Tempo e modo per la costruzione di opere nel fondo servente
Il primo comma dell'art. 1069 è un ulteriore sviluppo del
principio fondamentale per cui l'esercizio della servitù deve essere fatto, fermo il pieno soddisfacimento dei bisogni del fondo dominante, col
minore aggravio possibile del fondo servente. È il medesimo principio, la cui applicazione viene estesa dall'attività di esercizio immediato e diretto della servitù al compimento delle opere necessarie perché quell'esercizio e la servitù medesima possano essere conservati. Per fare questo il proprietario del fondo dominante deve scegliere il tempo e il modo che arrechino minore incomodo al proprietario del fondo servente.
Ciò, peraltro, non vuol dire che il primo sia costretto a compiere le opere in ore non destinate, normalmente, al lavoro che quelle richiedono, per es. di notte, se cosi torna meno incomodo al proprietario del fondo servente. Questo sarebbe un aggravare eccessivamente la posizione del
dominus servitutis, che, nello spirito della legge, deve piuttosto perseguire il proprio bisogno col minore aggravio dell'altro, ma senza che sia tenuto dal canto proprio a subire un incomodo oltre quello che può comportare l'esecuzione delle opere nel tempo riservato ad esse normalmente, secondo la loro natura.
Quel che si può dire della scelta del tempo durante la giornata va ripetuto analogamente della sua scelta in un
periodo più lungo, quali possono essere la stagione e l'annata. Il proprietario del fondo servente non potrebbe pretendere che l'esecuzione delle opere venga rinviata, anche senza che sia imminente il pericolo per la servitù, ad una stagione che non è quella in cui normalmente le opere necessarie vengono compiute. Il suo minore incomodo s'intende in quanto sia realizzabile con la più opportuna distribuzione dei lavori, sempre però durante il periodo ad essi normalmente destinato. Lo stesso dicasi del modo.
Onere delle spese delle opere necessarie alla conservazione delle servitù
Il
secondo comma dispone che il proprietario del fondo dominante deve fare le opere a sue spese: è uno sviluppo e una conseguenza mediata del principio che
servitus in faciendo consistere nequit. Se il proprietario del fondo servente non deve altro che permettere e tollerare il godimento dell'altro, è ovvio che a questo incombe l'onere di tutto ciò che occorre all'esercizio della servitù.
Ma è noto che il principio suddetto incontrò fin dall'antico una deviazione (di cui non si è completamente d'accordo nel definire o spiegare la natura) nella c. d.
servitus oneris ferendi, nella quale il dovere di
reficere parietem, quando il muro del fondo servente fosse pericolante e mettesse in pericolo anche la stabilità dell'edificio appoggiato, incombeva al proprietario del fondo servente. Tale deviazione, se cosi può chiamarsi attribuendo al termine la significazione più generica, esiste anche oggi e può ritenersi adombrata nelle parole del secondo comma «
salvo che sia diversamente stabilito dalla legge ». E a questo proposito giova segnalare sin da ora un'altra deviazione dal principio generale contenuta nella legge: quella dell'
art. 1091 del c.c., su cui si ritornerà, nel quale, in materia di
servitù di acqua, l'onere di fare e conservare le opere necessarie alla derivazione e alla condotta delle acque fino al punto di consegna agli utenti, è posto per regola a carico del proprietario del fondo servente quando il titolo non contenga particolari convenzioni.
Ma la possibilità di riversare sul proprietario del fondo servente l'onere delle opere necessarie per conservare la servitù, anche dalla nuova legge è poi ancora generalizzata mediante il riconoscersi efficacia ad ogni pattuizione in tal senso contenuta nel titolo (art. 1069, comma 3).
Natura dell'onere delle spese quando sia eccezionalmente a carico del proprietario del fondo dominante
Sulla
natura nettamente
reale di questa deviazione dal principio generale, derivi essa dalla legge o abbia fondamento nel titolo, non sembra ormai che possano levarsi fondate ragioni di dubbio: e, per la verità, non se ne è dubitato granché nemmeno in passato. Pertanto ogni proprietario che subentri nella titolarità del fondo servente resterà soggetto all'onere delle spese quando ciò derivi o dal titolo o dalla legge. Ma non è nemmeno escluso, naturalmente, che l'accollo delle medesime spese possa essere pattuito fra due proprietari in via di rapporto meramente obbligatorio: in questo caso non è da parlare di deviazione
(reale) contenuta nel titolo, ma di obbligazione (personale) accessoria al contenuto del titolo, con efficacia assai più limitata e governata dalle regole sulle obbligazioni.
Ripartizione delle spese fra i due proprietari quando le opere giovino ad ambedue i fondi
L'ultimo comma dell'art. 1069 contiene l'applicazione di un
principio caratteristico della materia
della comunione. Ciò era ancora più evidente nell'art. 641 del codice abrogato, che al suo capoverso disponeva: «
qualora però l'uso della cosa nella parte soggetta a servitù sia comune » fra i due proprietari le opere saranno fatte in comune, ma certo qui non si tratta di comunione in senso proprio o, dire forse meglio, di comunione reale. Il principio è esteso ad una partecipazione al giovamento che le opere fatte principalmente nell'interesse del fondo dominante, possono portare anche al fondo servente. Le spese, anche se l'iniziativa e il compimento delle opere sono del
dominus servitutis, animato a compierle dal proprio interesse, devono essere
condivise per la parte di utile che ne riceve anche dal proprietario del fondo servente.
Anche qui è possibile naturalmente un
accordo fra i due proprietari mirante a caricarle per intero sull'uno o sull'altro, e certo tale accordo, quando si richiami il capoverso precedente e l'
art. 1063 del c.c., può avere carattere reale come clausola integrativa del contenuto del titolo. Non sembra infatti che la disposizione riguardi una materia di ordine pubblico sottratta alla disponibilità delle parti, e abbia perciò carattere imperativo, solo perché si tratta di una partecipazione all'utile dell'opera altrui, quando le spese di tale opera possono essere addossate interamente alla parte che non ne gode affatto il vantaggio.