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Articolo 1062 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Destinazione del padre di famiglia

Dispositivo dell'art. 1062 Codice Civile

La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù(1).

Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati [1072].

Note

(1) Perché si abbia una servitù per destinazione del padre di famiglia è necessario che i due fondi siano oggettivamente subordinati o al servizio l'uno all'altro; inoltre, tale circostanza deve permanere quando venga meno la titolarità di essi facente capo allo stesso proprietario. Vi devono poi essere opere visibili e permanenti che palesino il rapporto di asservimento e devono mancare disposizioni sulla servitù.

Ratio Legis

Tale disposizione prevede il caso in cui due fondi, in un primo tempo di titolarità di uno stesso proprietario, siano separati, e a causa della presenza di opere visibili e permanenti ne derivi il vincolo oggettivo di un fondo nei confronti dell'altro. Essa, riferibile alle sole servitù apparenti ai sensi dell'art. 1061 del c.c., non implica la contiguità materiale dei fondi tra i quali si viene a creare il diritto di servitù.

Brocardi

Destinatio patris familiae
Res ita stent ut stant

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

506 Quanto alla destinazione del padre di famiglia, la nozione che di quest'ultimo modo di acquisto dà l'art. 1062 del c.c. non differisce da quella che ne davano gli articoli 632 e 633 del codice del 1865, fusi ora in un unico articolo. Il requisito dell'apparenza è insito nella stessa nozione di questo modo d'acquisto.

Massime relative all'art. 1062 Codice Civile

Cass. civ. n. 28379/2022

Il presupposto della effettiva situazione di asservimento di un fondo all'altro, richiesto dall'art. 1062 c.c. per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la ricostruzione dello stato dei luoghi esistente nel momento in cui, per effetto della divisione del fondo in comproprietà, le due porzioni del fondo hanno cessato di appartenere ai comproprietari nel loro insieme.

Cass. civ. n. 14714/2022

Qualora un unico fondo, originariamente pervenuto in successione a due eredi per quote indivise, venga successivamente frazionato da questi ultimi in porzioni distinte in sede di divisione, la situazione di assoggettamento di fatto di una di tali porzioni rispetto all'altra è idonea a determinare la costituzione di una servitù prediale per destinazione del padre di famiglia, con decorrenza da detta divisione.

Cass. civ. n. 40824/2021

Ai fini del riconoscimento della servitù per destinazione del padre di famiglia occorre avere riguardo al momento in cui i fondi, dominante e servente, hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario, restando pertanto irrilevanti i successivi mutamenti dello stato dei luoghi.

Cass. civ. n. 32684/2019

La mancanza di interclusione del fondo preteso dominante non costituisce elemento ostativo al riconoscimento della servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c. in quanto la sua costituzione avviene nel momento in cui i fondi, dominante e servente, hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario, ed è a quel momento che occorre fare riferimento ai fini dell'accertamento giudiziale, con la conseguenza che i successivi mutamenti dello stato dei luoghi risultano irrilevanti.

Cass. civ. n. 12798/2019

In virtù del c.d. principio di ambulatorietà delle servitù, l'alienazione del fondo dominante comporta anche il trasferimento delle servitù attive ad esso inerenti, anche se nulla venga al riguardo stabilito nell'atto di acquisto, così come l'acquirente del fondo servente - una volta che sia stato trascritto il titolo originario di costituzione della servitù - riceve l'immobile con il peso di cui è gravato, essendo necessaria la menzione della servitù soltanto in caso di mancata trascrizione del titolo.

Cass. civ. n. 14481/2018

La servitù per destinazione del padre di famiglia può sorgere, ai sensi dell'art. 1062 c.c., pure se la divisione del fondo sia stata disposta, anziché dal proprietario, dal giudice dell'esecuzione con il decreto di trasferimento dei lotti risultanti dal frazionamento del terreno in sede di vendita forzata, salvo che il giudice stesso manifesti una volontà a ciò contraria anche tramite l'ordine di rimozione delle opere o dei segni apparenti che avrebbero integrato il contenuto della detta servitù, sostituendosi egli, in tale caso, al "dominus" - padre di famiglia.

Cass. civ. n. 24853/2015

La disposizione dell'originario proprietario idonea a impedire la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'art. 1062, comma 2, c.c., può anche essere anteriore alla divisione del fondo ed implicita, purché resa nota o conoscibile all'acquirente. (Nella specie, applicando il principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva negato effetto impeditivo alla presentazione di un tipo di frazionamento fatta dal proprietario qualche giorno prima dell'atto di vendita e da lui richiamata nell'atto stesso).

Cass. civ. n. 10662/2015

Il presupposto della effettiva situazione di asservimento di un fondo all'altro, richiesto dall'art. 1062 c.c. per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la ricostruzione dello stato dei luoghi esistente nel momento in cui, per effetto dell'alienazione di uno di essi o di entrambi, i due fondi hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario.

Cass. civ. n. 4214/2014

In tema di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, non si richiede, ai fini dell'opponibilità del diritto ai successivi acquirenti del fondo servente, la permanenza del requisito della visibilità delle opere destinate all'esercizio della servitù, necessario per il sorgere del diritto.

Cass. civ. n. 1269/2013

Ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia (nella specie, servitù di smaltimento delle acque), è necessaria la sussistenza dell'opera di asservimento, visibile e permanente, nel momento dell'alienazione dei fondi da parte dell'unico originario proprietario, essendo irrilevante, viceversa, che l'opera stessa (nella specie, l'impianto fognario) non fosse in regola con le prescrizioni di legge.

Cass. civ. n. 13534/2011

La "disposizione relativa alla servitù" la quale, ai sensi dell'art. 1062, secondo comma, c.c. impedisce lo stabilirsi della servitù nonostante lo stato di fatto preesistente, non è desumibile da "facta concludentia", ma deve rinvenirsi o in una clausola in cui si conviene espressamente di volere escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, o in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe il sorgere della corrispondente servitù, convertendosi in una situazione di diritto o in una regolamentazione negoziale da cui si desume che le parti abbiano voluto costituire la servitù (che in tal modo nasce in base a titolo e non per destinazione del padre di famiglia). Ne consegue che non è oggettivamente incompatibile con l'effetto naturale di costituzione di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia la clausola con cui le parti del contratto - il quale determini la scissione dell'originario dominio unico in due proprietà distinte, l'una in situazione di asservimento rispetto all'altra - prevedano un diritto personale di parcheggio, non trasmissibile "mortis causa", né cedibile a terzi e commisurato temporalmente alla vita dell'acquirente, da esercitarsi su di una strada rimasta in proprietà del venditore.

Cass. civ. n. 3389/2009

L'«actio negatoria servitutis» non è esercitabile dal proprietario quando, pur verificandosi una molestia o turbamento del possesso o godimento del bene, la turbativa non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa, in tal caso essendo apprestati altri rimedi di carattere essenzialmente personale. Per altro verso, non è precluso a colui che abbia ottenuto, con sentenza passata in giudicato, declaratoria di inesistenza sul suo fondo di una servitù di passaggio, di agire in giudizio per far cessare il comportamento del proprietario dell'altrui fondo che ne abbia continuato l'esercizio nonostante il giudicato sfavorevole.
La costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, che è fattispecie non negoziale, postula, ai sensi dell'art. 1062 cod. civ., l'esistenza di segni ed opere visibili e permanenti, costituenti indice non equivoco ed obiettivo del peso imposto al fondo servente, nonché l'originaria appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario prima dell'acquisto di uno di essi da parte di altro soggetto e il perdurare di tale situazione fino alla separazione della originaria unica proprietà, sempre che non risulti una manifestazione di volontà contraria all'atto del negozio con cui si attua detta separazione, che determina l'automatica conversione dello stato di fatto in quello di diritto; ne consegue che non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo.

Cass. civ. n. 21087/2006

In tema di servitù, la costituzione per destinazione del padre di famiglia postula la presenza di opere di natura permanente, direttamente destinate all'esercizio della servitù, atte a rivelare in maniera non equivoca, per la loro struttura e funzione, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, al fine della costituzione di una servitù di passaggio, aveva negato il carattere di opera apparente al varco esistente nel muro di confine tra due fabbricati).

Cass. civ. n. 24849/2005

In tema di servitù prediali, la costituzione per destinazione del padre di famiglia, che si determina non in virtù di una manifestazione di volontà negoziale ma per la presenza di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù e che siano rivelatrici dell'esistenza del peso gravante sul fondo servente, richiede il concorso di più elementi costitutivi di una complessa fattispecie, e cioè: a) l'esistenza di due o più fondi appartenenti allo stesso proprietario tra cui, con opere visibili, si sia costituito un rapporto obiettivo di servizio tale da manifestare l'esistenza di una servitù se i due fondi o le due parti del fondo appartenessero a distinti proprietari; b) la separazione dei due fondi o delle due parti del fondo per effetto di una atto di alienazione volontario. Pertanto, in presenza di tali elementi e in mancanza, all'atto dell'alienazione, di una volontà contraria, la servitù si intende stabilita ope legis e a titolo originario.

Cass. civ. n. 11348/2004

Essenziale per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia è che, all'atto della cessazione dell'appartenenza di due fondi ad un unico proprietario le opere destinate al servizio di uno all'altro siano stabili, sì da eluderne la precarietà, ed apparenti, in modo da rendere certi e manifesti a chiunque — e perciò anche all'acquirente del fondo gravato — il contenuto e le modalità di esercizio del corrispondente diritto. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza impugnata che, nell'escludere la costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, aveva accertato che — al momento in cui l'originario unico proprietario aveva donato l'edificio dividendolo tra i quattro figli, non sussisteva il collegamento fra ciascuno dei quattro accessi di cui — secondo il progetto presentato per ottenere la licenza edilizia — era dotato il fabbricato — all'epoca della donazione non ancora completato — e le singole proprietà donate).

Cass. civ. n. 14693/2002

In materia di diritti reali di godimento, pur potendo il requisito della utilitas consistere, al fine della ricorrenza di una servitù prediale, in una destinazione del fondo servente a mera comodità od amenità del fondo dominante ovvero a soddisfacimento di bisogni sporadici del medesimo, la presenza di una porta o di una porta-finestra non è inequivoca al fine di dimostrare una servitù di passaggio, ben potendo essa adempiere anche alla diversa funzione di fornire aria e luce all'immobile.
La costituzione di una servitù prediale per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell'art. 1062 c.c. postula che le opere permanenti destinate al suo esercizio predisposte dall'unico proprietario preesistano al momento in cui il fondo viene diviso fra più proprietari. Deve escludersi pertanto l'anzidetta costituzione quando risulti che le opere assuntivamente destinate all'esercizio quando risulti che le opere assuntivamente destinate all'esercizio della servitù siano state realizzate dopo che il fondo, inizialmente unico, è stato diviso tra più proprietari.

Cass. civ. n. 7476/2001

Qualora un unico fondo pervenga in successione a due eredi, per quote indivise, e poi da questi ultimi in sede di divisione, sia frazionato in porzioni distinte, la situazione di assoggettamento di fatto dell'una all'altra porzione non può determinare la costituzione di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.), con riferimento al momento della successione, tenuto conto che la cessazione dell'appartenenza dell'immobile ad un unico proprietario si è verificata solo posteriormente, con la divisione della comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 5699/2001

La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ha come presupposto che due fondi o due parti del medesimo fondo, appartenenti in origine ad un proprietario unico o a più proprietari in comunione, siano stati posti da lui stesso o da loro stessi in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio l'uno rispetto all'altro, atta ad integrare, di fatto, il contenuto di una servitù prediale e che abbiano mantenuto inalterata tale situazione nel cessare di appartenere allo stesso soggetto. Fino a quando, però, i due fondi o le due parti del fondo, posti appunto in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio corrispondente de facto al contenuto proprio di una servitù, continuano ad appartenere allo stesso proprietario o a più proprietari in comunione, la servitù non può sorgere, ostandovi il principio nemini res sua servit.

Cass. civ. n. 1720/2000

La disposizione idonea ad impedire, ai sensi dell'art. 1062, secondo comma, c.c., l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia deve provenire dal proprietario del fondo diviso, anche se non è richiesta la contestualità con la divisione del fondo stesso, potendo detta disposizione essere utilmente posta in essere anche in un momento anteriore. La manifestazione di volontà contraria alla nascita del detto diritto reale può essere legittimamente effettuata, altresì, dal curatore fallimentare nell'esercizio dei diritti del proprietario fallito, in occasione della vendita per parti divise dell'immobile unitariamente acquisito all'attivo fallimentare, ma non dai futuri acquirenti dei singoli lotti, i quali non hanno alcun titolo per impedire il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi.

Cass. civ. n. 5120/1998

Non è riconoscibile la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia se le opere e la situazione dei luoghi per il suo esercizio non esistevano al tempo dell'appartenenza ad un unico proprietario del fondo, ma sono esecutive del titolo che ha dato origine al frazionamento.

Cass. civ. n. 1381/1998

Perché possa dirsi sorta una servitù per destinazione del padre di famiglia (ai fini del cui sorgere, ove si tratti di servitù di passaggio, è priva di rilevanza ostativa la non interclusione del fondo dominante) non è richiesto che quando i fondi abbiano cessato di appartenere ad un unico proprietario questi abbia espressa la volontà di tener fermo lo stato di fatto dal quale risulti l'esistenza della servitù, essendo sufficiente che egli non abbia, neppure implicitamente, disposto in alcun modo al riguardo.

Cass. civ. n. 7221/1997

La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia presuppone che due fondi o due parti del medesimo fondo appartenenti ad un proprietario unico siano stati da lui stesso posti in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio che corrisponda al contenuto proprio di una servitù e che tale situazione sia stata lasciata inalterata quando i due fondi cessarono di appartenere al medesimo proprietario; mentre ad impedire la costituzione del diritto di servitù è necessario che nell'atto con cui si prevede la separazione sia contenuta una manifestazione di volontà contraria alla nascita del diritto.

Cass. civ. n. 277/1997

Essenziale per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia è che, all'atto della cessazione dell'appartenenza di due fondi ad un unico proprietario, le opere destinate al servizio di uno all'altro siano stabili, sì da escluderne la precarietà, e apparenti, in modo da render certi e manifesti a chiunque — e perciò anche l'acquirente nel fondo gravato — il contenuto e le modalità di esercizio del corrispondente diritto di asservimento.

Cass. civ. n. 592/1996

La servitù per destinazione del padre di famiglia si intende stabilita, ope legis, per il solo fatto che, all'epoca della separazione dei fondi o del frazionamento dell'unico fondo, lo stato dei luoghi sia stato posto o lasciato, per opere e segni manifesti ed univoci, in una situazione di subordinazione o di servizio che integri di fatto il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell'unico originario proprietario nel determinarla o mantenerla in vita. Ne consegue che il requisito della subordinazione va ricercato non nell'intenzione (negoziale) di detto proprietario, bensì nella natura dell'opera oggettivamente considerata, in quanto nel suo uso normale determini il permanente assoggettamento del fondo vicino all'onere proprio della servitù.

Cass. civ. n. 3116/1995

La «disposizione relativa alla servitù» la quale, ai sensi dell'art. 1062, secondo comma, c.c. impedisce lo stabilirsi della servitù nonostante lo stato di fatto preesistente, non è desumibile da fatta concludentia, ma deve rinvenirsi o in una clausola in cui si conviene espressamente di volere escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, o in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che in forza della legge determinerebbe il sorgere della corrispondente servitù, convertendosi in una situazione di diritto, o in una regolamentazione negoziale da cui si desume che le parti abbiano voluto costituire la servitù (che in tal modo nasce in base a titolo e non per destinazione del padre di famiglia).

Perché la servitù risulti costituita per destinazione dell'unico proprietario dei due fondi non è sufficiente che, nel momento in cui entrambi cessano di appartenere solo a lui, nulla sia disposto sulla sorte del rapporto di servizio che egli abbia in precedenza stabilito tra di loro, ma è necessario — tra le altre condizioni — che risulti accertato l'effettivo, pregresso rapporto di soggezione in cui uno dei fondi sia stato posto nei confronti dell'altro, si da trarne utilità e da riprodurre, in via di fatto, il rapporto corrispondente al contenuto di una servitù. Al silenzio dell'atto sulla sorte del rapporto di servizio è attribuito lo specifico significato di mantenere ferma la situazione di fatto a condizione che un tale rapporto tra i fondi sussista e risulti provato.

Cass. civ. n. 196/1995

La costituzione del diritto di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia non si verifica quando la separazione di due fondi sia operata da chi è proprietario esclusivo di uno solo di essi e comproprietario dell'altro tondo, mancando in tale ipotesi il requisito di appartenenza di entrambi i fondi al medesimo proprietario.

Cass. civ. n. 124/1995

A norma dell'art. 1062 c.c. la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia è impedita dalla contraria manifestazione di volontà del proprietario dei due fondi che è utilmente posta in essere, oltre che nello stesso negozio con cui è attuato il frazionamento del fondo originario, anche in un atto anteriore, purché questo si trovi col negozio o col fatto di separazione in una relazione tale da far escludere che, successivamente alla disposizione stessa, l'iter formativo della fattispecie legale di cui all'art. 1062 c.c.; già interrotto, abbia potuto utilmente ricominciare ed essere portato a compimento. L'accertamento di tale volontà preclusiva della servitù è riservato al giudice di merito ed è, perciò, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivato.

Cass. civ. n. 11207/1993

In tema di costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, la disposizione del comma secondo dell'art. 1062 c.c., nel richiedere l'assenza di una disposizione relativa alla servitù all'atto della separazione dei fondi appartenenti allo stesso proprietario non va intesa nel senso restrittivo che una qualsiasi clausola relativa alla servitù sia sufficiente a rendere inoperante la sua costituzione per destinazione del padre di famiglia, ma nel senso di una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che in forza di legge determina il sorgere della corrispondente servitù, convertendo la situazione di fatto in una situazione di diritto.

Cass. civ. n. 10165/1993

Il presupposto della obiettiva situazione di asservimento di un fondo, richiesto dall'art. 1062 c.c. per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la ricostruzione dei luoghi esistenti nel momento in cui, per effetto della alienazione di uno o di entrambi, i due fondi hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario.

Cass. civ. n. 5714/1991

Ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia non è necessario che il proprietario abbia posseduto direttamente i due fondi, né che la loro condizione per cui sorge il peso per uno di essi e il vantaggio per l'altro sia stata posta in essere dallo stesso proprietario, occorrendo solo che il terzo abbia posseduto per lui, che le opere non gli siano state ignote, e che egli non si sia opposto alla loro esecuzione.

Cass. civ. n. 7655/1990

In tema di costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, il requisito della esistenza di opere visibili e permanenti va verificato con riferimento al momento della separazione dei fondi, non rilevando le modificazioni successive incidenti negativamente su tale situazione di fatto ai fini dell'acquisto del diritto o della sua opponibilità a chi sia subentrato nella proprietà del fondo servente.

Cass. civ. n. 7068/1988

La costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha luogo anche se la relazione di asservimento esista tra due porzioni dello stesso immobile — e non soltanto tra due fondi — allorché queste cessino di appartenere allo stesso proprietario, sempre che venga accertata la sussistenza di elementi che denotino l'esistenza, al momento della separazione delle porzioni del fondo, di «uno stato di fatto» — posto in essere dall'unico proprietario — di asservimento dell'una rispetto all'altra, e cioè l'esistenza di opere visibili e permanenti, destinate all'esercizio della servitù su una porzione del fondo ed a vantaggio dell'altra successivamente separata dalla prima.

