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Articolo 1061 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Servitù non apparenti

Dispositivo dell'art. 1061 Codice Civile

Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione [158] o per destinazione del padre di famiglia [1062].

Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere(1) visibili(2) e permanenti destinate al loro esercizio.

Note

(1) Con il termine "opere" il legislatore ha inteso riferirsi latamente ad ogni ipotesi, sia che la situazione di fatto sia naturale o derivi dall'attività dell'uomo.
(2) Il requisito della visibilità deve intendersi in senso oggettivo. Le opere, in altre parole, devono essere visibili non necessariamente dalla prospettiva del fondo servente, essendo del tutto priva di rilievo la circostanza soggettiva della mera conoscenza delle opere.

Brocardi

Destinatio patris familiae

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

504 Questi due modi di acquisto concernono soltanto le servitù apparenti (art. 1061 del c.c., primo comma). Migliorando la formula dell'art. 618 del codice del 1865, il secondo comma dell'art. 1061 specifica che servitù apparenti sono quelle che hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio: con che si pone in chiaro che la servitù deve rivelarsi attraverso le opere che costituiscono il mezzo necessario alla sua attuazione, e non bastano segni estranei al suo esercizio. E' evidente il divario tra il nuovo sistema e quello del codice del 1865, il quale, così per l'acquisto per usucapione come per l'acquisto per destinazione del padre di famiglia, esigeva, oltre il requisito dell'apparenza, quello della continuità (articoli 629 e 630), che il nuovo codice più non richiede. Ho infatti soppresso, in tema di acquisto delle servitù, in conformità dei voti della prevalente dottrina, la distinzione del codice anteriore tra servitù continue e servitù discontinue. Mi è sembrato che in questo campo non vi fosse ragione di riprodurre tale distinzione, da cui invece, come in seguito avrò occasione di accennare, non è dato prescindere in tema di prescrizione. L'esclusione dell'usucapibilità delle servitù discontinue fu giustificata dai compilatori del codice del 1865 con la considerazione che il possesso di tali servitù è da ritenersi incerto, equivoco e precario, potendo gli atti con cui esse si esercitano interpretarsi come atti di mera tolleranza. E' ovvio però che, quando si esiga l'apparenza quale condizione per l'usucapibilità, l'animus utendi iure servitutis non potrebbe estrinsecarsi in forma più tangibile: l'esistenza di opere visibili e permanenti desinate all'esercizio della servitù rende a tutti manifesto il processo acquisitivo. Il requisito dell'apparenza è per sé solo idoneo a eliminare il pericolo che le servitù si stabiliscano clandestinamente.
505 Configurandosi le servitù negative come servitù non apparenti e non essendo pertanto usucapibili, la riproduzione del secondo comma dell'art. 631 del codice del 1865 — il quale, riguardo alle servitù negative, faceva decorrere il possesso utile per l'usucapione dalla proibizione fatta con atto formale dal proprietario del fondo dominante a quello del fondo servente per contrastargli il libero uso del medesimo — sarebbe apparsa inconciliabile con la disposizione dell'art. 1061 del c.c., primo comma, del nuovo codice, e avrebbe lasciato in vita le gravi difficoltà d'interpretazione a cui dava luogo la norma del codice precedente. Dato pertanto che le servitù apparenti, alle quali è circoscritta l'usucapibilità, sono tutte affermative, il possesso utile per l'usucapione non può decorrere che dal giorno in cui il proprietario del fondo dominante, eseguite le opere visibili e permanenti destinate alla loro attuazione, abbia cominciato a esercitarla sul fondo servente.

Massime relative all'art. 1061 Codice Civile

Cass. civ. n. 8320/2023

L'accertamento dell'esistenza, o meno, dei presupposti per la configurabilità di un diritto reale di servitù costituito per usucapione deve essere condotto unitariamente, con riferimento alla sussistenza dei requisiti del possesso utile ad usucapionem, dei presupposti dell'apparenza e dell'utilitas, sia con riferimento all'eventuale domanda di riconoscimento dell'esistenza del diritto stesso, indipendentemente dal fatto che essa sia proposta in via principale o riconvenzionale, sia con riguardo all'eccezione di usucapione, che sia sollevata al solo fine di paralizzare l'avversa azione negatoria del diritto reale. Non è infatti possibile riconoscere, in via di eccezione, la sussistenza dei presupposti per la configurabilità di un diritto reale che sia stata esclusa, mercè il rigetto della corrispettiva azione di accertamento della sua esistenza.

Cass. civ. n. 11834/2021

Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che, per l'acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l'esistenza di una strada o di un percorso all'uopo idonei, essendo, viceversa, essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto acquisita, per usucapione, la servitù di passaggio su di una scalinata presente sul fondo dei convenuti ed utilizzata dall'attrice per accedere alla propria cantina, collocata sul fondo costeggiato dalla scalinata medesima, nonostante quest'ultimo avesse altro accesso dalla pubblica via e la scalinata fosse stata realizzata non già per accedere a detta cantina, ma per collegare due strade pubbliche, collocate una a monte e l'altra a valle).

Cass. civ. n. 22579/2020

Essendo la servitù di passaggio, per sua natura, discontinua, ai fini della prescrizione, non assumono rilievo la visibilità delle opere nei confronti del fondo servente ed il carattere sporadico e non apparente dell'esercizio, se la situazione dei luoghi lo consente.(Nel caso di specie, è stata cassata la decisione con la quale la corte di merito aveva considerato estinta per prescrizione una servitù di passaggio sulla base della mancata visibilità sul viottolo in terra battuta di segni di calpestio e di passaggio di veicoli destinati a compattare il terreno).

Cass. civ. n. 25355/2017

Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione ex art. 1061 c.c., si configura come presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio che rivelino in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel rigettare la domanda di usucapione di una servitù di passaggio attraverso un fondo, aveva escluso che la semplice presenza di un'apertura nella recinzione di un fondo fosse univocamente preordinata all'esercizio dell'invocata servitù). (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 14/10/2011).

Cass. civ. n. 7004/2017

Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile; ne consegue che, per l’acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l'esistenza di una strada o di un percorso all'uopo idonei, essendo viceversa essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù.

Cass. civ. n. 24401/2014

In tema di acquisto per usucapione della servitù (nella specie, servitù di veduta), la visibilità delle opere, ai sensi dell'art. 1061 cod. civ., deve essere tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza dell'obiettivo asservimento della proprietà a vantaggio del fondo dominante. Ne consegue che la visibilità può riferirsi ad un punto di osservazione non coincidente col fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili dalla vicina strada pubblica.

Cass. civ. n. 13238/2010

Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo pertanto sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'esistenza di opere visibili idonee all'usucapione identificabili, segnatamente, nella presenza di qualche tubo, con copertura di terra, posto nell'alveo di un fosso divisorio di due fondi contigui, tale da consentire il passaggio tra di essi).

Cass. civ. n. 21597/2007

Il requisito dell'apparenza, indispensabile ai sensi dell'articolo 1061 c.c. per l'acquisto della servitù per usucapione, comporta, nell'ipotesi che le opere visibili e permanenti necessarie all'esercizio della servitù stessa ricadano esclusivamente sul fondo servente, al quale servono o possono servire, la presenza di un segno di raccordo non necessariamente fisico ma almeno funzionale delle opere con il fondo dominante in modo che risulti con chiarezza che quelle esistono anche in funzione dell'utilità di questo.

In tema di servitù, le opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù possono insistere anche (o soltanto) sul fondo dominante.

Cass. civ. n. 6678/2005

In tema di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia non si richiede, ai fini della opponibilità del diritto ai successivi acquirenti del fondo servente, la permanenza della visibilità delle opere destinate all'esercizio della servitù, necessario per il sorgere del diritto.

Cass. civ. n. 2994/2004

Il requisito dell'apparenza (senza il quale, ai sensi dell'art. 1061 c.c., la servitù non può essere usucapita né acquistata per destinazione del padre di famiglia) deve essere legato ad una situazione oggettiva di fatto di per sé rivelatrice dell'assoggettamento di un fondo ad un altro in ragione della presenza di opere inequivocabilmente destinate all'esercizio della servitù, dovendo conseguentemente dipendere dalle oggettive caratteristiche dell'opera, e non già dal modo in cui questa viene utilizzata.

La visibilità delle opere destinate all'esercizio della servitù è un carattere che non sempre si presta ad esemplificazioni puramente teoriche, ma che deve essere verificato caso per caso, nella realtà sociale specifica, nei costumi, negli usi e nelle consuetudini propri d'un determinato luogo in un'epoca precisa. Un segno esteriore, invero, può assumere rilevanza espressiva diversa in condizioni differenti di luogo, di ambiente sociale, di tempo. La visibilità, poi, deve riferirsi alle opere nel loro insieme, come inequivoca espressione di una precisa funzione (ancorché l'apparenza non debba estendersi in ogni caso all'opera nel suo complesso, e pertanto anche a quelle parti che per essere a volte defilate ed interne — non avendo una intrinseca rilevanza espressiva — sono necessariamente non apparenti), e deve far capo ad un punto d'osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente. Essenziale è, allo scopo, che, nel peculiare contesto suddetto, siano obiettivamente manifeste, per chi possegga il fondo servente, le opere che di fatto asservano il fondo medesimo a quello altrui.

Cass. civ. n. 8736/2001

Il requisito dell'apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione si configura quale presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio tali da rivelare in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente per l'utilità del fondo dominante, dovendo dette opere, naturali o artificiali che siano, rendere manifesto trattarsi non di un'attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza animus utendi iure servitutis, bensì d'un onere preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica necessariamente un'utilizzazione continuativa delle opere stesse, la cui apparenza e destinazione all'esercizio della servitù permangono, a comprova della possibilità di tale esercizio e pertanto, della permanenza del relativo possesso, anche in caso di utilizzazione saltuaria.

Cass. civ. n. 4816/2000

Le servitù negative — quale la servitus non aedificandi — sono sempre non apparenti e non possono pertanto formare oggetto di acquisto per usucapione.

Cass. civ. n. 12197/1997

Il principio secondo cui ai fini dell'apparenza della servitù non occorre che le opere di natura permanente insistano su entrambi i fondi, ma è sufficiente che si trovino in uno solo di essi, perché ne sia visibile la strumentalità rispetto al bisogno del fondo da considerare come dominante, in modo che possa presumersene la conoscenza da parte del proprietario dell'altro fondo, attiene solo alla ubicazione ed alla visibilità delle opere, ma non esclude la necessità della loro esistenza e del loro carattere permanente ed univocamente strumentale all'asservimento.

Cass. civ. n. 4088/1996

Il requisito dell'apparenza necessario per l'acquisto della servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia non richiede che le opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù siano state realizzate dal terzo possessore per il proprio utile, essendo essenziale solo che esse siano strumentali anche all'esercizio della servitù del terzo e così idonee a rivelarne l'esistenza. (Nella specie, si trattava di un viottolo che percorreva il fondo servente e che poteva essersi formato anche per effetto del più frequente passaggio dei proprietari di questo fondo ma che tuttavia era oggettivamente utilizzabile, e di fatto utilizzato, anche dal proprietario del fondo dominante attraverso un viottolo di collegamento che, per quanto giacente, come il viottolo principale, nel fondo servente, ed a questo utile, appariva, per le sue caratteristiche strutturali, prevalentemente destinato per l'accesso al fondo dominante, sul cui confine si arrestava).

Cass. civ. n. 3556/1995

L'apparenza della servitù, senza della quale non è possibile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, si identifica nella presenza di opere visibili e permanenti che, per la loro struttura e consistenza, inequivocabilmente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell'altro e non nella conoscenza meramente soggettiva dell'esistenza dell'onere (nella specie, il giudice di merito aveva accertato il requisito dell'apparenza solo sulla base delle dichiarazioni delle parti circa la conoscenza dell'onere).

Cass. civ. n. 1456/1995

Il requisito dell'apparenza, necessario, ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù per usucapione e per destinazione del padre di famiglia non si esaurisce nella presenza di segni od opere che ne consentono l'esercizio ma richiede anche la manifesta destinazione delle stesse per l'esercizio della servitù, in modo che i segni o le opere, nel contesto in cui si collocano, costituiscano un inequivoco indice del peso imposto al fondo vicino. Tale esigenza, nel caso in cui si tratti di opere che ricadono interamente nel fondo servente, al quale servono o possono servire, implica quella della presenza di un segno di raccordo (non necessariamente fisico ma) almeno funzionale dell'opera con il fondo dominante in modo che risulti con chiarezza che è anche in funzione della utilità di questo.

Cass. civ. n. 6522/1993

Il requisito dell'apparenza della situazione di asservimento necessaria per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia è legato, ai sensi dell'art. 1061, secondo comma, c.c., alla oggettiva visibilità delle opere destinate all'esercizio della servitù e prescinde, quindi, dalla conoscenza, in concreto, della loro esistenza da parte del proprietario del fondo che si assume asservito, dipendendo, piuttosto, da univoci segni obiettivamente visibili, anche se solo saltuariamente ed occasionalmente, dall'esterno o da un luogo in cui il proprietario del predetto fondo abbia potere di accedere liberamente.

Cass. civ. n. 2650/1993

Il requisito dell'apparenza necessario ai sensi dell'art. 1061 c.c. per l'acquisto della servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia non può consistere nell'esercizio visibile dello ius in re aliena senza contestazioni da parte altrui, ma richiede l'esistenza di opere visibili e permanenti tali da rivelare ex se l'esistenza del peso gravante sul fondo servente a favore di quello dominante.

Cass. civ. n. 3441/1990

L'apparenza della servitù, necessaria perché possa indursi una presunzione di conoscenza del suo esercizio da parte del proprietario del fondo servente, deve essere verificata caso per caso, tenendo conto comunque della necessità che esista una situazione di fatto la quale inequivocabilmente riveli per struttura e consistenza l'onere gravante su un fondo a vantaggio di un altro, ancorché la apparenza non debba estendersi in ogni caso all'opera nel suo complesso e pertanto anche a quelle parti che per essere a volte defilate ed interne — non avendo una intrinseca rilevanza espressiva — sono necessariamente non apparenti. (Nell'affermare il suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza del merito che, avendo riguardo alla peculiarità di un condotto fognario, necessariamente interrato, aveva considerato che la presenza dell'opera, anche se non visibile nel suo complesso, doveva ritenersi percettibile in occasione delle operazioni di espurgo del canale di scarico che i proprietari del fondo servente — alla cui fogna era stata allacciata quella del fondo confinante — dovevano necessariamente effettuare con cadenze periodiche e continuative).

Cass. civ. n. 3695/1989

Il requisito dell'apparenza, che, insieme con quello della permanenza, condiziona l'usucapibilità della servitù (art. 1061 c.c.), postula una situazione oggettiva di fatto, rivelatrice di per se stessa dell'assoggettamento di un fondo ad un altro per l'esistenza di opere inequivocabilmente destinate all'esercizio della servitù. Tali opere debbono, pertanto, essere visibili — in modo da rendere palese a chiunque la presenza di una modificazione esteriore, rivolta a determinare il vincolo di asservimento di uno dei due fondi all'altro — ma non necessariamente situate sul fondo servente, potendosi il requisito dell'apparenza della servitù desumere da qualsiasi elemento di fatto, ancorché emergente dal fondo dominante, il quale dia la visione certa, all'esterno, dell'asservimento del fondo vicino. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la C.S. ha cassato la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto intervenuta l'usucapione, poiché dalla sentenza impugnata risultava l'esistenza di tubazioni sotterranee per lo scarico delle acque, ma non quella di manufatti esterni che indicassero il rapporto di subordinazione tra fondi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1061 Codice Civile

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Cliente chiede
giovedì 13/06/2024
“Buongiorno
nel 2012 abbiamo ereditato un immobile con terreno.Su una porzione di questo terreno grava una servitù di passaggio a favore di una Cascina confinante.Nel novembre 2019 a seguito di una frana,siamo venuti a conoscenza che sotto la stradina gravata di servitù di passaggio, passava interrato un tubo che portava acqua potabile da una bocchetta dell'acquedotto alla Cascina.Probabilmente il proprietario precedente ( compagno di mia mamma) aveva dato il permesso ma senza nulla di documentato.Per cui noi non avendo trovato documenti ,eravamo all' oscuro di questo intervento.Interpellati da terza persona dopo la frana, abbiamo dato il consenso che provvisoriamente venisse fatto un by pass per non lasciarli senza acqua potabile.In seguito i proprietari della Cascina confinante,senza chiedere alcun permesso,sono entrati nella nostra proprietà ed hanno fatto coibentare il tubo.Circa tre mesi fa li abbiamo contattati perché togliessero questo tubo, anche in considerazione che vi sono altre bocchette dove collegarsi senza passare sul nostro terreno.Loro ora rivendicano l'uso capione, in considerazione che il tubo è stato messo negli anni 2000.Per cui sono a chiedere:

1)Senza permesso scritto che diritti hanno ?Loro dicono di avere le fatture e sicuramente esisterà un contratto con Amag gestore dell' acqua potabile
2) La stradina gravata da servitù dove avevano fatto interrare il tubo è franata, per cui cosa si dovrebbe fare?Cosa spetta a noi per legge?
Il fatto che sono intervenuti a nostra insaputa sul nostro terreno, cosa comporta? Possiamo staccare il tubo,o obbligarli a toglierlo?
3) In tutto i modi comunque, mi è stato riferito che dovrebbero andare per vie legali per avere diritto all' uso capione,e presumo che a questo punto convenga loro spostare il tubo.
Grazie
Cordiali saluti

Consulenza legale i 14/06/2024
Per rispondere ai diversi quesiti formulati è necessario, innanzitutto, inquadrare correttamente la fattispecie di cui dobbiamo occuparci.
Infatti, per verificare se una data servitù possa considerarsi acquistata per usucapione è necessario, in primo luogo, comprendere di quale tipo di servitù si tratti.
Nel nostro caso, si tratterebbe di una servitù di acquedotto, vale a dire del diritto di far passare sul fondo altrui le acque “di ogni specie”, destinate a soddisfare i bisogni della vita oppure ad usi agrari o industriali.
Il codice civile prevede che questo tipo di servitù possa essere costituito anche coattivamente, cioè con provvedimento del giudice, se manca il consenso del proprietario del fondo servente (art. 1033 c.c.).
Ciò premesso, passiamo ad alcuni brevissimi cenni sull’usucapione.

