblighi già fissati in altro negozio, quello originario, cui si correla esigendo non necessariamente l'identità soggettiva delle rispettive parti, ma almeno quella dei soggetti, del rapporto oggetto di ricognizione che debbono esserne titolari (ad esempio, per successione); ne consegue che ha natura dispositiva il negozio che incida su rapporti di cui sono titolari soggetti differenti da quelli del rapporto originario, anche se esso muova dalla ricognizione di una situazione giuridica preesistente. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo all'atto di trasferimento immobiliare, oggetto di successiva azione revocatoria ex art. 64 legge fall., stipulato dalle società proprietarie successivamente a una transazione cui esse non avevano preso parte).

Cass. civ. n. 8098/2006

Il negozio indiretto si distingue dalla simulazione relativa perché mentre in quest'ultima le parti vogliono porre in essere un atto reale, nascondendolo sotto le avverse e fittizie apparenze di un atto diverso, palese ma meramente illusorio, e rivolto a nascondere l'atto vero, con il primo (denominato anche procedimento indiretto), invece, le parti, proponendosi di realizzare una particolare finalità, ricorrono alla combinazione di più atti, tutti veri e reali e non illusori, collegandoli insieme, in modo da giungere al fine ultimo propostosi per via indiretta ed attraverso il concorso e la reciproca reazione delle varie forme giuridiche collegate, tutte corrispondenti al vero e tutte conformi alla dichiarata volontà dei contraenti. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio e pervenendo alla correzione della motivazione dell'impugnata sentenza, ha rilevato, escludendo la configurabilità di un negozio indiretto, la sussistenza di una simulazione, con la conseguente validità ed efficacia tra le parti del negozio dissimulato risultante dalle inerenti controdichiarazioni, nella successione di tre impegni scritti nei quali si sarebbe dovuto ravvisare il comune intento di realizzare una serie di atti finalizzati a piegare il negozio di trasferimento di un immobile al soddisfacimento della causa tipica di un'associazione in partecipazione).

Cass. civ. n. 13399/2005

Il contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, non solo è unico, ma ha causa unica ed inscindibile, nella quale si combinano gli elementi dei diversi tipi che lo costituiscono; il contratto deve essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (e la prevalenza si determina in base ad indici economici od anche di tipo diverso, come la «forza» del tipo o l'interesse che ha mosso le parti), salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto dell'autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto.

Cass. civ. n. 9402/2005

Tenuto conto che il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l'uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l'altro di carattere interno — pure effettivamente voluto — ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo, l'intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (a differenza che nel caso d'interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. (Nella specie, è stata negata la natura fiduciaria dell'intestazione a favore della moglie del ricorrente delle quote societarie alla medesima cedute dalla madre di quest'ultimo, essendo stata esclusa l'esistenza di un pactum fiduciae fra la cessionaria e il marito, che era risultato peraltro estraneo al negozio di cessione).

Cass. civ. n. 12567/2004

Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell'altro, nonché dall'intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell'altro. (Enunciando, in fattispecie di mutuo utilizzato per corrispondere il prezzo dell'acquisto di un veicolo, il principio di cui in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito, di accoglimento dell'opposizione del mutuatario, che aveva rifiutato il pagamento, ingiuntogli, di pagare le rate di mutuo perché l'autovettura non gli era stata consegnata dal venditore, essendo con ciò venuta meno la ragione del finanziamento. La S.C. ha in particolare escluso che la configurabilità di un mutuo di scopo derivasse dal semplice fatto della qualificazione del mutuo in termini di prestito al consumo e dalla circostanza dell'avvenuto versamento della somma dalla banca al venditore su delega irrevocabile del mutuatario; e ciò, tanto più in presenza di una clausola contrattuale che espressamente limitava il ruolo della banca alla erogazione del credito e che riconosceva la «totale estraneità» di essa «al rapporto commerciale con il venditore ed a qualsiasi altro rapporto ad esso collegato, sussistente con terzi»).

Cass. civ. n. 10179/2004

Nell'esplicazione della loro autonomia privata, ben possono le parti di un contratto, ai sensi dell'art. 1322, primo comma, c.c., convenire il differimento della produzione degli effetti finali dello stesso alla scadenza di un termine (cosiddetto termine di efficacia), senza che il vincolo negoziale possa considerarsi perciò inesistente, come confermato dalle disposizioni degli art. 1372 e 1373 c.c., secondo le quali il vincolo negoziale esiste a prescindere dalla esecuzione o eseguibilità del contratto, e cessa solo per le cause previste dalla legge.

Cass. civ. n. 9651/2004

Il negozio giuridico, inteso come dichiarazione di volontà diretta a realizzare effetti giuridici, può spiegare i suoi effetti anche per il passato, assumendo la natura di negozio di accertamento, che può avere anche struttura unilaterale, venendo in tal caso a fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo.

Cass. civ. n. 7640/2003

Ricorre l'ipotesi del collegamento negoziale qualora appaia la volontà delle parti di porre in essere due o più negozi che si coordinino per l'adempimento di un'unica funzione; in particolare, il collegamento può essere sia genetico, ove uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scaturito dall'altro, sia funzionale, nel caso in cui le parti abbiano voluto collegare i due negozi sotto il profilo del nesso teleologico; tutte le volte in cui sia ricostruibile la volontà delle parti di collegare tra loro i negozi, dal nesso di interdipendenza deriva che le vicende dell'uno si ripercuotono su quelle dell'altro, condizionandone la validità e l'efficacia e che la loro combinazione produce effetti giuridici ulteriori, rispetto a quelli che verrebbero prodotti autonomamente da ciascuno di essi.

Cass. civ. n. 8844/2001

Il collegamento contrattuale, che può risultare legislativamente fissato ed è quindi tipico, come accade nella disciplina della sublocazione contenuta nell'art. 1595 c.c., ma può essere anche atipico in quanto espressione dell'autonomia contrattuale indicata nell'art. 1322 c.c., nei suoi aspetti generali non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Il criterio distintivo fra contratto unico e contratto collegato, pertanto, non è dato da elementi formali, quali l'unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere unico anche se ricavabile da più testi; un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni, ma da quello sostanziale dell'unicità o pluralità degli interessi perseguiti. Infatti il «contratto collegato» non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Accertare la natura, l'entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie si è ritenuto che correttamente i giudici di merito avevano accertato l'esistenza del collegamento negoziale fra un contratto preliminare di vendita di un immobile ed il mandato a vendere il medesimo bene, conferito dal promittente alienante al promissario acquirente. Da tale premessa si è ricavato che la risoluzione del primo contratto per inadempimento del promissario acquirente riverberava i suoi effetti sul secondo, rimasto privo di causa, sicché ne derivava, con effetto di rimbalzo, l'inefficacia, nei confronti del dominus del contratto con sé stesso stipulato dal mandatario, il quale aveva agito alla stregua di un falsus procurator).

Cass. civ. n. 11932/1997

Il collegamento causale tra più negozi giuridici presuppone che essi siano stati stipulati tra gli stessi soggetti in modo che un negozio possa influire sull'altro nella regolamentazione degli interessi tra le stesse parti nell'ambito di una finalità complessiva consistente in un assetto economico globale ed inscindibile che le parti hanno voluto in ossequio al loro potere di autonomia contrattuale.

Cass. civ. n. 827/1997

Perché possa configurarsi un collegamento di negozi in senso tecnico, tale da imporre la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico fra i negozi, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti (ancorché non manifestato in forma espressa, potendo risultare anche tacitamente) di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una sola delle parti all'insaputa e senza la partecipazione dell'altra; ne consegue che l'indagine del giudice deve essere diretta ad accertare se, oltre la finalità propria di ciascuno dei contratti contestualmente conclusi, sussista o meno una finalità complessiva consistente in un assetto economico globale e inscindibile che le parti hanno voluto e che va quindi rispettato in ossequio al loro potere di autonomia.

Cass. civ. n. 2611/1996

Il negozio di accertamento, avendo la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni contestazione al riguardo, non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti e, pertanto, per la regolamentazione della situazione controversa (nella specie, sussistenza, o meno, della comproprietà di beni immobili tra i coniugi), deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, in quanto l'indicato negozio è volto soltanto ad eliminare le incertezze della situazione giuridica preesistente, presupponendo l'esistenza di un rapporto giuridico tra le parti, in mancanza del quale il negozio di accertamento difetta di causa ed è nullo.

Cass. civ. n. 5613/1994

Le parti, nella esplicazione della loro autonomia negoziale, possono anche assumere obbligazioni che abbiano per oggetto una attività per la quale sia richiesto un provvedimento abilitativo della Pubblica Amministrazione, perché queste obbligazioni non interferiscono nella sfera della Pubblica Amministrazione ma comportano solo l'obbligo, per il debitore, di conseguire le necessarie autorizzazioni, al cui rilascio resta condizionata la loro esecuzione forzata a norma dell'art. 2931 c.c.