Cass. civ. n. 1853/1986

In tema di costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, la locuzione «stesso proprietario che abbia posseduto i fondi attualmente divisi», contenuta nell'art. 1062 c.c., va riferita tanto all'ipotesi di proprietario singolo quanto a quella di più proprietari in comunione fra loro, dato che, sia nell'uno che nell'altro caso, si configura l'estremo essenziale dell'unicità del diritto dominicale sui fondi collegati dal rapporto di fatto di subordinazione che dà poi luogo con la separazione giuridica dei fondi stessi, alla costituzione della servitù.

Cass. civ. n. 4515/1985

La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'art. 1062 c.c., ha quale fondamentale condizione che l'unico proprietario dei due fondi, poi divisi, abbia lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù e, pertanto, non può configurarsi allorquando l'attuale situazione di fatto sia difforme da quella lasciata da detto proprietario, per la diversità dell'utilitas conseguente alla diversa funzione del manufatto (nella specie, fosso per la raccolta di acque luride e rifiuti organici), che, originariamente destinato a servire un fondo rustico e ad agevolare la cura e l'allevamento del bestiame, sia stato successivamente adibito al soddisfacimento di esigenze abitative del fondo divenuto urbano.

Cass. civ. n. 3509/1981

Per aversi la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia occorre: a) che i due fondi appartenenti ad unico proprietario siano stati posti in una situazione di obiettiva subordinazione o assoggettamento integrante il contenuto di una servitù prediale; b) che tale situazione perduri al momento dell'alienazione del fondo posto in condizione di subordinazione; c) che la servitù risulti in modo non equivoco da segni ed opere idonei a dimostrarlo. L'accertamento di quest'ultimo requisito va effettuato attraverso la ricostruzione storica della situazione dei luoghi al momento dell'alienazione ove tale situazione sia stata successivamente mutata dagli acquirenti.

Cass. civ. n. 4956/1978

La disposizione con la quale si provveda a dichiarare l'inesistenza di qualsiasi servitù tra due fondi nel momento in cui essi cessano di appartenere al medesimo proprietario, onde escluderne la costituzione per destinazione del padre di famiglia, può provenire solo dal proprietario, che sia anche possessorie del fondi al momento della loro separazione, ovvero dal soggetto che lo abbia surrogato, anche per legge, nella pienezza della sua situazione soggettiva; tale non può ritenersi il giudice dell'esecuzione forzata, il quale non ha il potere di alterare la situazione dei beni sottoposti ad esecuzione, costituendo o escludendo servitù sugli immobili stessi. La disposizione contraria alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia nel momento in cui i due fondi cessano di essere posseduti dal medesimo proprietario è una manifestazione di volontà, rivolta alla modificazione della pratica in atto e sorretta, perciò, dalla consapevolezza della precedente situazione dei luoghi. Tale intento non può essere perciò ravvisato in un atto avente contenuto meramente ricognitivo, il quale sia destinato ad assumere rilevanza ed efficacia dopo la separazione dei due fondi. (Nella specie tale atto era stato ravvisato nel bando di vendita emesso dal giudice dell'esecuzione forzata, il quale, nel disporre che i due fondi fossero venduti separatamente, aveva qualificato uno di essi come «intercluso», limitandosi a dare atto che, dopo la separazione dei fondi, non esisteva alcuna servitù di passaggio a favore di detto fondo e a carico dell'altro).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1062 Codice Civile

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G. D. L. chiede
giovedì 15/08/2024
“Gentili avvocati,

Siamo alla ricerca di un parere legale in merito all’utilizzo di una sorgiva presente all’interno del nostro terreno.

Nello specifico, tale sorgente da sempre presente, serviva tutto il terreno di proprietà di mia nonna. Nella divisione che i figli hanno effettuato precedentemente alla sua morte, tale sorgente è ricaduta nella parte andata in a mio padre, e alla sua morte a me e mia sorella.

L’acqua della sorgiva viene utilizzata anche dai miei zii per utilizzi privati, attraverso un motore collegato ad una linea elettrica intestata ancora a mio padre. Di fatto a disposizione di tutti.

Il parere che ricerchiamo è in merito all’utilizzo di tale sorgiva, se per legge è fruibile da tutti i fratelli/zii che hanno ricevuto i terreni che originariamente facevano parte della proprietà di mia nonna, oppure, come ci auspicheremmo, ricadendo nel nostro terreno, la sorgiva è di fatto a nostro specifico utilizzo trovandosi nel nostro terreno.”
Consulenza legale i 20/08/2024
In materia di acque si distinguono tradizionalmente tre diversi tipi di servitù, e precisamente:
  1. la servitù di acquedotto: consiste nel diritto di condurre al proprio immobile l’acqua necessaria ai bisogni della vita per usi agrari o industriali, facendola passare attraverso il fondo servente per mezzo di stabili condutture. È una servitù “continua” (esercitata in modo continuato) ed “apparente” (per la presenza di stabili opere di conduzione dell’acqua), che proprio per queste caratteristiche può essere acquistata anche per usucapione e per destinazione del padre di famiglia.
Accanto al diritto di far passare l’acqua, il proprietario del fondo dominante gode anche di tutte quelle facoltà strettamente necessarie all’esercizio della servitù, come quella di passare sul fondo per compiere le ispezioni, eseguire gli spurghi e tutte le manutenzioni ordinarie e straordinarie.

  1. la servitù di attingere acqua: consiste invece nella facoltà del proprietario del fondo dominante di attingere l’acqua da un pozzo (o una fonte o sorgente) esistente sul fondo servente. La servitù di attingimento si esercita con il prelevamento presso il pozzo o la fonte, senza bisogno di canalizzazioni.

  1. la servitù di presa d’acqua: svolge la stessa funzione della precedente (estrarre acqua dalla sorgente situata nel fondo servente), ma attraverso delle opere stabili di derivazione dell’acqua (come canali o tubature). Anche la servitù di presa d’acqua è una servitù “continua” (perchè non viene esercitata occasionalmente come quella di attingimento) ed “apparente” (perchè richiede la presenza di opere stabili di canalizzazione), e a differenza della servitù di attingimento, può essere acquistata per usucapione e per destinazione del padre di famiglia.

Ebbene, la fattispecie descritta nel caso in esame si ritiene che debba farsi senza alcun dubbio rientrare nella terza tipologia di servitù, ovvero la servitù di presa d’acqua, considerato che, come detto nel quesito, vi è un motore e, si presume, dei canali o tubature che servono a condurre l’acqua dalla sorgente ai terreni adesso di proprietà degli zii.

Per quanto concerne il dubbio circa l’attuale esistenza di tale servitù e, conseguentemente, la legittimazione al suo esercizio da parte di coloro che vantano il diritto di presa d’acqua, va detto che trattasi di un diritto attualmente esistente e che non può dirsi venuto meno a seguito della divisione dell’unico fondo sul quale insisteva la sorgente.
Come si è sopra accennato, infatti, la servitù di presa d’acqua, in considerazione della presenza di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, ammette la costituzione per usucapione o destinazione del padre di famiglia ed è proprio per destinazione del padre di famiglia che in questo caso la stessa deve intendersi costituita.
Per comprendere bene le modalità con cui opera questo particolare modo di acquisto della servitù occorre tenere presente che se il proprietario di un fondo costruisce sul suo bene opere permanenti (come strade, acquedotti, ponti, ecc.) per effetto delle quali una parte del fondo risulta asservita ad un’altra parte del medesimo fondo, non può sorgere alcuna servitù, per il principio espresso dal brocardo latino nemini res sua servit (ovvero non si può costituire servitù sulla cosa propria).

Tuttavia, se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario (come accade nel caso di divisione, anche ereditaria, o di vendita parziaria), il legislatore ha ritenuto opportuno (sempre che sussistano i requisiti per l’apparenza di una situazione analoga a quella che darebbe luogo ad una servitù e sempre che nulla in contrario venga stabilito nell’atto da cui origina la separazione dell’unico fondo originario in due o più parti) che quello stato di fatto che consentiva ad una parte del fondo di trarre utilità e vantaggi dall’altra parte del fondo, possa legittimamente continuare.

A tal fine l’art. 1062 c.c. prevede appunto che si costituisca ex lege, attivamente a favore di uno dei due fondi e passivamente a carico dell’altro, una servitù corrispondente allo stato di fatto preesistente, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà in tal senso, a condizione soltanto che nell’atto che provoca la divisione dei fondi non sia inserita una dichiarazione contraria, che escluderebbe la nascita della servitù.
In tal senso può richiamarsi Cass. 1 marzo 2018 n. 4872 e, più di recente, Cass. 30.09.2020 n. 20824, nel corpo della quale si legge quanto segue:
“…La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, richiede, notoriamente, che i fondi dominante e servente siano originariamente in proprietà di un unico titolare e che questi abbia creato, prima della divisione o della vendita, una relazione oggettiva di asservimento, lasciando poi immutato lo stato di fatto. Il diritto sorge - in tal caso - allorquando i fondi cessano di appartenere ad un unico proprietario, se questi nulla abbia disposto relativamente alla servitù.
Tale contraria manifestazione di volontà può rinvenirsi sia in una clausola (della divisione od ella vendita) che escluda espressamente il sorgere del diritto, sia in qualsiasi altra pattuizione il cui contenuto risulti incompatibile con la volontà di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto (cfr. Cass. 4872/2018; Cass. 13534/2011; Cass. 6520/2008).
La sussistenza di un'eventuale disposizione incompatibile è rimessa all'accertamento del giudice di merito ed insindacabile in cassazione, se correttamente motivata…

In conclusione, in assenza di alcuna contraria manifestazione di volontà inserita nell’atto di divisione, la situazione di fatto esistente ha comportato la costituzione di una servitù di presa d’acqua, sussistendo opere visibili e permanenti destinate all’esercizio di tale servitù.


G. D. L. chiede
giovedì 13/06/2024
“Buonasera stiamo procedendo alla vendita di un immobile ereditato da mio suocero, con comproprietari mia moglie, mia cognata e mia suocera. Abbiamo già provveduto alla stipula del compromesso e gli acquirenti hanno avviato la procedura per la richiesta del mutuo. Il perito della banca in fase di chiusura della perizia pretende che sia rilasciata dagli attuali proprietari una dichiarazione di diritto di passaggio, in quanto per accedere alla nostra proprietà si attraversa per circa 80 metri una particella.
Andando a leggere l atto di acquisto del terreno dove è stato poi costruito l immobile ( 29 giugno 1978) fra le altre cose viene scritto:
Per la fatta vendita, il venditore trasferisce ai compratori ogni diritto di proprietà e di godimento loro spettante sull’ immobile venduto, unitamente agli accessori, alle dipendenze ed alle pertinenze e con tutte le servitù attive e passive inerenti.
Premetto che chi ha venduto il terreno è lo stesso proprietario della particella dove sussiste il passaggio.
A disposizione per l invio di ulteriori documenti”
Consulenza legale i 19/06/2024
Non sembra sussistere nel caso di specie alcun impedimento giuridico a rendere la dichiarazione richiesta dal perito.
In genere l’istituto di credito, prima di prestare il denaro, non si limita a pretendere delle garanzie dal ricevente in merito alla restituzione e alla sua reale capacità di provvedere a saldare il debito nei tempi e nelle modalità previste nel contratto, ma effettua anche un’analisi di compatibilità tra importo del mutuo richiesto e valore effettivo dell’immobile.
Quest’ultima analisi viene compiuta attraverso una vera e propria perizia dell’immobile, affidata a tecnici di propria fiducia, perizia che ha come principale fine quello di stabilire se l’importo richiesto dal mutuatario è realmente corrispondente a quello individuato dal perito di fiducia della banca; solo in caso di conformità la domanda di mutuo verrà accettata dalla banca.

Ora, sembra evidente che, in caso di fondo intercluso, il proprietario del fondo abbia tutto il diritto di attraversare per la via più breve il fondo o i fondi altrui per raggiungere la pubblica via, il che potrebbe indurre a ritenere superflua la dichiarazione richiesta dal perito.
Tuttavia, proprio nell’ottica di determinare il valore dell’immobile e la congruità di tale valore con la somma richiesta in prestito, non può non avere influenza la presenza o meno di una servitù di passaggio ben definita e regolarmente costituita, tenuto conto che di eventuali contestazioni in ordine all’esistenza di quella servitù dovrebbe farsi carico proprio la banca mutuante nel caso in cui il mutuo dovesse andare in sofferenza, con conseguente necessità di instaurare una procedura esecutiva per il soddisfacimento coattivo del credito.

Ebbene, tralasciando ciò che risulta riportato nell’atto, ove non vi è alcun riferimento preciso alla servitù in relazione alla quale il perito della Banca chiede di rendere la dichiarazione (la clausola riportata nell’atto di compravendita viene in genere qualificata come mera clausola di stile), ciò che conta e che, come accennato all’inizio, legittima il venditore ed attuale proprietario a rendere una siffatta dichiarazione, è lo stato dei luoghi.
Particolare importanza riveste ciò che viene riferito nell’ultima parte del quesito, ove è detto “Premetto che chi ha venduto il terreno è lo stesso proprietario della particella dove sussiste il passaggio”.
Tale circostanza consente di poter considerare come sussistente, a carico del fondo rimasto di proprietà dell’originario venditore ed in favore della porzione di fondo alienata, una servitù costituitasi per destinazione del padre di famiglia.

Uno dei principi fondamentali in materia di servitù è quello espresso nel brocardo “nemini res sua servit”: la servitù presuppone che i fondi appartengano a proprietari diversi, il che comporta che nessuna servitù può sussistere fin quando un solo soggetto sia titolare sia del fondo servente che di quello dominante (cfr. Cass. 28.04.2011 n. 9464).
La legge, tuttavia, ed in particolare l’art. 1062 c.c., prevede che, in caso di servitù c.d. apparenti, la loro costituzione possa avvenire per destinazione del padre di famiglia, il che comporta che se il proprietario di un fondo realizza sul suo bene opere permanenti (è tale una stradella di passaggio), per effetto delle quali una parte del fondo risulta asservita ad un’altra parte del medesimo fondo, nel momento in cui quel fondo cessa di appartenere al medesimo proprietario (ad esempio per divisione, vendita parziale, ecc.), se nulla in contrario viene stabilito nell’atto da cui origina la separazione in due parti del fondo, quello stato di fatto che consentiva ad una parte del fondo di trarre utilità e vantaggi dall’altra parte del fondo, potrà continuare legittimamente a sussistere.

Proprio in tale momento il codice prevede la costituzione ex lege, attivamente a favore di uno dei due fondi e passivamente a carico dell’altro, di una servitù corrispondente al preesistente stato di fatto, senza che occorra a tal fine alcuna manifestazione di volontà negoziale, ma essendo soltanto sufficiente che nell’atto che determina la divisione dei due fondi non sia inserita alcuna dichiarazione contraria volta ad escludere la nascita di quella servitù (cfr. Cass. n 4872/2018; n. 12113/2018; n. 3219/2014).

Nessun dubbio, peraltro, sembra sussistere nel caso in esame circa l’apparenza di quella servitù, dovendosi qualificare come tali quelle al cui esercizio sono destinate opere, anche formatesi naturalmente (ad esempio un sentiero) visibili e permanenti, obiettivamente finalizzate all’esercizio della servitù, tali cioè da appalesare in modo non equivoco l’esistenza di un peso gravante sul fondo servente (così Cass. n. 25355/2017 e 14292/2017).

Quanto fin qui detto, dunque, consente di poter rendere quella dichiarazione richiesta dal perito della banca, dichiarazione nella quale, piuttosto che richiamare la clausola inserita nell’originario atto di compravendita (clausola che si è definita di mero stile), sarà opportuno fare riferimento ad uno stato dei luoghi preesistente al momento della prima vendita e mai mutato da quella data.


M. P. chiede
lunedì 22/01/2024
“Salve, chiedo se la servitù art 1062 è valida anche se i 2 lotti adiacenti non sono esattamente dello stesso proprietario , ma il fondo dominante era mio come persona fisica, mentre il fondo servente era della mia srl di cui io ero l'amministratore unico, e il gestore che ha eseguito i 2 nuovi accessi autorizzati dal comune sul fondo servente, oltre all'accesso storico su altra via. Ora succede che il fondo servente va in asta ed io vorrei mantenere le 2 servitù di accesso in base art 1062, sono passati 19 anni dai lavori stradali, ed io ero l'unico titolare per i 2 fondi. Poi chiedo se il fondo servente, può anch esso utilizzare la mia servitù o meno, precisando che per giungere al fondo servente bisogna attraversare altri mappali di altre ditte, di cui il fondo servente non ha autorizzazione, ma solo quello dominante, sono trascorsi 19 anni. Il fondo servente può chiudere miei passaggi, oppure chiedo se la servitù può essersi formata "per fatti concludenti" cioè per come io ho eseguito i 2 accessi in piena titolarità sui 2 lotti adiacenti. grazie e resto in attesa”
Consulenza legale i 29/01/2024
L’art. 1031 c.c. dispone che le servitù prediali, oltre a poter essere costituite coattivamente o volontariamente, possono anche costituirsi per usucapione (ventennale) o per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.).
Queste ultime due modalità di costituzione valgono solo per le c.d. servitù apparenti, definendosi tali quelle al cui esercizio sono destinate opere (anche formatesi naturalmente, quale può essere un sentiero creatosi per effetto del calpestio) visibili e permanenti (non importa se insistenti sul fondo servente o su quello dominante o perfino sul fondo di terzi), obiettivamente finalizzate all’esercizio della servitù.
La necessità della presenza dei suddetti caratteri trova giustificazione nella circostanza che la legge vuole evitare che la servitù possa sorgere in base a manifestazioni non chiare od equivoche, le quali, non incidendo sensibilmente sulla sfera altrui, possono anche essere tollerate a titolo precario, per ragioni di buon vicinato.

Per quanto concerne, in particolare, la destinazione del padre di famiglia, va detto che si tratta di un peculiare modo di acquisto a titolo originario delle servitù prediali, il quale può aver luogo soltanto al ricorrere delle precise condizioni fissate dall’art. 1062 c.c.
Elemento essenziale di tale fattispecie è quello risultante dall’espressione “…due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario…”.
Secondo un orientamento dominante, si ritiene che il legislatore con tale espressione abbia voluto indicare due requisiti distinti, entrambi essenziali, ovvero:
  1. quello dell’appartenenza dei fondi ad un’unica persona;
  2. quello del possesso in senso tecnico degli stessi.

In ordine a questo secondo requisito, nessun dubbio sussiste circa la possibilità che il possesso possa essere esercitato anche per mezzo di altri, in quanto ciò che conta è che il proprietario non ignori la presenza delle opere, dalle quali risulterà in seguito la servitù, o non si opponga alla loro esecuzione.
Anche la giurisprudenza aderisce alla tesi secondo cui non è necessario il possesso diretto dei due fondi da parte del proprietario, essendo sufficiente, ai fini della costituzione della servitù per destinazione, che un terzo (anche il semplice detentore) li abbia posseduti per lui (cfr. Cass. civ. sez. II, 07/03/2001 n. 3314; Cass. civ. Sez. II, 21/05/1991 n. 5714).