L’usucapione (artt. 1158 e ss. c.c.) è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale (qual è, tra gli altri, la servitù prediale): l’acquisto del diritto avviene per effetto del possesso, ovvero dell’esercizio “di fatto” della proprietà o del diritto reale; il possesso consiste, in sostanza, in un potere di fatto su una cosa, corrispondente nel contenuto alla proprietà o a un diverso diritto reale.
Il possesso, per poter condurre all’usucapione, deve essere continuato e protratto per un certo periodo di tempo previsto dalla legge, di regola venti anni per la proprietà dei beni immobili e per gli altri diritti reali di godimento sugli immobili; tale termine può essere abbreviato in presenza di particolari condizioni.

Sull’argomento specifico dell’usucapione delle servitù, l’art. 1061 c.c. stabilisce che solo le servitù cosiddette apparenti possono acquistarsi per usucapione.
Ma quali sono le servitù apparenti e quali quelle non apparenti (che, quindi, non possono acquistarsi per usucapione)?
Lo stesso art. 1061 c.c. definisce “non apparenti” le servitù che non hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.
La giurisprudenza (si veda tra le altre Cass. Civ., Sez. II, sentenza 17/11/2014, n. 24401) ha precisato che “la visibilità delle opere, ai sensi dell'art. 1061 cod. civ., deve essere tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza dell'obiettivo asservimento della proprietà a vantaggio del fondo dominante”.
La Cassazione, nella stessa pronuncia che abbiamo citato, ha precisato che la visibilità può riferirsi anche a un punto di osservazione non coincidente con il fondo servente: ad esempio, le opere (come le tubazioni) necessarie all’esercizio della servitù potrebbero essere visibili dalla strada pubblica.
Tuttavia, nel caso che stiamo esaminando, il tubo non sarebbe visibile (proprio perché completamente interrato) da alcun punto di osservazione, per cui, stando alle informazioni a nostra disposizione, il possesso può considerarsi clandestino e, quindi, non idoneo ai fini dell’usucapione.
Volendo essere scrupolosi, un elemento di criticità potrebbe essere ravvisato nell’affermazione per cui “probabilmente” il precedente proprietario avrebbe dato il permesso (quindi il vicino potrebbe sostenere che fosse a conoscenza dell’esercizio della servitù). Tuttavia, non ci sarebbe prova scritta di quanto appena detto. In ogni caso si tratta di un aspetto da approfondire meglio.

Riguardo alla frana e al correlato obbligo di manutenzione del terreno, si è già risposto in separata sede, in riferimento al diverso quesito sulla servitù di passaggio. Il punto è: se esiste una servitù di acquedotto (circostanza al momento ancora da dimostrare), la ripartizione delle spese seguirà le regole già spiegate nella precedente consulenza.
Procedendo oltre, il fatto che il vicino sia entrato e abbia effettuato interventi in maniera clandestina nel fondo altrui costituisce sicuramente un illecito, sotto vari profili: nonostante questo, farsi giustizia da sé, togliendo il tubo, potrebbe essere controproducente perché esporrebbe al rischio di un’azione possessoria come l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.).

Concludendo, in mancanza di un accordo tra le parti diverrà inevitabile risolvere la controversia per vie legali. Vale la pena accennare, per completezza, che, oltre all’usucapione, controparte potrebbe sostenere, almeno in teoria, il diritto alla costituzione di una servitù coattiva di acquedotto (cui si accennava all’inizio): in tal caso però dovrebbero sussistere i presupposti di cui all’art. 1037 c.c., tra i quali la dimostrazione che il passaggio richiesto sia il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente. Inoltre, ai sensi del secondo comma del già citato art. 1033 c.c., la servitù coattiva di acquedotto non può essere costituita sulle case e sui cortili, giardini e aie ad esse attinenti.
Chiaramente, è consigliabile rivolgersi quanto prima a un legale per delineare le possibili strategie difensive.

C. S. chiede
mercoledì 18/10/2023
“Mia mamma è proprietaria esclusiva dell’immobile A (casa unifamiliare) e Fondo B i quali hanno un loro accesso da strada pubblica dal civico 6. Nel 1993 acquista immobile C facente parte di un condominio di fatto non amministrato il cui ingresso avviene dal civico 2. A e C sono adiacenti, e il fondo B è diviso dall’immobile C da un muro.
Prontamente subito dopo acquisto dell’immobile C, viene aperto un varco tra immobile A e immobile C. Aggiungo che questo varco non viene aperto su muro perimetrale. Questo passaggio viene utilizzato in maniera pacifica, evidente a tutti sin dall’acquisto dell’immobile C.
Nel 2022 mia madre apre un cantiere per lavori di ristrutturazione che interessano immobile A, immobile C, e fondo B. Durante il cantiere viene abbattuto il muro di confine tra Fondo B e immobile C. Riceve da parte dei condomini del condominio a cui appartiene l’immobile C una lettera nella quale viene diffidata di ripristinare lo stato dei luoghi in quanto l’apertura del varco tra immobile A e immobile C e l’abbattimento del muro costituiscono una nuova illegittima servitù di passaggio tra il fondo servente (immobile C) e il fondo dominante (Fondo B e immobile A).
Dalle informazioni in mio possesso si evince che effettivamente l’apertura del varco e abbattimento del muro siano illegittime in quando viene costituita a tutti gli effetti una nuova servitù di passaggio per la quale è necessaria delibera con voto favorevole di tutti i condomini del condominio cui appartiene l’immobile C. Il punto che vorrei sollevare è la possibilità di accertare l’usucapione di questa servitù di passaggio dato che il varco è stato aperto nel 1993 ed è stato costantemente utilizzato sin da allora.
Come si procede per accertare l’usucapione? Se dovessero citarci in giudizio, è corretto pensare di utilizzare la strategia dell'accertamento dell'usucapione?”
Consulenza legale i 24/10/2023
In una vicenda come quella descritta non è possibile sostenere che sua madre abbia usucapito una ipotetica servitù di passaggio dal fondo C al Fondo B.
Tra le tante classificazioni in cui è possibile suddividere le servitù, sicuramente tra le più importanti vi è la suddivisione tra servitù apparenti e non apparenti. Ai sensi dell’art. 1061 del c.c. si definiscono non apparenti quando esse non hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. La definizione non è certamente di poco conto, in quanto il primo comma della stessa norma precisa come le servitù non apparenti non possono essere acquisite per usucapione. Ora, una tipica ipotesi di scuola di servitù non apparente è proprio quella che permette il passaggio tra due fondi, come appunto sarebbe quella che si vorrebbe usucapire nel caso specifico. Per questi motivi in un contenzioso come quello descritto, sostenere una eventuale usucapione di un diritto di passaggio non è certamente una strategia vincente.

In realtà, tutto passa dal capire se effettivamente il muro su cui è stata operata l’apertura possa considerarsi in comune con altri oppure bene di proprietà esclusiva di sua madre: per quanto si è capito questo aspetto non è ancora del tutto chiaro ed è oggetto di perizia da parte dei tecnici incaricati della vicenda. Il dubbio, sorto anche a chi scrive, deriva anche dal fatto che seppur è vero che l’intero corpo di fabbrica C pare essere inserito in un contesto condominiale più ampio, è anche vero che (esaminando le foto) esso parrebbe essere una proprietà totalmente di sua madre. Se così fosse, la frazione del muro di confine che separa il fondo B dal fondo C, non può considerarsi un bene condominiale, ma al contrario un bene di proprietà esclusiva di sua madre e quindi le potrebbe tranquillamente praticare una apertura per agevolare il passaggio tra i due cespiti senza questo possa considerarsi una qualsivoglia servitù di sorta, fermo restando che comunque dovrebbe essere garantita la staticità dell’intero muro di cinta che rimane comune.

Se invece il muro si deve considerare interamente condominiale, la vicenda si complicherebbe in quanto una parte della giurisprudenza sostiene che non è lecita l’apertura di un varco nel muro perimetrale comune praticata da un condomino per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà con altro suo fondo adiacente. Secondo tale giurisprudenza si andrebbe a costituire sopra il muro comune una servitù di passaggio a favore della proprietà confinante (in questo caso il fondo B), la cui valida costituzione richiederebbe il consenso di tutti i comproprietari del muro, oltre che la sua formalizzazione in un rogito notarile con trascrizione presso i registri immobiliari ai fini della sua opponibilità ai terzi (Cass.Civ. Sez.II, n.4501 del 05.03.2015 e Cass.Civ. Sez.II n.3345 del 12.02.2018).
Nell’ottica di risolvere la vicenda stragiudizialmente si fa presente che nulla vieta che il consenso degli altri condomini possa essere rilasciato dietro compenso. Un accordo di questo tenore potrebbe essere tranquillamente formalizzato nel rogito notarile che andrebbe a costituire la servitù di passaggio.

Anonimo chiede
sabato 03/06/2023
“Sono proprietario di una casa vacanza costruita su terreno terrazzato a due livelli -piano terra e primo- con scalinata esterna sita a nord. Costeggia il muro di fabbrica -lato sud- della casa vacanza di mio papà e permette l' accesso al mio primo piano e alla parte retrostante. Il piano terra è composto da un ampio salone che comprende un cucinino-deposito ricavato nel sottoscala, ossia nei primi 8 m della scalinata che parte dalla mia terrazza prospiciente la strada litoranea) e un bagno. Al salone si può accedere unicamente dalla terrazza; al cucinino-deposito solo dall' interno del salone.
A seguito della morte di papà nel 1998 la mamma suddivise la casa vacanza in due porzioni (piano terra e primo, struttura identica alla mia) e le donò con Atto stilato il 10/12/2002 ai miei due fratelli: al maggiore toccò l' appartamento a sud costeggiato dalla mia scala, ergo mio nuovo confinante); all' altro quello a nord comprendente la scala aperta che conduce al piano primo e parte retrostante + sottoscala. Il salone a piano terra del fratello maggiore non ha bagno né cucinino (anche se previsti). Questa situazione e il fatto che quasi la prima metà del suo salone coincide con gli 8 m del mio sottoscala lo stanno invogliando a usucapirmi questo spazio aprendo nel muro di fabbrica una porta d' accesso. Per oltre 60 anni sono vissuto all' estero per studio e lavoro (iscritto all' AIRE; da 7 vivo in Italia), viaggiando in maniera intermittente, non annuale, alla Marina, però pagando religiosamente tutte le imposte, IMU, TARI, ecc., e provvedendo a tutte le riparazioni, spese, pittura, ecc.

Domanda: la legge permette di usucapire lo spazio situato all' interno del mio immobile che è accessibile solo dal mio salone (non si trova sperduto in un terreno, abbandonato), e nemmeno si può parlare di mio disinteresse, abbandono (perché dovrei essere in guerra giusto con un angolo della mia proprietà?)...Grazie”
Consulenza legale i 27/06/2023
In linea teorica non vi sono impedimenti ad applicare l’istituto della usucapione ex artt. 1158 e ss.del c.c. anche a spazi ricompresi in appartamenti privati, ma nel caso specifico bisogna chiarire quale sia il diritto che si ha il timore che venga usucapito dalla controparte.

E’ cosa nota anche ai non addetti ai lavori come l’usucapione sia un modo di acquisto della proprietà o di altri diritto reale su cosa altrui (come, ad esempio le servitù), che si concretizza nel momento in cui si realizza l’impossessamento di un determinato bene in maniera pacifica e non clandestina prolungato per un periodo di tempo, il quale solitamente è pari a venti anni.

L’usucapione di un diritto reale su cosa altrui, e nello specifico di un diritto di servitù, invece, si concretizza nel momento in cui il proprietario del fondo dominante senza giusti e legittimi titoli inizia ad esercitare tale diritto sul fondo servente e questo esercizio pacifico e non clandestino si protragga ininterrottamente per un periodo di tempo che, anche, in questo caso, non deve essere inferiore ai venti anni.
Ad esempio, l’impossessamento del diritto di servitù di acquedotto o di passaggio delle acque di cui agli artt. 1033e ss. del c.c. si concretizza nel momento in cui il proprietario del fondo dominante senza giusti e legittimi titoli fa passare per il fondo servente altrui le tubature di scolo delle acque necessarie al fabbisogno del proprio fondo. Anche in questo caso, ai fini della usucapione della servitù di acquedotto il passaggio deve essere esercitato in maniera pacifica, non clandestina e senza una opposizione del proprietario del fondo servente che lo subisce; se questo impossessamento si protrae per un periodo di tempo non inferiore a venti anni, il proprietario del fondo dominante può vantare di aver usucapito tale diritto di servitù nei confronti del proprietario del fondo servente.

Nel caso specifico, però si ritiene che non si sia concretizzato alcun impossessamento utile ad usucapire né il diritto di proprietà sul sottoscala confinante, né tantomeno un diritto di servitù sul medesimo spazio. Per concretizzarsi, infatti, un impossessamento utile ad usucapire un diritto di proprietà sarebbe necessario che controparte abbia di fatto inglobato alla luce del sole, e senza alcuna opposizione, lo spazio del sottoscala all’interno della propria abitazione: per quanto si è capito questo non è mai avvenuto, e quindi non è mai decorso alcun tempo utile ad usucapire la proprietà sul sottoscala.

Lo stesso discorso può dirsi se si abbia il timore che controparte, praticando l’apertura sul muro di confine, possa aver usucapito il diritto di passare per il sottoscala al fine di sbucare sulla pubblica via. A differenza delle servitù di acquedotto che si è citato poco sopra, la servitù di passaggio non può essere usucapita in quanto essa è un tipico caso di scuola di servitù non apparente. Il secondo comma dell’art. 1061 del c.c. definisce non apparenti quelle servitù che non hanno opere visibili e permanenti necessarie al loro esercizio, e il primo comma del medesimo articolo esclude che tali tipologie di servitù possano acquistarsi per usucapione.
Per motivi squisitamente strutturali la servitù di passaggio non necessita di opere visibili e permanenti necessarie al proprio esercizio, e come tale non può essere usucapita, a differenza di quella di acquedotto già citata poco sopra, la quale richiede per il suo esercizio l’installazione sul fondo servente dei tubi necessari ad assicurare il passaggio delle acque.

Per tale motivo si può concludere dicendo che si ritiene piuttosto remota la possibilità per controparte di poter sostenere in un ipotetico giudizio l’acquisto per usucapione del sottoscala o di una servitù sul medesimo) e anzi al contrario, l’autore del quesito ben potrebbe pretendere che il fratello chiuda a proprie spese l’apertura che dà su quello spazio, in quanto essa permette un passaggio, che sulla base di quanto riferito, pare essere del tutto illegittimo.


P. C. chiede
lunedì 24/04/2023
“Sono proprietario di una seconda casa e di alcuni terreni agricoli circostanti in zona di mezza montagna.
Ca 50 anni è stato costruito insieme ai vicini una sorta di acquedotto privato che partendo da una sorgente a monte localizzata in un altro terreno di mia propietà, passando per strada consortile attraversa prima il fondo dei vicini e poi prosegue verso la mia abitazione e i miei terreni. Nel fondo del vicino c'è un pozzetto con deviazione per utilizzo dei vicini nonchè una saracinesca che si può aprire/chiudere per consentire il deflusso dell'acqua verso la mia proprietà. Come proprietario del fondo in cui c'è la sorgente (prima mio padre e adesso io) non è mai stata richiesta nessuna concessione, come non esiste niente di scritto tra le 2 famiglie per regolare i lavori fatti e l'uso dell'acqua.
Finora non c'è mai stato nessun problema, ma ora la sorgente causa siccità inizia a scarseggiare e i vicini hanno messo in vendita la proprietà.
Vorre capire come posso agire e cosa fare per prevenire eventuali problemi con la nuova proprietà (a partire dal fatto che ora è ad accesso libero, e quindi anche l'accesso alla saracinesca è libero, ma potrebbe essere recintata e quindi impedire di accedere alla saracinesca, che potrebbe essere chiusa e quindi negarmi di fatto l'utilizzo dell'acqua a monte).
Che diritti ho essendo la sorgente di mia proprieta'?

