Estinzione delle servitù per non uso
Le servitù, come gli altri diritti reali, ad eccezione della proprietà (e pure dell'enfiteusi, che sotto il profilo dell'estinzione ha tutta una particolare disciplina), si estinguono col
non uso per venti anni.
La spiegazione di questo tradizionale principio è nella loro
natura di diritti limitanti in forma reale il contenuto libero e pieno della proprietà. La proprietà che non limita alcun diritto più ampio, ma anzi esclude ogni altro diritto di uguale ampiezza (salvo il fenomeno della comproprietà, che non è un nuovo tipo di diritto, ma un particolar modo di essere della titolarità di vari diritti) non si estingue per semplice non uso, salva l'usucapione da parte di terzi. E il motivo è chiaro: perché mancando un diritto simultaneamente esistente sul medesimo oggetto, e tale che possa assorbire automaticamente il contenuto empirico del diritto che per non uso dovrebbe cessare di essere, ammettere l'estinzione per semplice non uso vorrebbe dire in astratto rendere la cosa di nessuno (salva ora l' applicazione dell'
art. 827 del c.c.), cioè passarla dal rango di cosa, che, per essere almeno soggetta ad un diritto, può essere specialmente utilizzata quando che sia, anche se in pratica non lo è, a quello inferiore di cosa di nessuno, che per sè non potrebbe nemmeno essere utilizzata senza la previa stabilizzazione di un nuovo diritto su di essa.
Mentre il diritto reale limitato, alla cui sfera appartengono le servitù, essendo a sua volta limitatore di un diritto simultaneo più ampio, la proprietà, capace di assorbirne automaticamente il contenuto utile in ogni momento in cui venga a cessare, quando non sia esercitato per un certo tempo (oggi ridotto da trenta a venti anni) deve, nell'interesse sociale, essere tolto di mezzo, per lasciare libero il posto alla esplicazione di quel diritto più ampio onde non lasciare due diritti inoperosi e improduttivi, uno per l'inerzia del proprio titolare, l'altro per la inattiva presenza di un diritto limitante. Poiché la causa dell'incaglio sociale è, in definitiva, la presenza del diritto minore, questo è opportunamente tolto di mezzo.
Decorrenza del termine di non uso
Il
dies a quo della decorrenza del termine di venti anni di «
non uso » è quello in cui il non uso stesso è cominciato, cioè quello in cui si è cessato di esercitare la servitù.
Ma questa, che è la regola generale, non ha modo di essere convenientemente applicata senza una opportuna distinzione in base alla natura delle singole servitù, di che volta a volta si tratti. Bisogna appunto riprendere la distinzione già incontrata fra servitù affermative e negative, continue e discontinue.
a)
Servitù negative. Trattandosi di servitù negative, o tali comunque (anche per se affermative) che per il loro esercizio non sia necessario il fatto dell'uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l'esercizio. Per es., il proprietario del fondo soggetto a servitù di prospetto, ha costruito in modo che il vantaggio della servitù non giunge più di fatto al proprietario del fondo dominante.
È indifferente però, a questo proposito, che il fatto impeditivo (es. la costruzione dianzi accennata) provenga dal proprietario del fondo servente o da un terzo, o magari dallo stesso proprietario del fondo dominante. Come si osservò esattamente nella Relazione al Re (n. 167), il fatto impeditivo è considerato in sé come fatto materiale, poiché per la norma è rilevante il semplice dato concreto e oggettivo della interruzione dell'esercizio della servitù, protratta per il tempo indicato.
b)
Servitù affermative. Per le servitù affermative al cui esercizio il fatto dell'uomo è necessario, il termine decorre dal giorno in cui tale fatto ha cominciato a non più verificarsi cosi, per es., dal giorno in cui il
dominus servitutis ha cominciato a non attingere più l'acqua dal fondo servente.
c)
Servitù discontinue. Ma fra le servitù affermative occorre ancora distinguere, sotto il profilo dell'estinzione per non uso, quelle continue e quelle discontinue
. Riaffiora cosi la distinzione sostanziale fra queste due specie, per quanto non sia riprodotta nei medesimi termini letterali. Mentre ogni rilevanza alla distinzione stessa è stata tolta in tema di acquisto per usucapione, sotto l'aspetto in certo modo reciproco dell' estinzione per non uso, il terzo comma dell'
art. 1073 del c.c. riprospetta la specie delle servitù discontinue, nei termini di servitù «
che si esercitano ad intervalli » (p. es. una servitù di passaggio, di pascolo, ecc.) E per queste dispone che il termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l'esercizio. E cosi, per es., i venti anni di non uso d'una servitù di pascolo non decorreranno dalla fine dell'ultimo pascolo effettuato, ma dal giorno in cui, secondo la stagione e il contenuto della servitù, l'esercizio del pascolo avrebbe potuto essere ripreso e non lo fu.
Accessio temporis agli effetti del periodo di non uso
Il quarto comma dispone che agli effetti della estinzione per non uso si computa anche il tempo per il quale la servitù non fu esercitata dai precedenti titolari.
Si ha qui l'inverso della successione nel possesso agli effetti della usucapione, la c. d.
accessio temporis. Come il possessore attuale può compiere l'usucapione unendo il suo possesso a quello del suo autore, altrettanto, ma a rovescio, l'inerzia e il non uso del titolare attuale si unisce a quella dei titolari precedenti, se non vi fu soluzione di continuità nel non uso, per formare il periodo complessivo dei venti anni richiesti.
Impedimento all'estinzione per non uso, per solo esercizio da parte di un condomino
Ma se il fondo dominante appartiene a più persone in comune, l'uso della servitù, fatto da una di esse impedisce l'estinzione riguardo a tutte. Giocano qui
due principi ad un tempo: quello per cui la servitù è stabilita a vantaggio, essenzialmente, del fondo dominante, da cui la già nota indivisibilità, e quello che un diritto la cui titolarità sia comune a più soggetti, è pienamente esercitato quando in effetti lo sia anche da parte di uno solo.
La disposizione del
penultimo comma si applica in quanto stiano i presupposti di ambedue questi principi: se anche uno solo di essi venga meno, essa pure viene meno. E cosi, pur restando il principio della indivisibilità della servitù per la divisione del fondo dominante (principio di cui si sono già viste le applicazioni nell'
art. 1071 del c.c.), se mancasse però quello della contitolarità del diritto di questo fondo, e cioè il fondo unico originariamente dominante venisse in seguito diviso fra diversi proprietari per parti concrete e non per quote ideali, sebbene ciascuno dei proprietari abbia diritto alla intera servitù (
art. 1071 del c.c.), l'esercizio di uno od alcuno di essi non impedisce tuttavia la perdita della servitù stessa per non uso da parte degli altri che siano stati vent'anni senza esercitarla. Ciascuno qui deve provvedere per conto proprio a non lasciare estinguere il proprio diritto sulla propria porzione di fondo.