Altro elemento essenziale per il configurarsi della fattispecie della destinazione del padre di famiglia è la c.d. relazione oggettiva di subordinazione: la destinazione di un fondo a servizio dell’altro deve avere carattere fondiario e duraturo e non deve risolversi in un vantaggio meramente transitorio e personale per l’unico proprietario.
Per tale ragione si afferma che non potrà essere sufficiente il semplice intento di destinare un fondo a servizio di un altro, ma occorre che questo sia tradotto in un’opera visibile e permanente, preesistente rispetto alla divisione del fondo, che per la sua struttura e consistenza denunci inequivocabilmente il peso imposto su un fondo a favore dell’altro.

Analizzati per sommi capi quelli che sono i presupposti necessari per la costituzione di una servitù ex art. 1062 c.c., si tratta adesso di vedere in concreto se ad essa si può ricorrere nel caso di specie.
Ebbene, la risposta non può che essere negativa.
Malgrado ricorrano i requisiti della apparenza, della visibilità delle opere ed una relazione oggettiva di subordinazione, difetta in questo caso un presupposto imprescindibile per il suo configurarsi, ovvero l’unicità dei fondi e l’appartenenza ad un unico proprietario.
I due lotti di terreno oggetto di futura asta, infatti, non soltanto costituiscono particelle a sé stanti (dovendo necessariamente avere, si suppone, una loro autonomia catastale), ma risultano anche intestati a soggetto giuridico diverso dal proprietario del fondo dominante (ovvero la società).
Nessuna rilevanza può assumere la circostanza che vi sia coincidenza tra il proprietario del fondo dominante e colui che materialmente ha realizzato le opere di asservimento per avere il materiale possesso del fondo servente, in quanto, come si è evidenziato nella parte introduttiva di questa consulenza, il legislatore all’art. 1062 c.c. richiede la sussistenza di due requisiti distinti, quello del possesso in senso tecnico degli stessi (qui presente) e quello della loro appartenenza ad un’unica persona (qui assente).

Pertanto, anche se per giurisprudenza costante la servitù per destinazione del padre di famiglia può costituirsi quando la divisione del fondo venga disposta dal giudice dell’esecuzione in sede di vendita forzata del terreno, in questo caso il giudice non sarà neppure chiamato ad occuparsi della divisione (essendo i lotti messi all’asta già intestati a soggetto giuridico diverso, la società).
Ciò lascia supporre che, allorchè dovesse essere invocato il riconoscimento dell’esistenza di tale servitù, il giudice avrebbe tutto il diritto di manifestare una volontà contraria, disponendo l’ordine di rimozione di quelle opere apparenti che sarebbero state manifestazione della suddetta servitù (si veda in tal senso Cass. civ. Sez. II, 06/06/2018 n. 14481).

Infine, poiché nel quesito si dice chiaramente che i lavori per la realizzazione di tale servitù risalgono a 19 anni fa, non si è ancora maturato il tempo per invocarne l’usucapione.


L. S. chiede
sabato 20/08/2022 - Piemonte
“La mia proprietà è gravata da servitù di passaggio carrabile e pedonale a favore del mio vicino di casa. Trattasi di una villa in origine unica proprietà che in seguito è stata frazionata in tre unità.
Il mio vicino possiede un appezzamento di terreno (per 3/4 e più, in forte pendenza e agricolo) praticamente all'interno della mia proprietà, intercluso. A causa di questa servitù in passato sono nate liti sfociate un azioni legali per via dell'uso che il precedente proprietario, ci parcheggiata l'auto, questo uso però arrecava non pochi problemi ai proprietari del fondo servente (oggi ne sono io il proprietario) che da questa pratica essendo la servitù una strada in pietra di losa larga 2,70 in media, impediva il parcheggio delle loro vetture. Tutto questo accadeva fino al 2008 anno della lite legale, dopodiché avendo altri appezzamenti di terreno dalla parte opposta decidono di realizzare una nuova strada di accesso con area parcheggio dinnanzi alla loro abitazione.
Il problema è questo...a distanza di 12 anni la proprietà e cambiata e il nuovo proprietario ha deciso di utilizzare per mera comodità un ulteriore parcheggio sul terreno prima menzionato (praticamente si sta ripetendo una situazione come quella già descritta e vissuta. Ora se Io devo lasciare libertà di transito per accedere al terreno sopra descritto non saprei proprio dove mettere le macchine di proprietà mia se non spostarle quando il mio vicino decidesse di sostare o andare via.
Cosa potrei fare? Ripeto la situazione non è più la stessa di quando la servitù è stata determinata in atto.”
Consulenza legale i 01/09/2022
La servitù che grava sul fondo di colui che pone il quesito si inquadra a tutti gli effetti nella categoria delle servitù coattive, ed in particolare delle servitù costituite per c.d. destinazione del padre di famiglia.
Secondo quanto disposto dall’art. 1062 c.c., ricorre tale forma di costituzione della servitù quando due o più fondi, attualmente divisi, risultano essere appartenuti ad un unico proprietario, il quale ha posto o lasciato le cose nello stato in cui si trovano dopo la divisione (nel quesito si fa riferimento ad “una villa in origine unica proprietà che in seguito è stata frazionata in tre unità”).

Trattandosi di servitù coattiva, per il venir meno della stessa e, dunque, per la sua estinzione valgono le regole che il codice civile detta agli artt. 1072 e ss.
In particolare, a parte l’ipotesi della estinzione per confusione (che nel caso di specie non ricorre), altri casi tipici di estinzione della servitù possono essere la prescrizione (art. 1073 del c.c.) e la successiva mancanza di uso e di utilità della stessa (art. 1074 del c.c.).
Non determina estinzione della servitù neppure un esercizio limitato della stessa, nel qual caso il diritto d servitù si conserva per intero, secondo quanto espressamente statuito dall’art. 1075 del c.c..

Ora, nel caso in esame si dice che l’originaria servitù di passaggio pedonale e carraio non viene esercitata dal 2010, data in cui il precedente proprietario aveva realizzato un’altra stradella a servizio del suo fondo intercluso.
La circostanza che adesso, a distanza di dodici anni, il nuovo proprietario ha deciso di avvalersi nuovamente di quella servitù di cui risulta gravato il proprio fondo, comporta che non si è potuto maturare quel termine ventennale, prescritto dall’art. 1073 c.c., trascorso il quale la servitù può essere dichiarata estinta.
Lo stesso discorso vale per l’asserito venir meno della sua utilità in conseguenza della realizzazione nell’anno 2010 della nuova stradella, in quanto l’art. 1074 c.c., dispone espressamente che il configurarsi di tale presupposto non è da solo sufficiente per far dichiarare l’estinzione di una servitù, necessitando di un ulteriore elemento, ossia il decorso del termine ventennale di prescrizione di cui all’art. 1073 c.c.

A quest’ultimo proposito è stato evidenziato che tanto in presenza di un'impossibilità di fatto di godere di una servitù prediale, quanto nell'ipotesi di sopravvenuto venir meno dell'utilitas che ne costituisce il contenuto, si determina un mero stato di quiescenza del diritto, che perdura sino a quando non maturi il termine di prescrizione estintiva previsto in tema di iura in re aliena.
Da ciò se ne è fatto conseguire che il titolare del fondo dominante conserva un'attuale legittimazione ad agire per la tutela del suo diritto, almeno fino a quando non risulti giudizialmente accertata l'intervenuta prescrizione del diritto vantato (così Cass. n. 1854/2006; Cass..n.10018/1997; Cass. n. 7220/1997; Cass. n. 128/1995).

Inoltre, secondo quanto statuito sempre dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 13263/2009 e Cass. n. 5396/1985), il principio previsto dall’art. 1074 c.c. si applica qualunque sia la causa dell'impossibilità di esercizio della servitù, e cioè anche se tale causa si identifichi in fatti imputabili al proprietario del fondo servente od a quello del fondo dominante.

Pertanto, in forza dei dettami normativi a cui fin qui si è fatto riferimento e dei principi giurisprudenziali sopra citati, si ritiene che ogni pretesa del proprietario del fondo servente di impedire ai nuovi proprietari del fondo dominante di esercitare la servitù originaria debba considerarsi illegittimo e privo di fondamento giuridico.

G. R. chiede
lunedì 07/03/2022 - Lombardia
“La richiesta è comprendere se una tubazione dell'acqua o una tubazione che porta un cavo elettrico da un'abitazione ad un box, precedentemente di unico proprietario, poi di due proprietari distinti, è un caso di servitù per destinazione del padre di famiglia.
Riporto a seguire alcuni elementi descrittivi.
Abitazione e Box distano tra loro un centinaio di metri, circa 80 nel terreno del proprietario dell'abitazione e 20 nel terreno del proprietario del box.
Antecedentemente al frazionamento e vendita del box, dall'abitazione partiva un tubo che portava acqua al box ed un tubo che portava energia elettrica al box. Entrambi questi tubi sono rimasti invariati. Dopo alcuni anni il proprietario dell'abitazione ha ceduto l'abitazione ed il nuovo proprietario, durante una verifica con il propio elettricista ha riscontrato che l'acqua che proveniva da casa propria e quindi allacciata al proprio contatore andava attraverso una tubazione anche oltre la propria proprietà ed in egual modo anche un cavo elettrico. Il nuovo proprietario pertanto ha interrotto quello che considerava un diritto di utilizzo che il vecchio proprietario forse poteva aver concesso al proprietario del box chiudendo con un rubinetto il flusso di acqua e tagliando il cavo della propria energia elettrica.
Ad oggi il proprietario del box chiede che venga ripristinata la servitù per destinazione del padre di famiglia.
Il proprietario dell'abitazione, oltre a considerare di non aver interrotto alcuna servitù, in quanto ha interrotto solamente il fatto che il proprietario del box usufruisse senza alcuna connessione o contratto di acqua ed energia elettrica pagate dal proprietario dell'abitazione, non è certo che un cavo elettrico interrato e non di proprietà del proprietario del box possa essere a tutti gli effetti una servitù per destinazione del padre di famiglia.
Il proprietario dell'abitazione non comprende come chi prima gli rubava energia elettrica ed acqua abbia oggi il diritto di ottenere una servitù di acqua e cavo elettrico. Inoltre non comprende come possa essere eventualmente concessa la servitù, se riscontrata come corretta, poiché non vi è un tubo separato che dal box porta queste utenze verso un differente contatore, ma il tubo porta direttamente all'abitazione e da questa poi al contatore del proprietario dell'abitazione. Se veramente dovesse lasciare questo diritto di servitù dovrebbe quindi aggiungere un cavo o tubo per poi far chiedere al proprietario del box l'apertura di un nuovo contatore? Se si chi dovrebbe decidere dove far passare il nuovo tubo? E chi dovrebbe pagare?”
Consulenza legale i 14/03/2022
La servitù viene definita come quel “peso” imposto ad un fondo (chiamato fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (denominato fondo dominante).
La servitù, quindi, in quanto diritto reale, “serve la cosa”, e non il proprietario del bene, che può di volta in volta cambiare, rimanendo immutato il diritto di servitù gravante sul fondo.
Le servitù servono proprio a questo: a garantire una migliore usabilità del fondo, o anche una sua maggiore “amenità”.
L’art. 1062 del c.c. disciplina nello specifico l’ipotesi, che sembra interessare il nostro caso, della servitù costituita per “destinazione del padre di famiglia”. Tale figura sussiste allorquando “consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù”.

In merito alla casistica riguardante le servitù costituite per destinazione del padre di famiglia, c’è parecchia giurisprudenza.
La Corte di Cassazione, seconda sez. civ. n. 3806 del 18/4/2014, ha precisato i requisiti in merito alla corretta definizione della servitù costituita per destinazione del padre di famiglia sancendo, in particolare, che ai fini della configurazione di tale modalità di acquisto del diritto reale occorre “la sua apparenza e cioè l’esistenza di segni visibili rivelatori dell’esistenza della servitù”.
Con riferimento allo specifico caso delle servitù riguardanti i tubi che trasportano acqua o elettricità, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14292 del 2017 ha affermato che, in ogni caso, i tubi interrati vanno considerati come servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, a patto che ci siano, appunto, dei segni visibili della loro esistenza.
Più nello specifico, in tale occasione, i giudici hanno sostenuto che “la tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che funge da fondo servente costituisca senz'altro un'opera oggettivamente visibile (sia pur occasionalmente: come, in effetti, il ricorrente ha confermato ammettendo di aver accertato l'esistenza della tubatura in occasione di lavori svolti nel suo appartamento), anche solo in parte, dal proprietario dello stesso, che, di fatto, inequivocabilmente (come, appunto, è il caso di una tubazione che trasporta acqua), rivela, per struttura e consistenza, l'onere che grava sull'appartamento servente a vantaggio dell'altro”.

A prescindere dall’esatta qualificazione della stessa, che comunque si ritiene correttamente configurabile come servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, nel caso che occupa, si rileva come la servitù sussistesse fin da quando i fondi appartenevano al medesimo proprietario, e il diritto di “costituirla” non è quindi nato adesso nei confronti del proprietario del box.

Premesso che quindi la servitù sussiste ed è legittimo che continui ad esistere tra i due fondi appartenenti oggi a distinti proprietari, è naturalmente corretto diversificare il pagamento delle utenze elettriche e di acqua dell’abitazione e del box, o attraverso l’installazione di un contatore diversificato per abitazione e box, oppure tramite il montaggio di un nuovo tubo.
Tuttavia, queste sono valutazioni di carattere prettamente tecnico, che esulano dall’analisi giuridica della fattispecie. Sarà compito del tecnico specializzato, in altre parole, valutare quale sia l’intervento più opportuno nel caso di specie.

Per quanto attiene, infine, all’interrogativo su chi debba concretamente sobbarcarsi le spese richieste per tali interventi tecnici di manutenzione, è bene considerare che, se non diversamente stabilito, l’art. 1069 del c.c. prevede che il proprietario del fondo dominante (nel nostro caso, il fondo dove insiste il box) dovrà “fare le opere a sue spese”. Tuttavia, e ciò dipenderà dal tipo di intervento tecnico che verrà nello specifico effettuato, se “le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi”.
Per meglio esemplificare, è intuibile il fatto che se nel diversificare l'approvvigionamento di luce e acqua si dovesse intervenire, per esempio, installando un nuovo tubo, che andasse ad avvantaggiare anche il fondo del proprietario dell’immobile, allora a quel punto le spese di intervento andrebbero divise in proporzione tra i proprietari dell'immobile e del box.
In caso contrario, se l’intervento dovesse esclusivamente giovare al proprietario del box, sarà solamente lui a sobbarcarsi le spese di tale intervento.

G. T. chiede
venerdì 18/02/2022 - Sicilia
“Nel 1986 per successione sono diventato comproprietario di fabbricati e terreni. Successivamente nel 2012 giusto atto di divisione dei beni posseduti da entrambi gli eredi sono diventato proprietario fra le altre cose di un fabbricato di civile abitazione con annesso un piccolo fondo agricolo di mq 500 coltivato ad agrumeto. L'altro erede è diventato proprietario di un fabbricato di civile abitazione e un magazzino confinante con la mia proprietà. il magazzino dell'altro erede ha scarichi pluviali nel mio agrumeto ed inoltre esiste una tettoia abusiva che ha l'appoggio di una travatura sulla parete del mio fabbricato. Ciò premesso preciso che tutto è stato realizzato da mio padre che era unico proprietario e che nell'atto di divisione non sono state apportate particolarità e precisazioni. Visto che ci stiamo avvicinando ai 10 anni dalla data di stipula dell'atto di divisione chiedo, cortesemente, un vostro parere se posso diffidare a/m raccomandata l'altro erede affinche provveda a fare deviare gli scarichi pluviali solo sulla sua proprietà ed inoltre modificare l'appoggio della travatura della tettoia solo con pilastri sul suo fondo. Distinti saluti”
Consulenza legale i 24/02/2022
La situazione che qui viene descritta presenta tutti i caratteri tipici di quella che viene definita servitù per destinazione del padre di famiglia.
Si tratta di una fattispecie tipica di costituzione di servitù prevista dall’art. 1062 c.c., dalla cui lettura si evince che se due fondi, attualmente divisi, risultavano dapprima appartenere allo stesso proprietario, il quale ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù, senza nulla disporre in ordine alla stessa, questa deve intendersi stabilita attivamente e passivamente sopra ciascuno dei fondi separati.

Come può notarsi, tale particolare forma di costituzione non è dalla legge ricollegata ad alcuna manifestazione di volontà negoziale, ma avviene automaticamente ed ope legis, per il solo fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l’altro al momento della loro separazione ed in mancanza di una volontà contraria.
Anche in giurisprudenza è stato affermato che il requisito per l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia non è una manifestazione di volontà negoziale, ma la sua apparenza, ovvero l’esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti, necessari per l’acquisto della servitù e rilevatrici della sua esistenza (in tal ssnso Cass. n. 277/1997, Cass. 10309/1996, Cass. 5801/1992).

In particolare, la giurisprudenza indica quali presupposti specifici per aversi tale fattispecie acquisitiva, i seguenti:
a) che i due fondi, appartenuti in origine allo stesso proprietario, siano da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio, l'uno rispetto all'altro, atta ad integrare di fatto il contenuto di una servitù prediale;
b) che tale situazione persista o perduri nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario;
c) l'esistenza di opere visibili e permanenti evidenzianti, in termini inequivoci, la relazione di asservimento ( C. 14292/2017);
d) l'assenza di disposizioni relative alla servitù ( cfr. Cass. N. 3389/2009; Cass. N. 5699/2001; Cass. N. 3399/1999; Cass. N. 277/1997).
Non ha invece alcuna rilevanza il fatto che l'opera a cui si ricollega l’esistenza della servitù non fosse in regola con le prescrizioni di legge (così Cass. 1269/2013).

Ebbene, l’unico presupposto della cui sussistenza si potrebbe forse dubitare nel caso in esame è quello sub lettera c), relativo alla esistenza di opere visibili e permanenti, considerato che la costituzione per destinazione deve intendersi limitata alle sole servitù apparenti, come espressamente disposto dall’art. 1061 del c.c..
Tuttavia, sebbene il requisito dell'apparenza della servitù debba in linea generale configurarsi come presenza di opere permanenti e visibili destinate al suo esercizio, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che perché possa dirsi sussistente tale visibilità è sufficiente che le opere siano individuabili, anche se solo saltuariamente ed occasionalmente, da qualsivoglia punto d'osservazione, anche esterno al fondo servente, purché, per la loro struttura e consistenza, esse rendano manifesta la situazione di asservimento di tale fondo.
In particolare, nel caso preso in esame dalla S.C. con sentenza n. 14292/2017, la stessa ha ritenuto la natura apparente di una servitù di tubatura idrica collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che fungeva da fondo servente, in quanto visibile dal proprietario di quest'ultimo in occasione dello svolgimento di lavori edili.

Sembra evidente che nel caso che viene qui prospettato non possa dubitarsi della apparenza di entrambe le servitù, sia di quella relativa allo scolo delle acque piovane che di quella relativa all’appoggio di travi al muro dell’abitazione che, per effetto della divisione ereditaria, è divenuto di proprietà esclusiva di uno solo degli originari comproprietari.
Peraltro, la situazione che si è venuta a determinare e che costringe uno dei due proprietari a sopportare il peso di tali servitù trova espressa previsione nel codice civile, ed in particolare all’art. 884 del c.c. per ciò che concerne l’immissione della trave della tettoia ed all’art. 908 del c.c. per quanto concerne lo scarico delle acque piovane.