I miei quesiti sono relativi ai tre punti seguenti

1.
Posso togliere l'utilizzo al fondo dei vicini, eventualmente costruendo un bypass della tubazione che aggira la proprietà dei vicini (la tubazione potrebbe essere fatta passare in strada consortile), mantenendo la tubazione originaria ma usando il bypass in caso di problemi?

2.
In alternativa, è opportuno stipulare prima della vendita una scrittura privata con l'attuale proprietà che regolamenti i seguenti aspetti?;
a) uso e quantità di acqua tra i rispettivi fondi (visto la tendenza a scarseggiare, e in prospettiva anche a prosciugarsi)
b) certezza di poter continuare a poter usufruire dell'acqua nei miei fondi (e che quindi non venga bloccato il deflusso tramite chiusura della saracinesca su terreno dei vicini)
c) sancire che l'acqua non è potabile in modo da tutelarmi da eventuali denunce su problemi di salute (visto che la sorgente sgorga in mia proprietà)
d) regolamentare attività e costi di eventuale manutenzione
e) inserire comunque una clausola che a fronte dell'uso gratuito in cambio dei lavori fatti insieme, mi consenta comunque di sospendere tale uso dato ai vicini (sempre in considerazione che la sorgente è su mia proprietà)
costruendo comunque il bypass di cui al punto 1

3.
Come devo agire in rapporto ad eventuali necessità di richiesta di concessione per l'uso dell'acqua della sorgente (che ricordo essere in terreno di mia proprietà).

Grazie”
Consulenza legale i 07/05/2023
La fattispecie che qui viene descritta si caratterizza per la presenza di due servitù che possono configurarsi come tra di loro reciproche, e precisamente una servitù di somministrazione di acqua (artt. 1049 e 1050 c.c.) ed una servitù di dare passaggio alle acque (art. 1033 del c.c.).
Per entrambe manca un titolo costitutivo, sia esso giudiziale (sentenza) che volontario (contratto), con la conseguenza che il diritto all’esercizio delle stesse può vantarsi solo in forza di usucapione ex art. 1061 c.c. (nel quesito si dice che le opere da cui deriva la costituzione delle servitù risalgono a circa 50 anni fa).

Sussistono, infatti, tutti i requisiti per poter far valere l’usucapione, considerato che l’art. 1061 c.c. ammette tale forma di acquisto quando vi siano opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio (opere che qui vi sono).
Ciò significa che, nel momento in cui uno dei due fondi dovesse essere alienato, l’acquirente potrà legittimamente vantare il diritto di continuare a servirsi della servitù ivi esistente, avvalendosi, di fronte ad una eventuale rifiuto da parte del proprietario del fondo servente, dell’istituto giuridico della c.d. accessione del possesso, disciplinato dall’art. 1146 del c.c. (il secondo comma di tale norma consente al successore a titolo particolare, ovvero l’acquirente, di unire al proprio possesso quello del suo autore al fine di goderne gli effetti).

Accertato che sarebbe vano opporsi all’esercizio della servitù nei confronti di un eventuale nuovo acquirente, va a questo punto precisato che, per quanto concerne il regime di tali acque, derivanti da una sorgente esistente sul proprio fondo, occorre innanzitutto fatto riferimento a quanto disposto dall’art. 909 del c.c., rubricato appunto “Diritto sulle acque esistenti sul fondo”.
Tale norma, facendo salve le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e per quelle sotterranee, attribuisce in linea generale al proprietario del suolo il diritto di fare uso della acque in esso esistenti, assicurandogli il maggiore godimento possibile in rapporto alle esigenze e possibilità di utilizzazione più varie, agricole o industriali, evitando tuttavia inutile spreco o dispersione dell’acqua residua.
Tuttavia, deve osservarsi che l'art. 1, comma 1 della Legge 05.01.1994, n. 36, prevedendo che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”, ha sostanzialmente introdotto nel nostro ordinamento una dichiarazione di pubblicità ex lege di tutte le acque.
La scelta del legislatore di disporre la "pubblicizzazione" di tutte le acque è stata dettata dal fatto che in riferimento a tali beni, in continua diminuzione quantitativa e peggioramento qualitativo, nonché sempre maggiormente richiesti, è stata ravvisata una prevalenza degli interessi pubblici e collettivi rispetto a quelli privati (le acque perdono, dunque, la natura di puri e semplici beni economici per acquisire quella di "risorsa" da custodire e conservare per assicurarne l'utilità anche nel futuro).
Tale mutamento di regime ha lasciato dei residui spazi di libera utilizzazione, seppur limitati alla raccolta delle acque piovane ed allo sfruttamento delle acque sotterranee per usi domestici, come specificato dall'art. 28, L. 5.1.1994, n. 36
Oggi la disciplina delle acque pubbliche è contenuta nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, il cui art. 175 ha abrogato la L. 5.1.1994, n. 36.
La nuova normativa mira a disciplinare in modo organico la materia della gestione delle risorse idriche, prevedendo la competenza di Stato e regioni, anche nell’ottica di tutelare le acque dal rischio di inquinamento.
In particolare, l’art. 144 del suddetto decreto legislativo si occupa di disciplinare la tutela e l’uso delle risorse idriche, disponendo che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato e precisando al secondo comma che le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà e che qualsiasi loro uso va effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale (ciò lascia chiaramente intendere che per servirsi di esse, anche se derivanti da una sorgente esistente su fondo privato, occorrerebbe munirsi delle relative autorizzazioni).

Ritornando adesso al problema dei rapporti con il proprietario del fondo che ha ormai acquisito, secondo quanto detto prima, il diritto di attingere acqua dalla sorgente esistente sul proprio fondo e sul quale, di contro, incombe l’obbligo di dare passaggio alle acque, si ritiene opportuno, prima che il fondo venga alienato, redigere di comune accordo una scrittura privata, volta a disciplinare i diversi punti indicati nel quesito sotto le lettere a), b), c), e d).
Non è possibile, invece, inserire la clausola di cui al punto d), ovvero quella in forza della quale si vorrebbe prevedere la facoltà di sospendere l’uso dell’acqua da parte dei vicini mediante realizzazione di un bypass, potendo questi far valere per antico possesso (usucapione) il relativo diritto alla somministrazione di acqua, corrispondente alla servitù di cui all’art. 1049 c.c.
Per quanto concerne in particolare il problema relativo alla sopravenuta deficienza di acqua causata dalla siccità, è sufficiente, invece, fare richiamo nella scrittura privata, che si consiglia di redigere, agli artt. 1092 e 1093 c.c.

Anonimo chiede
domenica 02/04/2023
“Buongiorno, questo è il mio quesito:
In un mio immobile ancora al rustico, ampliamento a ridosso di un condominio di tre fratelli, ho concesso, verbalmente, a mia sorella, di usare una canna fumaria (costruita esclusivamente nel mio immobile) perché, momentaneamente, la canna fumaria che, con accordo firmato avrebbe dovuto costruirsi, nello stesso, ad uso di una sua unità abitativa confinante, non poteva costruire , perché intersecava una trave in cemento armato nel mio immobile. Bisognava spostare la canna in altra posizione, sempre nel mio immobile al rustico come da me concesso inizialmente con atto scritto fra le parti.
Dopo 16 anni ho diffidato mia sorella di continuare ad usare la canna fumaria di mia proprietà e provvedere a costruirsi la sua canna come da accordo (scritto) iniziale.
La stessa non intende ragione. Dice che sono stato io a dirle di utilizzare la mia canna fumaria per cui non è tenuta a restituirmela. Non intende costruirsi la sua.
Abbiamo iniziato un procedimento di conciliazione ma non c'e stato accordo. Resta ora il procedimento giudiziario, troppo costoso e incerto nell'esito.
Chiedo un vostro parere per sapermi comportare in merito. Grazie”
Consulenza legale i 11/04/2023
Nel caso specifico parrebbe che un soggetto abbia intubato la propria canna fumaria con il consenso, o meglio con la tolleranza, del vicino, nei tubi ricompresi nell’appartamento di quest’ ultimo. Oggi questo vicino vorrebbe fare in modo che tali tubi trovino un nuovo passaggio fuori dalla sua proprietà.
Prima di dare un consiglio all’autore del quesito è importante soffermarsi su una importante distinzione delle servitù, prevista dall’art. 1061 del c.c., il quale distingue tra servitù apparenti e non apparenti.
Secondo tale norma le servitù sono non apparenti quando non hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio; ragionando al contrario, possiamo definire apparenti quelle servitù per il cui esercizio è necessario l’esistenza di opere ben visibili e stabili.

La differenza non è assolutamente di poco conto e ha degli importanti risvolti pratici, in quanto secondo il 1° co. dell’art. 1061 del c.c., solo le servitù apparenti possono essere acquisite per usucapione.
In merito alla servitù di scarico, sicuramente applicabile al caso di specie, la giurisprudenza ha precisato che essa può essere acquisita per usucapione, e quindi definirsi apparente, se il tubo di scarico è visibile (Cass.Civ. n.1616 del 27.01.14).
La giurisprudenza ha precisato che il requisito della visibilità, per quanto riguarda le servitù di scarico, si realizza anche nel caso in cui la tubatura sia murata, ma con caratteristiche costruttive tali da modificare le linee dello stabile e rendersi visibile all’esterno. Il tempo necessario per usucapire una servitù di questo tipo è di venti anni. Per tale motivo per acquisire per mezzo dell’usucapione una servitù di scarico come quella descritta nel quesito (se visibile), è necessario che il proprietario del fondo dominante (ovvero la sorella), abbia potuto usufruire del passaggio dei fumi attraverso il fondo dominante di proprietà dell’autore del quesito per un periodo non inferiore di venti anni.

Per quanto si è capito, non solo tale periodo non è ancora decorso, ma non è assolutamente scontato che tale tipo di passaggio possa considerarsi apparente e quindi acquisibile per usucapione in senso stretto.
Per tale motivo, da un punto di vista oggettivo, la strada giudiziaria è sicuramente l’unica strada percorribile e consigliabile per addivenire ad una soluzione della vicenda descritta, stante anche le resistenze avute dalla controparte durante il tentativo di mediazione.
Al di là di ogni considerazione giuridica è giusto anche dire che ogni contenzioso, anche se sulla carta può apparire favorevole, porta con sé un naturale ed ineliminabile rischio, che deve essere tenuto presente ed accettato da tutte le parti coinvolte.

È compito del professionista che assiste le parti dare ai propri clienti tutti gli strumenti per poter valutare quanto importante e alto sia questo rischio anche in relazione agli effettivi interessi che essi intendono perseguire. Tale valutazione nel caso specifico potrà essere fatta solo da un professionista che conosce l’intera vicenda e abbia seguito le parti in mediazione.
Ad ogni modo sulla base di quanto da lei riferito, il giudizio pare una strada sicuramente percorribile e forse l’unica maniera per avere la possibilità per fare in modo che sua sorella scenda a più miti consigli e proceda a spostare lo scarico dei fumi provenienti dal suo appartamento.

O. S. chiede
venerdì 01/07/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

giorni fa sono stato minacciato in maniera arrogante e perentoria dal mio vicino, se non provvederò entro una settimana dal 28/06, della chiusura degli scarichi delle acque della mia terrazza che scaricano sulla sua sottostante soletta di copertura del suo locale contiguo.

Premesso che la casa dei miei genitori, quasi centenaria, è almeno dal 1945, anno di acquisto della mia famiglia, con gli scarichi tale e quali a quelli di oggi e che fino ad una quarantina di anni fa scaricavano nel retrostante giardino dei genitori degli attuali eredi. Rapporti ottimi tra genitori tant’è che mio padre acconsenti che costruissero questo locale, credo si tratti di una abitazione accessoria alla villa originaria, contro il nostro muro e accettò che si alzassero le nostre finestre, con riduzione della luce, in modo che loro avessero un’altezza adeguata nel locale dalla soletta.

Tutto liscio fino al 1993 anno di morte di mio padre e fino al decesso, non so quando, dei genitori degli attuali eredi. Ricordo un anno in particolare, il 1996, durante l’estate di quell’anno ben 5 bambini rallegrarono per una settimana questa casa e la terrazza e mai una protesta per i giochi con l’acqua dei bambini. Ma in anni successivi le poche volte che io o miei famigliari siamo passati nella nostra casa è iniziato il mantra delle lamentele degli eredi.

Dalla morte di mio padre questa casa, praticamente, è stata sempre chiusa e disabitata eccetto nel periodo estivo durante il quale mia sorella trascorreva le sue vacanze. Dal 2018 è stata quasi totalmente chiusa, prima per un incidente a mia sorella e specialmente tra il 2020 e 2021 per il Covid. Ultimamente, solo saltuariamente occupata da me, per brevi periodi, per disbrigo di pratiche amministrative e burocrate in loco della mia famiglia a seguito del decesso di mia sorella.

Sono arrivato a XXX il 26/06 per l’ennesimo impegno amministrativo burocratico. Ho lavato la terrazza e dato i quasi 40° mi sono innaffiato con qualche litro di acqua con una “cannata”, una specie di boccale da 1 – 1,5 lt. Il risultato è stato quanto sopra.

Il vicino oltre a minacciarmi e a dimenticare che non ci siamo quasi mai. Dimentica che ha tanti alberi ad alto fusto nel giardino della villa e che in alcuni periodi dell’anno quella soletta è un ricettacolo di foglie che ostruiscono i suoi scarichi. Cosa di cui si deve essere reso conto mettendo delle reti metalliche, a circa 40 cm, attorno ai suoi scarichi.

Io gli ho fatto presente che la mia casa è precedente alla sua costruzione e che avrebbe dovuto lui provvedere a risolvere questo problema caso mai fosse realmente la fonte della infiltrazione che lamentava. Io da quanto posso vedere l’acqua dalla mia terrazza non ristagna sulla soletta e si incanala tranquillamente verso gli scarichi sottostanti. Si vedono chiaramente le tracce nelle piastrelle di copertura della soletta fino agli scarichi. Ovviamente se liberi da depositi di foglie. Mentre lui pretenderebbe che io facessi tutto un lavoro gravoso, rompendo pavimenti e muri per installare delle linee di scarico all’interno della casa per raggiungere il fronte opposto della casa. Al che ha aggiunto che è stato in comune e che gli hanno confermato che io non posso scaricare nella sua terrazza. Probabilmente ha omesso che la casa è precedente alla sua costruzione e che per quanto ne sappia io la stessa ha acquisito un diritto di servitù prediale più che decennale.

Non essendo un avvocato gradirei un vostro parere.

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/07/2022
Dal racconto che è stato fornito è possibile che lei possa aver usucapito una servitù di scarico delle acque a favore della sua proprietà (fondo dominante) e a carico della proprietà del suo vicino (fondo servente).

La servitù di scarico è un diritto reale di godimento che consente al titolare di un fondo di liberarsi delle acque sovrabbondanti del proprio fondo passando attraverso la proprietà del vicino. Essa è un tipico caso di servitù che può definirsi apparente argomentando ex art. 1061 del c.c., in quanto si caratterizza per avere delle opere che sono stabilmente destinate al suo esercizio.

La servitù di scarico in quanto apparente è usucapibile con l’esercizio della medesima per un tempo non inferiore a venti anni. Ai fini del computo di tale periodo si deve aggiungere oltre al possesso esercitato in epoca attuale anche quello esercitato dai vari aventi causa, cioè i precedenti proprietari del complesso.

Vi è però da tener conto del fatto che se anche si volesse eccepire al vicino l’intervenuta usucapione di una qualche servitù di scarico il possesso ventennale dovrebbe comunque essere provato in giudizio: in ogni caso, poi, in quanto proprietario del fondo dominante sarebbe comunque a suo carico l’onere di mantenere in buono stato manutentivo le opere necessarie ad un efficiente scolo delle acque.

L’art. 1069 del c.c., infatti, pone in capo al proprietario del fondo dominante l’obbligo di provvedere alla manutenzione delle opere necessarie alla conservazione della servitù, opere che devono realizzarsi non solo sul fondo dominante (quindi la proprietà dell’autore del quesito), ma anche sul fondo servente (quindi la proprietà del vicino maleducato).
Si consiglia quindi di trovare col proprio vicino un accomodamento, verificare per mezzo di un tecnico le origini delle infiltrazioni e magari accordarsi per una equa suddivisione delle spese da sostenere.