Cass. civ. n. 5113/1993

Il patto con il quale si conviene che uno dei contraenti acquisti un fondo in proprietà comune e trasferisca agli altri contraenti la quota ad essi rispettivamente spettante non può essere qualificato come negozio fiduciario di tipo traslativo, che è stipulato tra l'alienante e l'acquirente in vista di uno scopo pratico ulteriore rispetto a quello proprio dell'alienazione, né come una situazione di cosiddetta fiducia di tipo statico, che si innesta in una situazione giuridica preesistente in testa alla persona che, con il pactum fiduciae, accetta di dirottarla dal suo naturale esito, ma deve essere ricondotto alla figura giuridica del mandato senza rappresentanza ed, avendo per oggetto un bene immobile, deve essere stipulato per iscritto.

Cass. civ. n. 11025/1991

Il negozio fiduciario, sia quando venga preceduto da un atto di trasferimento del diritto del fiduciante al fiduciario (cosiddetta fiducia dinamica) sia quando non lo sia, per essere il fiduciario già titolare del diritto che si obblighi a trasferire all'altro contraente o al terzo (cosiddetta fiducia statica), è sempre un atto realmente dovuto, con la conseguenza che ad esso non sono estensibili le norme che prevedono l'inopponibilità del negozio simulato ai creditori del titolare apparente.

Poiché il negozio fiduciario, nella parte contenente il pactum fiduciae, non è trascrivibile, in considerazione della sua natura obbligatoria, nulla impedisce al fiduciario di trasferire, in sua violazione, il diritto cedutogli ad un terzo, il cui acquisto è pienamente valido ed efficace anche nei confronti del fiduciante.

Cass. civ. n. 9388/1991

... L'anzidetto collegamento può peraltro assumere carattere unilaterale, nel senso che la dipendenza logica e giuridica è limitata per volontà delle parti ad uno solo dei contratti, destinato quindi a subire l'influenza dell'altro.

Cass. civ. n. 885/1991

A differenza della ricognizione di debito il negozio di accertamento, in corrispondenza della sua funzione di eliminare l'incertezza su di una situazione giuridica preesistente, deve necessariamente indicare il rapporto cui l'obbligazione che forma oggetto dell'accertamento si ricollega, giacché obbligazione e credito in tanto sussistono come situazione giuridica di un certo tipo con un determinato contenuto in quanto si ricollegano ad un fatto giuridico idoneo a determinare il sorgerne in conformità dell'ordinamento.

Cass. civ. n. 6650/1984

Nel caso di negozio indiretto, che ricorre quando le parti utilizzino una fattispecie negoziale tipica, e la pongano effettivamente in essere, ma per conseguire; oltre agli scopi ad essa propri, anche ulteriori scopo propri di un diverso negozio tipico, trovano applicazione le norme del negozio impiegato, per quanto riguarda struttura, forma ed elementi costitutivi, mentre le norme di quel diverso negozio sono operanti nella parte in cui si limitino a regolarne il risultato, indipendentemente dallo strumento adoperato per il suo raggiungimento.

Cass. civ. n. 6586/1984

Le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, possono dar vita, contestualmente o non, a diversi e distinti contratti i quali, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa e conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale — alla cui disciplina rimangono rispettivamente sottoposti — vengano tuttavia concepiti e voluti come funzionalmente e teleologicamente collegati fra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, così che le vicende dell'uno debbano ripercuotersi sull'altro condizionandone la validità e l'efficacia. A tal fine non è neppure necessario che i soggetti siano i medesimi in ciascuno dei negozi collegati.

Cass. civ. n. 7274/1983

Nel negozio di accertamento, il quale persegue la funzione di eliminare l'incertezza di una situazione giuridica preesistente, la nullità per mancanza di causa è ipotizzabile solo quando le parti, per errore o volutamente, abbiano accertato una situazione inesistente, oppure quando la situazione esisteva, ma era certa. Pertanto, con riguardo ad una scrittura privata avente ad oggetto il riconoscimento di una determinata intestazione di proprietà immobiliare, la mancanza di effetti traslativi, e la circostanza che il documento non contenga un'espressa indicazione dei rapporti che l'hanno preceduta, non sono ragioni di per sé sufficienti per affermare la nullità ed inoperatività della scrittura medesima, per difetto di causa, rendendosi necessaria un'indagine sui possibili suoi collegamenti con negozi precedenti intercorsi fra le stesse parti, al fine di stabilire se ricorra l'indicata funzione, e se, quindi, sia configurabile un negozio di accertamento rivolto a rendere definitiva e vincolante una precedente situazione incerta.

Cass. civ. n. 6864/1983

Nel caso di più dichiarazioni contestuali aventi - se considerate l'una indipendentemente dalle altre - individualità ed efficacia proprie, occorre distinguere l'ipotesi in cui ciascuna dichiarazione viene in considerazione come un distinto negozio giuridico, per cui alla pluralità di dichiarazioni corrisponde una molteplicità di negozi, da quella in cui le varie dichiarazioni risultino combinate tra loro, sì da dar vita ad un negozio giuridico unitario. Mentre in quest'ultima ipotesi si ha un solo negozio, complesso o misto, caratterizzato dall'unificazione dell'elemento causale, nella prima ipotesi si ha invece un insieme di negozi che possono essere collegati funzionalmente o anche solo occasionalmente. In particolare, ove si tratti di una pluralità di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, sono solo casualmente riunite, mantenendo l'individualità propria di ciascun titolo negoziale in cui esse si inquadrano, si che la loro unione non influenza, di regola, la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi cui le parti diano vita nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale, vengano tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, sì che le vicende dell'uno debbano ripercuotersi sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia.

Cass. civ. n. 3843/1983

La vendita fiduciaria a scopo di garanzia si distingue dalla vendita con patto di riscatto dissimulante un mutuo con patto commissorio perché nel negozio fiduciario la proprietà si trasferisce al compratore che, però, assume l'obbligo, derivante dal patto interno ad efficacia meramente obbligatoria, di ritrasferire il bene al venditore se questi estinguerà il debito garantito, mentre nel negozio simulato, pur essendo apparentemente convenuto il trasferimento immediato della proprietà (sottoposto a condizione risolutiva a favore del venditore che voglia riprendere la cosa mediante la tempestiva restituzione del prezzo), le parti concordano in concreto, ponendo in essere un patto commissorio, che il compratore-creditore diverrà proprietario dell'immobile solo se il debitore non adempierà il suo debito nel termine stabilito. Data la nullità di tale patto, la prova di siffatta simulazione può essere data con testimoni e presunzioni anche inter partes.

Cass. civ. n. 7520/1983

Con il collegamento negoziale volontario si realizza un legame causale tra due o più negozi, contestuali o anche successivi, volto al conseguimento di un risultato e di un assetto di interessi che trascendono la funzione dei singoli negozi, di modo che ciascuno dei negozi concorrenti o in sequenza produce gli effetti giuridici conformi alla sua destinazione, ma gli stessi, inoltre, nella loro sintesi e nella loro sequenza, sono produttivi di effetti giuridici ulteriori che non coincidono con quelli dei negozi singolarmente considerati costituendo ciascuno uno strumento di integrazione della funzione economico-sociale che qualifica gli altri, ed il rapporto giuridico che ne viene costituito ha nel collegamento dei negozi la sua fonte genetica e/o il suo regolamento funzionale. L'accertamento dell'esistenza di un siffatto collegamento negoziale, della sua natura ed entità e delle sue modalità e conseguenze, attenendo all'interpretazione della volontà delle parti, rientra nei compiti esclusivi del giudice del merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato. (Nella specie: successivamente ad una vendita immobiliare, le parti, previo rilascio di procura notarile dal compratore al venditore, avevano stipulato altra convenzione con la quale, se entro un determinato termine il compratore non avesse soddisfatto le sue obbligazioni, si dava mandato all'originario venditore di vendere nuovamente gli immobili compensando tutte le sue ragioni con i prezzi da incassare, e il giudice del merito aveva ritenuto che, avendo le parti stabilito un collegamento tra i due negozi, il compratore non poteva ritenersi inadempiente finché il venditore-mandatario non avesse infruttuosamente dato esecuzione al mandato liquidatorio, ed a quest'ultimo era precluso di chiedere la risoluzione del contratto di compravendita, avendo consentito di realizzare i suoi crediti con le modalità e i termini stabiliti nella successiva convenzione; la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile tale statuizione ed enunciato il principio di cui in massima).

Cass. civ. n. 161/1983

A differenza della transazione, che postula una reciprocità di concessioni tra le parti in modo che ciascuna di esse subisca un sacrificio, e della rinuncia, che postula l'esistenza di un diritto acquisito e la volontà abdicativa volta a dismettere il diritto medesimo, il negozio di accertamento ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo; esso non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, ma rende definitivo ed immutabile situazioni effettuali già in stato di obiettiva incertezza, vincolando le parti ad attribuire al rapporto precedente gli effetti che risultano dall'accertamento, e precludendo loro ogni pretesa, ragione od azione in contrasto con esso.

Cass. civ. n. 4438/1982

Il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l'uno di carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi, e l'altro di carattere interno ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire la cosa o il diritto attribuitogli con il negozio reale all'altro contraente o ad un terzo. (Nella specie, il Supremo Collegio, enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto l'esistenza di un negozio fiduciario, senza accertare l'esistenza del collegamento tra i due negozi, dei quali quello di carattere interno era risultato posteriore all'altro).