Con riferimento a ciò che viene disposto da quest’ultima norma, occorre precisare che, sebbene in essa sia previsto, così come al successivo art. 913 del c.c., che, salvo diverse ed espresse previsioni convenzionali, il fondo inferiore non può essere assoggettato allo scolo delle acque di qualsiasi genere, diverse da quelle che defluiscono dal fondo superiore secondo l'assetto naturale dei luoghi, lo stillicidio sia delle acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di attività umane, può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc (titolo che nel caso in esame è presente, ovvero la destinazione del padre di famiglia).

Da quanto fin qui detto, dunque, la conclusione che se ne può trarre è che non sussistono i presupposti per diffidare l’altro fratello come si avrebbe intenzione di fare, non potendo oltretutto assumere alcuna rilevanza il fatto che non siano ancora decorsi dieci anni dalla data dell’atto di divisione, poiché la costituzione della servitù deve farsi risalire a quando gli immobili sono stati divisi, senza che sia stata manifestata alcuna volontà contraria, idonea validamente a contrastare l'automatismo voluto dalla legge per la costituzione di una servitù per destinazione.

Unico strumento di cui ci si può avvalere per spingere in qualche modo il fratello a modificare la situazione dei luoghi, per come vorrebbe chi pone il quesito, è quello di prospettargli l’intenzione di voler denunciare l’abuso edilizio, al fine di ottenere un provvedimento di demolizione della tettoia (sempre che nel frattempo il proprietario della tettoia non si attivi per la sua sanatoria).
Si tenga presente che, qualora si dovesse fare ricorso a tale mezzo di convincimento, sarebbe sufficiente limitarsi ad una semplice segnalazione scritta al Comune, nella quale evidenziare la situazione di abuso edilizio.
L’esposto può essere presentato presso il comando locale della Polizia Municipale e l’amministrazione comunale ha l’obbligo di rispondere alla segnalazione del cittadino e/o avviare le verifiche entro 30 giorni dall’istanza, eventualmente disponendo l’ordine di demolizione.
Nessuna conseguenza vi sarebbe dal punto di vista penale, in quanto il reato si prescrive dopo quattro anni dalla ultimazione delle opere abusive.

D.C. chiede
giovedì 30/09/2021 - Toscana
“Buongiorno,
sono proprietaria di un appartamento derivante da un frazionamento dell'ultimo piano di un palazzo. Nel mio appartamento originariamente c'era un abbaino che probabilmente era l'unico accesso al tesso prima della ristrutturazione. Dico probabilmente perchè in realtà il palazzo è dotato di un lucernario non apribile nel vano scala condominiale. Quando ho acquistato l'appartamento inoltre l'abbaino era reso inaccessibile da un contro soffitto. Con la ristrutturazione e il frazionamento dell'unità immobiliare dell'ultimo piano sono stati creati 7 appartamenti, ognuno con il proprio lucernario che è stato aperto dal direttore dei lavori dichiarando che ognuno fosse un accesso al tetto con tanto di ganci per linea vita ma poi i 6 proprietari hanno installato delle velux elettriche non a norma per l'accesso al tetto mentre la mia velux è stata installata a norma per l'accesso al tetto a mia insaputa. Ecco le domande? il palazzo ha 4 piani, il primo di una società, il terreno, il secondo e il terzo di proprietà di una signora che ha poi frazionato il secondo e il terzo vendendoli e tenendo per sè il piano terreno. Se la servitù di accesso al tetto fosse stata creata per destinazione del padre di famiglia quando la signora ha alienato il primo piano dovrebbe essere stata trascritta in qualche nota dell'atto di cessione del primo piano (fondo dominante) o del mio appartamento nei confronti dei nuovi creati anni dopo col frazionamento del secondo e terzo piano? oppure con la creazione per destinazione del padre di famiglia la servitù non va trascritta nelle note degli atti di compravendita? Poichè nella scia del frazionamento sono stati aperti altri 6 lucernari per accesso al tetto questa può essere considerata una creazione di altre servitù in aggiunta alla mia? potrei allora io chiedere che l'accesso al tetto venga fatto a girare da ciascuno dei 7 lucernari? Originariamente sul tetto non c'era niente quindi si accedeva solo per controllo delle tegole, ora sono state messe delle macchine per condizionamento dell'aria quindi la servitù è divenuta molto più gravosa di quella originaria. Il mio accesso è da considerarsi l'unica servitù per tutto il condominio oppure posso oppormi al passaggio degli altri 6 dell'ultimo piano visto che ognuno ha un proprio accesso al tetto condominiale? Posso costringere il condominio ad aprire un accesso dal lucernario del vano scale condominiale visto che sarebbe più comodo per tutti i proprietari? concludo dicendo che il mio accesso non è del tutto a norma dal punto di vista delle norme sulla sicurezza perchè non può avere una scala fissa che invece il lucernario condominiale potrebbe avere. grazie”
Consulenza legale i 08/10/2021
La destinazione del padre di famiglia di cui all’art. 1062 del c.c. è un tipico modo di costituzione specifico delle servitù prediali che si realizza nel momento in cui si consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. L’ acquisto per destinazione del padre, quindi, si caratterizza per il fatto di realizzarsi mediante elementi costitutivi di fatto realizzati in epoca remota da chi era proprietario di entrambi i fondi coinvolti dalla successiva servitù, e come tale strutturalmente il suo momento costitutivo non può essere racchiuso in un negozio giuridico trascritto poi presso la Conservatoria competente.
Se sorgono quindi contrasti tra i proprietari dei vari fondi coinvolti circa la sussistenza di una servitù costituitasi ai sensi dell’art. 1062 del c.c., l’unica strada è quella di rivolgersi al giudice, il quale sarà appunto chiamato a constatare con ogni mezzo di prova che l’unico proprietario lasciò le cose nello stato dal quale risulta la servitù.

A dire il vero, nel caso specifico il problema principale non è capire se tra le unità immobiliari in condominio si sia costituita una servitù per destinazione del padre, essendo prima di tutto necessario capire se gli altri proprietari hanno il diritto di pretendere il passaggio dall’autrice del quesito per raggiungere il tetto: a parere di chi scrive la risposta deve essere negativa.

Se così fosse, infatti, saremmo di fronte ad una servitù di passaggio costituita coattivamente ai sensi degli artt. 1051 e 1052del c.c. Le servitù si definiscono coattive nel momento in cui esse vengano poste in essere non per il tramite del consenso dei proprietari coinvolti, ma per mezzo di una sentenza in contenzioso tra le parti.

Nel caso specifico, una servitù di passaggio può essere costituita coattivamente nel momento in cui nel palazzo non vi sia altra via per accedere al tetto che quella rappresentata dal lucernario di proprietà dell’autrice del quesito. Ma nella situazione descritta dal quesito emerge che vi sono diversi passaggi utilizzabili, i quali sono stati ostruiti solo per volontà degli altri condomini e non certo perché la situazione morfologica della costruzione rende impraticabili questi passaggi. Si pensi solo al passaggio tramite il lucernario in area condominiale che, si è sicuri, può tranquillamente essere ripristinato, se solo lo si volesse.


Samuele G. chiede
martedì 16/02/2021 - Lazio
“Buonasera,

Vi espongo una situazione spiacevole nella quale mi sono imbattuto dopo l'acquisto del mio appartamento.

Si tratta di un attico al terzo piano di una palazzina di sette unità immobiliari con pertinente terrazzo a livello di proprietà esclusiva (stesso subalterno dell'appartamento). Al terrazzo è possibile accedere sia dall'interno dell'appartamento che da una porta situata sul pianerottolo del vano scala. Premetto che la palazzina è stata di proprietà di un'unica persona fino al momento del suo decesso e successivamente divisa tra i figli che a loro volta hanno venduto tutti gli appartamenti.

Sul mio terrazzo insiste una scala in ferro di dimensioni importanti (abusiva in quanto non indicata nelle planimetrie del titolo in sanatoria) che porta sul lastrico di copertura dove sono situate le antenne. Quindi i condomini, avendo ognuno di essi la chiave della porta che da sul mio terrazzo, devono passare attraverso la mia proprietà per accedere tramite la scala abusiva al lastrico di copertura ed effettuare le attività di manutenzione. La scala in ferro è non a norma. Il lastrico superiore è protetto lungo il suo perimetro da una ringhiera che non rispetta i requisiti di sicurezza (altezza inferiore a 1 m e distanza tra le barre verticali superiore a 10 cm). La copertura è rivestita di guaina ardesiata.

Vengo alla questione: ristrutturando l'appartamento mi è stato fatto notare dal mio tecnico che la scala, essendo abusiva, va rimossa a spese del condominio e ripristinato lo stato legittimo dei luoghi. La scala costituisce abuso sulla mia proprietà e sarei responsabile, oltre che dell'abuso, qualora, accedendo un condomino o un terzo sul mio terrazzo, si infortunasse salendo la scala.

Inoltre pongo un problema di privacy: i condomini sono in possesso delle chiavi della porta situata sul pianerottolo e, alla mia richiesta all'amministratore di consentire l'accesso sul mio terrazzo per salire sul lastrico di copertura solo dietro autorizzazione dello stesso e comunicazione a me che sono il proprietario del terrazzo, rivendicano con forza il diritto di avere le chiavi e accedere in qualsiasi momento senza nessuna forma di preavviso sulla mia proprietà privata. Io trovo questa pretesa del tutto fuori di ogni rispetto per la privacy e per la proprietà privata.

Non nego l'esistenza di una servitù di accesso alla copertura condominiale esclusivamente per la manutenzione della stessa e delle antenne, ma non per altri scopi ovviamente! Ma ciò potrebbe avvenire tranquillamente richiedendo l'accesso al mio terrazzo con preavviso e solo da parte di personale tecnico autorizzato e assicurato, il quale potrà installare una scala mobile o un trabattello e salire sul tetto per eseguire i lavori di manutenzione.

Come posso muovermi in questa delicata situazione? Posso intimare al condominio la rimozione del manufatto abusivo e il ripristino dello stato legittimo? Come si configurerebbe in questo caso la servitù? (Preciso, se può essere utile, che la servitù non è scritta da nessuna parte. In questo caso potrebbe trattarsi di destinazione del padre di famiglia)

Certo di un vostro preziosissimo aiuto Vi saluto cordialmente

Samuele G.”
Consulenza legale i 24/02/2021
La destinazione del padre di famiglia prevista dall’art.1062 del c.c. è uno dei modi di costituzione delle servitù prediali; essa si verifica quando si accerti, mediante qualsiasi mezzo di prova che due fondi attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario e che questi ha lasciato nello stato dal quale risulta la servitù.

Nel caso di specie, la norma trova piena applicazione, innanzitutto perché vi era in precedenza un unico proprietario dell’intero immobile e poi vi sono alcune opere che pongono il terrazzo di proprietà dell’autore del quesito al servizio della proprietà condominiale e delle altre proprietà esclusive, in particolare ci si riferisce alla presenza della porta e della scala abusiva.
In merito alla presenza delle opere è interessante quanto precisato da Cass.Civ.,Sez.II, n.16784 del 21.06.2019, la quale ci dice che la presenza delle opere devono costituire un indice inequivoco del peso imposto al fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratti di una attività compiuta in via precaria e occasionale ma di un onere preciso e stabile, corrispondente al contenuto di una determinata servitù (in questo caso, quella di passaggio), e che manifesti la volontà dell’ originario unico proprietario di porre un fondo al servizio dell’altro. Nel caso specifico si ritiene che tale ultimo requisito sia integrato, oltre che dalla porta di accesso, dalla presenza della scala, manufatto stabile e non provvisorio, che permette l’accesso dal terrazzo al lastrico condominiale. Non è detto che l’abusività di tale ultimo manufatto sia rilevante ai fini dell’art.1062 del c.c.: nella giurisprudenza civile si sta affermando il principio secondo il quale vi sia una totale autonomia tra il piano edilizio-urbanistico e quello civilistico. In forza di tale autonomia, l’abusività dell’opera non impedirebbe ad esempio il maturare del termine per usucapire il diritto di transito o il sorgere di una servitù per costituzione del padre di famiglia che della usucapione costituisce un aspetto applicativo. Ma nel caso specifico, se anche si volesse considerare la scala non rilevante ai fini del 1062 del c.c., a parere di chi scrive rimarrebbe comunque la presenza della porta a integrare il requisito dello stato dei luoghi richiesto dalla norma.

Al fine di eliminare la fastidiosa scala si dovrebbe agire ragionando sull’effettiva estensione del diritto di passaggio costituitosi per destinazione del padre di famiglia. L’art. 1064 del c.c. ci dice che il diritto di servitù ricomprende tutto ciò che è necessario per usarne.
Cass.Civ.,Sez.II, n. 6176 del 16.03.2007 ha specificato che il contenuto del diritto di servitù deve essere parametrato in funzione della sola utilità obbiettiva cui sono riferibili gli atti di esercizio nei quali si è realizzato il possesso.
Se si analizza l’art.1027 del c.c. la servitù viene definita come il peso posto su un fondo (detto servente), per l’utilità di un altro fondo (detto dominante) appartenente a diverso proprietario. Detto diversamente, il diritto di proprietà del fondo servente può essere compresso e parzialmente sacrificato solo se vi è un vantaggio per il fondo dominante ed entro i limiti di detto vantaggio; vantaggio che inevitabilmente parametra anche il possesso del diritto e i limiti del diritto stesso.
Nel caso specifico descritto nel quesito, l’utilità per i fondi dominanti (che non sono altro che gli appartamenti in proprietà esclusiva sottostanti) è rappresentata dal fatto di transitare sulla terrazza (fondo servente) attraverso la porta di accesso comune per accedere sul lastrico solare. La scala abusiva non è quindi un mezzo necessario per garantire l’utilità della servitù, in quanto l’accesso al lastrico può effettuarsi anche con mezzi diversi che sono anche leciti e sicuri. Il mezzo per garantire l’utilità della servitù è invece la porta che pone in comunicazione la terrazza con le parti comuni dell’edificio.

Inoltre, mettendoci dal punto di vista della utilità della servitù, il transito sulla terrazza è si lecito, ma negli stretti limiti necessari per accedere sul lastrico: in altre parole, un condomino del piano di sotto non può accedere alla terrazza attraverso la porta per fare una passeggiata o magari prendere il sole!

Posto l’aspetto giuridico, da un punto di vista più pratico è anche giusto ricordare che in un ipotetico contenzioso contro la compagine condominiale, sarebbe onere del condominio dimostrare in giudizio la costituzione del padre di famiglia e quindi egli dovrebbe comunque sobbarcarsi un contenzioso con tutti i costi che ne conseguono.

A fronte di questo, ci si sente di consigliare l’invio all’amministratore di una raccomandata con la quale far presente l’abusività della scala e che si procederà alla sua rimozione le cui spese sono da addebitarsi all’ intero condominio; nella missiva si darà comunque la disponibilità a concedere il passaggio sulla terrazza, previo preavviso, nel caso in cui vi siano delle necessità.
A seguito di tale comunicazione si vedrà il comportamento che vorranno tenere gli altri proprietari: si ritiene che comunque con un po’ di buon senso (che non deve mai mancare in queste situazioni) si potrà raggiungere un facile accomodamento nell’interesse di tutti.


Marisa M. chiede
lunedì 13/07/2020 - Lombardia
“buongiorno sono proprietaria di una villetta costruita in aderenza con il mio vicino, con 2 problemi una finestra con affaccio diretto sul suo tetto e una parte del mio tetto che entra nella sua proprietà

Premesso le due villette costruite negli anni 50 da un unico proprietario, la mia costruita prima e in un secondo tempo costruita quella del mio vicino, la mia villetta più alta di un piano ha una veduta diretta sul tetto del mio vicino, (la finestra in questione è un piccolo ripostiglio) il vicino ha deciso d'innalzare la propria costruzione in aderenza, il quale mi dice che all'altezza della finestra formerà un sorta di terrazzino che non intende sfruttare
Gli è consentito farlo?
A quale distanza minima dovrà arretrare rispetto la finestra?
La mia finestra adesso è a circa 50 cm dal suo tetto, può obbligarmi come mi chiede a mettere le inferiate sulla mia finestra?
La parte di tetto con relativa gronda può obbligarmi ad arretrare a filo parete?
grazie buona giornata Marisa”
Consulenza legale i 20/07/2020
Elemento decisivo per la soluzione del caso prospettato è il fatto che le due villette siano state costruite negli anni 50 da un unico proprietario.
In situazioni di questo tipo, infatti, trova applicazione l’istituto giuridico della c.d. servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, disciplinato dagli artt. 1061 e 1062 c.c.

È questa una fattispecie costitutiva limitata alle sole servitù apparenti (ossia quelle servitù che presentano opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio), la quale non si ricollega ad alcuna manifestazione di volontà negoziale, ma avviene automaticamente ed ope legis per il solo fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l’altro al momento della loro separazione e per l’assenza di una volontà contraria.
Anche in giurisprudenza è stato in diverse occasioni affermato che la costituzione della servitù è sganciata da qualsivoglia volontà espressa o tacita dell’unico proprietario, affermandosi che requisito essenziale per la sua costituzione è la sua apparenza, ovvero l’esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti (cfr. Cass. n. 5801/1992; Cass. n. 10309/1996; Cass. n. 277/1997).

Più analiticamente, presupposti per la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia sono:
  1. che due fondi (per fondi si intendono anche fabbricati), appartenuti in origine allo stesso proprietario, siano da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio l’uno rispetto all’altro, atta ad integrare il contenuto di una servitù prediale;
  2. che tale situazione perduri nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere allo stesso proprietario;
  3. che esistano opere visibili e permanenti evidenzianti la situazione di asservimento;
  4. l’assenza di disposizioni relative alla servitù.
Nessuna rilevanza assume il fatto che le opere da cui discende l’esercizio della servitù non siano in regola con le prescrizioni di legge (così Cass. 1269/2013).

Il requisito dell’apparenza, a cui si fa riferimento al n. 3, deve sussistere al momento della separazione, in modo tale da consentire a chi acquista il fondo gravato da servitù di tenerne conto per la scelta dell’acquisto (così Cass. 10425/2001).
Ritornando, dunque, al caso di specie, può dirsi che ricorrono tutti i presupposti costitutivi sopra visti e che legittimano chi pone il quesito a mantenere la finestra nello stato di fatto in cui si trova, così come a non arretrare la parte di tetto del proprio edificio che sporge sul fondo altrui.
Infatti, tale situazione è stata posta in essere da colui il quale fu in origine proprietario delle due villette, per essere poi mantenuta inalterata al momento della alienazione a due distinti proprietari, senza dettare nei rispettivi atti notarili di vendita alcuna disposizione relativa sia alla finestra che al tetto (almeno così si intuisce).
Sulla apparenza della servitù, poi, non sembra che possa sussistere alcun dubbio, risultando ben visibili sia la finestra che la sporgenza del tetto con relativa gronda.

Accertata, dunque, la regolare costituzione a titolo originario di tali servitù di veduta e di sporto, si tratta adesso di esaminare come il diritto di mantenere le stesse possa collimare con il diritto di chi è proprietario della costruzione in aderenza di sopraelevare il proprio edificio, esercitando così una facoltà connessa al suo diritto di proprietà.
A tal fine vengono in rilievo gli artt. 905 e 907 c.c., i quali disciplinano la distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi tra fondi confinanti.
In particolare, mentre l’art. 905 del c.c. precisa che non si possono aprire vedute dirette sopra il tetto del vicino se non viene rispettata la distanza di un metro e mezzo, il successivo art. 907 c.c. disciplina il caso in cui uno dei due proprietari confinanti abbia acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo del vicino, disponendo che quest’ultimo non può fabbricare a distanza minore di tre metri.