R. P. chiede
martedì 08/02/2022 - Piemonte
“Buonasera
Ho acquistato una villetta a schiera.
Durante i lavori di demolizione dei pavimenti abbiamo trovato i cavi del vicino che attraversano per intero il mio soggiorno andando poi nei contatori situati nella parte comune dei garage.
Durante la demolizione sono stati danneggiati alcuni di questi con notevole rischio dell’operaio che poteva rimanere folgorato (ci sono cavo telefonico, cavi elettrici che vanno al contatore generale, antenna tv e cavo per cancellino elettrico comune in quanto tutte le villette si trovano all’interno di un complesso).
Ora a prescindere dalla riparazione del danno posso richiedere che spostino a loro spese questi cavi? Anche perché dobbiamo fare riscaldamento a pavimento e creano notevole disagio.
Se un giorno dovesse sorgere un qualsivoglia problema possono chiedermi di smantellare il pavimento per raggiungere questi cavi?
Ho verificato i miei cavi e vanno direttamente ai contatori senza passare ulteriormente dal vicino quindi non è un problema di tutti ma solo di queste due unità.
Spero di essere stato esaustivo.
Grazie”
Consulenza legale i 11/02/2022
La principale questione da risolvere riguarda l’usucapibilità o meno del diritto di servitù di mantenere cavi elettrici sotto il pavimento di proprietà altrui.

L’art. 1061 c.c. stabilisce che: “le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.”

In merito al requisito dell’apparenza, la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 11834/2021 ha ribadito che esso: “si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile.”.

In un altra pronuncia (la n. 14292/2017), assolutamente pertinente al caso in esame (seppur riguardante tubatura idrica e non cavi elettrici), la Suprema Corte si preoccupa “di stabilire se è, o meno, configurabile come apparente la servitù relativa alla tubazione d'acqua che passa al di sotto dell'appartamento”.

A tal proposito, ha ribadito che: "la visibilità delle opere deve far capo ad un punto d'osservazione non necessariamente coincidente con il fondo servente, essendo essenziale, allo scopo, che queste rendano obiettivamente manifesta, per chi possegga detto fondo, la situazione di asservimento”, e conclude dicendo che: “la tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che funge da fondo servente costituisce senz'altro un'opera oggettivamente visibile (sia pur occasionalmente: come, in effetti, il ricorrente ha confermato ammettendo di aver accertato l'esistenza della tubatura in occasione di lavori svolti nel suo appartamento), anche solo in parte, dal proprietario dello stesso, che, di fatto, inequivocabilmente (come, appunto, è il caso di una tubazione che trasporta acqua), rivela, per struttura e consistenza, l'onere che grava sull'appartamento servente a vantaggio dell'altro".

Alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 1061 c.c., la servitù di passaggio di cavi elettrici come nella presente vicenda fa parte delle servitù apparenti e può dunque essere acquistata per usucapione.

Appurato ciò, viste le date di costruzione dell’immobile riportate nell’atto di acquisto, ipotizziamo che i venti anni utili per l’usucapione siano decorsi.

Pertanto, alle domande contenute nel quesito dobbiamo dunque rispondere, purtroppo, negativamente: se effettivamente sono decorsi venti anni, non può essere chiesto al proprietario del fondo dominante di rimuovere i cavi.
E se si facesse ciò tramite azione giudiziale è verosimile che verrebbe opposto in riconvenzionale l’acquisto della servitù per usucapione.

Per inciso, seppur non richiesto nel quesito, rimangono da approfondire eventuali responsabilità del venditore dell’immobile che non ha espressamente informato l’acquirente dell’esistenza di tale servitù, sebbene nell’atto di acquisto vi sia comunque la dicitura: “Quanto in oggetto viene trasferito con tutti i diritti, azioni, ragioni, servitù attive e passive inerenti, attinenze, pertinenze dipendenze ed accessioni relative, e relativi fissi ed infissi, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e come pervenuto alla parte venditrice”.
Sul punto si tenga presente quanto statuito dalla Suprema Corte con sentenza n.19800/2020 secondo cui: “nella vendita di cosa gravata da onere reale o personale, la responsabilità del venditore ex articolo 1489 c.c., è esclusa solo nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa oppure si tratti di onere apparente ovvero trascritto o espressamente menzionato nell’atto di trasferimento dell’immobile al terzo” .

M. P. chiede
mercoledì 26/01/2022 - Lazio
“Ho acquistato un appartamento dall'Ater di Roma con atto di vendita del 2013, nel mio bagno passa il tubo di scarico del water dell'appartamento di sopra, il lavoro di spostamento rispetto all'impianto originario è stato fatto quando io ero bambina, allora gli appartamenti erano ancora entrambi di proprietà dell'Ater roma e mio padre purtroppo ha tollerato il lavoro fatto dall'inquilino di sopra. Quando l'appartamento di sopra è stato venduto a loro volta da quelli che lo avevano acquistato dall'Ater, il nuovo proprietario facendo i lavori di ristrutturazione mi ha bucato il soffitto e allagato casa, a quel punto voleva venire di sotto a riparare il danno ma io mi sono opposta, e poiché dovevo procedere alla ristrutturazione totale del mio appartamento ho fatto il tutto a mie spese, ma gli ho fatto notare che il tubo nel bagno era stato fatto abusivamente dal vecchio proprietario, il fatto abusivo è stato aspramente contestato dal nuovo inquilino (via email e WhatsApp) il quale mi ha anche velatamente minacciata, tuttavia non ha mostrato alcuna prova della regolarità dei lavori fatti: dicendo soltanto che sicuramente mio padre aveva dato il consenso e che comunque dato il passare del tempo la servitù era stata usucapita. Sta di fatto che nonostante le parole non mi è stato mostrato nessun titolo idoneo per la costituzione della servitù. Sempre nel 2019 ho contattato anche l'Ater che dopo tempo da quando avevo aperto il ticket mi ha fatto soltanto una telefonata per così dire esplorativa da parte di un cerro ingegnere, di cui tra l'altro non ricordo il nome, e io purtroppo avendo in quel momento mia madre ricoverata in ospedale, per un grave incidete, non ho proseguito nell'indagine sulla regolarità dei fatti andando di persona a parlarci, desistendo insomma dalla questione dell'accertamento. Credo che l'appartamento di sopra abbia di nuovo problemi con lo scarico e penso che da un momento all'altro mi verranno a chiedere di fare i lavori da me. non capisco perché stiano aspettando tanto, il che mi sembra parecchio strano conoscendoli. Ora, posso ottenere la rimozione del tubo di scarico? posso ancora impedire l'usucapione della servitù apparente adesso coperta dal mio controsoffitto? Dunque come devo procedere?
Grazie
Distinti saluti”
Consulenza legale i 28/01/2022
La norma principale cui fare riferimento per rispondere al quesito in esame è l’art. 1061 del codice civile.
Essa prevede che le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.
A riguardo, l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che il requisito dell'apparenza di una servitù non consista solo nell'esistenza di segni visibili e di opere permanenti, ma richieda che queste ultime siano anche un indice non equivoco del peso imposto al fondo servente o comunque destinate al suo esercizio.
Sul punto si veda la recente ordinanza di Cassazione n.11834/2021 che ha infatti ribadito che: “il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile”.
Dunque, se si tratta di una servitù apparente nel senso sopra indicato è pienamente possibile l’acquisto per usucapione se il possesso si sia protratto in modo ininterrotto per almeno venti anni.
In merito a tale aspetto, va altresì precisato che, come aveva evidenziato la Corte di Cassazione nella sentenza n.19089/2012, non qualunque atto è idoneo ad interrompere la “possessio ad usucapionem” in quanto tale “efficacia interruttiva, per il combinato tassativo disposto di cui agli artt. 1165 e 2943 c.c., può essere ascritta soltanto a quegli atti comportanti la perdita materiale, sua pur temporanea, del potere di fatto esercitato sulla cosa, o alle iniziative giudiziali dirette a provocarne ope iudicis la privazione nei confronti del possessore usucapiente.“

Ciò brevemente premesso in punto di diritto, passando al concreto della vicenda in esame ed esaminata la documentazione che ci è stata trasmessa, si osserva quanto segue.
Prima di tutto, alcuni fatti appaiono pacifici:
- la tubatura di scarico oggetto di controversia era stata collocata molti anni orsono dato che nel quesito si specifica: “il lavoro di spostamento rispetto all'impianto originario è stato fatto quando io ero bambina”. Deduciamo quindi che i venti anni siano trascorsi (anche perché in una delle mail il Suo vicino parla di “decenni”);
- non vi sono stati fatti interruttivi dell’usucapione dal momento che dalla narrativa del quesito emerge che negli anni la situazione è rimasta sempre la stessa;
- il tubo attualmente è coperto dal controsoffitto ma la sua esistenza è stata sempre nota: rientra quindi sicuramente tra le servitù cd. apparenti.

Quanto alla questione del presunto abuso edilizio (V.chat whatsapp), il collocamento di una tubatura non appare integrare la fattispecie di abuso edilizio tale da impedire il maturare dell’usucapione.
E comunque a tal proposito si osserva che secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità: “la mancanza di concessione edilizia non può costituire impedimento all’acquisto per usucapione, in presenza dei presupposti di cui all’art. 1158 c.c. e, cioè, del possesso ultraventennale della costruzione, con opere, quindi, visibili e permanenti, in presenza, inoltre, di un possesso continuo, non interrotto[…]. Il difetto di concessione edilizia della costruzione esula dal giudizio che attiene al rispetto della disciplina delle distanze la cui disposizioni attengono alla tutela del diritto soggettivo del privato e, d’altra parte, tale diritto non subisce alcuna compressione per il rilascio della concessione stessa, trattandosi di provvedimento amministrativo che esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’amministrazione ed il privato che ha realizzato la costruzione. Consegue che la mancanza di detto provvedimento autorizzativo non può neppure incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem”, in linea, fra l’altro, con la sentenza di questa Corte n. 594/1990 (citata dal giudice di appello), laddove si afferma che l’esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie da luogo ad un illecito permanente e la cessazione della permanenza è determinata, fra le altre cause, dal decorso del termine ventennale utile per l’usucapione del diritto di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova” (Cass. n. 3979/2013).

Alla luce di quanto precede, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo dunque affermare che:
1) La richiesta di rimozione del tubo di scarico non appare molto fondata considerato il maturare dell’usucapione. Se venisse richiesta tramite un procedimento giudiziale vi sarebbe l’elevata probabilità che la controparte in riconvenzionale chieda, con concrete possibilità di vittoria, l’accertamento dell’intervenuta usucapione della servitù di passaggio della tubatura.

2) L’usucapione è ormai maturata (a meno che non siano decorsi ancora i venti anni);

3) L’unica richiesta certamente fondata è quella risarcitoria relativa ai danni occorsi al Suo appartamento a seguito dei lavori di ristrutturazione posti in essere dal vicino del piano soprastante. Allo stato, consigliamo quindi di formalizzare la richiesta di risarcimento danni per equivalente presentando fattura emessa dalla ditta esecutrice dei lavori di ripristino.
In mancanza di spontaneo pagamento, potrà intraprendere azione risarcitoria giudiziale.

Michele P. chiede
venerdì 12/03/2021 - Emilia-Romagna
“Buonasera,
ho recentemente acquistato un immobile situato al piano terra, con annesso cavedio/cortile di proprietà. Uno dei lati perimetrali di quest’area esterna è costituito dalla facciata di un edificio contiguo di tre piani (piano rialzato, primo e secondo), il quale ha due finestre per piano che si affacciano sulla mia proprietà. In particolare, con gli inquilini del piano rialzato si creano alcune situazioni borderline: ad esempio stendono i loro panni su corde poste davanti alle loro finestre, lungo tutto il muro, quindi di fatto ci troviamo i loro abiti sulla nostra area, che arrivano a volte a pochi centimetri dal terreno [allegherò foto via e-mail per chiarire meglio il quadro].

Sperando di aver illustrato la situazione in modo completo, la mia domanda è: come è normata una situazione vicinanza così particolare? Quali sono i limiti entro i quali devono stare gli inquilini della casa contigua e quali sono, invece, i nostri se volessimo, ad esempio, alzare un divisorio nel nostro cortile per “schermare” le loro finestre (es. una siepe o pannelli tipo parete leggera)?
Per completezza, vi informo che agli atti non risulta alcuna servitù su questa nostra area.”
Consulenza legale i 18/03/2021
Visionate le foto dei luoghi che ci sono state trasmesse, si osserva quanto segue.
Anche se non indicata in nessun atto, di fatto lo stendere i panni all’interno della Sua proprietà costituisce una servitù di stillicidio.
Tuttavia, tale tipo di servitù rientra in quelle non apparenti di cui all’art. 1061 c.c. le quali non si possono acquistare per usucapione o per “destinazione del padre di famiglia” se non vi sono appunto opere “visibili e permanenti destinate al loro esercizio” (il cd. requisito dell’apparenza). In merito a quest’ultimo aspetto, la Cassazione con sentenza n.16961/2009 ha infatti evidenziato che esso "si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l'animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù".
Più nello specifico, proprio con riguardo ad un caso simile (anche se relativo a panni stesi su un balcone) la Cassazione con sentenza n.14547/2012 ha evidenziato che “la semplice presenza dei supporti metallici (o zanche) infissi dall'originario unico proprietario nel muro perimetrale, ai lati delle finestre sovrastanti, non lasciava chiaramente intendere che si volesse assoggettare l'immobile inferiore allo sgocciolamento del bucato bagnato; e che, pertanto (‘acquirente) al momento dell'acquisto del suo appartamento, non aveva alcuna ragione di ritenere che l'immobile acquistato fosse gravato da servitù di stillicidio. “
Ciò significa che appunto dei semplici supporti metallici infissi al muro (come nel caso in esame) potrebbero non essere sufficienti ai fini di un acquisto per usucapione. Usiamo il condizionale in quanto, come ha osservato la Suprema Corte anche nella predetta sentenza, “ L'accertamento dell'apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, costituisce una "quaestio facti" rimessa alla valutazione del giudice del merito”.

Fermo quanto precede, sarebbe opportuno verificare anche se vi sia un divieto di stendere i panni nel regolamento condominiale (dalle foto, lo stabile ci sembra un condominio anche se i panni sono stesi all’interno di una proprietà esclusiva).

Ciò posto, suggeriamo di procedere nel modo seguente.
Pur ritenendo che non vi sia il requisito dell’apparenza ai fini dell’acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, per scrupolo sarebbe comunque opportuno prima di tutto verificare - se possibile - da quanto tempo sussiste la situazione relativa ai panni stesi descritta nel quesito.
Se il periodo è comunque inferiore al ventennio, in ogni caso la controparte non potrebbe nemmeno vantare un acquisto per usucapione della servitù di stillicidio.
Appurato ciò, suggeriamo di controllare anche il regolamento condominiale (se esiste) in merito a quanto ivi previsto circa lo stillicidio dei panni.
Fatte le predette verifiche, dovreste invitare i proprietari dell’appartamento contiguo a non stendere i panni all’interno della vostra proprietà non essendovi alcun diritto di servitù in tal senso.
Naturalmente, laddove la diffida informale (o formale tramite atto scritto) non dovesse sortire alcun effetto, non resterebbe che una causa civile tramite la cd. actio negatoria servitutis di cui all’art. 949 del codice civile.

Per quanto riguarda invece la possibilità o meno di innalzare “un divisorio” nel vostro cortile “per “schermare” le loro finestre (es. una siepe o pannelli tipo parete leggera)”, si osserva quanto segue.
Le finestre che vediamo nelle foto, sono vere e proprie vedute (art. 900 c.c.) che comportano un diritto di “inspectio”e “prospectio”.
Qualsiasi “schermatura” andrebbe ad occludere il diritto di affaccio, considerata anche la conformazione del cortile.
Per come appare lo stato dei luoghi, possiamo ipotizzare che quelle finestre furono create al momento della costruzione dell’edificio.
Se così fosse, sarebbe stata creata all’epoca una vera e propria servitù di vedutaper destinazione del padre di famiglia” (art. 1062 c.c.).
Come ha ribadito la Suprema Corte con l’ordinanza 7783/2020: “una servitù può essere acquistata per destinazione del padre di famiglia quando vi siano segni concretantisi in opere - artificiali o naturali - di natura permanente, obiettivamente destinate all'esercizio di essa e che rivelino, in maniera non equivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente”.
Addirittura nel caso oggetto della pronuncia la Corte ha ritenuto che perfino “l'esistenza di aperture nel muro, sebbene prive della intelaiatura, ma che rivelino, in modo palese, la specifica e normale funzione di consentire l'esercizio della veduta sul fondo del vicino deve considerarsi sufficiente a creare de facto quella situazione che occorre per dar vita alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia”.

Quindi, se la situazione è questa da noi ipotizzata, la risposta alla domanda deve intendersi negativa nel senso che non può essere collocata alcuna schermatura che limiti il diritto di veduta del vicino.
Laddove invece quest’ultimo abbia aperto arbitrariamente le finestre, occorrerebbe verificare quando ciò sia stato fatto per valutare l’azione migliore da intraprendere (actio negatoria servitutis se ciò sia avvenuto entro il ventennio oppure una azione possessoria laddove l’opera sia stata eseguita entro un anno).