Negli schemi del pactum fiduciae rientra, oltre il negozio fiduciario di tipo traslativo, anche la cosiddetta fiducia statica i cui estremi sono rappresentati dalla preesistenza di una situazione giuridica attiva facente capo ad un soggetto che venga poi assunto come fiduciario e si dichiari disposto ad attuare un certo «disegno» del fiduciante mediante l'utilizzazione non già di una situazione giuridica all'uopo creata (come nel negozio fiduciario di tipo traslativo), ma di quella preesistente, che viene così dirottata dal suo naturale esito, a ciò potendosi determinare proprio perché a lui fa capo la situazione giuridica di cui si tratta.

Cass. civ. n. 6720/1981

Per il principio dell'autonomia contrattuale, è pienamente ammissibile il cosiddetto accordo o contratto normativo, che, avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, dei quali fissa preventivamente il contenuto, non comporta il sorgere di un rapporto da cui scaturiscono immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti, ma detta norme intese a regolare il rapporto, nel caso che le parti intendano crearlo.

Cass. civ. n. 6001/1981

Perché un negozio possa qualificarsi d'accertamento, è necessario che esso abbia, come causa, la rimozione della situazione di incertezza in cui si trova un determinato rapporto giuridico, come oggetto, la fissazione del contenuto di un precedente negozio e, come effetto, a differenza dell'atto ricognitivo ex art. 2720 c.c., la creazione di un'obbligazione nuova, che impone alle parti il riconoscimento di quel contenuto.

Cass. civ. n. 5857/1981

Una scrittura privata che non costituisca una transazione per difetto delle reciproche concessioni delle parti e per la mancanza di sottoscrizione dei due contraenti, può ben costituire un negozio unilaterale di accertamento ove sia sottoscritta da un soggetto e caratterizzata dalla volizione di costui di conferire certezza ad un preesistente rapporto giuridico, precisandone in modo definitivo e vincolante, l'assenza, il contenuto e gli effetti.

Cass. civ. n. 5961/1978

Il criterio distintivo tra vendita fiduciaria a scopo di garanzia e vendita dissimulante un mutuo con patto commissorio deve individuarsi nel fatto che la vendita fiduciaria, con la quale viene garantita la restituzione di una somma mutuata dal compratore al venditore entro il termine previsto per l'esercizio del diritto di riscatto, è vendita vera e reale sottoposta a condizione risolutiva potestativa e produce il trasferimento immediato della cosa venduta al compratore, mentre nella vendita che dissimula un mutuo con patto commissorio, colpito da nullità dell'art. 2744 c.c., le parti contraenti convengono che il trapasso della proprietà della cosa abbia a verificarsi nel momento in cui è inutilmente decorso il termine per la restituzione della somma mutuata, con il che si pone in essere una vendita sottoposta a condizione sospensiva; da tali fattispecie si distingue, poi, il patto di retrovendita, il quale consiste nella mera promessa, da parte del compratore, di rivendere la cosa acquistata a colui che 1'aveva venduta. L'accertamento di quale delle tre fattispecie si sia in concreto realizzata comporta l'apprezzamento di elementi di fatto ed è perciò demandato al giudice di merito la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se immune da errori di diritto e da vizi di motivazione.

Cass. civ. n. 260/1978

Nel caso di più negozi strutturalmente distinti ma funzionalmente collegati, si è in presenza di un contratto o, più genericamente, di un rapporto unico, quando gli strumenti tecnici negoziali prescelti dagli originari contraenti per disciplinare i loro interessi li abbiano ad unici soggetti. Per contro, ove nella vicenda negoziale intervengano altri soggetti, come parti di ulteriori negozi, retti da una loro autonoma causa, si è in presenza di contratti oggettivamente e soggettivamente differenziati, di tal che, se può configurarsi un loro collegamento genetico o funzionale al fine di stabilire se e come gli effetti dell'uno influenzino quelli dell'altro, ognuno di tali contratti, facente capo a persone diverse è dotato di una disciplina sua propria, costituisce una insopprimibile entità giuridica, che non può essere esclusa od ignorata senza sopprimere un prodotto dell'autonomia contrattuale e neppure assorbita nello scopo pratico degli originari contraenti senza dar luogo ad una riduttiva operazione deformante.

Cass. civ. n. 3545/1977

Le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono distinguersi in «contratti misti» quando la fusione delle cause fa si che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente; «contratti complessi» nei quali alla fusione delle volontà fa riscontro la loro interdipendenza nonché il fine unico perseguibile attraverso di essi; «contratti collegati» quando le singole convenzioni, occasionalmente collegate, mantengano l'individualità propria, così che la loro unione non influenza, di regola, la disciplina dei singoli rapporti.

Cass. civ. n. 1205/1977

La distinzione fra contratto complesso e contratti collegati consiste nel corrispondere il contratto complesso al fenomeno della giustapposizione nel contenuto precettivo di un unico negozio di più elementi, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, rientra nel contenuto di un distinto negozio giuridico tipico o atipico. All'unità nel negozio corrisponde l'unità della causa e la disciplina applicabile è quella corrispondente al contenuto negoziale tipico di maggior rilievo nella finalità perseguita dalle parti. Nel caso di contratti collegati, invece, ricorrono più contratti autonomi, contraddistinti da più cause distinte fra di loro, ma preordinate, nell'intenzione delle parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario costituito, di norma, nell'agevolare la realizzazione della funzione economico-sociale di uno dei negozi collegati, i quali si trovano, fra di loro, in un rapporto tale per cui la validità o l'efficacia di uno di essi influenzano la validità, e l'efficacia degli altri.

Cass. civ. n. 1031/1977

Il negozio di accertamento — pur non determinando il trasferimento di beni o di diritti, e pur non costituendo fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti — può tuttavia rendere definitive ed immutabili, nel senso e nei limiti contemplati dallo specifico atto di volontà, situazioni effettuali già in stato di obiettiva incertezza, con il vincolare il soggetto dichiarante, e i soggetti interessati che abbiano manifestato la volontà di avvalersene, ad attribuire al preesistente rapporto gli effetti che risultano dall'accertamento, e col precludere loro ogni pretesa, ragione od azione in contrasto con esso, producendo, in ordine al rapporto preesistente da accertare, quando ciò sia possibile, gli stessi effetti che derivano, in virtù del giudicato, dall'accertamento effettuato ope iudicis. Ne consegue che la situazione preesistente, alla quale la fattispecie accertativa è raccordata da un intimo nesso di collegamento, trova la propria regolamentazione nella fonte originaria, nei limiti del contenuto e con l'area di efficacia delineati dalla fonte nuova, la quale si giustappone alla prima senza estinguerla.

Cass. civ. n. 3301/1975

La qualificazione giuridica di un contratto, che per inserzione di alcune clausole particolari presenti contenuto complesso o comunque difforme dalla causa di una o più specifiche tipologie negoziali previste dalla legge, va individuata avendo riguardo al criterio della prevalenza, vale a dire applicando la normativa corrispondente al contenuto negoziale tipico e di maggior rilievo nelle finalità pratiche delle parti. Questo criterio va seguito non solo nella ipotesi di contratti misti, ma anche in quei casi in cui, nell'ambito di un unitario rapporto, il contenuto delle prestazioni assuma un carattere anomalo o anfibologico rispetto alle fattispecie legali tipiche.

Cass. civ. n. 2998/1973

Se è vero che il contratto normativo non presuppone necessariamente che le parti dei futuri contratti particolari siano quelle medesime che hanno stipulato il contratto normativo, occorre, tuttavia, che non si tratti di terzi assolutamente estranei, la cui posizione non possa venir influenzata da questo contratto: quindi occorre almeno che i soggetti del contratto normativo avessero avuto la rappresentanza di quelli dei futuri contratti particolari.

Cass. civ. n. 1476/1971

Il fenomeno del collegamento negoziale, in forza del quale gli effetti di un negozio sono corretti dall'adozione combinata di altro negozio, il cui intento pratico, deviando il primo dalla direzione sua propria, produce una risultante negoziale corrispondente alla volontà complessiva delle parti, assume significato fuori dell'ambito della simulazione, poiché il collegamento presuppone la realtà dei negozi adottati nel quadro di un intento pratico ulteriore, mentre la simulazione investe (assolutamente o relativamente) l'esistenza stessa dei negozi considerati.

Cass. civ. n. 3645/200

Il collegamento negoziale si qualifica come un fenomeno incidente direttamente sulla causa dell'operazione contrattuale che viene posta in essere, risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Al fine di acquisire autonoma rilevanza giuridica, specie nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e laddove la connessione rifletta l'interesse soltanto di uno dei contraenti, è necessario, tuttavia, che il nesso teleologico tra i negozi o si traduca nell'inserimento di apposite clausole di salvaguardia della parte che vi ha interesse ovvero venga quantomeno esplicitato ed accettato dagli altri contraenti, in modo da poter pretendere da essi una condotta orientata al conseguimento dell'utilità pratica cui mira l'intera operazione. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata con la quale, in relazione ad un'azione di risoluzione di un contratto preliminare di compravendita per inosservanza del termine previsto in funzione della stipula del contratto definitivo al quale era connessa la vendita di un altro immobile in favore di terzi da parte del promissario acquirente, era stato escluso, adottandosi una motivazione logica ed adeguata, tanto l'inserimento nel preliminare di clausole contrattuali che potessero esprimere la dedotta interdipendenza tra i due contratti, quanto che un tale legame fosse noto e fosse stato condiviso e fatto proprio dagli altri contraenti).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1322 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. T. chiede
giovedì 05/09/2024
“Buonasera,
vorrei presentare il seguente quesito, riguardante un diritto di prelazione che intendo concedere nell'ambito di una precisazione delle proprietà individuali e comuni del mio condominio minimo, per le quali avevo precedentemente inviato altri quesiti.