Dal testo di tale ultima norma se ne è dedotto che se uno dei due proprietari confinanti abbia acquisito (per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, come in questo caso), il diritto di mantenere una veduta a distanza inferiore a quella legale, il proprietario confinante non potrà più costruire in aderenza al muro su cui è stata aperta la finestra, ma dovrà stare a tre metri al di sotto della soglia della finestra.
Si rileva, tuttavia, in giurisprudenza che il limite codicistico di tre metri è inapplicabile allorquando le vedute esistenti sull'immobile vicino siano state aperte, a titolo di servitù, a distanza minore (cfr. Cass. 6897/1999); tale precisazione viene fatta in quanto nel quesito si legge che la finestra attualmente si trova a 50 cm. dal tetto del vicino e, pertanto, quella distanza di tre metri non potrebbe più essere rispettata.

Come si può agevolmente intuire, il legislatore, nel regolare il conflitto di interessi tra i proprietari dei fondi confinanti, mentre con gli artt. 905 e 906 c.c. ha inteso tutelare la privacy del vicino, imponendo una determinata distanza per l'apertura delle vedute, per altro verso con il successivo art. 907 c.c. ha ritenuto equo tutelare anche chi ha aperto la veduta, imponendo al vicino di non ostruirla, se non ad una distanza tale da non impedire al titolare l'esercizio della veduta stessa.

Occorre precisare che la predetta disciplina trova applicazione per tutte le vedute, sia per quelle aperte iure proprietatis che per quelle aperte iure servitutis, mentre non riguarda le luci (in presenza delle quali è possibile costruire fino alla soglia delle stesse).
Unica condizione di applicabilità dell’art. 907 c.c. è che si sia acquistato il diritto di veduta sul fondo vicino, anteriormente all'esercizio da parte del suo proprietario del diritto di costruire (cfr. Cass. N. 18030/2010; Cass. N. 1239/1976).
Per quanto concerne il concetto di costruzione, in giurisprudenza sono stati ritenuti vietati ai sensi della norma in esame: una tettoia in plastica (C. 5913/1983), una veranda (C. 7269/2014; C. 12097/1995), una tenda con intelaiatura infissa nel muro (C. 5618/1995).

In conclusione, pertanto, può affermarsi che il vicino non ha alcun diritto di pretendere che quella finestra sia munita di grate, mentre potrà esercitare il diritto di costruire in aderenza se non pregiudica in alcun modo l’esercizio della servitù di veduta ivi esistente.
Allo stesso modo non ha diritto di pretendere che lo sporto esistente venga arretrato a filo parete, in quanto anche in relazione ad esso si è costituito un vero e proprio diritto di servitù, legittimante l’occupazione con lo sporto della colonna d’aria di pertinenza della proprietà confinante.

Infine, si ritiene possa essere utile precisare che, nell’ipotesi in cui il vicino dovesse ostinarsi ad innalzare la costruzione, violando così il diritto di veduta, sarà possibile per il titolare della veduta ottenere in giudizio la rimessione in pristino; inoltre, poiché il suo comportamento integrerebbe una turbativa del possesso, sarà possibile agire contro la costruzione, che non rispetti le distanze fissate dalla norma in esame, con l'azione di manutenzione (così Cass. N. 1594/1968) anche in caso di opera provvisoria (così Cass. n. 21501/2007);
A sua volta, il vicino, convenuto in sede possessoria, potrà negare lo stato di possesso dell'attore solo provando l'inesistenza di un diritto di veduta sul suo fondo, ciò che nel caso di specie sembra impossibile, considerando che si tratta di una situazione di fatto risalente a circa 50 anni fa.


Umberto C. chiede
martedì 23/06/2020 - Campania
“IL CASO:
A seguito di un acquisto effettuato nel 1966 i coniugi Salvatore e Giuseppina divenivano proprietari di un piccolo fabbricato composto da:
1) n. tre locali a piano terra con i civici 19, 21, 23-25 il locale al civico 23-25, tramite una porta interna accede all’androne del fabbricato posto al civico 27, da cui si diparte una scala coperta, per raggiungere il piano superiore
2) appartamento al primo piano composto da n. tre stanze e accessori con annesso e pertinente terreno agrumeto, di are … comprensivo di androne e scale che forma corpo unico con l’appartamento, il tutto così come pervenuto, per conformazione della zona i terreni sono posti a terrazzamenti.
A seguito di lavori eseguiti nel 1973 in difformità di licenza edilizia, detto fabbricato risulta essere composto:
1) da tre locali a piano terra con i civici 19,21,23-25 così come prima descritti, NCEU folio 6 part.28 sub1, sub2, sub3,
2) appartamento al primo piano di tre stanze ed accessori NCEU foglio 6 part.28 sub 4 cat. A/4 con annesso e pertinente terreno agrumeto di are … NCT foglio 6 part. 27 che forma corpo unico con l’appartamento,
3) appartamento al secondo piano completamente abusivo di tre camere ed accessori NCEU foglio 6 part. 28 sub. 5 cat. A/3, per il quale nel 1986 fu presentata domanda di condono 47/85 al momento non ancora valutata né approvata e senza alcun titolo abitativo.
A seguito di morte di Salvatore e Giuseppina i figli Savenino e Lucia nel 1990 procedono alla divisione di detto immobile decidendo che:
1) al figlio Savenino andavano:
- i tre locali a piano terra ai civici 19, 21, 23-25 con porta interna che accede all’androne del fabbricato del civico 27,
2) alla figlia Lucia andavano:
- l’appartamento al primo piano con tre stanze e accessori, con annesso e pertinente terreno agrumeto di are … e che formano corpo unico,
- e appartamento al secondo piano di tre camere ed accessori completamente abusivo con condono 47/85 non ancora approvato mancante di abitabilità con scala esterna che nasce dalla quota del primo piano ovvero su terreno agrumeto annesso e pertinente l’abitazione del primo piano, per raggiungere il piano superiore.

Al fratello viene offerta in atto, servitù di passaggio limitata al solo androne e per il solo locale al civico 23-25 che tramite porta interna accede al civico 27, ingresso del fabbricato, vietando quindi l’accesso e l’uso delle scale coperte e del terreno agrumeto. Nulla si indica per l’appartamento del secondo piano con scala esterna facente parte della stessa quota ereditaria di Lucia.

Il notaio si limita ad indicare con formule di rito, la provenienza, lo stato, e generiche servitù attive e passive allegando però, le schede catastali di ogni bene così come in catasto, nonché la domanda di condono per il secondo piano presentato nel 1986, con annessi grafici e descrizione abuso, ma ben definisce i confini delle unita immobiliari. In particolare il terreno agrumeto annesso e pertinente confina con beni XXX beni YYY e con “fabbricati degli stessi condividenti”, ovvero il civico 23-25 a piano terra con costituita servitù e l’appartamento del secondo piano, completamente abusivo costruito nel 1973 con scala esterna che si diparte dalla quota del primo piano, e per raggiungerla bisogna attraversare l’androne, le scale coperte e piccola parte del terreno agrumeto, foglio 6 part. 28.

Nel 1991 Lucia vende a Umberto l’appartamento al secondo piano con formule di rito, nello stato di fatto e di diritto, con servitù attive e passive, così come pervenuto e allegato domanda di condono e relativi grafici e metrature.
Nel 1994 Lucia vende a Umberto anche l’appartamento al primo piano con annesso e pertinente terreno agrumeto, che forma corpo unico con detto appartamento, anche questo con solite formule di rito, nello stato di fatto e di diritto,con servitù attive e passive, così come pervenuto, e allegando copia del condono e relativi grafici.
Nel 1995 Umberto vende a Gennaro l’appartamento al secondo piano con formule di rito, nello stato di fatto e di diritto così come pervenuto, delineando e tratteggiando però in rosso la parte ceduta in esclusiva proprietà, ovvero dalla scala esterna che nasce dal primo piano per raggiungere il secondo piano, come da condono presentato nel 1986, intendendo concedere così, solo servitù coattiva di passaggio su androne, scale e una parte del terreno annesso e pertinente all’appartamento del primo piano, così come inteso al tempo del suo acquisto e secondo i titoli di provenienza.
Nel 2003 Gennaro vende a Ubaldo l’appartamento al secondo piano con formule di rito, nello stato di fatto e di diritto, così come pervenuto, allegando domanda di condono, omettendo di allegare pur facendone riferimento, la piantina che delineava e tratteggiava in rosso la parte acquistata in esclusiva ed ora ceduta, ovvero dalla scala esterna che diparte dal primo piano per raggiungere il piano superiore.
Nel 2008 anche Ubaldo vende a Valerio l’appartamento al secondo piano con formule di rito, nello stato di fatto e di diritto, così come pervenuto, omettendo di allegare in atto anzi non facendo alcun riferimento, alla piantina che delineava e tratteggiava in rosso, ma si limitava ad una descrizione fantasiosa della scala esterna che diparte dal primo piano per raggiungere il piano superiore definendo il terreno annesso e pertinente all’appartamento del primo piano, “cortile del fabbricato” allegando copia del condono.
Ora Valerio ha citato in giudizio Umberto ritenendo che l’androne del fabbricato e la scala coperta che conduce al primo piano siano di carattere condominiale non riconoscendo la servitù di passaggio coattiva in danno del terreno agrumeto annesso e pertinente formante corpo unico con l’appartamento del primo piano rimasto di proprietà di Umberto.
Si chiede:,
come ci si può tutelare per la difesa della proprietà del terreno agrumeto annesso e pertinente all’appartamento del primo piano con confini definiti in atto di divisione che raggiunge i fabbricati degli altri condividenti, ovvero il civico 23-25 a piano terra, per uno e l’altro, scala esterna che parte dal primo piano per raggiungere il secondo,
se è possibile che non si vedano impedimenti affinché androne (dove già esiste servitù di passaggio per il civico 23-25 che tramite porta interna arriva al civico 27) e scale coperte che portano al primo piano siano ritenute condominiali, per poi attraversare in servitù coattiva parte del terreno annesso e pertinente all’appartamento del primo piano e da questi poi prendere altre scale esterne di esclusiva proprietà che portano al secondo piano completamento abusivo e ad oggi senza abitabilità.”
Consulenza legale i 30/06/2020
Il quesito posto attiene ad una serie di trasferimenti relativi a diversi immobili originariamente in proprietà esclusiva dei coniugi Salvatore e Giuseppina (per averli acquistati con atto di compravendita del 1966), e successivamente ampliati mediante realizzazione abusiva di un secondo piano, per il quale risulta essere stata regolarmente presentata domanda di sanatoria.
Occorre intanto precisare che la natura abusiva dell’immobile, più volte rimarcata nel quesito, non può assumere alcuna rilevanza ai fini della soluzione che si andrà ad adottare, tenuto conto, peraltro, che quella porzione di fabbricato ha formato oggetto di sanatoria ed è stata più volte commercializzata.

Detto questo, si cercherà adesso di individuare, mediante esame dei titoli di provenienza, l’esatto regime proprietario della scala esterna al primo piano, dell’androne, della scala interna e del terreno pertinenziale.

L’intera fattispecie si ritiene che possa essere ricondotta all’istituto giuridico della destinazione del padre di famiglia, disciplinato all’art. 1062 c.c. quale modo di costituzione a titolo originario della servitù (insieme all’usucapione), applicabile nel solo caso della servitù apparente, qual è quella che viene qui in rilievo.
La costituzione per destinazione non si ricollega ad alcuna manifestazione di volontà negoziale, ma si realizza automaticamente ed ope legis per il solo fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l’altro al momento della loro separazione e per l’assenza di una espressa volontà contraria.

Con ciò vuol dirsi che, il fatto stesso che i coniugi Salvatore e Giuseppina, originari proprietari esclusivi dell’intero fabbricato, abbiano realizzato quella scala esterna a servizio dell’appartamento di secondo piano (per il raggiungimento della quale occorreva accedere all’androne di piano terra ed alla scala interna che sale al primo piano), costituisce un fatto oggettivo, dal quale se ne deve far discendere la costituzione di una vera e propria servitù a carico dell’appartamento di primo piano e del terreno pertinenziale su cui si trova l’area di sedime della scala ed in favore del secondo piano del fabbricato.

Anche la giurisprudenza ha ricondotto tale fattispecie costitutiva di servitù al solo fatto oggettivo della situazione dei luoghi, sganciandola da ogni indagine su una volontà espressa o tacita del proprietario diretta alla costituzione di quella medesima servitù.
E’ stato in tal senso affermato che il requisito per l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia non è una manifestazione di volontà negoziale, ma la sua apparenza, cioè l’esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti, necessarie per l’acquisto della servitù e rivelatrici della sua esistenza (cfr. Cass. 5801/1992; Cass. 10309/1996; Cass. 277/1997; App. Bologna 20.07.2005).

Più precisamente, costituiscono presupposti per la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia:
  1. che i due fondi, in origine appartenenti allo stesso proprietario, siano da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio l’uno rispetto all’altro, tale da integrare di fatto il contenuto di una servitù prediale;
  2. che tale situazione persista nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario;
  3. che sussistano opere visibili e permanenti evidenzianti, in modo non equivoco, la relazione di asservimento;
  4. l’assenza, al momento dell’alienazione di uno dei due fondi o della loro divisione, di disposizioni relative alla servitù.
Nessuna rilevanza può assumere il fatto che l’opera da cui scaturisce la servitù non fosse in regola con le prescrizioni di legge, ovvero con la normativa urbanistica e/o con le regole di diritto privato disciplinanti, ad esempio, i rapporti di distanza tra edifici (così Cass. 1269/2013).

E’ stato anche precisato in giurisprudenza che la nozione di unico proprietario non va intesa in senso restrittivo, ma è anche riferibile all’ipotesi di più proprietari in comunione (cfr. Cass. 6884/1991; Cass. 7074/1995).
Ciò comporta che a seguito della morte dell’unico proprietario (o degli unici comproprietari) ed al subentrare degli eredi nella contitolarità dell’unico fondo, la costituzione della servitù va riscontrata in riferimento al tempo della divisione del bene, ossia dell’atto con cui la proprietà del fondo viene acquistata da due o più soggetti distinti (cfr. Cass. 1595/1986; Cass. 2930/1986; Cass. 7476/2001).

Facendo adesso applicazione dei principi sopra esposti al caso di specie, può dirsi che sussistono tutti i presupposti perché possa dirsi costituita in favore dell’appartamento di secondo piano ed a carico dell’appartamento di primo piano una servitù di passaggio che consenta, mediante accesso all’androne di primo piano ed alla scala interna, di raggiungere la scala esterna, allocata sul giardino di pertinenza del primo piano, dalla quale salire e accedere all’appartamento di secondo piano.
Il momento costitutivo di tale servitù deve farsi coincidere con la separazione dei fondi, ossia dapprima con la divisione ereditaria posta in essere tra i germani Saverino e Lucia nell’anno 1990 e successivamente, nell’anno 1991, con la vendita da Lucia ad Umberto dell’appartamento di secondo piano.

Il fatto che nulla sia stato detto in ordine a tale servitù depone in favore della sua costituzione, in quanto l’art. 1062 c.c. prevede quali presupposti per la sua costituzione, che rimanga inalterato lo stato di asservimento e che le parti non abbiano dettato alcuna disposizione relativa alla servitù (la costituzione, infatti, è impedita dalla contraria manifestazione di volontà del proprietario dei due fondi al momento della separazione, se inserita in una clausola contrattuale).
L’apparenza, sussistente al momento della separazione, consentirà all’acquirente di tenere conto dello stato dei luoghi per la scelta dell’acquisto e delle relative condizioni dell’affare (cfr. Cass. 10425/2001).

Questa è la disciplina proprietaria sussistente fin quando, nell’anno 1994, Umberto non diviene proprietario dell’intero fabbricato, composto da primo piano, secondo piano e terreno pertinenziale al primo piano.
A tale data, la concentrazione dell’intera proprietà, comprensiva di fondo dominante e fondo servente, in un solo soggetto, è valsa a determinare l’estinzione di ogni servitù per confusione ex art. 1072 del c.c., ma ciò fino al successivo anno 1995, data in cui si ha nuovamente una scissione delle due proprietà, in quanto Umberto vende a Gennaro l’appartamento al secondo piano.
Nuovamente viene ad essere integrata la fattispecie costitutiva di servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c., non avendo le parti dettato alcuna disposizione relativa a quella servitù ed avendo lasciato la situazione dei luoghi immutata, cioè con la scala esterna, formante unico corpo di fabbrica con l’appartamento di secondo piano, raggiungibile attraverso l’androne e la scala interna di proprietà esclusivi del primo piano.

Nessuna volontà contraria è stata manifestata in tutti gli ulteriori trasferimenti, non potendosi questa desumere per facta concludentia, ma dovendo necessariamente rinvenirsi in una clausola contrattuale, con la quale si convenga esplicitamente di voler escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi.

In conclusione, allo stato attuale, la situazione proprietaria, a cui si ritiene ci si debba attenere, è la seguente:
  1. Umberto è proprietario del primo piano e del giardino pertinenziale, ossia degli immobili così identificati:
  • appartamento al piano primo riportato nel NCEU al foglio 6 part. 28 sub 4;
  • terreno riportato al NCT foglio 6 part. 27;
  1. Valerio è proprietario del seguente immobile:
  • Appartamento al secondo piano riportato nel NCEU al foglio 6, part. 28 sub. 5.
La scala esterna è di proprietà esclusiva di Valerio, essendo posta al servizio del suo appartamento e formante corpo unico con lo stesso.
La particella 28 sub 5 gode della servitù di passaggio a carico dell’androne e della scala interna di pertinenza della particella 28 sub 4, fino a raggiungere, attraverso il giardino (part. 27), la scala che conduce al secondo piano.
La sussistenza di tale servitù esclude ogni diritto di comproprietà di Valerio sugli immobili di proprietà di Umberto ed a carico dei quali la servitù viene esercitata.


Rocco C. chiede
sabato 23/05/2020 - Calabria
“Trattasi di un ragguardevole appezzamento di terreno, in zona periferica dell'abitato, di natura uliveto, confinante a valle con stradella comunale. Detto terreno venne successivamente frazionato e venduto a più acquirenti, con atto legale e conseguente accatastamento, e di conseguenza siti a più livelli. Sulla parte a monte, venne edificato un grosso fabbrica, e altro adiacente, con rimanente terreno limitrofo.Trattandosi all'epoca di unico proprietario, la regimazione delle acque, scolavano naturalmente e defluivano sulla stradetta comunale. Trattandosi di modifica del terreno, non più olivetano, ma a produzione orticola, le acque piovane ed altre si riversano di conseguenza negli orti sottostanti, adducendo, nonostante diffide a modificare la regimazione delle acque, trattenendole nei propri terreni, i proprietari in risposta" che le acque seguono il corso naturale della pendenza del terreno". A questo punto, essendo i terreni sottostanti, e retro casa, unico diversivo e passatempo, non più coltivabili ad orticole varie, se non intervengono iniziative energiche debbono di conseguenza essere abbandonati. Come comportarsi di conseguenza.Grazie.”
Consulenza legale i 28/05/2020
La fattispecie che viene qui descritta integra un’evidente ipotesi di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia.
Trattasi di una particolare forma di costituzione della servitù (in questo caso la servitù di scolo delle acque), prevista dall’art. 1062 c.c. ed ammissibile per le sole servitù apparenti, la quale costituisce il risultato di una somma di svariati atti, che si susseguono nel tempo e che di per sé non sono preordinati direttamente alla costituzione della servitù.
Essa ricorre tutte le volte in cui due o più fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti da un unico proprietario, il quale, al momento della vendita, abbia lasciato immutato lo stato dei luoghi.
Non è richiesta, dunque, alcuna espressa manifestazione di volontà, ma il solo fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l’altro al momento della loro separazione e l’assenza di una volontà contraria (cfr. in tal senso Cass. n. 5801/1992; Cass. n. 10309/1996; Cass. n. 277/1997).