S. D. U. A. chiede
domenica 07/07/2019 - Campania
“Sono un cliente.Sullo stesso problema per cui oggi vi scrivo, vi ho posto un 1°quesito (Q 201821673: art.889 in condominio nel giugno 2018) ed un 2° (Q 201923345.applicabilità art 1161 o 1158 cc nel maggio 2019) con entrambe le risposte esaurienti.
Oggi ve ne pongo un 3°, sempre sullo stesso problema.
Vi ricordo che ho acquistato un immobile condominiale a GENNAIO 2007,con REGOLARE rogito notarile, regolarmente TRASCRITTO il 30/01/2007. Il mio venditore l'aveva acquistato nell' OTTOBRE 2006 dal precedente proprietario che nel 1999 aveva effettuato lavori interni all'appartamento adibendo a cucina una precedente stanza da letto, creando una controparete nel suo spazio ed addossata al muro divisorio con una stanza di un appartamento del condomino confinante. Nel fare ciò ha inserito in tale controparete le tubature dell'acqua e del gas per rendere funzionale tale cucina. Durante la trattativa di acquisto del mio appartamento nel gennaio 2007 tutto ciò non mi è stato reso noto, né dal mio venditore, né dall'agenzia di mediazione che è intervenuta nella trattativa (preciso che nel 2007 non c'era l'obbligo di presentazione delle planimetrie catastali!). Il mio confinante condomino nel MAGGIO 2018 mi ha citato per il non rispetto delle distanze legali di cui all'art.889 del cc.
Pertanto il mio terzo quesito è ora il seguente:
Considerato che l'articolo 1159 del cc (usucapione decennale) è applicabile anche in caso di acquisto in BUONA FEDE degli "ALTRI DIRITTI REALI" di godimento sopra un immobile da chi non è realmente proprietario, in forza di un TITOLO che sia idoneo a trasferire tale diritto reale e che sia stato debitamente TRASCRITTO, trascorsi 10 anni all'acquisto, posso invocare l'art.1159 a mia difesa, usucapendo tale diritto?
In realtà la servitù di passaggio delle tubature di acqua e gas so che sono usucapibili, penso che siano diritti reali di godimento sopra un immobile; la mia buona fede è avvalorata anche dalla mediazione dell'agenzia immobiliare durante i preliminari e dalla non obbligatorietà all'epoca delle planimetriche catastali storiche e nulla di tale passaggio di tubature è stato citato nell'atto: nelle precisazioni, nell'atto, è riportata la solita frase notarile generica "la vendita è comprensiva di tutti i connessi diritti, accessioni, servitù attive e passive ecc.,ecc.; la trascrizione dell' atto notarile è stata fatta circa 11 anni e 4 mesi prima della citazione e l'acquisto penso che rientri nell'acquisto a "NON DOMINO "in quanto il mio venditore non aveva NESSUNA TITOLARITÀ di tale diritto di godimento (servitù di passaggio tubature acqua e gas).
Cosa ne pensate? Grazie”
Consulenza legale i 11/07/2019
La risposta a ciò che viene chiesto non può che riallacciarsi a quanto è stato in qualche modo detto nelle precedenti consulenze.
Si chiede essenzialmente se, con riferimento alle servitù (nella specie di passaggio di tubi a distanza inferiore a quella legale), possano trovare applicazione le norme che il codice civile detta in materia di usucapione, ed in particolare se possa invocarsi la c.d. usucapione breve, per la quale l’art. 1159 del c.c. richiede il decorso di dieci anni, accompagnato da un titolo idoneo al trasferimento della titolarità del diritto che si intende usucapire, che sia stato, a sua volta, debitamente trascritto.

A tale domanda va certamente data risposta positiva, ma tale risposta non può valere per il caso di specie, in quanto ne difettano i presupposti essenziali.

Innanzitutto, infatti, viene qui in rilievo l’art. 1061 del c.c., il quale esclude l’acquisto per usucapione delle servitù non apparenti, definendo come tali quelle servitù per le quali non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.
E’ stato così affermato in giurisprudenza che il requisito dell’apparenza di una servitù (necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio, tali da rilevare per la loro struttura e funzionalità l’esistenza del peso gravante sul fondo servente (in tal senso possono citarsi Cass. 2953/1983, 1028/1984, 5770/1985, 1204/1986, 3265/1987 e Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2011, n. 5733).

Inoltre, sempre ai fini dell’usucapione, le opere attraverso cui si esercita la servitù devono avere la caratteristica di essere visibili dal fondo servente, di modo da escludere la clandestinità del possesso e da farne presumere la conoscenza da parte del proprietario del fondo gravato; ciò perché a base dell’usucapione (sia essa ordinaria che breve) va posta l’inerzia del proprietario del fondo servente durante il periodo di tempo necessario per tale modo di acquisto della servitù.

Passiamo adesso ad analizzare l’aspetto relativo ai presupposti di applicabilità delle norme sull’ usucapione breve, per poi trarne le dovute conclusioni con riferimento alla fattispecie che ci riguarda.
E’ senza dubbio corretta la tesi secondo cui l’art. 1159 c.c. possa trovare applicazione anche con riferimento alla costituzione di una servitù, essendo ciò riconosciuto dalla stessa norma quando, nel suo secondo comma, dispone che l’usucapione decennale si applica anche nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile (tra i quali vi rientrano le servitù).
Tuttavia, affinché tale fattispecie possa concretamente realizzarsi, occorre la presenza di un atto a titolo particolare astrattamente idoneo ad attuare il trasferimento del diritto che si assume usucapito; tale atto deve consistere in un titolo con il quale il soggetto, qualificandosi, senza esserlo, proprietario del fondo servente, abbia costituito una servitù in favore del proprietario del fondo dominante (così Cass. civ., sez. II, 4 settembre 2003, n. 12898).

Nessuno dei presupposti sopra illustrati ricorrono nel caso in esame.
Infatti, si dice espressamente nel quesito che tale situazione è rimasta perfino sconosciuta a colui che adesso vorrebbe vantare il maturarsi dell’usucapione, essendo venuto a conoscenza delle opere che il precedente proprietario aveva realizzato per trasformare la camera da letto in cucina soltanto dopo il perfezionamento dell’atto di acquisto.
E’, dunque, indubitabile che si tratti di servitù non apparente, per la quale, ai sensi del sopracitato art. 1061 c.c., non è consentito invocare l’usucapione, sia essa ordinaria che breve.
In particolare, con riferimento a quest’ultima, va esclusa la possibilità di ricorrere ad essa in quanto il titolo a cui si riferisce l’art. 1159 c.c. deve essere specificamente idoneo a trasferire a non domino il diritto di servitù, mentre ciò di cui si è in possesso è soltanto un titolo relativo alla proprietà dell’appartamento, che non fa alcuna espressa menzione alla servitù che si pretende di vantare nei confronti del condomino confinante (è proprio questo il senso della sentenza della Corte di Cassazione n. 12898/2003 sopra citata).

Le predette considerazioni, dunque, inducono a sconsigliare di percorrere in giudizio una strada di tale tipo, in quanto si teme che potrebbe non sortire effetti positivi.
Ciò, ovviamente, non esclude che non vi siano altre argomentazioni giuridiche sulla base delle quali difendersi in giudizio e far valere il proprio diritto a mantenere quelle tubature a distanza non legale.
Infatti, tralasciando l’aspetto della regolarità e liceità di tali lavori dal punto di vista urbanistico (aspetto che qui non si richiede di affrontare) e dando per presupposto che oggetto delle doglianze del vicino sia soltanto il mancato rispetto delle distanze (e non la presenza di eventuali rumori molesti, che superino la normale tollerabilità), un utile argomento può rinvenirsi in quanto asserito, relativamente a tale specifica materia, dalla Corte di Cassazione in alcune sue pronunce.

In particolare, costituisce orientamento costante della S.C. quello secondo cui “rispetto a singole unità immobiliari di proprietà individuale nell'ambito di un unico edificio condominiale, le norme che regolano i rapporti di vicinato, tra le quali quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei condomini; pertanto, qualora esse vengano invocate in un giudizio tra condomini, il Giudice di merito è tenuto ad accertare se la rigorosa osservanza di dette norme non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali”
Trattasi di principio che troviamo affermato in Cass. 19/01/1985 n. 139; Cass. 09/11/2001 n. 13852; Cass. 25/07/2006 n. 16958; Cass. 21/05/2010 n. 12520).

Ciò significa che il giudice investito di una controversia di tale tipo, non potrà non tenere conto del fatto che si tratta di immobili posti in un condominio, che già in fase di costruzione gli appartamenti sono stati attraversati da tubature di vario tipo a distanze sicuramente inferiore a quella stabilita dall’art. 889 c.c. e che, se il lamentato posizionamento di quelle tubature non nuoce di fatto alla sicurezza dell’edificio nel suo insieme e dell’appartamento confinante nello specifico, sarebbe irragionevole disporre la rimozione delle stesse perché a distanza non legale (magari si potrebbe addurre a sostegno di tale tesi e far constatare al giudice che lo stesso appartamento del vicino è attraversato su un’altra parete da una colonna di scarico condominiale).

A conforto, invece, delle motivazioni per cui si sconsiglia di perseguire la strada dell’usucapione breve si vuole riportare in estrema sintesi, e per la parte che qui interessa, il contenuto di un’altra sentenza della Corte di Cassazione, e precisamente la n. 19089 del 06.11.2012.
In tale sentenza, infatti, la S.C. si pronuncia sull’usucapione in merito al posizionamento di condutture (idrica e del gas) installate a distanza inferiore a quella legale rispetto al proprio muro comune con l’appartamento di altro condomino.
In quella occasione la S.C. ha ritenuto possibile usucapire una tale servitù per la sussistenza dei requisiti di visibilità e permanenza delle opere destinate al relativo esercizio, nonché sulla base dei seguenti altri elementi:
  1. è stato dimostrato, anche attraverso prove testimoniali, che la controparte era a conoscenza di tali opere e del passaggio delle relative tubature;
  2. si è data prova del fatto che il possesso si era protratto per oltre un ventennio senza violenza o clandestinità (anzi, le diffide inviate dalla controparte nel corso del tempo sono state addotte come prova della conoscenza che essa aveva di quella servitù);
  3. il medesimo possesso non era stato interrotto da alcun atto che a tanto potesse essere idoneo; vi erano state soltanto alcune semplici “lagnanze” (come definite dalla S.C.), prive di rilievo giuridico, mentre non era stato posto in essere alcun atto che potesse comportare la perdita materiale, sia pure temporanea, del potere di fatto esercitato sulla cosa, né alcuna azione giudiziale diretta a provocarne ope iudicis la privazione nei confronti del possessore usucapente.

Come può chiaramente intuirsi, si tratta di requisiti che, almeno per come sono stati illustrati i fatti, sono del tutto assenti nel nostro caso.

Giancarlo B. chiede
giovedì 16/05/2019 - Veneto
“Usufruendo da 20 anni di una stradina con accesso alla mia casa con annesso posto auto, ora con la spartizione dei beni è venuto fuori che 5/7metri sono dentro la proprietà di mio fratello. Avendo per 20 anni usufruito è mantenuto il buon stato della strada che ha solo diritto di passaggio pedonale posso esercitare il diritto possessorio o qualche altro diritto perché comunque rimanga sempre così come è ora?”
Consulenza legale i 19/05/2019
La servitù di passaggio fa parte dei cd. diritti reali di godimento.
La servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027 c.c.).
Il diritto di servitù di passaggio, come la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, in mancanza di un contratto, può essere acquistata anche tramite usucapione che è un modo di acquisto originario della proprietà e degli altri diritti reali di godimento (art. 1158 c.c.).
In particolare, le servitù che possono essere usucapite sono quelle cd. apparenti e cioè quelle che “hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio” (art. 1061 c.c.).
A tal proposito, la Cassazione con sentenza n.5733 del 10.03.11, riprendendo una giurisprudenza costante sul punto, ha ribadito che "...il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù" .

Ciò posto, nel caso in esame si osserva quanto segue.

Da quello che leggiamo, parrebbe che il passaggio nella stradina in questione possa essere qualificato come servitù apparente.
Inoltre, considerato anche che sono decorsi i venti anni previsti dalla legge, sarebbe sussistente anche il requisito del termine ventennale per l’eventuale azione di usucapione.
In tal caso, potrebbe essere proposta la cd. actio confessoria servitutis prevista dall’art. 1079 c.c. con quale si richiede l’accertamento del diritto, oltre anche ad eventuali danni.

Laddove invece si voglia una tutela più immediata che si limiti a chiedere ed ottenere tutela di uno stato di fatto (e non di diritto come la precedente azione) allora si potrebbe intraprendere entro l’anno una azione possessoria laddove Suo fratello Le impedisca di continuare ad utilizzare il passaggio (art. 1168 c.c.) o comunque ponga in essere atti di molestia del possesso (art. 1170 c.c.).

Qualunque azione si decida di intraprendere, suggeriamo di inviare quanto prima a Suo fratello una comunicazione formale (a mezzo raccomandata a/r oppure a mezzo pec) con la quale si sottolinea il diritto di passaggio sulla stradina in questione, ciò anche al fine di interrompere qualsiasi prescrizione (anche con riguardo alla decadenza di un anno per le azioni possessorie sopra citate).

Francesco B. chiede
lunedì 12/06/2017 - Puglia
“Spett.le Redazione, di seguito Vi sottopongo il seguente quesito.
Nel 1967 ho acquistato un piccolo fondo rustico in una località balneare. Il predetto confina a nord con una strada extraurbana principale successivamente declassata a secondaria in quanto "ex ss. 16", a sud con un altro fondo rustico appartenente ad altro soggetto, a ovest con un canale alluvionale che sfocia a mare e a est con altra proprietà privata.
L'acquisto del fondo è avvenuto libero da ogni peso e/o diritto a favore di terzi, tant'è che sull'atto di compravendita immobiliare non si evince alcun riferimento a servitù o altri oneri gravanti sul medesimo. Ora, il terreno è rimasto incolto per circa 50 anni e, trovandosi in corrispondenza del demanio marittimo, è stato attraversato illegittimamente da alcuni residenti per raggiungere la spiaggia. È da premettere che la zona è sempre stata servita da accessi pubblici al mare, siti a distanza di 200 mt. c.a in entrambe le direzioni rispetto alla proprietà. Ciò nonostante, questi soggetti (circa 20 individui), approfittando dello stato dei luoghi e per ragioni di mera comodità personale, hanno sempre preferito attraversare i fondi rustici piuttosto che utilizzare gli accessi pubblici più scomodi e "lontani". A tal uopo, attraversavano impropriamente la sede stradale in assenza di regolamentazione e di segnaletica orizzontale che lo consentisse. L'unica infrastruttura preposta a tale scopo è sempre stata un sottovia che insiste su una porzione del medesimo canale alluvionale al di sotto della sede stradale, ma che gli stessi non hanno mai adoperato perché ritenuto poco praticabile. Ora, circa un mese fa (Maggio 2017) ho iniziato dei lavori di recinzione del fondo rustico attraverso il ripristino dei muretti a secco di confine e l'apposizione di un cancello. I lavori sono stati debitamente autorizzati da Comune, Soprintendenza e Regione trattandosi di area sottoposta a vincoli paesaggistici. Nessuno di questi enti in sede di autorizzazione ha lamentato la necessità di riconoscere un accesso pubblico al mare, anche perché non si evince nulla in tal senso dalle mappe catastali visionate. Tuttavia, questi lavori hanno sollevato una diatriba con i predetti condomini, i quali, pur non avendo alcun legame con la proprietà in questione, ritengono di aver usucapito in 50 anni una servitù di passaggio sul mio fondo e su quello del confinante a sud e per l'effetto mi intimano di non intercludere lo stesso e interdire loro il passaggio, pena il ricorso in giudizio.Allo stato attuale non è mai stato instaurato alcun contenzioso legale volto all'accertamento dell'intervenuta usucapione.
Pertanto, tutto ciò premesso, quello che cortesemente Vi chiedo in questa sede è capire se la mia inerzia e quella del mio confinante, protrattasi per circa 50 anni, possa aver costituito "ad usucapionem" una servitù di passaggio a favore di questi soggetti. Inoltre, considerato lo stato di fatto, quali e quante sarebbero le concrete possibilità di spuntare un esito positivo della controversia, a fronte dei costi necessari per sostenerla?
Quale potrebbe essere una soluzione stragiudiziale che possa contemperare, ammesso che vi siano, i loro diritti con la mia proprietà?
RingraziandoVi anticipatamente per la consulenza e restando in attesa di un Vostro riscontro, l'occasione è gradita per porgere cordiali saluti.
In fede,
F. B.”
Consulenza legale i 19/06/2017
Per rispondere compiutamente al suo quesito sarebbe necessario sapere se i 20 soggetti da lei citati, che asseriscono di essere titolari di un diritto di servitù, siano o meno proprietari di un fondo confinante al suo.

Va osservato, infatti, che il diritto di servitù è un diritto reale, definito dall'art. 1027 c.c. come il "peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario".

Già la lettera della norma fa comprendere che il diritto di servitù fa sorgere un "rapporto tra fondi" e non un rapporto obbligatorio in favore e a carico di determinati soggetti.
Di conseguenza, laddove i soggetti in questione non fossero proprietari di un fondo confinante, gli stessi non potrebbero in alcun modo pretendere che venisse loro riconosciuta la titolarità di un diritto di servitù, in quanto non potrebbe parlarsi di alcun "rapporto tra fondi".