Si premette che il prelazionario mi ha offerto di acquistare la nuda proprietà; a me in questo momento non interessa, ma intendo concedergli un diritto di prelazione sostanzialmente "certo". Dato che infatti il diritto di prelazione, essendo semplicemente obbligatorio, non ha la stessa valenza di una cessione della nuda proprietà, l'ho rafforzato in maniera tale da rendere praticamente impossibile o quantomeno estremamente sconveniente violarlo.

Questo inserendo due elementi:
1 - mancato rispetto della clausola anche in caso di vendita ad un prezzo inferiore al 103% di quello indicato nell'offerta di vendita. Questo per evitare che uno scarto minimo possa vanificare la garanzia della prelazione (il 3% corrisponde più o meno alla commissione di un'agenzia cui dovrei rivolgermi qualora il prelazionario non accettasse la mia offerta).
2 - una penale particolarmente alta, tale da rendere totalmente antieconomico ignorare l'obbligo di preventiva offerta al prelazionario.

Vorrei quindi sapere se le due condizioni sopra riportate sono giuridicamente valide o potrebbero - qualora fossi una persona scorretta - contestarle al momento della loro applicazione per eccessiva onerosità
Questo perché il prelazionario sicuramente farà visionare da un suo legale il testo, e vorrei pertanto evitare di fare la figura del furbetto o - quanto meno - dell'incompetente.

Per completezza trascrivo la bozza che intendo presentare.

Patto di prelazione
tra le sottoscritte parti:
– il Sig. R.T. , (…) , di seguito denominato promittente o concedente, da una parte;
– il Sig. xxxxxx. (…) di seguito denominato prelazionario, dall’altra parte;
si stipula il seguente patto di prelazione, regolato in base alle condizioni che seguono:

1) Il concedente attribuisce al prelazionario, che accetta, il diritto di prelazione sull’acquisto
dell’immobile catastalmente identificato (...) e della relativa autorimessa di pertinenza catastalmente identificata (…)

2) La preferenza di cui alla precedente clausola verrà accordata al prelazionario nel caso in cui il concedente decida di alienare l’immobile e la pertinenza (congiuntamente o separatamente) sopra descritto ed alle condizioni che deciderà di praticare.
Pertanto il concedente si impegna a comunicare al prelazionario tramite qualunque mezzo in grado di attestare il ricevimento (raccomandata, PEC, telegramma o altri che emergessero in futuro), presso la sua residenza, la volontà di vendere l’immobile con specifica indicazione delle condizioni, del prezzo, del termine di consegna e delle modalità di pagamento.

3) Nel caso di mancata comunicazione alla residenza del concedente - da effettuarsi con qualunque mezzo in grado di attestare il ricevimento (vedasi punto 2)- della volontà di addivenire all’acquisto dell’immobile di cui alla precedente clausola, il patto diverrà inefficace decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione o in ogni caso entro 45 giorni dall'invio della comunicazione.

4) In caso di mancato rispetto della presente clausola, che si verificherà qualora il concedente alienasse gli immobili oggetto della presente clausola ad un prezzo inferiore al 103% del valore indicato nella comunicazione di cui al punto 2, il concedente verserà a titolo di penale il 30% del valore ricavato dalla vendita degli immobili a terzi.

5) il prelazionario si impegna a comunicare al concedente tramite qualunque mezzo in grado di attestare il ricevimento (vedasi punto 2) eventuali variazioni della residenza cui inviare la comunicazione di cui al punto 2; fino al ricevimento della comunicazione di variazione, l'offerta sarà considerata valida se inviata alla residenza di cui al presente atto; il concedente indicherà nella sua offerta anche, se variato da quello del presente atto, l'indirizzo di residenza cui inviare l'accettazione della proposta comunicatagli.

5) il presente patto è esteso solo agli aventi causa a qualunque titolo del concedente, non a quelli del prelazionario.

6) Il diritto di prelazione viene concesso a titolo gratuito nell'ambito del complessivo atto di precisazione delle rispettive proprietà e delle aree comuni fra i condomini di cui al presente atto.”
Consulenza legale i 10/09/2024
La prelazione consiste nel diritto di essere preferiti ad altri nella conclusione di un contratto a parità di condizioni; tale diritto può essere convenuto dalle parti convenzionalmente: in questo caso avremo una prelazione volontaria, oppure è previsto dalla legge, con garanzie più pregnanti a favore del prelazionario. Il nostro ordinamento non disciplina la prelazione in senso generale, ma prevede alcuni casi di prelazione legale specificatamente previsti caso per caso: i più frequenti nella pratica sono la prelazione agraria e quella urbana prevista nell’ambito delle locazioni abitative o commerciali. Nulla vieta tuttavia che le parti nell’ambito della loro libertà contrattuale garantitagli dall’art. 1322 del c.c. possano decidere di convenire una prelazione volontaria andando a determinare loro il contenuto del diritto: ed è proprio questo l’intendimento dell’autore del quesito.

E’ importante tuttavia capire con chiarezza come funziona nella pratica il diritto di prelazione che è una cosa ben diversa da un obbligo a contrarre. Tizio è proprietario di un appartamento e intende venderlo. Tra Tizio e Caio v’è un accordo, in forza del quale Caio ha il diritto di prelazione sulla vendita di tale appartamento. Quindi, se Tizio decide di vendere tale cespite e ha già trovato un acquirente pronto a comprarlo, esso non è libero di farlo, neppure se egli ha già in mano una proposta di acquisto, ad esempio per il prezzo di € 100 mila, firmata da un ipotetico acquirente. Egli per rispettare l’accordo preso con Caio è obbligato a comunicare a quest’ultimo l’offerta ricevuta e se egli accetta di acquistare l’appartamento alle stesse condizioni (cioè per 100 mila euro), Tizio è obbligato a preferire lui all’acquirente già firmatario della proposta di acquisto, in quanto Caio gode del diritto di prelazione; solo se Caio rifiuta l’acquisto, Tizio può alienarla a chi desidera, purché allo stesso prezzo, o ad un prezzo superiore, rispetto a quello proposto a Caio. Infatti, il diritto di prelazione consiste nel diritto di essere preferiti ad altri nella conclusione di un contratto, alle stesse condizioni. Ciò che differenzia il diritto di prelazione rispetto ad un compromesso risiede nel fatto che il concedente, rispetto ad un promittente venditore è libero di vendere o meno: il promittente venditore, al contrario, una volta firmato il compromesso è obbligato a vendere l’immobile al promissario acquirente.
Come già accennato, affinché il prelazionario possa esercitare in maniera corretta il suo diritto deve accettare le medesime condizioni (tipicamente il prezzo di acquisto) che sono state offerte al concedente: egli non ha certamente alcun diritto di preferenza se fa una controfferta al ribasso.

Venendo a trattare il caso specifico, il contratto di prelazione va sostanzialmente bene, l’unico aspetto che si consiglia di modificare è quello di evitare la maggiorazione del 3%, in quanto verrebbe meno la parità di condizioni tra l’offerta ricevuta e l’adesione del prelazionario che, come detto è ciò che caratterizza il diritto di prelazione.
Si tenga infatti presente che nella pratica, a fronte della presenza di un diritto di prelazione, se si desidererà in futuro acquistare la unità immobiliare del vicino (vuoi in piena, vuoi in nuda proprietà), la cosa migliore da fare, prima di rivolgersi ad una agenzia,sarà quella di contattare il proprietario del bene e, se vi è la sua disponibilità, iniziare con lui una trattativa: se si arriverà ad un accordo sulla vendita si firmerà un compromesso e poi si andrà a rogito, se invece la trattativa non verrà finalizzata non crediamo vi saranno problemi per il prelazionario a firmare due righe di rinuncia alla prelazione concessagli con la scrittura data in visione.

