Semplificazione apportata dal nuovo codice circa la classificazione dei beni. L'iniziativa della Commissione reale per la riforma dei codici
Il nuovo codice in tema di distinzione dei beni ha semplificato notevolmente rispetto al precedente. L'iniziativa fu presa dalla Commissione reale, che l'illustrò brevemente nella sua relazione, della quale si riportano alcuni periodi.
La relazione accenna alla profonda semplificazione della nuova disciplina rispetto a quella del codice del 1865 e afferma: « Quanto alla distinzione fra cose mobili e immobili, il progetto la riconduce al suo senso naturalistico, abbandonando quel triplice criterio di raggruppamento (natura, destinazione, determinazione di legge) che era a volta artificioso, a volta erroneo: così è artificioso il criterio della destinazione (relitto di antiche coutumes francesi) poiché inserisce nel nostro ordinamento la funzione della immobilizzazione, che non solo non è necessaria ed è fonte di gravi controversie, ma è contraria alla nostra tradizione romanistica; è d'altra parte erroneo il criterio della determinazione per legge, in quanto i diritti per sé non sono né mobili né immobili ed è causa di grave equivoco considerarli mobili o immobili secondo la natura del loro oggetto. L'art. 4, ricomprendendo sotto un'unica norma i vari articoli che i1 codice vigente dedica alle cose immobili (articoli 407-415), ne dà una nozione più organica. Prendendo in esame il citato art. 4, é da notarsi che, a stretto rigore, immobile sarebbe soltanto il suolo: ma il progetto comprende ed identifica con la terra tutte le cose (sorgenti e corsi d'acqua, piantagioni e costruzioni) che naturalmente o artificialmente fanno corpo con essa. Cosicché immobili sono tutte le cose che nel suolo si contengono o vi aderiscono, mobili tutte le altre; la classificazione si affida ad un rigoroso criterio naturalistico, sopprimendo ogni equivoca ed arbitraria suddivisione tra le cose che sono immobili per se stanti e le cose che lo sono perché reputate tali per legge. Discutibile potrebbe apparire il carattere immobiliare attribuito alle costruzioni unite al suolo “anche a scopo transitorio”; ma se si considera che la temporaneità o perpetuità di una costruzione si affida ad un criterio puramente intenzionale molte volte incerto, si deve ritenere più corretta l'opinione accolta nel progetto, che del resto è quella che ha maggior seguito in giurisprudenza e in dottrina: così ad esempio i padiglioni di una esposizione o le baracche di isolamento per malattie infettive o i chioschi di vendita, purché uniti al suolo e facenti corpo con esso sono immobili, pur essendo destinati fin dall'origine all'abbattimento e alla rimozione; lo stesso è a dirsi per le piantine dei vivai, per gli alberi che sono destinati ad essere sradicati e trapiantati altrove. Ogni costruzione o piantagione, insomma, finché dura l'incorporazione o la sua inerenza al suolo, ha carattere immobiliare; a questo scopo è indifferente se l'unione sia stata operata dal proprietario o dal terzo. Il progetto ha implicitamente seguito lo stesso criterio per i mulini ed altri edifici galleggianti, non richiedendosi che il galleggiante e la fabbrica posta sulla riva, a cui esso è saldamente assicurato, appartengano alla stessa persona ».
Per meglio illustrare la semplificazione apportata, la Relazione aggiunge: « Il progetto ha soppresso gli articoli 421 e 424 codice civile. Com'è noto, in questi articoli il legislatore italiano, sull'esempio del codice Napoleonico e dell'Albertino, ha voluto tradurre in altrettante presunzioni juris tantum di carattere interpretativo gli insegnamenti già formulati nella dottrina classica in ordine alle gravi questioni che si agitano sul significato delle espressioni “beni o effetti mobili”, “sostanza mobile”, “mobili”, “mobilia”, “mobiliare”, “casa mobiliata”, “casa con tutto quello che vi si trova”, usate nella disposizione della legge o dell'uomo (contratti e testamenti). L'esperienza ha però dimostrato che invece di risolvere ogni possibile controversia gli articoli 421-424 le hanno in maggior numero suscitate. Di qui l'opportunità di sopprimere tale formulario ufficiale di regole interptetative e restituire al giudice la funzione di risolvere ogni dubbio con i mezzi di comune interpretazione ».