La risposta al quesito da lei posto sarebbe diversa, invece, se i residenti da lei citati fossero proprietari di un fondo confinante al suo.
In questo caso potrebbe, infatti, porsi il problema circa la sussistenza di un diritto di servitù di passaggio (in favore del fondo dei residenti stessi e a carico del suo fondo) e circa l'eventuale acquisto del diritto stesso per usucapione ventennale.

Ai sensi dell'art. 1158 c.c., infatti, la proprietà e i diritti reali di godimento (tra cui il diritto di servitù) possono acquistarsi per usucapione, in virtù del possesso continuo, pacifico e non interrotto protrattosi per venti anni.

Occorre, tuttavia, una ulteriore precisazione: per quanto concerne l'usucapione del diritto di servitù, l'art. 1061 c.c. prevede espressamente che possono essere acquistate per usucapione solo ed esclusivamente le "servitù apparenti", vale a dire quelle servitù che vengono esercitate usufruendo di "opere visibili e permanenti" a ciò destinate (così, ad esempio, la servitù di acquedotto è sicuramente una servitù apparente, in quanto la stessa viene esercitata mediante le tubazioni).

Occorre, dunque, chiedersi, in primo luogo, se la servitù di passaggio esercitata, in via di fatto, sul suo fondo, possa essere considerata una servitù apparente.
Va osservato, infatti, che una servitù di passaggio potrà considerarsi "apparente" solo laddove si sia in presenza di una strada o, quantomeno, di un tracciato, che siano destinati in modo inequivocabile a consentire il transito dei passanti.

Solo in questo caso, infatti, si potrà affermare la sussistenza di un'opera "visibile e permanente" destinata all'esercizio della servitù.

Per rispondere ai suoi quesiti, dunque, va osservato che la sua inerzia potrebbe, in effetti, aver costituito "ad usucapionem" il diritto di servitù, con la precisazione, tuttavia, che i condomini che eventualmente si rivolgessero al giudice per ottenere una sentenza che accerti la sussistenza di tale diritto sono onerati, comunque, di dimostrare, non solo, di aver esercitato il passaggio per oltre vent'anni ma, altresì, la sussistenza di opere "visibili e permanenti" che rendono evidente la sussistenza della servitù e che sono inequivocabilmente destinate all'esercizio della servitù stessa.

Non conoscendo lo stato dei luoghi, appare difficile proporre eventuali soluzioni stragiudiziali della controversia.
Se la servitù non fosse palesemente "apparente" o se la stessa non potesse dirsi esistente (in quanto i residenti in questione non sono proprietari di un fondo confinante), potrebbe, ad esempio, proporre ai soggetti in di continuare ad esercitare il passaggio, dietro versamento di un'indennità periodica o annuale, onde evitare l'instaurazione di un contenzioso giudiziale il quale, oltre che di esito incerto, risulterebbe certamente costoso (soprattutto in considerazione dei costi della consulenza tecnica che molto probabilmente verrebbe disposta dal giudice).


Maria R. A. chiede
mercoledì 18/01/2017 - Piemonte
“Circa 24 anni orsono ho acquistato una frazione di un vecchio cascinale collinare da ristrutturare per realizzarne la prima abitazione della mia famiglia. L'immobile presentava l' ingresso principale sul lato cortile, per accedere alla mia abitazione ero costretta a passare attraverso un'area cortiliva non di mia proprietà. Su tale area è stata costituita regolare servitù di passaggio regolarmente riportata sull' atto notarile. Durante la fase di ristrutturazione dell'edificio la proprietaria del cascinale al fine di ridurre significativamente i passaggi lungo il cortile e quindi inanzi la porta della sua abitazione, proponeva la realizzazione di un nuovo accesso principale lato strada pubblica . Tale autorizzazione veniva formalizzata attraverso scrittura privata (proverò ad inserire copia) in cui si evince l'autorizzazione a realizzare sulla sua proprietà le opere necessarie per modificare l'accesso ( recinzione e relativo cancello di accesso, pavimentazione ecc). Contestualmente viene rilasciata autorizzazione al passaggio sull'area interessata. La scrittura privata (sottoscritta tra le parti, ma mai trascritta) veniva allegata alla richiesta di variazione concessione edilizia ed inoltrata al comune di pertinenza per la formale concessione . Da allora nulla è mai stato modificato. Nel 2008 il cascinale veniva venduto ad una società che intendeva realizzare sui terreni vicini una coltura di olivi. Sugli atti di acquisto non è stato riportato in modo chiaro l'esistenza della servitù relativa alla scrittura privata. Da quella data il cascinale è rimasto disabitato e l'abbandono non è aumentato in quanto abbiamo sempre provveduto a mantenerne pulite tutte le aree perimetrali (anche quelle non facenti parte della servitù attiva) per una pura questione di decoro. In data 2015 ho ricevuto una lettera da uno studio legale che rappresentava gli interessi della nuova proprietà, in cui venivo invitata a demolire le opere realizzate fuori la mia proprietà ed a ripristinare lo stato di fatto antecedente tali opere. Ritengo importante segnalare che, muretto di recinzione, cancello e pavimentazioni sono in posizione visibile e non hanno subito modifiche nel tempo. In questi anni (oltre 20) non vi è stata mai interruzione sull'uso dell'accesso lato strada dalla mia famiglia e da tutte le persone che hanno avuti contatti con noi. L'accesso lato strada è stato utilizzato come ingresso principale dell'abitazione da sempre e gli stessi locali interni sono stati strutturati tenendone conto. Demolire le opere realizzate sul terreno (oggi di loro proprietà) vorrebbe dire dover realizzare l'accesso principale lato cortile e quindi operare modifiche anche alle strutture interne. Ho sempre avuto sentore che la nuova proprietà cercasse di forzare la mano per poi proporre lo scambio con la servitù di passaggio che ho lato cortile, regolarmente riportata su atto notarile e che chiaramente crea problemi per una loro eventuale vendita dell'immobile o di parte di esso. Ne ho avuto certezza quando a fronte di una mia richiesta specifica di acquisire parte del cascinale per poter realizzare un collegamento tra il mio cortile e la strada pubblica mi sono sentito chiedere una somma (Per tutto il cascinale) completamente fuori da qualsiasi valutazione commerciale, sottolineo il fatto che non ho alcun interesse ad acquisire l'intero immobile. Voglio anche precisare che la superficie del cascinale permette la realizzazione di più unità immobiliari. Venivo inoltre informata che se non accettavo tale proposta lo studio legale avrebbe intrapreso azione legale nei miei confronti. A fronte di quanto riportato la mia domanda è la seguente: possono realmente ottenere sentenza per l'abbattimento delle opere realizzate secondo quanto riportato sulla scrittura privata ? Vero è che la scrittura privata non è stata trascritta e quindi non opponibile, vero è che sull'atto di acquisto la servitù ed il diritto di superficie non sono espressamente menzionati, ma viste le condizioni, non è possibile da parte mia fare richiesta di acquisto per usucapione della proprietà su cui insistono le opere realizzate e della servitù di passaggio? Nella speranza di essere stata abbastanza chiara ed in attesa di un vostro cortese riscontro, porgo i miei saluti.”
Consulenza legale i 24/01/2017
I temi che il quesito in esame ci porta ad affrontare sono quelli del trasferimento del luogo di esercizio della servitù di passaggio e quello della possibilità e delle modalità di acquisto di una servitù per usucapione.

Per quanto concerne il trasferimento del luogo di esercizio della servitù di passaggio, norma di riferimento è quella contenuta nell'art. 1068 C.c., la quale consente al proprietario del fondo servente di trasferire l'esercizio della servitù in luogo diverso da quello in cui è stata stabilita originariamente se l'originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente stesso ovvero se gli impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti.
Prosegue la stessa norma dicendo che per tale ipotesi il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario del fondo dominante un luogo egualmente comodo per l'esercizio del suo diritto di servitù e questi non può ricusarlo.
Non si tratta, dunque, di una delle facoltà che caratterizzano il contenuto del diritto di proprietà, ma vi si può piuttosto riconoscere un diritto potestativo che, una volta esercitato secondo le direttrici prestabilite dalla norma su cui esso si fonda, attua la modifica di una situazione giuridica facente capo anche ad altro soggetto, senza che questi debba collaborare all'attuazione del diritto medesimo o che possa opporvisi.

Tale norma risponde concretamente al principio secondo cui la servitù da luogo ad un rapporto tipicamente di durata (e tendenzialmente perpetuo) nel corso del quale possono verificarsi delle circostanze sopravvenute per cui il peso della servitù può divenire gravoso, così come possono verificarsi dei mutamenti nella necessità del titolare del diritto in relazione ai quali un cambiamento del luogo di esercizio rappresenterebbe un notevole vantaggio.
In entrambi i casi la legge applica sostanzialmente quei principi equitativi che, in altre circostanze, ad altri fini e con diversi presupposti, stanno alla base della risoluzione per eccessiva onerosità.

La legge dunque deroga alla regola stabilità nel primo comma, rimettendo la determinazione del nuovo locus servitutis alla volontà del proprietario del fondo servente, purché naturalmente sussistano i presupposti richiesti dalla legge; l'offerta non può essere ricusata, ma non vale da sola a modificare il titolo costitutivo.

Perché il trasferimento offerto si attui è necessario un accordo delle parti, in mancanza del quale le condizioni richieste dalla legge (in particolare l'eguale comodità per il titolare della servitù) devono essere valutate dal giudice, il quale provvederà con sentenza costitutiva.

Nel caso di specie risulta chiaro che l'accordo è stato raggiunto e trasfuso nella scrittura privata di cui si parla nel quesito, ma il problema che si pone è quello di stabilire se tale scrittura privata, peraltro mai trascritta, possa essere valido titolo per rendere opponibile a qualunque terzo ciò che in essa è stato formalizzato, ossia il trasferimento del luogo di esercizio della servitù.
A ciò purtroppo deve darsi risposta negativa in quanto, seppure ciò che si realizza non è un trasferimento della servitù (fattispecie questa prevista dall'ultimo comma dell'art. 1068 C.c. ed in cui il trasferimento avviene su altro fondo del proprietario del fondo servente o di un terzo che vi acconsenta), bensì il trasferimento del solo luogo di esercizio di una servitù regolarmente costituita ed esistente, poiché nella realtà giuridica si pone in essere una modificazione del titolo costitutivo, questo, se attuato dalle parti, richiederà la forma scritta e la trascrizione, mentre se disposto giudizialmente andrà trascritta la sentenza ex artt. 2643 n. 14 e 2645 C.c. (trattandosi di un effetto di natura reale previsto dalla legge).

Nel caso in cui il trasferimento risulti da una accordo tra le parti, invece, il fondamento normativo della necessità della forma scritta e relativa trascrizione va rinvenuto nell'art. 1350 n. 4 C.c. (Il quale dispone che devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità, i contratti che modificano le servitù prediali) e 2643 n. 4 C.c. (il quale dispone che si devono rendere pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che modificano servitù prediali).

Poiché nel caso che ci occupa tali forme non sono state osservate e considerato che lo stesso legislatore richiede il rispetto di tale forma a pena di nullità, l'avvenuto trasferimento fondato sul semplice accordo delle parti deve ritenersi tamquam non esset, con la conseguenza che il titolo costitutivo di tale modificazione dovrà ricercarsi altrove.

A questo punto, infatti, e passando a trattare della possibilità e delle modalità di acquisto per usucapionedi una servitù di passaggio, soccorre il disposto dell'art. 1061del codice civile, dal quale è dato desumere che possono acquistarsi per usucapione le servitù apparenti, tali potendosi definire quelle servitù al cui esercizio sono destinate opere visibili o permanenti.

Certamente la realizzazione di recinzione, cancelletto di accesso, pavimentazione e quant'altro sono da qualificare come opere permanenti e visibili per l'esatta individuazione del nuovo luogo di esercizio della servitù.
Tuttavia, affinché venga accertata l'usucapione di una servitù di passaggio non è sufficiente dimostrare il decorso del tempo e l'esistenza di un'opera, ma occorre provare che tale opera sin dall'inizio avesse una tale specifica destinazione.
Infatti, costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui il requisito della apparenza della servitù si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile.

Pertanto, non è al riguardo sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essendo viceversa essenziale dimostrare che essi siano stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante e, quindi, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù (in tal senso si possono citare Cass. N. 3389/2009; Cass. N. 15447/2007; Cass. N. 21087/2006; Cass. N. 2994/2004).

Nel caso di specie i requisiti sopra richiesti possono dirsi tutti sussistenti, in quanto la destinazione specifica delle opere all'esercizio della servitù è resa manifesta sia dal contenuto della scrittura privata che dalla struttura dell'abitazione alla quale si aveva accesso, mentre l'esercizio ininterrotto per il termine utile ad usucapire può essere provato dalla circostanza che tale accesso è stato continuato ad essere usato oltre che dalla famiglia titolare della servitù di passaggio, anche da terze persone che con tale famiglia hanno avuto contatti.

Ciò sarà sufficiente per poter eccepire l'intervento usucapione della servitù nell'ipotesi in cui si venga citati in giudizio per la demolizione delle opere che consentono l'esercizio della stessa.

Eduardo A. chiede
sabato 08/10/2016 - Sicilia
“Buongiorno
Soddisfatto della risposta al quesito n° 16996 del 30/09, desidero porre un ulteriore quesito.
Il terreno dove attualmente esiste l'immobile in comproprietà con mia figlia è stato da me acquistato nel 1974 ; la costruzione del piano terra,1° piano e relativa copertura-terrazza è stata realizzata nel 1980.
Prima di eseguire i lavori di sopraelevazione a 2° piano e relativa copertura, eseguita da mia figlia per effetto dell'atto di compravendita dell'area sovrastante il 1°piano, nella copertura era istallata la canna fumaria del mio camino e una vasca di riserva idrica; la canna fumaria fu prolungata, da mia figlia, con una sporgenza di tre metri al di sopra del lastrico solare; la vasca di riserva idrica venne, dalla stessa, posizionata nel pianerottolo intermedio della scala di accesso alla copertura, che come detto nel mio precedente quesito, era stata ostruita avendo esteso il piano di calpestio della copertura sul vano scala.
La mia domanda è: esiste un diritto di servitù coattiva che domina sulla copertura e/o sul lastrico solare per destinazione del padre di famiglia.
Cordialmente”
Consulenza legale i 13/10/2016
Il caso che si prospetta trova una sua immediata soluzione negli articoli 1061 e 1062 del codice civile, norme dalle quali si ricava che possono costituirsi per destinazione del padre di famiglia le servitù apparenti, ossia quelle servitù al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti (cfr. Cass. 11.8.1989, n. 3695).

Principio generale in materia di servitù, ricavabile dall’art. 1027 c.c. che parla di diverso proprietario, è quello secondo cui il proprietario di due fondi non può costituire una servitù a vantaggio di uno e a carico dell’altro (nemini res sua servit), anche se può porre l’uno ad obiettivo servizio dell’altro, ciò che ha particolare rilevanza allorché in un secondo momento uno dei due fondi venga alienato.

E' proprio in questo momento che si verifica l'effetto costitutivo della servitù per destinazione del padre di famiglia, quando appunto consta che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, il quale ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù nel momento in cui si è verificato l’evento divisorio (sia la canna fumaria che il serbatoio idrico erano stati lasciati nello stato in cui si trovavano).

Precisa poi il secondo comma dell’art. 1062 c.c. che pur se i due fondi cessano di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati.

L’atto di destinazione è valutato alla stregua di un fatto giuridico, non essendo rilevante la volontà del proprietario, quanto l’effettiva realizzazione dello stato di cose, il che significa che non occorre alcuna manifestazione espressa di volontà per il permanere della servitù.

Nel caso di specie la servitù che si è venuta a costituire è la servitù di scarico di fumo, esercitata mediante l'utilizzazione di una canna fumaria che consentiva all'unico proprietario comune prima ed al proprietario del fondo servente poi di accorgersi della rilevata disomogeneità della muratura, tipica di una canna fumaria, e di identificarne la natura e la funzionalità all'esercizio della servitù in parola (in ciò il carattere della visibilità delle opere).

Come rilevato nella precedente risposta, poi, va osservato che nel caso che ci occupa ci troviamo di fronte alla costituzione di un vero e proprio condominio, seppur minimo, perché costituito da due soli condomini, per cui potrebbe porsi un problema di individuare l’esatto confine tra uso legittimo delle parti comuni e diritto di servitù.

Con la prima espressione si intende il legittimo sfruttamento dei beni comuni dell’edificio da parte dei condomini, come immediata conseguenza della costituzione del condominio stesso; il riferimento in questo caso è all’art. 1102 c.c., norma la quale dispone che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso” (Cass. 23 febbraio 2012 n. 2741).

A favore della facoltà riconosciuta ad uno dei condomini di installare e mantenere una canna fumaria nella parete dell’edificio condominiale, si ritiene opportuno richiamare Trib. Busto Arsizio 8 aprile 2011, in cui è detto che “l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa che ciascun condomino può apportare a sua cura e spese, ma a condizione che, tra l’altro, non alteri il decoro architettonico, fenomeno – quest’ultimo – che si verifica non già quando si mutano le originarie linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile”.