G. B. chiede
venerdì 14/07/2023
“PREMESSA
Nel 1972 tre fratelli fanno costruire in una località di vacanza una palazzina di tre piani oltre piano terra, composta da tre appartamenti, ciascuno con propria cantina, oltre a locale garage a piano terra con due posti auto; la palazzina viene accatastata come proprietà indivisa, anche se ciascuno dei tre fratelli prende pacificamente possesso di un appartamento e della relativa cantina; il garage viene utilizzato a turno di comune accordo. I tre appartamenti vengono tutti utilizzati come "seconda casa" o casa per vacanza. Dopo la morte del fratello più anziano, nel 1991 gli eredi di quest'ultimo e i due fratelli ancora viventi stipulano un atto notarile di Divisione con il quale ciascuno dei tre appartamenti viene intestato alle tre Proprietà, mentre il locale garage a piano terra - con propria autonoma scheda catastale - resta proprietà indivisa per quote di un terzo, così come le altre parti comuni (ingresso, scale, locale caldaia, corridoio cantine). Nell'atto di Divisione si dice testualmente: "Per il caso di vendita, totale o parziale, delle unità immobiliari di rispettiva proprietà, i contraenti, per sé ed eredi, dichiarano di accordarsi reciprocamente il diritto di prelazione, a parità di condizioni con terzi aspiranti all'acquisto, da esercitarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della lettera raccomandata con ricevuta di ritorno portante le condizioni della vendita". Successivamente alla stipula dell'atto di divisione anche gli altri due fratelli sono deceduti e i rispettivi immobili sono passati per successione ai figli, attuali proprietari. Uno dei proprietari è attualmente interessato a vendere; io sarei interessato all'acquisto o dell'intera proprietà in vendita o anche solo della quota di un terzo del garage indiviso, ma non c'è accordo sul prezzo, per cui l'aspirante venditore ha messo l'immobile sul mercato
QUESITO
1. Posso pretendere che la lettera raccomandata portante le condizioni della vendita come prevista dall'atto di Divisione specifichi separatamente i valori offerti dall'aspirante compratore per ciascuna delle tre parti componenti la proprietà in vendita (e cioè: appartamento, cantina, quota di un terzo del garage indiviso) ?
2. Posso esercitare la prelazione solo su una o due delle parti componenti la proprietà in vendita (nello specifico: la quota di un terzo del garage indiviso)?
Grazie

Consulenza legale i 19/07/2023
Il caso che si sottopone all’attenzione configura una tipica ipotesi di prelazione volontaria, ovvero quel particolare negozio giuridico che le parti decidono liberamente di concludere, in virtù del principio di autonomia contrattuale sancito all’art. 1322 c.c., ma che non trova espressa disciplina nel codice civile.
Il patto di prelazione può presentarsi come una clausola inserita in un contratto più ampio (come nel caso di specie) ovvero come un contratto autonomo.
I soggetti coinvolti in detta operazione negoziale sono due, ovvero:
a) il concedente o prelazionante o promittente: si definisce tale il soggetto che concede il diritto di prelazione.
b) Il beneficiario o prelazionario, ovvero il titolare del diritto di prelazione.
Entrambe le parti si trovano in due diverse e contrapposte situazioni soggettive, in quanto:
- il concedente si obbliga a preferire il beneficiario e, dunque, si dice che versa in una situazione di soggezione;
- il beneficiario gode di un diritto potestativo, ovvero può incidere sulla situazione giuridica del concedente senza che la controparte possa impedirlo.
Occorre, tuttavia, avere chiaro che il diritto di prelazione opera soltanto nel caso in cui il concedente decida di concludere il contratto di vendita, poiché in caso diverso non sorgerà alcun obbligo nei suoi confronti.

Ebbene, ritornando al caso di specie, può dirsi che dall’inserimento nel contratto di divisione della clausola trascritta nel quesito, si è venuto a creare in capo alle parti di quel contratto un obbligo reciproco di prelazione.
Inoltre, è pur vero che il patto, per come formulato, riconosce un diritto di prelazione reciproca per il caso di alienazione “totale o parziale” delle unità immobiliari di cui ciascuno è proprietario (comprese le quote in comproprietà, le quali devono intendersi legate da un vincolo pertinenziale alle singole proprietà esclusive), ma è anche vero che la prelazione può esercitarsi soltanto su ciò che, nel suo complesso, costituirà oggetto del contratto di compravendita che il concedente intende concludere.

Con ciò vuol dirsi che se uno dei proprietari decide di alienare ad un terzo estraneo la proprietà esclusiva del suo immobile, unitamente alle quote indivise di comproprietà, pattuendo un prezzo complessivo di vendita, non si potrà pretendere che in sede di notifica delle pattuizioni di vendita venga indicato separatamente il corrispettivo che il promittente compratore si obbliga a versare per ciascuna delle tre parti componenti la proprietà in vendita.
A ciò si aggiunga, come si può intuire da quanto detto all’inizio, che la prelazione può esercitarsi soltanto su ciò che costituirà oggetto della futura vendita e non soltanto su una parte di esso, tenuto conto che deve sussistere assoluta corrispondenza tra il contenuto del contratto di vendita che il concedente intende concludere e l’esercizio del diritto di prelazione.

Quanto fin qui detto, peraltro, trova esplicita conferma in quelli che sono i reciproci diritti e doveri che vengono a costituirsi in capo alle parti a seguito della stipula del patto di prelazione, e precisamente:
1. il promittente si obbliga a concludere un determinato contratto (nel caso di specie una vendita) con il beneficiario:
2. il beneficiario ha diritto di concludere quel contratto alle stesse condizioni proposte a terzi;
3. il promittente mantiene la propria libertà in ordine al contenuto del contratto: ciò significa che è libero di scegliere il prezzo e le condizioni a cui contrattare;
4. il prelazionario gode del mero diritto di essere preferito come controparte;
5. il prelazionario non può contrattare o rinegoziare (ovvero, con specifico riferimento al caso in esame, non può pretendere che gli venga venduta soltanto la quota di comproprietà del garage o soltanto l’appartamento, pretendendo una scomposizione del prezzo complessivo).

In conclusione, nessuna pretesa può avanzarsi in ordine al contenuto della lettera raccomandata con cui vengono notificate le condizioni della vendita che il concedente intende concludere, la quale, si ripete, deve solo rispecchiare fedelmente le condizioni di quella vendita.

Infine, si ritiene opportuno fare un’ultima considerazione.
Trattandosi di prelazione convenzionale, è bene sapere che, in caso di inadempimento da parte del concedente (colui che decidere di vendere), il prelazionario non potrà agire verso il terzo acquirente, ma potrà soltanto chiedere il risarcimento del danno alla sua controparte inadempiente, ossia il concedente.
Ciò trova spiegazione nel fatto che la prelazione convenzionale, a differenza di quella legale, ha efficacia personale (e non reale) e come tale è inopponibile ai terzi, non attribuendo al prelazionario alcun diritto di riscatto.
La violazione del patto di prelazione, in casi come questo, può soltanto configurarsi come inadempimento contrattuale ex art. 1218 del c.c. ed il danno risarcibile sarà pari al vantaggio patrimoniale che il beneficiario avrebbe potuto trarre dal fatto di essere preferito al terzo (ciò di cui, ovviamente, dovrà fornirsi prova in giudizio).

L. C. chiede
domenica 23/04/2023
“Buongiorno,
il quesito è il seguente:

Intestando fiduciariamente, ma integralmente, un conto corrente online a Tizio, con denaro proveniente dal patrimonio di Caio, e facendo poi sottoscrivere a Tizio un testamento olografo del tipo:
“Io sottoscritto TIZIO, DATA DI NASCITA, CF nelle mie piene facoltà mentali di intendere e di volere dichiaro che il CC IBAN n. “…” aperto presso “NOME DELL’ONLINE BANKING” a me intestato, è in realtà totalmente finanziato dai risparmi di CAIO, DATA DI NASCITA, CF.
Il CC è a me intestato solo a titolo fiduciario, pertanto tutte le somme presenti oggi e in futuro su tale CC e i relativi interessi sono di proprietà di CAIO.”

Premesso che tra Tizio e Caio vi è la più totale volontà e accordo sia nel seguire questo modus operandi che sulla gestione del CC finché entrambi sono in vita, sorge il dubbio sull’effettiva validità giuridica di questa dichiarazione sotto il profilo successorio.
In caso di morte di TIZIO (ovvero l’unico intestatario del CC) il suddetto testamento olografo è in forza di tutelare CAIO da ogni possibile azione degli eredi legittimi? È corretto affermare che grazie a tale testamento gli eredi legittimi non abbiano nulla a pretendere circa le somme presenti sul CC ma che anzi siano obbligati a dare esecuzione a tale disposizione testamentaria?
Il dubbio principale è se può avere effettiva validità il testamento olografo dato che dispone di somme future e indefinite, quelle appunto che saranno presenti sul conto alla data dell’eventuale decesso di TIZIO.

Per opportuna conoscenza si informa che, nel totale del patrimonio di Tizio, le somme disposte da tale testamento olografo, quelle appunto presenti sul CC, rientrano ampliamente nella quota del patrimonio disponibile del de cuius.”
Consulenza legale i 29/04/2023
Il tema che il quesito richiede di affrontare è quello del negozio fiduciario, il quale sta alla base di un rapporto giuridico molto diffuso ma non regolato dal nostro ordinamento se non per la c.d. fiducia testamentaria (art. 627 del c.c.) e per le c.d. società fiduciarie (disciplinate dalla Legge 23.11.1939 n. 1966).
In termini generali può dirsi che fiduciario è quel soggetto tenuto, per conto del fiduciante, ad acquisire, mantenere e ritrasferire la titolarità di un bene (nel caso di specie del denaro); per effetto del c.d pactum fiduciae sorge tra le parti un’obbligazione di durata, in cui la conservazione dell’intestazione fiduciaria costituisce parte essenziale dell’adempimento (l’interesse del fiduciante viene soddisfatto grazie alla protratta titolarità in capo al fiduciario, prima del ritrasferimento al fiduciante).
Il fiduciario non è solo, alla stregua di un comune mandatario, un sostituto nella gestione, quanto piuttosto un sostituto nella titolarità (egli è titolare in luogo di chi ha interesse a non comparire).