Distinzione fra i beni che sono immobili e quelli che si reputano immobili. La concezione legislativa nella relazione al Re Imperatore
Il nuovo codice ha accolto la citata proposta di semplificazione, ma ha al tempo stesso introdotto una distinzione fra beni che sono immobili e beni che si reputano immobili. Nei primi sono compresi gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio; fra nei secondi i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, saldamente assicurati alla riva o all'alveo e destinati ad esserlo in modo permanente.
Il pensiero del Ministro è così espresso nella relazione al Re: «
L'art. 812 c.c., comprendendo nel novero degli immobili tutto ciò che è naturalmente o artificialmente incorporato al suolo, attribuisce alle costruzioni carattere immobiliare, anche se unite al suolo a scopo transitorio. Sono pure dall'art. 812 c.c. considerati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Il nuovo codice più non richiede, a differenza del vecchio codice (art. 409), che sulla riva si trovi una fabbrica espressamente destinata al servizio del galleggiante. Mi è sembrata eccessiva questa ulteriore condizione, dato che il testo esige, agli effetti della immobilizzazione, che il galleggiante sia destinato in modo permanente, e non soltanto transitorio, a rimanere saldamente attaccato alla riva o all'alveo. La condizione aveva invece la sua ragion d'essere nel vecchio codice, giacché, non facendo questo cenno del carattere permanente di tale destinazione, ne sarebbe altrimenti derivato che anche i galleggianti provvisoriamente attaccati alla riva avrebbero assunto la qualità d'immobili. La categoria dei beni mobili è dall'ultimo comma dell'art. 812 determinata in via di esclusione; sono mobili, sempre che possano formare oggetto di proprietà pubblica o privata, tutti i beni che non è dato ricondurre nella categoria degli immobili. Beni mobili si considerano anche le energie naturali che hanno un valore economico (art. 814). Non ho riprodotto gli articoli da 421 a 424 del vecchio codice, i quali contenevano alcune norme circa l'interpretazione delle espressioni “beni mobili”, “effetti mobili”, “sostanza mobile”, “mobile”, “mobilia”, “mobiliare”, “casa mobiliata”, perché mi è sembrato preferibile lasciare al giudice di risolvere, secondo le regole generali di interpretAazione, i dubbi che nei singoli casi possono sorgere dall'uso di tali espressioni ».
Il concetto naturalistico come base della distinzione fra beni mobili ed immobili. Esso, tuttavia, ha carattere finalistico, che spiega le eccezioni al criterio di distinzione. Spiegazione storica della distinzione. Il bene mobile nell'economia moderna
La distinzione tra beni immobili e beni mobili è stata dunque ispirata dal criterio naturalistico: infatti sono considerati beni immobili le cose che per loro natura non si possono trasportare da un luogo ad un altro senza alterarne la consistenza; quelli mobili, invece, quelli che si possono trasportare senza tali conseguenze.
Questa classificazione eminentemente pratica, quasi materialistica, non avrebbe senso di esistere se non determinasse due distinti regimi giuridici, ciascuno adatto ad una categoria. Perciò il codice del 1865 e in generale tutti quelli ispirati al codice Napoleone presentano una grande attenzione e ricchezza di disposizioni nell'assegnare un bene alla categoria dei mobili o degli immobili, caratteristica che invece l'odierno codice civile non ha riprodotto. L'attuale disposizione, infatti, pur basandosi su un criterio naturalistico (e osservandolo sempre che corrisponda all'esigenze della vita pratica del diritto), ha principalmente un carattere finalistico.
Storicamente tale distinzione trova il suo fondamento nel diritto romano, che conosceva le res mancipi e le res nec mancipi: fra le prime erano ricompresi i fondi situati in suolo italico, fra le seconde le cose mobili. Il valore e l'importanza delle prime erano di gran lunga superiori rispetto alle altre, tanto che si affermava res mobilis, res vilis, e tale concezione perdurò per molti anni, tanto che una dottrina economica, che ha avuto grande riscontro, affermava a sua volta che la terra fosse l'unica o almeno la principale fonte di ricchezza.