Nel caso di specie, alla costituzione della servitù a carico del fondo a valle ha anche contribuito la situazione naturale dei luoghi, la quale può inquadrarsi a pieno titolo nella fattispecie disciplinata dall’art. 913 del c.c., norma che costringe il proprietario del fondo inferiore a ricevere le acque che scolano naturalmente dal fondo superiore.
Chiaramente, finché quel fondo è appartenuto ad un unico proprietario non poteva sorgere alcun problema, mentre è solo dal momento del suo frazionamento e della successiva vendita ai diversi proprietari che non solo si è venuta a configurare, come prima accennato, la servitù di scolo delle acque per destinazione del padre di famiglia, ma sono cominciati a sorgere i primi problemi per un corretto esercizio di quella servitù.

E’ vero che per espressa disposizione dell’art. 913 c.c. il proprietario del fondo inferiore non può impedire che sul proprio fondo scolino le acque di quello superiore, ma è anche vero che non si può, nel caso in esame, non tener conto di quanto il medesimo art. 913 c.c. precisa, nella parte in cui dice senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo”.
Infatti, nel quesito si dice che sulla parte a monte del terreno sono stati realizzati due corpi di fabbrica, il che configura, senza alcun dubbio, quella “opera dell’uomo” a cui si fa riferimento alla fine del secondo comma dell’art. 913 c.c. e che determina il venir meno del presupposto essenziale per l’applicazione di essa, ovvero il sostanziale mantenimento della situazione naturale dei fondi (cfr. Cass. 6976/1986).

L’art. 913 c.c., infatti, pone a carico dei proprietari dei due fondi, superiore ed inferiore, un obbligo di non fare, consistente per il proprietario del fondo superiore nel divieto di realizzare qualunque tipo di manufatto che possa modificare direttamente o indirettamente il deflusso naturale delle acque (cfr. Cass. 10039/2000, Cass. 1428/1984 e Cass. 1335/1983), con la conseguenza che, venuto meno tale presupposto, a seguito della trasformazione urbanistica del terreno, il proprietario del fondo superiore non potrà più pretendere che le acque piovane continuino a defluire verso il fondo inferiore.

L’attività di edificazione, peraltro, comporta anche il correlativo onere di realizzare ogni tipo di impianto, tra cui quello idrico e di scarico fognario (di acque bianche e nere), indispensabile per l’erigendo edificio; pertanto, pur se deve riconoscersi l’esistenza, a carico del proprietario del fondo a valle, di una originaria servitù di scolo delle acque piovane, discendente dalla naturale conformazione del terreno, e pur se, a seguito della divisione dell’unico fondo la situazione dei luoghi è rimasta immutata, una volta che quel terreno, originariamente impiantato ad uliveto, è stato parzialmente edificato, colui o coloro che hanno realizzato la costruzione avrebbero anche dovuto effettuare le opere di canalizzazione delle acque verso i c.d. pubblici colatoi, ossia verso l’impianto fognario, sicuramente esistente sulla stradella comunale.

A questo punto, dunque, a nulla vale l’obiezione dei proprietari dei fondi superiori che le acque piovane seguono il loro corso naturale e la pendenza del terreno, in quanto, una volta trasformato lo stato naturale del terreno, quella originaria servitù di scolo delle acque, pur da riconoscere esistente e costituitasi per destinazione del padre di famiglia, può soltanto valere a legittimare la pretesa dei proprietari dei fondi superiori di attraversare con un tubo di scarico il fondo più a valle per raggiungere l’impianto fognario pubblico (c.d. servitù di passaggio della fognatura).

Pertanto, in risposta alle osservazioni dei vicini, ciò che può consigliarsi è di far pervenire agli stessi una missiva con la quale invitarli a dotare al più presto i propri immobili dei necessari impianti di scarico delle acque piovane, munendosi del relativo provvedimento amministrativo di autorizzazione allo scarico, di cui peraltro sarebbero già dovuti essere in possesso in fase di progettazione, ancor prima di aver realizzato la costruzione.
Infine, si consiglia anche di fare richiamo nella medesima missiva al rispetto di quanto previsto dal primo comma dell’art. 1067 del c.c., norma che pone in capo al proprietario del fondo dominante il divieto di porre in essere qualunque atto di innovazione che abbia come effetto quello di rendere più gravosa la condizione del fondo servente.


Luca F. chiede
sabato 07/03/2020 - Lombardia
“Buongiorno, Secondo voi posso costruire in aderenza con queste condizioni?
Anno 1953 viene eretto un villino piano rialzato + primo piano dal proprietario “A”
Anno 1973 lo stesso proprietario “A” chiede la costruzione in aderenza di un secondo villino con la sola altezza del piano rialzato. Il comune nega la costruzione, chiedendo la divisione del lotto.
Anno 1974 chiesta è ottenuta la divisione del lotto, chiede nuovamente la costruzione in aderenza di un villino con piano rialzato, viene concessa la costruzione.
Negli anni a seguire i vari immobili vengono venduti a famigliari.
Anno 2003 compro il villino più basso costruito nel 1974
Posso rialzare il fabbricato anche se è presente veduta diretta del vicino sulla falda del mio tetto A distanza di circa 50 cm, anche se costruita antecedente alla divisione del lotto ? Posso obbligare a far chiuder l’affaccio diretto sul mio tetto visto che non ci sono distanze regolari?
La finestra in questione è di un locale sgabuzzino
Ringrazio Luca”
Consulenza legale i 12/03/2020
Il caso che viene prospettato costituisce una classica ipotesi di servitù costituita per c.d. destinazione del padre di famiglia.
Trattasi di una particolare forma di costituzione della servitù, che trova esplicito riconoscimento all’art. 1062 del c.c., e che è riconosciuta possibile solo per le c.d. servitù apparenti, ossia quelle servitù per il cui esercizio sussistono opere visibili e permanenti (così art. 1061 del c.c.).
La servitù nasce in forza del più ampio diritto di proprietà che il proprietario di due fondi ha su quello divenuto servente, e non dipende da alcuna manifestazione di volontà negoziale, ma avviene automaticamente ex lege per il solo fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l’altro nel momento in cui i due fondi vengono separati e non viene manifestata alcuna volontà contraria.

Ciò che conta è la sua apparenza, cioè l’esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti, necessari per l’acquisto della servitù e rivelatrici della sua esistenza (così Cass. 10309/1996; Cass. 5801/1992; Cass. 277/1997).

Si può schematicamente dire che presupposti per la sua costituzione sono:
  1. che i due fondi, appartenuti in origine allo stesso proprietario, siano dallo stesso posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio l’uno rispetto all’altro, tale da integrare il contenuto di una servitù prediale;
  2. che tale situazione perduri nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario;
  3. che esistano opere visibili e permanenti che dimostrino, in modo inequivoco, la relazione di asservimento (così Cass. 14292/2017);
  4. che non sussista alcuna disposizione relativa alla servitù.

Non assume alcuna rilevanza il fatto che l’opera integrante la costituzione della servitù non sia in regola con le prescrizioni di legge (cfr. Cass. 1269/2013).

Particolare importanza assume il requisito della apparenza, in quanto è essenziale che l’intento di destinare un fondo al servizio di un altro sia tradotto in un’opera visibile e permanente, preesistente rispetto alla divisione del fondo, e che tale apparenza sia tale da rendere certi e manifesti a chiunque (e dunque anche all’eventuale acquirente del fondo gravato) il contenuto e le modalità di esercizio del corrispondente diritto (cfr. Cass. 10425/2001; Cass. 11348/2004).

Il trasferimento della titolarità dei fondi, poi, può avvenire per effetto di qualsiasi fatto o atto giuridico, e dunque sia a seguito di alienazione a titolo oneroso (compravendita), che di un trasferimento a titolo gratuito (donazione) o ancora mortis causa (successione).

Nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti sopra visti, in quanto A è proprietario dal 1953 di un villino realizzato su un lotto di maggiore estensione, di sua esclusiva proprietà, lotto che nell’anno 1974 viene diviso come richiesto dal Comune interessato.
Nello stesso anno 1974, sul lotto così separato, ma sempre di proprietà di A, viene realizzato in aderenza un secondo villino, ma ancor prima della divisione il primo piano del villino originario godeva di una servitù di veduta diretta su quella che poi è divenuta la falda del tetto del secondo villino a piano rialzato.

I passaggi di proprietà successivi, per effetto dei quali i due villini sono finiti per appartenere a proprietari diversi, sono stati posti in essere lasciando immutata la situazione di quella veduta (e dunque le opere visibili e permanenti che ne consentivano l’esercizio) e senza alcuna manifestazione di volontà contraria in ordine alla stessa servitù.

In conseguenza di tutto ciò, se il proprietario dell’immobile sul quale viene esercitata la veduta ha adesso intenzione di fabbricare, sarà costretto ad attenersi al disposto di cui all’art. 907 c.c., il quale stabilisce espressamente che quando il proprietario confinante ha acquisito il diritto di avere vedute dirette sul fondo vicino, il proprietario di questo, che intende costruire, non può farlo se non a distanza minore di tre metri, misurata ex art. 905 del c.c..
Con quest’ultima norma il legislatore intende proprio tutelare chi ha aperto la veduta, imponendo al vicino di non ostruire, se non ad una distanza tale da non impedire al titolare l’esercizio della veduta stessa.
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, tale principio trova applicazione per tutte le vedute, sia quelle aperte iure proprietatis che per quelle aperte iure servitutis (cfr. Cass. 5269/1986; Cass. 45/1992), mentre non può trovare applicazione nel caso delle luci, ossia quelle aperture che danno passaggio soltanto alla luce ed all’aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino (in questo caso, infatti, troverebbe applicazione l’art. 904 del c.c., norma che, pur in presenza di luci, non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza).

A questo punto residua soltanto una possibilità.
Considerato che l’apertura in questione risulta realizzata sulla parete di un locale destinato a sgabuzzino, si potrebbe proporre al titolare della veduta di stipulare una convenzione, in forza della quale autorizzare il vicino a non osservare la distanza legale, ovviamente dietro corrispettivo, che potrà essere liberamente pattuito tra le parti.
Si tenga presente che tale convenzione, la quale non avrebbe valore di costituzione di una servitù, ma si porrebbe semplicemente come una limitazione del contenuto della propria servitù, dovrebbe necessariamente rivestire la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 del c.c..


Lari A. chiede
mercoledì 19/12/2018 - Liguria
“CONSULENZA PER UTENZE

Chiedo consulenza in merito alla necessità o meno di costituzione servitù per utenze gas, acqua fognature in complesso immobiliare.

ANTEFATTO
In un contratto di permuta di immobile bifamiliare da costruire è stato ceduto un terreno su cui l’impresa costruttrice ha edificato 5 unità abitative denominate blocchi A/B/C/D/E delle quali 4 hanno formato con le successive vendite un unico condominio, mentre la quinta unità denominata blocco E, costituiva l’oggetto della permuta con il terreno. Questa unità è dotata di accesso autonomo e in virtù delle clausole apposte in contratto , è stata considerata esclusa dal complesso condominiale e priva di parti comuni.

Segue il riepilogo clausole apposte nei vari contratti, riguardanti le utenze gas luce fognatura

CONTRATTO DI PERMUTA(Terreno in cambio immobile da costruire identificato in complesse E ):
pag. 3.. si cedono e trasferiscono a titolo di permutale unità immobiliari meglio descritte che fanno parte di un complesso edilizio che la società costruirà...
pag. 6.. le due porzioni cedute in permuta ed area pertinenziale finite ed ultimate come da capitolato e progetto allegati
pag. 7 … le suddette porzioni , andranno ad occupare tutta la superficie della particella 883…e risultano meglio identificate nell’elaborato del progetto, in base al quale è stato chiesto il permesso di costruire, e che si allega al presente atto
pag. 15 PATTI CONDIZIONI E DISPOSIZIONI COMUNI
quanto precedentemente descritto viene permutato, sia per quanto riguarda il terreno che per quanto riguarda dette porzioni di fabbricato con
le annesse corti, con tutti gli annessi e connessi, accessori, accessioni, pertinenze, aderenze, cui le porzioni precedentemente descritte fanno parte così come individuate dall’art. 1117 cc, e con le servitù attive e passive se ed in quanto esistenti.
Si precisa che l’immobile permutato non verrà trasferito con la proporzionale quota di diritti di comproprietà sulle parti comuni del fabbricato destinate a passaggi, strade, a viabilità interna,
sulle fognature e su tutti gli impianti a servizio del complesso edilizio
suddetto;
Tutti i suddetti beni vengono permutati con tutti i loro usi ,diritti e ragioni, servitù attive e passive che vi sono e come sono, e come dovranno effettuarsi a seguito della realizzazione di detto complesso edilizio.
pag. 24..” le spese per gli allacci dei contatori di acqua, luce e gas fino al confine della proprietà del bene ceduto come corrispettivo della permuta, faranno carico alla società, mentre le richieste per la posa dei contatori e dell’allaccio ai punti di erogazione saranno inoltrate dai singoli utenti e le spese relative saranno a loro carico.
Se la sig. ....... decidesse di usufruire degli allacciamenti comuni a tutti gli altri immobili del progetto , le stesse corrisponderanno una cifra di 15.000,00 per entrambi gli immobili comprensiva delle richieste agli enti erogatori e relativi costi di allaccio.
CAPITOLATO ALLEGATO
Sono compresi i lavori atti a rendere l'impianto funzionante interno lotto, sono esclusi gli oneri da versare agli enti erogatori per allacciamenti inerenti l'erogazione Sistema allaccio fognario sino alla conduttura pubblica se esistenze oppure fossa Imoff:

SCRITTURA PRIVATA
E’ stata stipulata una successiva SCRITTURA PRIVATA NON TRASCRITTA, concordando che la ditta costruttrice per una cifra forfettaria di 15.000 € , avrebbe fatto passare le tubature (relative a tutte le utenze di gas acqua e fognatura della bifamiliare permutata ), su parte del terreno permutato che successivamente è andato a costituire il viale di accesso condominiale e parzialmente in un giardino privato di altro immobile condominiale.
Nella stessa scrittura si è anche concordato che la ditta avrebbe sostituito, sempre nel solito terreno delle tubazioni preesistenti , a servizio un vecchio immobile sempre di proprietà delle permutanti.
PS: In merito alle utenze della vecchio immobile, da segnalare che in sede di una causa già sorta con l’impresa riguardante il pagamento di alcuni lavori extra - capitolato, il giudice ha già espresso con sentenza la mancata esistenza di servitù relativa alle utenze dei vecchi immobili.
Tale scrittura erroneamente non è stata trascritta nei registri immobiliari in quanto il costruttore si era impegnato verbalmente a citare la presenza di tali tubazioni negli atti di vendita degli immobili condominiali.


CONTRATTI DI ACQUISTO IMMOBILI ( stipulato da ditta costruttrice e acquirenti dei complessi A- B- C e redatti da unico notaio)
ES. contratto relativo Blocco A
“ gli immobili venduti fanno parte del complesso c.d. Blocco A … ,e sono trasferiti con tutte le servitù se esistenti e con la proporzionale quota di diritti di comproprietà sulle parti comuni del complesso cui fanno parte così come individuato dall’art.1117. Segue poi elenco delle parti comuni condominiali intestate esclusivamente ai soli condomini , parti che vengono ulteriormente specificate nello spazio di manovra, canale di deflusso, piazza e scalette, vialetto pedonale.
A TUTTE LE UNITA’ IMMOBILIARI COSTITUENTI IL COMPLESSO (ma quale complesso solo quello relativo al blocco di riferimento o al complesso edilizio di cui gli stessi 5 blocchi fanno parte? ) SONO ALTRESÌ COMUNI: GLI IMPIANTI DI FOGNATURA SINO AL POZZETTO DI ALLACCIO COMUNALE.”

CONTRATTO CONDOMINIO COMPLESSO D, redatto da altro notaio
Questo atto più correttamente dichiara che il complesso acquistato è facente parte di un complesso più grande, formato appunto da 5 blocchi A/B/C/D/E…..…A TUTTE LE UNITA’ IMMOBILIARI COSTITUENTI IL COMPLESSO SONO ALTRESÌ COMUNI: GLI IMPIANTI DI FOGNATURA SINO AL POZZETTO DI ALLACCIO COMUNALE.”

PROBLEMA E QUESITO
Presa successivamente visione dei contratti relativi agli immobili venduti dal costruttore, ci si è reso conto che la presenza di tali tubazioni non era stata menzionata. Alle nostre rimostranze l’impresa ha detto che non era necessario in quanto le stesse servitù si erano costituite per diligenza del “pater familias” (unico segno visibile ai fini pater familias sono i contatori acqua e gas posti in una cassetta assieme a quelli condominiali, ma cassetta posta in terreno ceduto poi dall’impresa in scomputo oneri di urbanizzazione). Per la fognatura esistono tombini posti nel giardino complesso D e nel vialetto di accesso condominiale, una tavola allegata al progetto di costruzione che li raffigura e il richiamo nei contratti di vendita (anche se non è ben specificato se la comunione degli stessi sia riferita a tutto il complesso edificato. (chiarito solo dal notaio che ha redatto la vendita del complesso D)

Consultato il notaio che ha redatto sia l’atto di permuta che quello degli altri immobili (eccetto blocco D), ha dichiarato che non era necessaria la costituzione di alcuna servitù dal momento che si poteva stipulare un atto ricognitivo nel quale in base all’art. 1117 si sarebbero dichiarate le servitù venute a crearsi in seguito alla costruzione.
Mi è però sorto il dubbio sulla giustezza del ragionamento del notaio per i seguenti motivi:
1. il tenore delle clausole di permuta che mi escludono a priori dalla comproprietà delle parti condominiali comprese fognature, e dei contratti di acquisto delle altre unità. Clausole nebulose e contraddittorie.
2. per il fatto che le trascrizioni del contratto degli immobili condominiali sono antecedenti a quello dell’atto ricognitivo;
3. che la scrittura di accordo per le utenze non è stata trascritta.