Il primo problema che ci si pone in casi come questo è quello di valutare se la situazione di apparenza che si viene a creare possa porsi o meno in contrasto con norma imperative.
A tale riguardo la Corte di Cassazione ha espressamente affermato “l’inesistenza di un divieto legale di intestazione fiduciaria”; in particolare si legge in Cass. del 07.03.2014 n. 5407 che “l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, quale quello di attuare una frode ai creditori, di vanificare un’aspettativa giuridica tutelata o di impedire l’esercizio di un diritto non è di per sé illecito (ove non ricorra un’ipotesi di violazione o elusione di norme imperative o dei principi di ordine pubblico o buon costume), non rinvenendosi nel nostro ordinamento una norma che sancisca in via generale (come per la frode alla legge) l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possono risentire dall’altrui attività negoziale” (cfr. in tal senso anche Cass. n. 8600/3003, Cass. n. 20576/2010).
Peraltro, per la stessa giurisprudenza anche l’eventuale intento di elusione fiscale non rappresenta un’ipotesi di nullità per frode alla legge ex art. 1344 c.c., in quanto esistono sanzioni di tipo diverso, tra cui quella dell’inopponibilità del pactum fiduciae all’amministrazione finanziaria per l’ipotesi di abuso del diritto.

L’interesse a “non comparire” non è, dunque, illecito, anche perché, se da un lato si tutela il valore della trasparenza, dall’altro il nostro ordinamento tutela anche quello della riservatezza.
Significativa in tal senso è l’ordinanza del Tribunale di Cagliari del 10.12.1999, ove si legge che “l’esigenza di riservatezza che può essere posta alla base del negozio fiduciario non può essere considerata, di pe sé stessa, contraria ad alcun principio ovvero a norme di carattere imperativo, così che la validità del vincolo pattizio non può essere automaticamente esclusa dal mero rilievo dell’interesse all’occultamento”.
Per quanto concerne il diverso tipo di controllo, imposto dall’art. 1322 comma 2 c.c., circa la meritevolezza degli interessi perseguiti mediante la complessiva operazione fiduciaria, si può osservare che, nella cospicua casistica esistente su questo argomento, la giurisprudenza non ha mai messo in dubbio la meritevolezza del negozio fiduciario.

Chiariti questi aspetti, che si ritengono essenziali nel porre in essere un’operazione negoziale di questo tipo, si rende adesso necessario illustrare come è meglio strutturare il rapporto tra fiduciante e fiduciario, ma anche, e soprattutto, il rapporto tra fiduciante ed eredi del fiduciario.
Innanzitutto va detto che per dare vita al rapporto fiduciario è quanto mai opportuno che le parti interessate stabiliscano un preciso programma, in modo che l’intestatario (fiduciario) possa disporre delle somme che andranno a confluire nel conto corrente bancario esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha impartito o si riserva di impartirgli successivamente.
Inoltre, sebbene non sia richiesto il rispetto di alcuna forma particolare, è consigliabile dare certezza alla data di conclusione del pactum fiduciae contenente le istruzioni operative a cui poco sopra si è fatto riferimento, ciò che sarà possibile fare anche con uno scambio di PEC ovvero con l’apposizione di un marca da bollo (visto che questa reca la data di emissione).
In forza di tale patto il fiduciante sarà legittimato in qualsiasi momento a chiedere la restituzione al fiduciario delle somme giacenti sul conto corrente online aperto a nome di quest’ultimo.

Per quanto concerne gli aspetti successori di questa fattispecie, è bene risolvere eventuali conflitti che potranno insorgere tra fiduciante ed eredi del fiduciario mediante l’inserimento nello stesso pactum fiduciae di apposite clausole successorie, ed in particolare si può prevedere una clausola in forza della quale le parti (fiduciante e fiduciario) convengono che, in caso di morte del fiduciario, il rapporto obbligatorio scaturente da quel patto dovrà intendersi risolto.
Infatti, in assenza di una clausola di questo tipo e sempre che il rapporto fiduciario risulti da un atto scritto, gli eredi, subentrando nei rapporti attivi e passivi facenti capo al de cuius, saranno obbligati a sottostare alla promessa fiduciaria e proseguire nel mantenimento della proprietà del bene finchè il fiduciante non richieda il ritrasferimento a suo favore.
Solo qualora il fiduciante dovesse ritenere che gli eredi del fiduciario, che subentrano nelle sue obbligazioni, non presentino le stesse caratteristiche di affidabilità del loro dante causa e siano inidonei a svolgere la prestazione da questi promessa, potrà anticipare rispetto al tempo inizialmente programmato la richiesta di ritrasferimento del saldo attivo risultante dal conto corrente aperto, ponendo così termine al rapporto obbligatorio.

Problemi minori pone, invece, la morte del fiduciante, potendosi presentare il solo rischio che, nell’ipotesi di mancata conoscenza da parte dei suoi eredi del rapporto fiduciario, gli eredi del fiduciante non si occupino di riacquistare la proprietà delle somme di denaro fiduciariamente intestate ad un terzo, consentendo così ad un fiduciario sleale di mantenere sostanzialmente sine die la proprietà del bene.
Per evitare ogni possibile rischio di questo tipo, si ritiene, dunque, opportuno, indicare nel testamento le intestazioni fiduciarie da lui affidate, così da mettere i suoi eredi in condizione di chiederne il ritrasferimento.

In conclusione, si consiglia di far risultare da atto scritto, possibilmente con data certa, non avente forma testamentaria, ma di vero e proprio patto (contratto), quanto si era pensato di inserire nel testamento di Tizio e nel contempo di far inserire nel testamento di Caio, fiduciante, una clausola da cui possa risultare che le somme che alla sua morte si ritroveranno sul conto corrente XXXX provengono in effetti dal suo patrimonio e che sono stati solo fiduciariamente intestati a Tizio.

F. O. chiede
martedì 21/12/2021 - Abruzzo
“Buongiorno,
un condominio decide di anticipare la somma per pagare un condono ad un condomino, vincolante per usufruire del 110%.
Per mettersi d'accordo con il condomino che successivamente restituirà la somma al condominio, faremo una scrittura privata indicando specifici accordi.
E' un iter riconducibile agli articoli del codice indicati in questa pagina (1180 ecc...) ?

Grazie”
Consulenza legale i 22/12/2021
Il fatto che alcune persone siano riunite in condominio non fa venir meno la loro autonomia contrattuale di cui all’art.1322 del c.c. e quindi la libertà di concludere specifici accordi aventi ad oggetto anche il pagamento degli oneri condominiali. Tra l’altro l’amministratore, in qualità di rappresentante e mandatario dei proprietari, è tenuto a dare attuazione a quanto concordato dai condomini che amministra.
L’accordo che si ha intenzione di concludere è quindi perfettamente conforme alla normativa condominiale e del codice civile e pertanto pienamente tutelante per le parti in caso di ipotetici futuri contenziosi, a condizione però che esso venga sottoscritto all'unanimità da tutti i componenti del condominio personalmente o a mezzo di delegato munito di apposita delega.


A.R. chiede
mercoledì 10/11/2021 - Piemonte
“Buongiorno,
qui di seguito la mia domanda:
un creditore promuove un atto di citazione per dichiarare nullo un atto di trust istituito a fronte di un testamento olografo nel quale il disponente da incarico ad un esecutore testamentario affinchè istituisca un trust discrezionale ove il primo beneficiario è il figlio poi la nuora poi in assenza di discendenza, altri eredi.
Il disponente non ha mai avuto debiti di alcun genere. Il creditore promuove questa azione contro il figlio del disponente sul quale vanta dei crediti.
Le richieste del creditore sono di dichiarare l'invalidità, l'inefficacia e/o nullità del trust o l'illiceità della causa.
Cronologia dei fatti:
10/7/2008 testamento olografo
09/03/2010 decesso del testatore
30/7/2010 pubblicazione del testamento da parte del Notaio
10/8/2010 registrazione presso l'Ufficio Territoriale
21/11/2011 istituzione del Trust presso il Notaio
03/11/ 2021 ricezione dell'atto di citazione
Il creditore del beneficiario ovvero il figlio può ottenere la nullità/invalidità/illiceità del Trust?
In attesa di vostro cortese riscontro, porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 16/11/2021
Prima di affrontare il tema della legittimità o meno nel caso di specie dell’esercizio di un’azione di nullità del trust, occorre inquadrare bene la sua struttura giuridica.
Il trust normalmente si presenta come un negozio giuridico complesso, composto da tre atti giuridici, o gruppi di atti giuridici, distinti tra loro, e precisamente:
- il contratto di fiducia tra il disponente (settlor) e il fiduciario (trustee) mediante il quale il secondo si impegna verso il primo ad amministrare o a destinare i beni che faranno parte del trust, cioè del fondo di gestione;
- gli atti di conferimento con cui il disponente conferisce nel trust, cioè nel fondo amministrato dal trustee, i singoli beni da amministrare e/o destinare da costui;
- gli atti di disposizione del trustee a favore dei beneficiari, secondo appunto le regole istitutive del trust.
Al creditore che voglia impugnare il trust interessano solo i secondi e i terzi atti giuridici, ovvero gli atti di conferimento e quelli di disposizione, e non tanto il negozio di fiducia.