Può accadere invece che il posizionamento della canna fumaria sulle parti comuni dell’edificio vada a costituire un peso per la comunità condominiale e un corrispondente vantaggio per il singolo condomino. Si pensi, ad esempio, ad una canna che limiti le funzioni di protezione e calpestio del lastrico solare, o impedisca agli altri condomini di collocarne altre, o rovini il decoro architettonico della facciata; in questi casi l’installazione della canna fumaria configura un vero e proprio diritto di servitù, che presuppone appunto la tolleranza dell’intero condominio a beneficio del singolo condomino.

É ormai pacifico che anche sulle parti comuni può essere costituita una servitù a favore del piano o porzione di piano appartenente ad un singolo condomino. Difatti anche in questo caso sussiste la diversità di proprietari tra fondo servente e fondo dominante, requisito necessario per l’esistenza del diritto in esame. La titolarità delle parti comuni spetta infatti ad un’entità (l’insieme di tutti in condomini) diversa dal proprietario della singola unità anche se questo, nello stesso tempo, partecipa alla comunione.

Quanto detto per la servitù di scarico di fumo, esercitata attraverso la canna fumaria, vale anche per la servitù di mantenere il serbatoio di acqua; come osservato prima, infatti, la servitù prediale è costituita da un peso imposto sopra una proprietà, in questo caso i serbatoi di acqua, per l'utilità di altra proprietà.

Solo se la servitù è stata regolarmente costituita (in questo caso il titolo costitutivo sarà la destinazione del padre di famiglia, sussistendo il requisito della visibilità delle opere, quale appunto il serbatoio di riserva idrica), il proprietario servente è obbligato a rispettarla.

Riconosciuta dunque la legittima esistenza delle servitù di cui si discute, sorte per destinazione del padre di famiglia, sussistendone tutti i presupposti legge, non va comunque trascurato che l'atto di compravendita da cui ha avuto origine la comunione ha comportato il trasferimento della proprietà con “tutti i diritti, azioni, ragioni, accessori ed accessioni, dipendenze e pertinenze, servitù attive e passive, tutto incluso e nulla eccettuato”.

Giancarlo M. chiede
lunedì 20/06/2016 - Toscana
“In un Comprensorio di circa 130 Ha di terreno, ove esistono ville, Residence e/o condomini di ogni specie e circa 400 condomini, la società che ha la maggior parte del territorio (rimastogli dopo gli interventi fatti), circa 90 Ha e che il sottoscritto suo rappresentante ha sempre difeso detta proprietà (vie di accesso a determinate zone) con sbarre e cartelli su non poche strade pedonali e carraie esistenti affinché non maturassero diritti d'uso, ha recentemente venduto ad un confinante proprietario di una villa molto bella, un appezzamento di terreno di oltre 1 ettaro, sul quale esistono tuttora delle postazioni militari erette nella seconda guerra mondiale, zona molto bella sul mare, circondata da una strada che è sempre stata interdetta o almeno sono sempre state posate sbarre e.o segnaletica di ogni genere proprio per non far maturare alcun diritto agli altri partecipanti al Comprensorio, che potrebbe anche paragonarsi ad un Supercondominio, affinché con loro passeggiate mai autorizzate dalla proprietà su quel lotto di terreno come detto venduto, non maturassero diritti di alcun genere.
Premetto che le prime ville sono nate nel 65, poi nel 73 e 81 dei complessi più importanti e poi altro, come detto, fino a portare nel Comprensorio circa 400 condomini.
Nel 93 viene addirittura costituito un Consorzio fra proprietari che acquista determinati servizi dalla promotrice tutto il complesso-Comprensorio, che fa funzionare (bar, ristorante, piscine, strade, tennis ecc...) che nulla hanno a che fare col lotto venduto recentemente. Però non tutti i condomini sono soci del Consorzio (anche se sono pochissimi quelli rimasti fuori).
Anche la società che inizialmente ha acquistato l'intera proprietà dei 130 ettari è socia del Consorzio, con i suoi 90 Ha. (circa)
Quanto sopra è ........... solamente per illustrare al meglio la zona e entro adesso nel problema che vorrei aver chiarito.
Premessa: trattasi totalmente di seconde case che al massimo, dai proprietari, vengono sfruttate "al massimo" 1,2 mesi all'anno, un anno dopo l'altro.
Venduto quel lotto di terreno ai proprietari della villa confinante, il Consorzio, attraverso i suoi rappresentanti "pianta" una causa a quella che era la prima proprietaria di quel lotto (che ha i 90 Ha) ed anche agli attuali proprietari acquirenti detto lotto, che hanno unito la proprietà acquistata con quella che già avevano attorno alla villa, vantando (il Consorzio e.o suoi rappresentanti) il diritto di aver acquisito"il diritto" di passo sulla stradina che circonda tuttora detto lotto compravenduto, schermato come detto da sbarre di legno e di ferro, con tanto di cartelli indicanti la proprietà privata ecc... e quindi di poter frequentare quella zona molto bella prospiciente il mare, senza interdizione alcuna.
A prescindere dal fatto che chi ha venduto quel lotto (il sottoscritto per conto della proprietaria - che opera per essa da oltre 50 anni in tale zona) non ha mai notato personaggi girovagare su di esso, nel tempo, anche se da parte loro viene affermato il contrario.
Pertanto, sperando ancora sia sufficiente la storia finora fatta, e premesso che se dei condomini delle passeggiate le hanno fatte - le hanno fatte all'insaputa della proprietà, semmai per diversi giorni all'anno ed in estate, per poi magari tornarci qualche volta l'anno successivo e poi ancora proprio a volergli bene ancora l'anno successivo e magari per i più vecchi per ............. 30 anni (proprio per dirla alla grande), arrivo alla domanda: ma per acquisire il diritto di passo su una determinata strada e.o per poter accedere ad una determinata proprietà, ripeto senza alcuna autorizzazione e senza mai farsi notare, non necessità un uso continuativo nel tempo di quella strada e.o zona che sia, e ripeto continuativo per 20 anni "consecutivamente "??? E che per nulla vale esserci andati una volta all'anno per qualche passeggiata, anche se anno dopo anno e per 25,30 anni??? E solamente una minima, minima, minima parte dei condomini presenti sempre e solamente in estate nel Comprensorio ??!!Un po' uno ed un po' gli altri???”
Consulenza legale i 27/06/2016
Si ritiene che la risposta al quesito debba essere negativa.

Nella fattispecie si tratta di stabilire se il titolare o i titolari (nel caso del Consorzio) di un determinato fondo possano vantare diritti su quello dei vicini (proprietari della villa) in forza di usucapione ventennale.
Ebbene, i diritti che possono venire in considerazione sono due: uno, come si accenna nel quesito, è quello di passaggio e l’altro – che tuttavia non sembra venire in rilievo nella fattispecie perché la causa è stata promossa, a quel che è scritto, per ottenere il riconoscimento del mero diritto di passaggio – è il diritto di proprietà sulla strada in oggetto.

Per quanto riguarda il passaggio, va detto che l’oggetto di un’eventuale acquisto per usucapione sarebbe una “servitù”, ovvero, in sostanza, un peso imposto su di un fondo (fondo “servente”) per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (fondo “dominante”).

A prescindere dal fatto che non è assolutamente pacifico che il diritto semplicemente di passeggiare su una strada, ad esempio per godersi la vista del mare, possa integrare il concetto di “utilità” o anche di “maggiore amenità” ai sensi delle norme sulle servitù, in ogni caso, basta rilevare che per legge esiste un solo caso di servitù coattiva, ovvero obbligatoria: è il caso in cui un fondo sia totalmente o parzialmente intercluso, ovvero sia integralmente o parzialmente circondato da altri fondi e non abbia quindi la possibilità di accesso alla via pubblica o l’accesso in questione sia notevolmente difficoltoso.
Al di fuori di questa ipotesi, la servitù di passaggio non può che essere costituita volontariamente, ovvero per contratto, per testamento (e non è il nostro caso) oppure ancora per usucapione (vi è poi un’altra ipotesi particolare, quella per “destinazione del padre di famiglia”, che però esula dal caso di specie), quest'ultima ai sensi dell'art. 1061 del cod. civ..
Si noti bene, tuttavia, che sono usucapibili solamente le servitù cosiddette “apparenti”, ovvero quelle in cui esistono delle opere materiali inequivocabilmente strumentali all’esercizio della servitù e che pertanto sono l’evidente e materiale segno della “utilità” di un fondo a favore dell’altro. Devono, poi, essere opere visibili e permanenti.
Per quanto riguarda, in particolare, la servitù di passo, non è sufficiente la mera esistenza di una strada idonea allo scopo, ma è necessario che vi siano dei segni che dimostrano che tale strada è stata realizzata allo scopo precipuo di dare accesso al fondo dominante attraverso il fondo servente; inoltre è necessaria anche l’abitualità del transito ed il conseguimento di una obiettiva utilità per il fondo dominante, senza che possano giovare atti o comportamenti tollerati o permessi a titolo di mera cortesia.

Afferma in proposito la giurisprudenza: “Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo pertanto sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù. (…)” (Cassazione civile, sez. II, 31 maggio 2010, n. 13238).
Nel caso di specie, è evidentemente escluso che la strada oggetto di contesa sia stata creata al preciso scopo di – o abbia natura tale da - servire al passaggio del fondo del Consorzio.

Peraltro, benché le servitù siano usucapibili anche se discontinue, nel caso di specie la non continuatività dei passaggi, unita alla finalità dei passaggi stessi (una semplice passeggiata a scopo di godimento) depone, ad avviso di chi scrive, per l’esclusione dell’usucapione, come dimostra anche il caso seguente che può essere ritenuto assai simile: “In tema di servitù di passaggio, il requisito dell'apparenza richiesto dall'art. 1061 c.c. ai fini dell'usucapione deve consistere nella presenza di opere permanenti, artificiali o naturali, obiettivamente destinate al suo esercizio, visibili in modo tale da escludere la clandestinità del possesso e da farne presumere la conoscenza da parte del proprietario del fondo servente. Le opere visibili permanenti devono avere avuto tale destinazione per tutto il tempo necessario ad usucapire. Non è quindi sufficiente, di per sé, l'esistenza di una strada o di un percorso idoneo allo scopo, poiché è necessario un " quid pluris " che dimostri la specifica destinazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato l'avvenuta usucapione di una servitù di passaggio poiché risultavano dimostrati soltanto alcuni sporadici passaggio risalenti a 30-40 anni prima, compiuti in periodi ben determinati dell'anno al solo scopo di raccogliere frutta)” (Cassazione civile, sez. II, 10 luglio 2007, n. 15447).
In definitiva, trattandosi nel caso in esame, dell’eventuale diritto di godere all’interno del complesso immobiliare della piacevolezza di un percorso aggiuntivo ed ulteriore rispetto a quello invece effettivamente necessario per entrare ed uscire dal medesimo, si può escludere con sufficiente certezza l’esistenza dei presupposti di usucapibilità del diritto di servitù di passo.

Ugualmente si può escludere, ad avviso di chi scrive, l’usucapione del diritto di proprietà, e ciò – tra le altre cose – anche solo in considerazione dell’animus, ovvero dell’intenzione, di chi agisce per far accertare l’usucapione, il quale è interessato al passaggio e non alla proprietà (nell’istituto dell’usucapione anche le intenzioni sono rilevanti, perché si può possedere una cosa a diversi titoli: proprietà, usufrutto, ecc. ed a seconda del modo con cui chi possiede lo fa e del diritto che ritiene di esercitare sulla cosa, si acquisirà concretamente l’uno piuttosto che l’altro diritto).

Paola D. chiede
giovedì 22/05/2014 - Veneto
“Buongiorno, Mio nonno, ante 1967, ha costruito 3 fabbricati : una casa, una stalla con sopra un fienile e un "ripostiglio per attrezzi e legna". Sono stati costruiti in zona esterna al centro abitato ( in zona montagnosa, comune di Mel, Belluno). Mio nonno è morto nel 1981 e nel 1987, in seguito a divisione, la casa è stata conferita a mia zia, la stalla a mia madre (che successivamente me l'ha donata), e l'ultima costruzione a mia zia. La casa e la stalla, nel 1987 risultavano nella planimetria allegata all'atto notarile; il ripostiglio - 5 mt. di lunghezza per 4 di larghezza e 4 di altezza, con basamento di pietre, colonne di blocchi pieni, facciate di legno, 2 porte di entrata, non risultava. In seguito alla divisione, quest'ultima costruzione è situata giusto sul confine con la mia proprietà e a 3,5 mt dalla "stalla", che adesso è diventata un'abitazione popolare censita A4. Nel 2011, in seguito a sanatoria catastale, "il ripostiglio" è stato iscritto al catasto da mia zia e adesso appare nelle planimetrie come appartenente a quest'ultima. Volevo chiedervi : per la determinazione del "dies a quo" per l'usucapione del diritto di servitù per il mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, si deve farsi riferimento al momento al quale la costruzione sia venuta ad esistenza - rivelata a me- fondo servente - nel 1987 ( esisteva ante 1967), oppure alla data alla quale è apparsa nella planimetria (2011), data di iscrizione al catasto ? Vi ringrazio tantissimo anticipatamente.”
Consulenza legale i 27/05/2014
Nella vicenda esposta esiste sin dal 1967 una costruzione (ripostiglio per attrezzi) situata a 3,5 metri da un altro edificio (stalla mutata in abitazione).
L'art. 873 del c.c. stabilisce che le costruzioni su fondi confinanti, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Quindi, a meno che nei regolamenti locali sia stabilita una distanza maggiore da tenere, le distanze legali sembrano essere rispettate.

Supponiamo, tuttavia, che la distanza sia inferiore a quella legale.

Nulla osta alla costituzione, anche per usucapione, di una servitù avente come contenuto il diritto di tenere l’edificio a distanza minore da quella legale. Lo ha stabilito la Cassazione con una pronuncia che ha preso posizione in materia, dando atto delle divergenze esistenti sia in dottrina che in giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 22.2.2010, n. 4240).
Deve ritenersi, quindi, ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali.
La usucapibilità del diritto di servitù, precisa la sentenza citata, "non equivale alla stipula pattizia di una deroga in tal senso, perché risponde all’esigenza ulteriore della stabilità dei rapporti giuridici in relazione al decorso del tempo". Dalla norma codicistica o da quella contenuta in regolamenti locali discende il diritto soggettivo del vicino di pretendere che il confinante edifichi a distanza non inferiore a quella prevista: tuttavia, l’avvenuta edificazione mediante opere permanenti e visibili, mantenuta con i requisiti di legge per oltre venti anni, dà luogo al verificarsi dell’usucapione, da parte del confinante, del diritto a mantenere l’immobile a distanza inferiore a quella legale (Cass. 4240/10 cit.).
L'approdo giurisprudenziale è stato successivamente confermato dalle sentenze n. 22824/2012 e 3979/2013.

Il dies a quo del termine ventennale previsto per l'usucapione del diritto decorre, in genere, dal momento dell'instaurazione del possesso. Ciò, in applicazione analogica della norma prevista in materia di prescrizione, l'art. 2935 del c.c., la quale sancisce che essa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Il possesso della zia sulla costruzione-ripostiglio, in questo caso, è iniziato con l'attribuzione in sede di divisione del fondo su cui questa già sorgeva e quindi quantomeno dal 1987: quindi, sono già trascorsi più di venti anni.

Il momento dell'accatastamento è ininfluente ai fini dell'usucapione, in quanto è sufficiente avere il possesso di un bene e usarlo pubblicamente come proprio per almeno vent'anni (o godere di una determinata situazione per tutto il tempo previsto dalla legge).
L'iscrizione al catasto ha meri fini fiscali e non serve a dimostrare che si è proprietari di un bene.

Nel caso di specie, peraltro, il fatto che entrambi i fondi - su cui insistevano le costruzioni "stalla" e "ripostiglio" - appartenessero in origine ad un unico proprietario, sembra rendere applicabile anche la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell'art. 1062 del c.c. La norma prevede che se due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù, nel momento in cui i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati.
Quindi, non sarebbe neppure necessario accertare la presenza dei presupposti per l'usucapione, essendosi la servitù, per quanto consta dal quesito, costituita già automaticamente al momento della divisione dei fondi caduti in successione.