Vengo quindi a chiedervi quale potrebbe essere una soluzione possibile:
1. ritenete comunque che le servitù si siano costituite per diligenza pater familias, come sostiene la ditta costruttrice, nel momento in cui l’originario ed unico proprietario dell’immobile, che aveva dato luogo (con la predisposizione della tubatura) alla situazione di fatto, ha venduto i singoli appartamenti. (sentenza n. 14292/2017 - n.4439 del 7/8/1982 - 3105 del 11/5/1981 - 3787 del 22/6/1982
2. se così non fosse, si potrebbe considerare la clausola inserita in permuta (trascritta), come clausola condizionale e farla seguire da un atto ricognitivo nel quale si attesti la presenza di tali tubature, e per applicazione dell’art. 1360 con effetti retroattivi alla venuta ad esistenza dell’immobile (e quindi antecedente alle vendite condominiali?)
3. Ritenerle esistenti secondo il principio di accessorietà e costituito un condominio di fatto secondo il principio principio accessorietà ( accessorietà impedita solo da un atto contrario che regola diversamente tale effetto dichiarativo costitutivo e le clausole di non condominialità sono antecedenti alla posa delle tubazioni), senza pertanto la necessità di atto formale. (Cass. sez II 11/5/81 n.3105).
4. Si potrebbe sostenere, poiché per la giurisprudenza Il condominio nasce nel momento in cui l’originario costruttore aliena terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata (e non con la deliberazione da parte dell’assemblea dell’atto costitutivo del condominio (cass. sez. lav. 18/12/78 n. 6073). In tal momento il costruttore smette di essere unico proprietario delle pertinenze e cose comuni. Quindi da questo momento il costruttore non potrà più disporre come proprietario unico di detti beni ne concedere o creare su di essi diritti reali come servitù, neppure per destinazione del padre di famiglia (cass. sez II 4/10/2004 n. 19829) Di conseguenza, applicandolo al mio caso, ritenere l’immobile oggetto di permuta come il primo immobile venduto, e per gli effetti della trascrizione verso terzi, che iniziano dal momento della venuta ad esistenza dello stesso, costituito il condominio non al momento della vendita degli altri immobili ma antecedente appunto alla venuta ad esistenza, e quindi avendo il costruttore steso già le tubature, in base all’art. 1117, si è costituito un condominio di fatto, (Cass. sez.II 7/8/1982 n. 4439)


Per la documentazione relativa già inviata in merito al quesito posto in precedenza n. Q201822405.”
Consulenza legale i 26/12/2018
Esaminati il contratto preliminare e l’atto di permuta (gli unici contratti in nostro possesso, oltre quello relativo alla fideiussione) nonché quanto riportato nel presente quesito, si ritiene di essere in accordo con quanto sostenuto dal notaio per quanto riguarda la costituzione della servitù per le ragioni che di seguito andiamo ad illustrare.

Occorre in primo luogo evidenziare i necessari requisiti perché possa aversi la costituzione di una servitù “per destinazione del padre di famiglia”.
A tal proposito, già lo stesso codice civile fornisce una prima risposta all’art. 1062 c.c. secondo cui “la destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù . Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.
La Corte di Cassazione con sentenza n.3806/2014 ha ribadito che per l'acquisto di detta servitù occorre "la sua apparenza, cioè l'esistenza di segni visibili rivelatori dell'esistenza della servitù”.
Sempre la Suprema Corte, con sentenza n.4214/2014 ha altresì specificato che: “non è rinvenibile una norma la quale richieda la permanenza della visibilità delle opere successivamente alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai fini dell'opponibilità della servitù stessa agli acquirenti del fondo servente. In tal senso si è espressa questa S.C.: "Con riguardo alla servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, non si richiede, ai fini della opponibilità del diritto ai successivi acquirenti del fondo servente, la permanenza del requisito della visibilità delle opere destinate all'esercizio della servitù, necessario per il sorgere del diritto" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7698 del 19/07/1999; Cass. n. 6678 del 30.03.2005)”
Ciò significa, appunto, che la necessità della visibilità delle opere è limitata soltanto al momento del sorgere del diritto.

Di recente (sentenza n.113/2017) la Corte di Cassazione ha altresì sottolineato che: “La costituzione di una servitù prediale per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1062 c.c., postula che le opere permanenti destinate al suo esercizio predisposte dall’unico proprietario preesistano al momento in cui il fondo viene diviso fra più proprietari. Deve trattarsi di opere stabili ed apparenti, in quanto la loro concreta consistenza, valutata all’atto della cessazione dell’appartenenza di due fondi all’unico proprietario, serve a rendere certi e manifesti il contenuto e le modalità di esercizio della servitù, essendo invece irrilevanti le successive modifiche di esse”.

In merito poi alle caratteristiche dell’apparenza, la Cassazione con sentenza n.14292/2017 (peraltro richiamata anche nel quesito) ha analizzato in punto di diritto se sia “configurabile come apparente la servitù relativa alla tubazione d'acqua che passa al di sotto dell'appartamento”.
A tal proposito, il giudice di legittimità ha concluso che “l'apparenza della servitù, senza la quale non è possibile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, si identifica, in definitiva, nell'oggettiva e permanente sussistenza di opere suscettibili di essere viste (anche se, in concreto, ignorate) che, per la loro struttura e consistenza, inequivobilcamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell'altro. […] A fronte di tali principi, appare, allora, evidente alla Corte come la tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che funge da fondo servente costituisca senz'altro un'opera oggettivamente visibile (sia pur occasionalmente: come, in effetti, il ricorrente ha confermato ammettendo di aver accertato l'esistenza della tubatura in occasione di lavori svolti nel suo appartamento), anche solo in parte, dal proprietario dello stesso, che, di fatto, inequivocabilmente (come, appunto, è il caso di una tubazione che trasporta acqua), rivela, per struttura e consistenza, l'onere che grava sull'appartamento servente a vantaggio dell'altro.”

Alla luce delle predette interpretazioni del giudice di legittimità e sulla base di quanto risulta dagli atti e da quanto specificato nel quesito, riteniamo possa ritenersi sussistente la costituzione della servitù ai sensi dell’art. 1062 c.c.
In primo luogo, l’esclusione per il blocco E riguarda solo la comproprietà delle parti comuni, ma non c’è una esclusione per quello che riguarda il diritto di servitù.
Infatti, a pag.16 del medesimo atto di permuta si legge che: “tutti i beni suddetti vengono permutati con tutti i loro usi, diritti, ragioni, servitù attive e passive che vi sono e come sono, e come dovranno effettuarsi a seguito della realizzazione di detto complesso edilizio”.
Si sarebbe potuta escludere se vi fosse stata una espressa volontà in tal senso che, però, appare mancante.
Ciò è ribadito anche nella sentenza di Cassazione n.3219 del 2014 la quale sottolinea che: “la servitù si intende costituita quando risulti l'esistenza di una o più opere visibili destinate stabilmente all'esercizio del passaggio dall'uno all'altro fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria”.
Nella presente vicenda, le opere visibili riteniamo possano essere “i contatori acqua e gas posti in una cassetta assieme a quelli condominiali” e anche “i tombini posti nel giardino complesso D e nel vialetto di accesso condominiale”.

Fermo quanto precede, circa l'eventuale atto ricognitivo suggerito dal notaio si sottolinea che esso non potrebbe comunque avere una efficacia sostanziale (cioè costitutiva del diritto). Infatti, come ha osservato la Suprema Corte con la sentenza n.10238/2013 "l'atto ricognitivo unilaterale di servitù, previsto con efficacia costitutiva dall'art. 634 c.c. abrogato, non è contemplato dal codice vigente, né vale a determinare quella presunzione di esistenza del diritto ricollegata alla ricognizione del debito dall'art. 1988 c.c., essendo questa norma inapplicabile ai diritti reali; né lo stesso può configurare un atto di ricognizione con gli effetti di cui all'art. 2720 c.c. in ipotesi di preteso acquisto della servitù per usucapione o in alternativa per destinazione del padre di famiglia, giacché in tali casi fa difetto il titolo costituito dal documento precedente di cui si prova l'esistenza ed il contenuto mediante il riconoscimento." Insomma, un atto ricognitivo potrebbe essere utile sul piano processuale ma non sostanziale.

Ciò precisato, si ritiene comunque non condivisibile la Sua ipotesi relativa alla “clausola condizionale” dal momento che non può parlarsi di condizione nel senso previsto dall’art. 1353 c.c. non potendo qualificarsi il diritto di servitù nella presente vicenda dipendente da un “avvenimento futuro ed incerto”.
Da ultimo, quanto all’aspetto da Lei supposto dell’esistenza di un condominio di fatto riteniamo che sia una argomentazione corretta ma non necessaria nella presente vicenda nella quale riteniamo possa ritenersi costituita la servitù ai sensi dell'art. 1062 c.c. come sopra evidenziato.

Ilaria O. chiede
giovedì 24/05/2018 - Lombardia
“Buongiorno,

ho un problema legale legato al condominio.
Si tratta di una ala di condominio di 4 piani che un tempo apparteneva tutto ad una unica famiglia (mia madre), composto da 4 appartamenti e connesso con un'altra ala di condominio di 6 piani

Poi da più di 10 anni due degli appartamenti sono stati venduti ad altri.

Il problema riguarda l'autoclave che portava acqua ai 4 appartamenti. Questa autoclave era posizionata all'interno di una nostra cantina (quindi nella nostra proprietà) (Gli appartamenti dell'altra ala del condominio hanno un'autoclave diversa)

Un tecnico, probabilmente della società che gestisce l'acquedotto, in seguito a dei lavori forse sul contatore (anch'esso inserito nella nostra proprietà anche se serviva tutti e 4 gli appartamenti) ha tolto l'autoclave asserendo che non serviva più. Mia zia, presente al momento dei lavori poiché ha aperto la cantina per poterli far eseguire, non ha obiettato niente.

L'autoclave è stata così tolta e lasciata nell'area comune delle cantine per un certo periodo di tempo.

Successivamente mia zia ha chiamato la discarica per farla buttar via, convinta che l'autoclave fosse nostra poiché in origine tutti gli appartamenti erano nostri.

Ora i condomini (quello del 3° piano in particolare) ci accusano di furto dell'autoclave che sostengono esser stata del condominio e pretendono che paghiamo una autoclave nuova.

Vorrei sapere se possono effettivamente avanzare questa pretesa considerando che:

- l'amministratore del condominio non ha più la fattura di acquisto dell'autoclave

- un tempo anche il contatore era intestato alla mia famiglia e dovevamo andare a chiedere i soldi dell'acqua agli altri 2 condomini. Solo successivamente è stata modificata l'intestazione del contatore da noi al condominio ma non si sa in che anno
- nessuno ha la certezza di quando sia stata rimossa l'autoclave e da chi (tecnico dell'acquedotto o tecnico venuto per sistemare la pompa?)

- purtroppo la società che gestisce l'acqua è cambiata e quindi non è possibile risalire ai lavori che hanno eseguito. In teoria non potrebbero eseguire lavori su componenti successivi al contatore

- l'unico dato che ci ha fornito la società dell'acqua è che gli ultimi lavori eseguiti sul contatore risalgono al 2011, quando probabilmente hanno rimosso l'autoclave anche se non si ha la certezza

- non c'è nessuno scritto che ci affida la custodia dell'autoclave

- non si sa quando e da chi è stata comprata l'autoclave (certamente da più di 10 anni)

- l'acqua c'è e arriva bene fino all'ultimo piano (ancora nostro). Tutto questo disguido nasce dal fatto che l'inquilino del 3° piano dice di avere poca acqua ma l'inquilino precedente non aveva problemi

- l'eventuale incauta custodia dovrebbe essere prescritta visto che è da più di 10 anni che l'autoclave è stata comprata

Fermo restando che comunque sia mia zia ha agito in buona fede e comunque non c'era presente nessuno oltre a lei quando è stata rimossa l'autoclave, purtroppo non ha chiamato l'amministratore quando è stata tolta e l'amministratore del condominio non ha mai chiesto di venire a vedere l'autoclave


Vi sarei grata se poteste darmi un consiglio di come procedere, se hanno ragione di voler l'autoclave nuova



Consulenza legale i 29/05/2018
Per offrire una risposta soddisfacente al quesito posto è innanzitutto opportuno domandarsi se l’autoclave potesse considerarsi un bene condominiale, e se la sua rimozione abbia effettivamente comportato un danno agli impianti del palazzo, per poi chiedersi se il comportamento tenuto dalla zia della lettrice integri effettivamente il reato di furto.
Ci dice il quesito che inizialmente gli appartamenti ricompresi nell’ala del palazzo in cui sono avvenuti gli avvenimenti narrati, appartenevano in origine ad un unico proprietario, per poi due di essi essere venduti ad estranei. Nel momento in cui è avvenuta la vendita a terzi in quell’area del palazzo si è posto in essere un condominio ai sensi della normativa del codice civile.

Nel momento in cui il condominio è sorto, l’autoclave, originariamente di proprietà dell’unico proprietario degli appartamenti, ha assunto natura di bene comune condominiale, in quanto, analizzando quanto riportato nel quesito, riteniamo che si sia costituita per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 del c.c., un diritto di servitù condominiale gravante sulla cantina dell’originario unico proprietario dell’area condominiale, a favore delle altre unità abitative. L’ autoclave è divenuto, appunto, il mezzo meccanico attraverso la quale veniva esercitata detta servitù.
La servitù viene definita dall’art. 1027 del c.c. come un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a un diverso proprietario. Si realizza, in altri termini, con tale diritto reale un rapporto di accessorietà tra due fondi appartenenti a diversi proprietari, in forza del quale su un fondo, detto servente, viene posto un peso che ne limita il godimento da parte del suo proprietario, a favore di un altro fondo, detto dominante, appartenente ad un diverso soggetto. Nel caso di specie il peso è rappresentato proprio dal fatto che l’autoclave era installata in una cantina in proprietà esclusiva ad un condomino; l’utilità, invece, è rappresentata dal vantaggio che traevano gli abitanti degli appartamenti del piano superiore dalla attività di pompaggio dell’acqua esercitato dal marchingegno.

Tra i vari modi in cui si possono costituire le servitù, viene in rilievo qui quello denominato "destinazione del padre di famiglia" ex art. 1062 del c.c.
Si ha la destinazione del padre di famiglia quando su due fondi, inizialmente appartenenti al medesimo proprietario, vengono poste in essere delle opere che di per sé costituirebbero una servitù andando a limitare il godimento di un fondo per il vantaggio di un altro. Il fatto, tuttavia, che vi sia un unico proprietario, impedisce che si possa costituire tra di essi una servitù; nel momento in cui, però, uno dei due fondi viene venduto ad un altro soggetto, ecco che la servitù si costituisce automaticamente, nei termini in cui le opere sono state realizzate dall’originario e allora unico proprietario.

Nel caso sottoposto al nostro esame l’originario e unico proprietario aveva installato dentro la propria cantina una autoclave, al fine di garantire alle unità abitative di sua proprietà dei piani più alti un corretto apporto di acqua. Nel momento in cui dette unità abitative vengono alienate a terzi, oltre a costituirsi il condominio nell’
edificio, si costituisce anche, per destinazione del padre di famiglia, una servitù condominiale a carico della cantina dove si trova l'autoclave e a favore delle altre unità abitative vendute; ciò ha comportato che l’autoclave sia divenuto da bene in proprietà esclusiva, bene condominiale ai sensi dell’art. 1117 del c.c.
Proprio per il fatto che vi è stata questa “trasformazione” della autoclave in bene comune condominiale, ogni lavoro sulla stessa, compresa la sua rimozione, doveva essere decisa dalla assemblea, ed in particolare dai condomini abitanti nell’area del palazzo in cui la stessa era installata. Motivo per cui riteniamo che, seppur fatto in buona fede, il gesto compiuto dalla zia dell'autrice del quesito, in assenza di una apposita delibera assembleare che autorizzasse la rimozione dell’autoclave, sia stato illegittimo, in quanto è andato a ledere i diritti degli altri condomini.

Quindi, nel caso in cui i condomini che si ritengono danneggiati adissero l’autorità giudiziaria al fine di vedersi ristorare dei danni causati dalla rimozione della autoclave, chi ha permesso detta rimozione potrebbe andare incontro ad una condanna. Solo però se emergesse dalla istruttoria processuale che la rimozione dell’autoclave abbia effettivamente danneggiato l’impianto idraulico dell’ala del palazzo, e vi fosse la necessità, a causa della rimozione dell’ impianto di pompaggio, di installarne uno nuovo. Ovviamente questo danno dovrebbe essere dimostrato attraverso una perizia tecnica effettuata da un esperto nominato dal giudice.

Dal punto di vista del diritto penale, non si ritiene che la condotta tenuta possa astrattamente configurare il reato di furto ex art624 del c.p. o del depenalizzato furto di cosa comune ex art. 627 c.p. Entrambe tali fattispecie, infatti, presuppongono che la condotta di sottrazione della cosa che caratterizza entrambi i citati reati ricadano su un bene mobile che non era nella disponibilità di chi compie il furto. Nel caso di specie, essendo l’autoclave installata all’interno della cantina, essa si trovava già nella disponibilità di chi viene accusato di tale reato.

Tuttalpiù, si potrebbe ipotizzare un reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., che si realizza quando: “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso…” A differenza del furto, infatti, l’appropriazione indebita, presuppone che il soggetto che pone in essere la condotta delittuosa abbia già il possesso e la disponibilità della cosa su cui la condotta ricade; condotta che consiste, appunto, nel far propria la cosa altrui di cui il reo abbia già il possesso e la disponibilità.

Tuttavia, anche questa ipotesi di reato parrebbe, sulla base di quanto riferito, priva di fondamento, in quanto la condotta tenuta non integrerebbe una appropriazione nel senso voluto dalla norma incriminatrice. L’ autoclave, infatti, dopo la sua rimozione, lungi dall’essere utilizzata per le finalità personali, è stata lasciata per giorni in stato di abbandono nelle aree comuni del palazzo. Non si ravvisa, inoltre, un altro elemento dell’art. 646 c.p: la finalità di realizzare per sé o per altri un ingiusto profitto. Chi ha acconsentito alla rimozione della autoclave credeva, al contrario, di migliorare l’impianto idraulico condominiale, e l’autoclave usata non è stata dallo stesso rivenduta per realizzare un profitto, ma buttata in una discarica.

Vanda P. chiede
mercoledì 17/08/2016 - Friuli-Venezia
“Io e la mia unica sorella abbiamo ereditato dai nostri genitori una casa. A mia sorella il piano terra ed a me il primo piano. La casa era servita, tutta, da un unico servizio idrico, con l'unico contatore posizionato sul terreno diventato di proprietà di mia sorella. A suo tempo avevamo fatto un atto notarile per stabilire le esatte proprietà tra le due eredi allorquando l'usufrutto di mia madre (sopravvissuta a mio padre) si sarebbe unito alla nuda proprietà di ciascuna di noi. Con detto atto notarile, tra l'altro, io mi impegnavo, nel caso di vendita della mia proprietà, a portare le utenze nuove nel mio terreno, cosa che ho fatto perché la mia proprietà dopo ristrutturazione è ora già in vendita. Riguardo l'utenza idrica ho portato tutte le tubazioni nuove che dal giardino con nuovo contatore vanno in casa, tagliando l'acqua di mia sorella come da atto notarile. La vecchia conduttura d'acqua arrivava al mio appartamento dal muro maestro della cucina e li il tubo è stato tranciato. La vecchia linea portava acqua fin alla veranda del mio piano sfociando in una fontanella per la presa d'acqua al servizio di una lavatrice. Questa fontanella è ora intercettata, giustamente, dall'acqua a me intestata ma, prima dei lavori, dalla fontanella della veranda posta al piano superiore scendeva un tubo per portare l'acqua anche al piano inferiore. Ora mia sorella sostiene che le ho tolto una servitù e che devo fare una linea nuova per ripristinare il servizio. Lei sostiene che devo intercettare il vecchio tubo che portava la sua acqua nel mio appartamento e con una linea nuova e parallela passando dalla cucina fare un foro nel muro maestro, arrivare in veranda, forare soffitto/pavimento e portare giù il servizio idrico della sua acqua. Tengo a precisare che nell'atto notarile io potevo usare la sua acqua finché non avessi venduto l'appartamento ma non c'è scritto che io devo fornire a lei la mia acqua. Quindi considerato che dalla fontanella e di conseguenza dal tubo che scendeva a fornire acqua nella veranda sottostante o era acqua mia o era acqua di mia sorella, perché dallo stesso tubo non possono passare acque diverse, ho tolto una servitù a mia sorella come sostiene lei oppure no? Se mia sorella avesse ragione dovrei fare la linea nuova e parallela che mi richiede? Grazie per la risposta.”
Consulenza legale i 23/08/2016
Dalla descrizione dello stato dei luoghi, sembrerebbero in effetti integrati tutti i presupposti di una servitù costituita “per destinazione del padre di famiglia”.
Questa fattispecie è disciplinata dall’art. 1062 del codice civile, che recita: “La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.
Va preliminarmente e doverosamente chiarito che quando si parla di servitù “prediali” – come quella in commento – si intende far riferimento a servitù costituite sia su terreni che su fabbricati edificati su terreni (come nel caso di specie).