In ambito successorio, poi, è possibile avvalersi di due diverse forme di trust, che sono il trust inter vivos in funzione successoria ed il trust testamentario.
Nel caso del trust inter vivos in funzione successoria (per la cui ammissibilità occorre fare riferimento all’art. 4 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992) l’atto istitutivo del trust (inteso quale atto unilaterale con natura programmatica, a mezzo del quale il disponente detta le regole a cui il trustee dovrà attenersi nell’amministrazione dei beni) viene posto in essere in vita del disponente, mentre la dotazione è effettuata solo al momento della morte di quest’ultimo, mediante disposizione testamentaria.
Al momento dell’apertura della successione, sui beni facenti parte del trust non si aprirà la comunione ereditaria, ma tali beni saranno automaticamente trasferiti in trust, amministrati dal trustee e da questi trasferiti ai beneficiari del fondo solo una volta che sia decorso il termine finale individuato dal disponente nell’atto istitutivo.

Il trust testamentario, invece, previsto dall’art. 2 della citata Convenzione dell’Aja, può assumere la forma della c.d. costituzione diretta (in questo caso il testatore costituisce il trust nello stesso testamento) ovvero quella della c.d. costituzione indiretta (il testatore pone in capo agli eredi, ai legatari o, come in questo caso, ad un esecutore testamentario, l’obbligo di costituire in trust i beni devoluti per testamento).

In considerazione di quanto detto sopra, il trust che viene in considerazione nel caso di specie si ritiene che debba farsi rientrare nella fattispecie che è stata definita come trust testamentario a costituzione indiretta, in cui l’esecutore testamentario viene nel contempo ad assumere la posizione di disponente e di trustee.
Di ciò se ne può trarre conferma dalla circostanza che, come detto nel quesito, l’istituzione del trust (intesa, secondo quanto detto all’inizio di questa consulenza, come atto programmatico) è stata posta in essere dallo stesso esecutore testamentario a seguito della morte del testatore e successivamente alla pubblicazione del testamento del de cuius.
A ciò si aggiunga un’altra peculiarità: nel suo testamento il de cuius ha manifestato la volontà che venisse istituito un trust discrezionale, il che significa che è stata conferita al trustee (ossia all’esecutore testamentario) una totale discrezionalità in ordine all’assegnazione di eventuali redditi o del patrimonio in favore dei beneficiari indicati in ordine successivo.
Ciò comporta che questi ultimi non potranno mai divenire titolari di alcun diritto soggettivo di credito nei confronti del trust, ovvero non potranno obbligare il trustee a trasferirgli i redditi o il patrimonio; potranno soltanto vantare una legittima aspettativa, che consentirà loro di intraprendere azioni volte alla tutela del patrimonio del trust e/o dei redditi dello stesso.

La natura discrezionale del trust, indubbiamente, non può non avere delle conseguenze anche sotto il profilo della tutela dei creditori dei beneficiari.
Infatti, mentre nel caso di trust non discrezionale il creditore del beneficiario potrà agire esecutivamente al fine di ottenere un pignoramento del credito vantato dal beneficiario verso il trust, sia relativamente ad eventuali redditi che ad attribuzioni patrimoniali, nel caso di trust discrezionale non si potrà avvalere di tale facoltà, in quanto difetta il presupposto stesso per una simile aggressione, ossia la sussistenza di un diritto soggettivo di credito da parte del beneficiario.
Facendo uso del suo potere discrezionale, il trustee (identificato nel caso di specie nell’esecutore testamentario) potrebbe perfino trasferire una posizione beneficiaria di un soggetto che si trovi a essere aggredito dai propri creditori a favore di un altro fiduciario, contribuendo così a preservare il patrimonio del beneficiario stesso.

E’ per questa ragione, dunque, che agli eventuali creditori del beneficiario non rimane altra scelta che quella di tentare di avvalersi della tutela invalidativa, ossia di agire in giudizio per far dichiarare la nullità dell’atto di trust laddove questo presenti dei vizi che siano comunque suscettibili di produrre questo esito.
In questo senso, ad esempio, due sentenze del Tribunale di Firenze del 19 settembre 2008 e del 2 luglio 2005 hanno dichiarato la nullità di un trust per incertezza sull’oggetto dei beni conferiti e per l’inidoneità di certi beni (facenti parte di una comunione pro indiviso) ad essere conferiti in trust.

Del resto, si vuole far osservare in via conclusiva, la giurisprudenza, se da una parte ormai ammette in via di principio il trust interno (come promanazione della ratifica da parte dell'Italia della XV Convenzione de l'Aja del 1.8.1985), dall'altra continua a riservarsi il diritto di sindacare, alla luce dei principi dell'ordinamento interno, la “causa concreta” del singolo trust, ossia la meritevolezza degli interessi che l'autonomia privata intende perseguire nel caso specifico.
Con ciò vuol dirsi che il trust è ormai ritenuto ammissibile, ma i soggetti in esso coinvolti corrono pur sempre il rischio che, di volta in volta, il singolo negozio possa essere, in tutto o in parte, invalidato a seconda che il fine perseguito sia meritevole di tutela oppure no, ovvero a seconda che l'istituto venga individuato come un modo, formalmente regolare ma sostanzialmente illecito, escogitato dai debitori per eludere le ragioni e i diritti dei loro creditori e di terzi.

Nel caso di specie, sebbene come giustamente osservato nel quesito, il de cuius non avesse alcun debito al momento della sua morte, si potrebbe tentare di esperire l’azione di nullità del trust per far valere in giudizio un intento elusivo delle ragioni dei creditori del beneficiario, discendente da un sotteso accordo in tal senso tra il medesimo de cuius ed il figlio primo beneficiario dell’istituendo trust.
Pertanto, rispondendo alla domanda posta, si ritiene che l’azione di nullità, portata avanti dal creditore del figlio beneficiario, sia legittima e che la stessa, se adeguatamente motivata e circostanziata, possa trovare accoglimento da parte del giudice a cui ci si è rivolti.

E. M. chiede
giovedì 14/09/2023
“Buona sera. Siamo stati contattati da una Società per la stipula di un atto di costituzione di servitù, su un terreno agricolo in alta montagna, per lo scavo e l'interramento di tubazioni trasportanti idrocarburi. L'atto proposto ha clausule, secondo noi, a tutela unilaterale della società. L'unico accenno a "nostro favore" è il seguente: I danni prodotti alle cose, alle piantagioni ed ai frutti pendenti, sia durante la realizzazione dell’impianto, sia in occasione di eventuali interventi di cui al punto 2.5 (manutenzione), saranno determinati di volta in volta a lavori ultimati e liquidati a chi di ragione. I quesiti sono i seguenti: possiamo non firmare l'atto?...è possibile implementare l'atto con clausule a nostra (proprietario ed eredi) tutela?
Grazie.”
Consulenza legale i 20/09/2023
Anche se nel quesito non ne viene fatto alcun cenno, in genere la costituzione di servitù di questo tipo è connessa ad un procedimento ablatorio, a seguito del quale si dice che il diritto di proprietà del privato affievolisce ad interesse legittimo.
Più precisamente, in casi come questo la costituzione della servitù si inserisce in un più vasto progetto volto alla realizzazione di “un’opera di pubblica utilità”, ovvero quell’opera avente carattere immobiliare (c.d. elemento oggettivo), volta a soddisfare un fine pubblico (c.d. elemento finalistico) ed appartenente ad un soggetto privato (c.d. elemento soggettivo, che nel caso dell’opera definita “pubblica” coincide con lo Stato o altro ente pubblico).

E’ ben noto che nel caso di espropriazione per pubblica utilità si assiste ad una contrapposizione dialettica tra libertà del privato ed autorità del pubblico potere, tra interesse del privato proprietario del bene a non essere espropriato e interesse pubblico a realizzare, in seguito all’espropriazione, l’opera pubblica..
Tuttavia, poiché la Pubblica amministrazione ha necessità di disporre di un bene privato per ragioni di interesse pubblico (ad esempio, per costruire un ospedale, una strada, una scuola), nel conflitto tra l’interesse del privato e l’interesse pubblico, di regola, finisce con il prevalere l’interesse pubblico.
Per questo, come si è accennato sopra, si dice che nel corso del procedimento espropriativo, il diritto di proprietà del privato affievolisce ad interesse legittimo.