P. L. chiede
mercoledì 07/08/2024
“nella mia proprietà c'è un pozzo a cui attingono acqua molti vicini da più di trenta anni asciugando la sorgente in quanto usano l'acqua non solo per uso domestico ma anche per irrigare piante ed orti, mi sono accorto solo in questi ultime settimane che il pozzo ricade nel mio fondo, ho chiesto ai miei confinanti di essere più accorti e di rispettare anche le mie esigenze senza alcun esito positivo. posso legalmente chiudere il pozzo e non fare attingere acqua arbitrariamente ?
Non è nelle mie intenzioni privare i vicini dei terreni limitrofi di attingere l'acqua, non so come mi debbo comportare.
Specifico che l'acqua del pozzo viene attinta con motori a scoppio elettrici e a gasolio fino a prosciugarlo e i vicini non vogliono sentire ragioni comportandosi in maniera arrogante e presuntuosa, arrivando pure a delle minacce.”
Consulenza legale i 09/08/2024
Il comportamento descritto nel quesito - consistente nel prelievo d’acqua dal pozzo situato nel fondo altrui, prelievo che sembra essere effettuato in maniera continuativa, mediante l’utilizzo di mezzi meccanici - viene posto in essere (stando a quanto viene riferito) “da più di trent’anni”.
Pertanto, è necessario verificare se i vicini che prelevano l'acqua abbiamo effettivamente acquistato, per usucapione, una vera e propria servitù di presa d’acqua.
Al riguardo l’art. 1080 c.c. precisa che “il diritto alla presa d'acqua continua si può esercitare in ogni istante”; ed è proprio tale continuità che consente di distinguere la servitù di presa d’acqua rispetto alla c.d. servitù di attingimento.
Inoltre, proprio perché la servitù di presa d’acqua, di regola, ha delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, essa è una servitù c.d. apparente. In quanto tale, può essere appunto acquistata per usucapione (art. 1061 c.c.).
Dunque, nel caso concreto, occorre accertare se davvero tale prelievo continuo di acqua sia stato esercitato di fatto, e in via continuativa, per il periodo di tempo previsto dalla legge, di regola venti anni.

In ogni caso, anche qualora si accertasse l’effettivo acquisto per usucapione di una servitù di presa d’acqua, non è detto che ciò possa avvenire senza rispetto per le esigenze del fondo servente.
In proposito, a parte la regola generale di cui all’art. 1065 c.c., secondo cui “nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”, abbiamo anche delle norme specifiche relative alla servitù di presa d’acqua.
Tra queste c’è, ad esempio, l’art. 1093 c.c., il quale stabilisce che “se la servitù dà diritto di derivare acqua da un fondo e per fatti indipendenti dalla volontà del proprietario si verifica una diminuzione dell'acqua tale che essa non possa bastare alle esigenze del fondo servente, il proprietario di questo può chiedere una riduzione della servitù, avuto riguardo ai bisogni di ciascun fondo. In questo caso è dovuta una congrua indennità al proprietario del fondo dominante”.

M. C. chiede
venerdì 29/12/2023
“Buongiorno,
sono possessore di un appartamento al 3° piano in una nota località balneare ligure. Dal mio balcone si godeva di una certa panoramica vista mare, peraltro sito a circa 700 mt di distanza. Qualche anno fa il mio vicino ha ristrutturato la sua palazzina, sopralzandola di 1 piano e così facendo mi ha precluso del 70% circa la vista mare, del quale rimane solo uno scorcio.
Considerando che oltre alla mancanza di godimento della vista il valore del mio appartamento è verosimilmente diminuito, mi sono rivolto ad un legale del posto. Il mio obiettivo a questo punto non è tanto far demolire quanto costruito ma quantomento ottenere un ristoro economico.
Premesso che le distanze di legge sono state rispettate, questi mi ha prospettato la difficoltà di far valere il solo aspetto paesaggistico, a meno che siano state commesse delle violazioni urbanistiche dalla controparte e su queste eventualmente far leva per ottenere ristoro. E’ stato fatto un accesso agli atti dai quali forse è emersa una piccola difformità ma non è stato ben approfondito.Abbiamo attivato una mediazione che si è conclusa con totale chiusura della controparte.
Ora vorrei capire se a vs giudizio è corretto e sia opportuno procedere in giudizio o le mie possibilità di aver riconosciuta la ragione siano scarse. Purtoppo il mio legale è stato molto vago a riguardo.
E non ho ancora capito se esista una servitù di panorama per usucapione e come questa si possa esercitare.
Grazie e saluti”
Consulenza legale i 03/01/2024
La valutazione fattuale dal collega che la sta assistendo pare essere assolutamente corretta.
Bisogna tenere ben distinto il diritto di veduta dal diritto al panorama.
Il diritto di veduta consiste nella facoltà del proprietario alle c.d. inspectio e prospectio nel fondo vicino, che si concretizzano nella pratica nella possibilità di guardare e sporgersi sulla proprietà altrui. Questo diritto è riconosciuto dall’art.907 del c.c. e si sostanzia nel divieto di fabbricare ad una distanza inferiore a tre metri dalla veduta. Da quel che si è potuto capire non pare che nel caso specifico le distanze prescritte da tale norma siano state violate: il diritto di affaccio sul fondo altrui non è stato quindi in alcun modo pregiudicato dall’ innalzamento di nuovi piani e nuove fabbriche sul fondo adiacente.

Diverso dal diritto di veduta è il diritto di panorama. A differenza del diritto di veduta che trova un suo diretto riconoscimento in una norma del codice civile, il diritto di panorama è un istituto giuridico teorizzato dalle pronunce della giurisprudenza che si sostanzia nel diritto di godere di un bel panorama dalla propria abitazione, come ad esempio una vista del mare oppure di una catena montuosa. Come ha nuovamente precisato e ribadito anche una recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17922 del 22.06.2023, il diritto di panorama non è altro che un diritto di servitù ex artt. 1027e ss. del c.c., il quale pone a carico del proprietario del fondo servente l’obbligo di non sopraelevare la sua costruzione al fine non precludere la vista del paesaggio che si può godere dal fondo dominante (servitus altius non tollendi). Esso è quindi una servitù negativa, poiché impone al proprietario del fondo servente un obbligo di non fare una determinata cosa; inoltre ai sensi dell’art. 1061 del c.c. il diritto di panorama, è tipicamente una servitù non apparente, in quanto per il suo esercizio non è necessario installare sul fondo servente particolari opere o manufatti, ed è questo l’aspetto che più di tutti impedisce che le ragioni dell’autore del quesito possano trovare soddisfazione in un ipotetico giudizio.

L’art. 1031 del c.c. precisa, infatti, che le servitù, in cui come abbiamo già detto rientra il diritto di panorama, possono costituirsi (tra gli altri casi qui non rilevanti), o volontariamente, quindi solitamente per mezzo di un rogito notarile sottoscritto tra i proprietari dei due fondi confinanti, oppure per usucapione: tuttavia il già citato art. 1061 del c.c. precisa come le servitù non apparenti non possono essere acquisite per usucapione.
Per tale motivo, nel caso specifico, l’unico modo per l’autore del quesito per far valere un valido diritto di panorama nei confronti del fondo del vicino sarebbe quello di essere in possesso di un rogito notarile, sottoscritto dal proprietario del fondo a lui confinante, oppure da un suo precedente dante causa che gli riconosca tale diritto, ma, come spesso accade, tale rogito non è mai esistito e pertanto nessun diritto di panorama si è mai concretamente costituito. Per questo motivo una ipotetica azione giudiziaria promossa dall’autore del quesito nei confronti del vicino che ha effettuato la sopraelevazione vedrebbe un esito poco felice.


P. B. chiede
lunedì 13/06/2022 - Emilia-Romagna
“Antefatto.
Nel 2017 ho acquistato in asta giudiziario un fabbricato su lotto di 426 mq. Sul retro vi è un cortile ( che funge anche da passaggio e ingresso posteriore di mt. 20 x 4,80) delimitato da fabbricato cat. C/2 alto mt. 5 circa coperto a lastrico solare.
Il muro di questo magazzino è coperto con tegole spioventi sul mio cortile e le acque meteoriche del lastrico solare sono convogliate sul mio cortile.
Prima dell'asta giudiziaria i fabbricati, censiti su particelle distinte, erano di un unico
proprietario.
Non abbiamo fatto riconfinamenti per verificare se effettivamente il muro del fabbricato c/2 insiste solo sulla particella non di mia proprietà o è di confine.
Dalle mappe catastali del 1989
(Atto notarile di divisione tra fratelli che portò i 2 fabbricati in capo ad uno d il loro) in quanto ancora redatte a mano, non si hanno certezze. ( Di fatto misurando la superficie del lotto, dichiarata in atti di 426 mq. , Risulterebbe inferiore a 400 mq. Ma in ballo c'è anche una imprecisione sul lato est che confina con particella comprendente siepe e strada di proprietà di indivisa tra Comune e privato che si è aggiudicato all'asta il c/2.
( Per inciso, vatti a fidare delle perizie dei tecnici per le aste fallimentari).
Richiesta:
Quali diritto posso accampare sul muro di confine (?).
Posso reclamare che le acque meteoriche non vengano più convogliate sulla mia proprietà o debbo subire una servitù.
Altra informazione, ho provato a far fare misurazioni di riconfinamenti sul lato est e 2 studi diversi danno misure diverse !!!!? Allora ???
Provvederò a fare il pagamento e invierò a richiesta documentazione catastale e fotografica.
Grazie.”
Consulenza legale i 23/06/2022
Regola generale applicabile in tutti i casi di vendita forzata è quella dettata dall’art. 2922 del c.c., secondo cui in tale tipologia di vendita non può essere invocata la garanzia per vizi della cosa venduta (tale deve intendersi la presenza di una servitù di scolo acque piovane dal fondo del vicino).
La ratio di tale norma può individuarsi nel fatto che nella vendita forzata il potenziale acquirente gode di un importante vantaggio di carattere informativo, in quanto ha la possibilità di consultare con congruo anticipo la perizia di stima elaborata dal professionista nominato dal Giudice dell’esecuzione.
Tale perizia, allegata all’avviso di vendita, consente a qualunque interessato di avere un quadro aggiornato dello stato dell’immobile, della provenienza, dei vincoli trascritti su di esso, oltre che della sua regolarità edilizia ed urbanistica.
Già sotto questo profilo, dunque, si ritiene che non possa aversi alcuna possibilità di contestare la situazione dello scolo delle acque piovane dal fondo del vicino sul cortile di pertinenza dell’immobile acquistato all’asta.

Quanto sopra asserito, peraltro, trova conferma nella giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda Cass. sent. n. 21840/2016), nella quale si legge che la mancanza per l’aggiudicatario della ordinaria garanzia per i vizi della cosa, inapplicabile alla vendita forzata ai sensi dell’art. 2922 c.c., trova un limite soltanto nelle ipotesi più gravi di c.d. aliud pro alio, dovendosi pacificamente ammettere tale forma di garanzia anche nel caso di vendita forzata.
Tuttavia, perché possa configurarsi una tale ipotesi si richiede che la cosa consegnata sia completamente difforme da quella oggetto di vendita (appartenendo ad un genere del tutto diverso), ovvero che sia assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, che abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero, infine, che risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto (così Cass. sent. n. 2858/2014).
Nulla di tutto ciò sembra ricorrere nel caso di specie.

Peraltro, stando a ciò che viene riferito nel quesito, nel caso di specie neppure può invocarsi il disposto di cui all’art. 908 c.c. per costringere il proprietario del fabbricato confinante a modificare l’inclinazione del tetto del suo fabbricato per far sì che le acque piovane scolino sul suo terreno.
Una richiesta di tale tipo, infatti, si scontrerebbe con la situazione di fatto esistente, la quale trae origine dalla primitiva appartenenza dei due attuali fabbricati ad un unico proprietario e dalla loro successiva divisione, lasciando inalterato lo stato delle cose.
Tale situazione non ha fatto altro che determinare la costituzione di una servitù di scolo delle acque piovane per c.d. destinazione del padre di famiglia, la quale trova espresso riconoscimento all’art. 1061 del c.c., per il venire ad esistenza della quale occorre la sussistenza dei seguenti presupposti, tutti ricorrenti nel caso di specie:
a) che si tratti di una servitù apparente (non può negarsi l’apparenza dell’inclinazione del tetto verso il proprio fondo);
b) che in sede di divisione dei due immobili (quello servente e quello dominante) siano state lasciate “le cose nello stato dal quale risulta la servitù”.

Per quanto concerne, invece, il problema del fabbricato la cui parete risulta realizzata a confine con il cortile di pertinenza del proprio immobile, va innanzitutto chiarito che tale parete non può essere assimilata ad un muro di confine, trattandosi pur sempre di parete.
Dispone espressamente l’[[878cc] che può qualificarsi come muro di cinta qualunque muro isolato che non abbia un’altezza superiore a tre metri, ipotesi ben diversa da quella che qui viene in esame.

Nel caso di specie, infatti, norma applicabile risulta essere l’art. 873 del c.c., rubricato “Distanze nelle costruzioni”, dalla lettura del quale si evince che, salvo diversa disposizione contenuta nei regolamenti locali, la preesistenza sul confine (o comunque ad una distanza inferiore a metri 1,5) della costruzione del vicino dà diritto a costruire in aderenza a tale costruzione (art. 877 del c.c.) oppure ad utilizzare il muro di fabbrica esistente, pagando metà del suo valore.
Il proprietario della costruzione, da parte sua, può decidere di demolire quella parete in modo da ripristinare la distanza minima di mt. 1,5 (così art. 875 comma 2 c.c.).

Altra facoltà di cui ci si può avvalere è quella prevista dall’art. 876 del c.c., ossia di utilizzare il muro di fabbrica esistente del vicino per innestarvi un capo del proprio muro, pagando un’indennità per l’innesto.
La norma si riferisce solo all’ipotesi in cui il nuovo muro che si andrebbe a realizzare vada ad inserirsi al precedente, in modo da divenire un’unica struttura portante con esso; nell’ipotesi in cui, invece, la testa del nuovo muro venga semplicemente appoggiata al muro preesistente, senza un collegamento strutturale, non è dovuta alcuna indennità.
La giurisprudenza qualifica tale norma come eccezionale, con la conseguenza che non può essere invocata per l’innesto di travi, consentito solo sul muro comune ex art. 884 del c.c..

L. M. chiede
sabato 19/03/2022 - Toscana
“Buongiorno,
attingo da oltre 20 anni acqua da fosso naturale allo scopo di irrigare orti. L'acqua viene prelevata con tubo in polietilene da 3/8 di pollice il quale in alcuni punti è interrato e in altri visibile.
Il tubo o acquedotto serve tre orti. Il tubo è in polietilene da 3/8 di pollice, quindi di modeste dimensioni.
Il punto di presa dell'acquedotto si trova in prossimità della sorgente del fosso. Il tubo segue un percorso lungo il fosso, attraversa un campo abbandonato da oltre 50 anni, attraversa un terreno boschivo e prosegue poi per raggiungere i tre orti.
La sorgente e il fosso sono all'interno di una proprietà privata. Il campo abbandonato e il terreno boschivo appartengono alla stessa proprietà privata. Fino ad oggi il proprietario di quella proprietà privata non ha manifestato impedimenti al passaggio dei tubi. Oggi minaccia di voler far togliere i tubi.
A che cosa possiamo appellarci per non togliere i tubi?
L'acqua è necessaria ai tre orti senza della quale cadrebbero in abbandono, e verrete meno il presidio del territorio in ina area rurale già ad alta densità di spopolamento.
Se facessimo correre il tubo solamente lungo il fosso dove scorre l'acqua avremo qualche vantaggio?
Grazie in anticipo.
Un saluto.”
Consulenza legale i 23/03/2022
Stando alla descrizione fornita nel quesito, è possibile che sia stata acquistata per usucapione una servitù di acquedotto. Infatti il passaggio dell’acqua, attinta alla sorgente, attraverso tubi collocati nella proprietà altrui risulta esercitato da oltre venti anni.
Poiché si parla di tubazioni in parte interrate, occorre precisare che, ai fini dell’acquisto per usucapione della servitù, va verificato anche il requisito dell’apparenza, cioè della presenza di opere visibili e permanenti” destinate all’esercizio della servitù: ai sensi dell’art. 1061 c.c., le servitù non apparenti non possono acquistarsi né per usucapione né per destinazione del padre di famiglia.
In proposito la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, 01/07/2008, n. 17992) ha chiarito che “il requisito dell'apparenza, necessario ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù per usucapione si identifica nella presenza di opere visibili e permanenti che per struttura e consistenza si rivelino in modo inequivoco destinate all'esercizio della servitù medesima, e rappresenta profilo del tutto distinto dalla conoscenza meramente soggettiva che il proprietario del fondo "servente" abbia dell'esercizio, in atto, della servitù, per cui la conoscenza della situazione di asservimento comunque acquisita dal proprietario del fondo servente è pertanto del tutto irrilevante ai fini dell'acquisto della servitù”.
Laddove non possa dirsi compiuto un acquisto per usucapione, ricordiamo che la servitù di acquedotto, in presenza di particolari presupposti, può essere costituita anche coattivamente (artt. 1033 e ss. c.c.), vale a dire in assenza del consenso del proprietario del fondo servente e, dunque, con provvedimento del giudice.
Le condizioni per la costituzione coattiva di una servitù di acquedotto sono elencate dall’art. 1037 c.c.: in particolare, il richiedente deve dimostrare che può disporre dell'acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio; che l’acqua medesima è sufficiente per l'uso al quale si vuol destinare; che il passaggio richiesto è il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio e alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque.
Si consiglia, dunque, di verificare, con l’ausilio di un tecnico, i profili evidenziati nel quesito, al fine di accertare l’eventuale acquisto per usucapione di una servitù di acquedotto o, in mancanza, valutare la possibilità di una sua costituzione coattiva.

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