Ciò chiarito, la citata servitù nasce, in pratica, sulla base della semplice esistenza dei presupposti di fatto descritti dalla norma, e ciò indipendentemente dall’intenzione del precedente proprietario di realizzare la servitù stessa.
Può trattarsi di due fondi distinti ma altresì (come nel caso di specie) di due porzioni di un unico fondo (fabbricato).

Ebbene, nella fattispecie in esame, originariamente la casa era servita da un unico impianto e, nello specifico, il tubo che dal giardino portava sino al piano di sopra dell’immobile, passando per il muro maestro, e terminando con la fontanella dii cui si discute, era di fatto a servizio sia del primo piano che del piano terra, essendoci un tubo di collegamento tra la predetta fontanella ed il piano inferiore.
Questo era lo stato di fatto dei luoghi, realizzato (o mantenuto tale) dal precedente titolare (genitori) per l’approvvigionamento idrico di entrambe le altezze del fabbricato.
Pare non possa esserci dubbio, pertanto, sul fatto che quando la proprietà dell’immobile è stata suddivisa tra le figlie, si è determinata una situazione di servitù per cui il piano inferiore ha continuato ad avvantaggiarsi della fontanella di cui al piano superiore.
Trattasi della cosiddetta servitù di “presa d’acqua continua” di cui all’art. 1080 cod. civ., la quale attribuisce al suo titolare il diritto di prelevare o derivare, mediante manufatti e/o opere idriche, l’acqua esistente nel fondo servente per condurla, in una determinata quantità, nel fondo dominante affinché possa essere ivi impiegata per i diversi usi (domestici e non) (Cass. Civ., sez. II, 6 luglio 1995 n. 7475).
E’ significativa per il caso di specie una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbastanza recente, che ben chiarisce i concetti sopra espressi: “ (…) I consolidati principi della Corte di legittimità in materia di servitù per destinazione del padre di famiglia sono i seguenti.
Detta servitù si intende stabilita "ope legis" per il fatto che al momento della separazione dei fondi - o del frazionamento dell'unico fondo, come nella specie - lo stato dei luoghi sia stato posto o lasciato per opere o segni manifesti ed inequivoci ed univoci - nel che si concreta l'indispensabile requisito dell'apparenza - in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri "de facto" il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell'unico proprietario nel determinarla o nel mantenerla.
Conseguentemente il requisito della subordinazione deve essere ricercato non già nell'intenzione del proprietario del fondo, bensì nella natura delle opere oggettivamente considerate, in quanto nel loro uso normale determinino il permanente assoggettamento del fondo vicino all'onere proprio della servitù (Cass. 12197 del 1997).
Perciò, in tema di servitù di presa d'acqua, deve ritenersi predicabile, ai sensi dell'art. 1062 c.c., la costituzione per destinazione del padre di famiglia tutte le volte in cui l'originario unico proprietario, imprimendo un'oggettiva situazione di subordinazione o di servizio tra i fondi, abbia collocato in quello servente delle tubazioni per la conduzione dell'acqua che, fuoriuscendo dalla fonte - o dallo sbocco - ed essendo idonee ad irrigare il fondo dominante nel quale confluiscono, siano non soltanto visibili, ma anche stabilmente destinate a soddisfare le esigenze idriche del secondo (Cass. 14654 del 2007).
Il requisito dell'apparenza, indispensabile ai sensi dell'art. 1061 c.c. per l'acquisto della servitù per usucapione, comporta, nell'ipotesi che le opere visibili e permanenti necessarie all'esercizio della servitù stessa ricadano esclusivamente sul fondo servente - come nella specie - al quale servono o possono servire, la presenza di un segno di raccordo, non necessariamente fisico, ma almeno funzionale, delle opere con il fondo dominante in modo che risulti con chiarezza che quelle esistono anche in funzione dell'utilità di questo (Cass. 21597 del 2007). (…)” (Cassazione civile, sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2949).
Per rispondere al quesito, dunque, alla luce di quanto chiarito nella citata sentenza, è giuridicamente fondata non solo l’affermazione della sorella circa l’esistenza di una servitù, ma altresì la sua pretesa di continuare ad esercitarla.
Inoltre, le spese per il rispristino dello stato di fatto dei luoghi esistente prima che la proprietaria del piano di sopra tranciasse il tubo di raccordo della sorella, saranno, proprio a motivo di quest’ultimo illegittimo (per se in buona fede) intervento, a carico della sola proprietaria del fondo servente.

Sotto questo profilo, infatti, la giurisprudenza è chiara ed univoca: “Il titolare del fondo dominante deve eseguire a proprie cure e spese le opere necessarie per conservare la servitù, salvo che la situazione dei luoghi sia stata alterata da manomissioni con innovazioni compiute dal proprietario del fondo servente.” (Cassazione civile, sez. II, 08 marzo 1984, n. 1631, per tutte).
Ad avviso di chi scrive, in ogni caso, il tipo di intervento da effettuarsi non dovrà necessariamente essere quello imposto dalla sorella: a tal proposito, si potrà interpellare un tecnico che esamini lo stato dei luoghi e suggerisca il ripristino della situazione precedente con il minor aggravio di spese e di “danno” a carico della proprietà servente. SI noti bene, però, che qualsiasi modifica della servitù (modalità e tempi di esercizio) dovrà sempre, per legge, essere fatta su accordo delle parti.

Da ultimo, si precisa, per correttezza, che per offrire un parere realmente completo sarebbe necessario visionare il contenuto dell’atto notarile al fine di capire quali siano, nello specifico, gli obblighi assunti dalle parti in ordine alla proprietà ed alle modifiche dell’impianto idrico esistente.

GianP. G. chiede
mercoledì 10/06/2015 - Emilia-Romagna
“la mia casa è stata costruita al piano terra, in epoca 1930, poi ampliata nel tempo, con 1 primo piano.
Non so esattamente gli anni dell' ampliamento, perché io vivo in questa casa dal 1979, e la casa era già come è adesso.
Mi risulta che un Regio Decreto del 1936, escluda le costruzioni, fatte prima di quella data 1936, dal fatto di avere l'obbligo della Agibilità o Abitabilità.
il problema è il seguente: la mia casa, ha l'obbligo di chiedere questa agibilità, o posso tranquillamente rispondere al Comune, che io sono in regola così come sto. Senza il certificato di agibilità?
Se dovessi avere ragione, avrei piacere eventualmente di leggere anche qualche sentenza della Cassazione.”
Consulenza legale i 29/06/2015
Il certificato di ”agibilità” è oggi previsto dall'art. 24 del D.P.R. n. 380/2001. Sono state abrogate le precedenti fonti (Testo Unico delle Leggi Sanitarie, r.d. n. 1265/1934, D.P.R. n. 425/1994), riconducendo ad unum la doppia terminologia abitabilità – agibilità.
I primi due commi dell'articolo recitano:

"1. Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.
2. Il certificato di agibilità viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi:
a) nuove costruzioni;
b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1
".

Inoltre, è importante ricordare l'art. 40 della legge n. 47 del 1985, il quale dispone che: " [...] Per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo [...] attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al [...]".

In relazione ad edifici di vecchia datazione, si devono pertanto distinguere:
a) vecchie costruzioni per le quali non è mai avvenuto alcun intervento edilizio (costruzioni ante e post 1967, mai modificate);
b) vecchie costruzioni per le quali si è compiuto un intervento edilizio di modifica.

Per le costruzioni di cui al punto a), che non abbiano subito al 30 giugno 2003 - data di entrata in vigore della riforma - alcuno degli interventi indicati nelle lettere b) e c) dell'art. 24, secondo comma del D.P.R. 380, il legislatore ha escluso la richiesta del certificato di agibilità.

Nel caso b), il terzo comma dell'art. 24 dice che il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa, sono tenuti a chiedere il rilascio del certificato di agibilità.
Come si può notare, sono menzionati anche gli "aventi causa", cioè, in altre parole, i soggetti che hanno acquistato la titolarità dell'immobile successivamente, di norma per averlo acquistato dal vecchio proprietario.

La sanzione per la mancata presentazione della domanda di agibilità ha oggi natura solo amministrativa: si tratta di una sanzione pecuniaria da 77 a 464 euro.

Gianpaolo G. chiede
martedì 12/05/2015 - Emilia-Romagna
“Dal lato numeri dispari della strada, c'è una collina, l'acqua piovana che scende dalla collina (fondo superiore) trasborda il fosso lato strada, attraversa la strada e arriva un mare di acqua a casa mia (mi sono allagato casa più volte). Io abito lato numeri pari che è un fondo inferiore. Mi allago perché sul lato "collina" i proprietari hanno tombinato i fossi con dei tubi (per crearsi dei passaggi carrabili), di diametro troppo piccolo, anche il fosso in questione è troppo piccolo; un proprietario addirittura ha chiuso il fosso con una soletta in cemento lunga diversi metri.
Credo che questo stillicidio delle acque non mi spetti. Come posso fare in base a quale legge (ordinanza del Giudice, del Sindaco?), posso imporre ai proprietari di tombinare i passaggi carrabili con tubi più grandi, e fare allargare il fosso? e far togliere la soletta in cemento. O posso fare intervenire il Comune, la Protezione Civile o quant'altro?”
Consulenza legale i 20/05/2015
Come sancito dall'art. 913 del c.c., il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo: il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo.

Tuttavia, l'articolo specifica un divieto molto importante: il proprietario del fondo superiore non può rendere lo scolo più gravoso.

Pertanto, nel caso esposto, si profila con una certa evidenza il diritto del proprietario del fondo inferiore a pretendere che il vicino non mantenga in essere opere che aggravino la discesa dell'acqua dalla collina.

Quali le soluzioni dal punto di vista processuale?
L'azione per impedire l'aggravamento della soggezione allo scolo delle acque dal fondo superiore compete al proprietario del fondo inferiore, al fine di ottenere la rimozione delle opere realizzate sul fondo altrui e il ripristino della situazione precedente.

La Cassazione ha in più occasioni affrontato questo tema. Con sentenza n. 10039 del 2000
ha sancito che "L'art. 913 c.c. impone al proprietario del fondo superiore l'obbligo negativo consistente nel divieto di ogni manufatto che modifichi il deflusso naturale delle acque e correlativamente legittima il proprietario e il titolare di altri diritti sul fondo inferiore ad agire per il ripristino dello stato naturale del luoghi".
Ha, inoltre, specificato che non sono vietate tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma "soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell'uno o dell'altro fondo" (Cass. civ., n. 13301/2002): un aggravamento molto sensibile del deflusso delle acque sembra essersi verificato nel caso in esame.

Quanto alla natura dell'azione in commento, secondo la giurisprudenza di legittimità si tratterebbe di actio negatoria servitutis, che è l'azione avente ad oggetto l'accertamento giudiziale dell'inesistenza dei diritti affermati da altri sul bene che è oggetto del diritto dell'attore o la cessazione di turbative o molestie che altri arrechi al suo diritto (art. 949 del c.c.). In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione del 17.2.1981, n. 959, ha statuito che "L'azione per l'osservanza della limitazione legale della proprietà prevista dall'art. 913 c.c. per lo scolo delle acque [...] si sostanzia in un'actio negatoria di servitù di scolo".
L'azione può essere proposta in qualsiasi momento (è imprescrittibile) davanti al giudice ordinario (Tribunale del luogo dove è posto l'immobile, art. 21 c.p.c.): vanno convenuti in giudizio tutti i proprietari del terreno superiore, in quanto si ritiene che si versi in una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Si consideri anche la possibilità di intentare una più rapida azione di tutela immediata contro il pericolo di allagamento, quale la denuncia di nuova opera, da cui si abbia ragione di temere possa derivare un grave danno (art. 1171 del c.c.. Attenzione però, l'azione può esperirsi solo entro un anno dal compimento dell'opera di tombinatura. Oppure si può fare ricorso alla denuncia di danno temuto, con cui si chiede al giudice di provvedere urgentemente ad ovviare il pericolo che incombe su una propria cosa, che deriva da un edificio o qualsiasi altra cosa posta su un fondo altrui.

Da un punto di vista amministrativo, si dovrà accertare la proprietà dei fossi tombinati e l'esistenza delle relative autorizzazioni alla tombinatura, previste solitamente dai Regolamenti edilizi comunali (ci si può rivolgere al preposto tecnico comunale per ottenere le informazioni riguardanti il proprio Comune). Di norma, sono previste delle sanzioni amministrative in caso di violazione del Regolamento.

Gianpaolo G. chiede
sabato 02/05/2015 - Emilia-Romagna
“ho acquistato una casa in campagna, negli anni 80. l'accesso alla mia casa sia pedonale che con auto è sempre avvenuto tramite una stradina vicinale comunale. nel 2011 il comune decide di declassare la stradina con affissione ad opponendum, nessuno si è opposto. dunque la stradina è diventata privata, metà ciascuno metà mia, metà del mio vicino.
domanda: può il mio vicino chiedere di separare la stradina in 2 parti,i o in quel caso non potrei più entrare in casa mia, non ho acquisito una sorta di servitù di passaggio in tutti questi anni?”
Consulenza legale i 12/05/2015
La vicenda prospettata sembra configurare un tipico caso di costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'art. 1062 del c.c.
La norma dice "La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati".

In altre parole, quando si ha un fondo unico, di proprietà di un soggetto, e tale fondo venga poi diviso tra diversi soggetti, se esisteva una situazione tale da cui si poteva evincere l'esistenza di una servitù, questa servitù rimane anche dopo la divisione dell'immobile.
La destinazione del padre di famiglia è un modo di acquisto della servitù a titolo derivativo, che ha fonte in un mero fatto giuridico: la divisione del fondo.

La legge specifica, inoltre, che per aversi tale modalità di nascita della servitù, deve trattarsi di servitù "apparente" (art. 1061 del c.c.): ciò significa che devono esistere sul fondo opere inequivocabilmente strumentali all'esercizio della servitù.
L'art. 1062, in particolare, parla di "cose poste o lasciate" in uno "stato dal quale risulta la servitù": il legislatore si riferisce proprio alle opere visibili e permanenti, rivelatrici dell'esistenza di un peso a carico del fondo in funzione dell'utilità dell'altro, la cui esistenza consente di qualificare una servitù come apparente.
Affinché sia acquistata la servitù, è necessario che tali opere esistano già quando i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario.

Nel caso di specie, ci sembra che tutti i requisiti di legge siano presenti:
- il fondo, cioè la strada comunale, apparteneva ad unico proprietario (il comune);
- nel 2011 la strada è stata suddivisa tra due diversi proprietari;
- è sempre esistita la strada che consente l'accesso alle abitazione dei due vicini di casa.
Quindi, ci sembra che possa dirsi sorta la servitù di passaggio a favore di entrambi i proprietari: nessuno dei due può impedire all'altro di esercitarla, con le modalità espletate da sempre.

Anche la giurisprudenza appare di questo avviso. Ad esempio, con sentenza del 12.2.2014, n.3219, la Corte di cassazione ha stabilito: "La costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario, siano stati posti dallo stesso in una situazione di subordinazione dell'uno rispetto all'altro idonea a integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all'atto della separazione, sia mancata una manifestazione di volontà tale da escludere la preesistente relazione di sottoposizione di un fondo all'altro e risultino segni visibili concretantisi in opere permanenti necessarie per l'esercizio di una servitù e rivelatrici pertanto della sua esistenza; in particolare nel caso di servitù di passaggio, la servitù si intende costituita quando risulti l'esistenza di una o più opere visibili destinate stabilmente all'esercizio del passaggio dall'uno all'altro fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria al mantenimento del passaggio come fin a quel momento esercitato dall'unico proprietario".

Franco D. chiede
venerdì 19/07/2024
“Nell’androne del condominio A c’è una nicchia con un contatore dell’acqua generale che serve i condominii A e B, il contratto della fornitura è intestata al condominio B da oltre 40 anni, poiché è subentrata scarsità di acqua per la moltiplicazione dei B&B, i condomini di A vorrebbero il condominio B facesse una nicchia con relativo contatore nel loro androne, rimanendo il contatore attuale solo a disposizione di A. Si precisa che il condominio B non ha mai pagato alcuna somma a favore dell’uso dell’androne di A e anticamente entrambi i condomini erano di un unico proprietario, i due edifici sono contigui ma hanno accesso su differenti strade, e infine il condominio B ( 18 unità immobiliari) ha la presa d’acqua più in basso di A (11 unità immobiliari), e ciò provoca cadute di pressione dell’acqua ad A, che quindi talvoltà rimane senza l’erogazione.
Quesito: alla luce dei fatti esposti il condominio A ha diritto di richiedere, anche giudizialmente, se necessario, al condominio B di lasciare libero l’androne di A e costringerlo a farsi un proprio impianto idrico nel proprio androne?”
Consulenza legale i 23/07/2024
A parere di chi scrive vi sono diversi ostacoli che si frappongono alle richieste dei condomini dell’edificio A.

Innanzitutto, la fornitura idrica pare possa considerarsi come un servizio supercondominiale tra i due edifici A e B: l’art.1119 del c.c. prevede che i beni e i servizi supercondominiali non possano essere divisi, salvo che la divisione non possa farsi senza rendere più incomodo l’uso del bene comune e in ogni caso ottenendo il consenso di tutti i partecipanti al condominio. In altre parole, ai sensi della norma in esame, per ottenere la divisione dell’impianto idrico comune ai due palazzi sarebbe necessario ottenere il consenso di tutti i proprietari che compongono i condomini A e B: certamente, quindi, un palazzo non può costringere l’altro a dividere. Se tecnicamente possibile, nulla vieta che il palazzo B decida di non utilizzare più l’impianto idrico in comune con l’edificio A e proceda ad installare un contatore autonomo all’interno del suo edificio, posando le relative tubature: questa, tuttavia, è una scelta che deve essere presa in assoluta autonomia dai proprietari del palazzo B nell’ambito della propria assemblea condominiale.

Visto che i due palazzi un tempo sono appartenuti al medesimo proprietario, in un ipotetico giudizio si potrebbe sostenere, inoltre, che tra i due edifici si sia costituita ai sensi dell’art.1062 del c.c. una servitù per destinazione del padre di famiglia, a carico del palazzo A (fondo servente) e a favore del palazzo B (fondo dominante). Orbene, ai sensi del successivo art. 1068 del c.c. il proprietario del fondo servente, quindi in questo caso i condomini dell’edificio A, non possono trasferire l’esercizio della servitù in un luogo diverso da quello originariamente stabilito, a meno che non si provi che l’esercizio della servitù sia divenuto per loro più gravoso. Tuttavia, in questo secondo caso, non possono pretendere che il condominio B si faccia il proprio contatore all’ interno del loro palazzo, ma devono offrire a tale condominio un altro luogo all’interno del palazzo A che garantisca un luogo altrettanto comodo per l’esercizio della servitù.

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