Il fondamento normativo dell’esercizio di tale potere si rinviene agli artt. 834 c.c., 42 cost. nonché all’art. 2 del T.U. espropri, norma quest’ultima che sancisce il principio di legalità dell’azione amministrativa.
In particolare, secondo l’art. 834 c.c., l’espropriazione è un istituto di diritto pubblico in base al quale un soggetto, contro il pagamento di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata.
L’art. 42 Cost., invece, mentre da un lato contiene il riconoscimento della proprietà privata, disponendo che la legge ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, dall’altro lato, e precisamente al comma 3, dispone che la stessa può essere, nei casi previsti espressamente dalla legge (vi è quindi in materia di espropriazione una riserva di legge) e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.

Per quanto concerne l’oggetto dell’espropriazione, è concordemente ammesso che possa essere tale sia il diritto di proprietà che altro diritto reale, quale enfiteusi, superficie, usufrutto, servitù.
In particolare la giurisprudenza, sulla base delle disposizioni legislative in materia di espropriazione, le quali non parlano di diritti reali, ma si riferiscono genericamente a diritti su immobili, ha affermato che possono costituire oggetto di espropriazione anche i diritti personali di godimento, quali ad esempio i diritti nascenti dal contratto di locazione o di affitto (così Cass., Sez. un., 3 febbraio 1982, n. 645; Cons. Stato, Ad. plen., 19 luglio 1983, n. 21).

Sotto il profilo della competenza, ovvero del soggetto legittimato ad agire, occorre fare riferimento a quanto disposto dall’art. 6 del T.U. espropri, il quale tra l’altro stabilisce che se l'opera pubblica o di pubblica utilità deve essere realizzata da un concessionario o contraente generale (quale può essere, ad esempio , la società Ponte sullo Stretto di Messina o la SNAM Rete Gas s.pa. nel caso di specie), l’ente pubblico titolare del potere espropriativo può delegare al concessionario o al contraente generale, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l'ambito della delega nell'atto di affidamento.

E’ nell’ambito di questo procedimento che si inserisce la cessione volontaria del diritto da parte del privato che ne è titolare, costituendo questa l’atto conclusivo del procedimento di espropriazione per pubblica utilità, alternativo al decreto di esproprio (si veda art. 45 del T.U. espropri).
La cessione volontaria, nel caso di specie la costituzione della servitù, anche se stipulata con atto notarile, rimane pure sempre un contratto ad oggetto pubblico e va tenuta distinta dal c.d. verbale di amichevole accordo, ovvero quell’atto preliminare in cui le parti (autorità espropriante ed espropriato) si accordano essenzialmente sull’importo dell’indennità di espropriazione, ma anche sui diritti ed obblighi reciproci che ne scaturiranno da tale accordo.
E’ proprio quest’ultima la natura che va riconosciuta all’accordo che si è stati invitati a sottoscrivere ed in occasione del quale è certamente possibile presentare eventuali proposte di modifica a tutela della propria posizione, dovendosi tuttavia tenere ben presente che sia il preliminare verbale di accordo amichevole che la successiva cessione bonaria sono atti irrevocabili per il proprietario, al quale non spetta alcun diritto di ripensamento, contrariamente al soggetto concessionario dell’opera di pubblica utilità, a cui tale diritto compete anche dopo la stipula di un verbale di accordo amichevole.

Pertanto, se la situazione corrisponde a quella sopra descritta (ovvero la costituzione del diritto di servitù si inserisce in un progetto di realizzazione di un’opera di pubblica utilità, quale non può che essere la costruzione di un gasdotto), ciò che si consiglia è, come suol dirsi, di “non tirare troppo la corda”, potendo in qualsiasi momento la società concessionaria far valere la propria posizione di autorità.

Se, al contrario, dovesse trattarsi (cosa molto improbabile) di un’iniziativa meramente privata, considerato che le parti si vengono a trovare su un piano di assoluta parità, vale il principio generale dell’autonomia contrattuale privata, sancito all’art. 1322 del c.c., in forza del quale ciascuna parte è del tutto libera di determinare a suo piacimento il contenuto del contratto, fatti salvi, ovviamente, i particolari divieti di legge.

Roberto D. chiede
domenica 11/04/2021 - Veneto
“Nell'atto di compravendita di un lotto di terreno di 464 mq avvenuto nel 1953, all'art. VI, si legge: "I compratori assumono l'obbligo, per loro, eredi ed aventi causa, di costruire sull'appezzamento rispettivamente acquistato, soltanto case di civile abitazione o villette, comprendenti non più di tre piani oltre lo scantinatoe con assoluto divieto di costruire fabbricati di tipo popolare o rustico, o adibiti ad esercizio di commercio o di industria o di altra attività rumorosa, molesta, o indecorosa".

Ad oggi si sta costruendo un edificio di 6 piani con regolare permesso di costruire rilasciato dal comune di Venezia in cui non vi è cenno al vincolo di non costruire più di tre piani.
Quesito: Il vincolo di "non più di tre piani" del 1953 ha ancora qualche validità ?

Allego artt. VI e XII dell'atto di compravendita del 1953.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/04/2021
Dalla lettura dell’atto di compravendita, allegato al quesito, è emerso che i due appezzamenti di terreno oggetto del contratto costituiscono il risultato di un frazionamento operato da colui che, all'epoca, era l'unico proprietario.
Il primo problema che si pone è quello della qualificazione dell’impegno, assunto in quella sede dagli acquirenti, di non costruire, sui terreni acquistati, edifici aventi determinate caratteristiche o superiori ad una certa altezza: occorre stabilire se si tratta di un obbligo avente natura personale o, viceversa, di un diritto reale (nella specie, si configurerebbero una servitus non aedificandi (o inaedificandi), ovvero una “servitù di non costruire”, e una servitus altius non tollendi, cioè di non costruire oltre una certa altezza).
Le ricadute pratiche di tale distinzione sono state ben spiegate da Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 3091/2014, secondo cui “in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria”. Trattasi di principio consolidato (si veda anche Cass. Civ., Sez. II, n. 2651/2010).
Nel nostro caso, l’impegno degli acquirenti a non costruire non appare stabilito in favore di una persona determinata; anzi, tale impegno è assunto dai compratori per sé, per i propri eredi ed aventi causa, il che contribuisce a rafforzare l’opinione del carattere reale del divieto di edificare, in quanto pattuito in funzione di una utilità del fondo, consistente nella maggiore amenità, e dunque anche in un maggior valore, dei luoghi, derivante appunto dall’assenza di edifici con altezza eccessiva (che potrebbero togliere aria e luce agli immobili circostanti), o considerati di scarso pregio, o all’interno dei quali si svolgano attività tali da turbare la quiete e la serenità del vicinato.
La questione merita comunque di essere approfondita, anche alla luce di una recente pronuncia della Cassazione (Sez. II, n. 20694/2018), la quale evidenzia un ulteriore profilo, quello relativo alla trascrizione degli atti. In particolare, la S.C. ha osservato che “se un contratto di compravendita prevede anche la costituzione di una servitù a favore di un terzo o dello stesso alienante devono chiedersi due separate iscrizioni: la prima per la compravendita e la seconda per la costituzione della servitù. La richiesta della trascrizione della sola compravendita, infatti, non è sufficiente a ricomprendere anche l'altra”.
Qualora si propenda per la natura reale del vincolo, si tratterà appunto di una servitù, che è posta a vantaggio non delle persone, ma di uno o più fondi: essa dunque “seguirà” tanto il fondo dominante quanto il fondo servente nelle loro vicende traslative, negli eventuali passaggi di proprietà.
Il problema, semmai, nel nostro caso, risiede nell’identificare il fondo dominante, cioè quello a vantaggio del quale la servitù è stata costituita; se, infatti, non pone particolare problemi l’individuazione del fondo servente (ciascuno dei due lotti di terreno a carico dei quali è stato stabilito il divieto di costruire), occorrerebbe conoscere meglio la situazione dei luoghi, per comprendere chi sia legittimato a far valere il mancato rispetto della servitù in esame.
In proposito, la giurisprudenza ha affermato l’utilizzabilità dell’istituto del contratto a favore di terzo, di cui all’art. 1411 c.c. In particolare, si veda Cass. Civ., Sez. II, n. 6030/2000: “il titolo costitutivo di una servitù prediale può rinvenirsi in un contratto cui abbia partecipato soltanto il proprietario del fondo servente, rispetto al quale il proprietario del fondo dominante abbia assunto la posizione di terzo favorito, non sussistendo nel contratto a favore di terzo limiti in ordine alla qualità ed al contenuto della prestazione a favore del terzo, la quale può consistere in un "dare, in un "facere" o in un "non facere" presente o futuro ed anche nella costituzione di un diritto reale, purché tale costituzione corrisponda ad un interesse anche non patrimoniale dello stipulante”.
Tale possibilità è stata espressamente riconosciuta nel caso di lottizzazione da Cass. Civ., Sez. II, n. 1842/1993.
Nel nostro caso, l’interesse del venditore alla costituzione del vincolo potrebbe essere ravvisato sia nell’esigenza, prettamente patrimoniale, di evitare un possibile deprezzamento delle proprietà confinanti (non è chiaro se all’epoca il venditore fosse ancora proprietario dei terreni finitimi, ma sembrerebbe di sì), sia nell’aspirazione ad una maggiore amenità, preservando la tranquillità di una zona residenziale ed evitando il sorgere di condomini, abitazioni “popolari”, ed attività moleste.

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