La menzionata tradizione romana e la citata dottrina economica furono accolte dal codice Napoleone e si diffusero anche in molti codici moderni. Ma la molteplicità e ricchezza dei traffici, moderni, l'attività industriale, l'urgenza delle materie prime, la creazione dei titoli di credito, l'ingente valore rappresentato dalle azioni delle società anonime, in una parola l'entità del moderno patrimonio mobiliare, misero in evidenza l'inattualità di tale distinzione. Quest'ultima si è oggi conservata solamente per aiutare a capire quali beni vanno assoggettati all'uno o all'altro regime, ma non certamente per la superiorità di una categoria rispetto all'altra.
Elencazione dei beni immobili per natura dell'art. 812. Carattere non tassativo. I beni uniti al suolo non stabilmente. I beni reputati immobili
L'art. 812 c.c. contiene una elencazione di beni immobili, a partire dal principale, il suolo, che conferisce la propria natura immobiliare a tutto ciò che naturalmente o artificialmente viene incorporato in esso, come le sorgenti, i corsi di acqua, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio. L'elencazione non è tassativa.
Si noti che l'articolo non afferma “I beni immobili sono ecc.”, ma “Sono beni immobili ecc.”: del resto, l'ultima frase del primo comma “ed in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo” toglie ogni dubbio. Devono perciò considerarsi beni immobili gli alberi, i frutti della terra e degli alberi non ancora raccolti o separati dal suolo (art. 411 c.c. del 1865), o i serbatoi (art. 412 c.c. del 1865).
Sotto un certo aspetto la categoria degli immobili del nuovo codice risulta più ampia di quella presente nel precedente codice, perché non esige che i beni indicati nell'art. 812 e gli altri che hanno analoga natura siano uniti stabilmente al suolo, ma basta che lo siano anche a scopo transitorio, come i chioschi che sorgono sul suolo pubblico con concessione amministrativa limitata nel tempo purché infissi sul terreno, gli edifici di una esposizione, ecc.
Va però evidenziato che ciascuno dei beni che secondo il codice del 1865 andava considerato autonomamente per la sua iscrizione all'una o all'altra categoria, col nuovo codice, che ha introdotto l'istituto delle pertinenze, può essere classificato come pertinenza, alla luce della forza attrattiva ed unitaria dell'istituto.
Un allargamento della categoria dei beni immobili si è avuto anche nella sottospecie di quelli che si reputano beni immobili, come dispone il secondo comma dell'art. 812. In effetti, il nuovo codice non esige, come quello del 1865, che i mulini, i bagni o gli edifici galleggianti siano attaccati ad una riva, sulla quale deve trovarsi « una fabbrica espressamente destinata al loro servizio ». Col codice del 1865 era questa fabbrica accessoria che conferiva la natura di bene immobile a quello principale; oggi invece con l'eliminazione di questa inesattezza logica i beni galleggianti reputati immobili sono pù numerosi. Occorre, tuttavia, come nel passato, che il titolare del bene galleggiante abbia il diritto di tenerlo in acqua.
Il capoverso dell'art. 812 aggiunge che l'unione alla riva o all'alveo per l'utilizzazione del galleggiante deve avere carattere permanente. Non è una novità, infatti anche nel codice del 1865 non si reputava immobile un qualsiasi galleggiante che per breve tempo fosse assicurato alla riva con gomene o catene, o, come si suol dire, fosse attraccato, ma è una precisazione oggi doppiamente necessaria, sia perché nella prima parte dell'art. 812 l'unione dell'edificio al suolo può essere anche a scopo transitorio, mentre qui lo si vuole permanente; e sia perché non è più richiesta l'esistenza di una fabbrica sulla riva espressamente destinata al servizio del galleggiante, ed ogni galleggiante ormeggiato avrebbe potuto considerarsi bene immobile, senza l'accennata condizione.
Sottodistinzione dei beni immobili per natura
Il precedente codice distingueva i beni immobili per natura in: a) immobili per loro natura propriamente detti; b) immobili per incorporazione; c) immobili per accessione. La distinzione si mantiene anche oggi ma, come per il passato, ha più che altro valore scolastico.
Nella prima sottospecie sono ricompresi il suolo, che è il principale bene immobile, e tutto ciò che ne fa parte per sua natura, come il sottosuolo, le sorgenti, i corsi di acqua, le miniere (articoli 21-22 R.D. 29 luglio 1927, n. 1443); o che è stato unito al suolo in modo da costituire con esso un bene unitario non più separabile, senza mutare la sua consistenza, come le fabbriche, i mulini e gli altri edifici su pilastri; o formanti parte di una fabbrica (art. 408 del codice abrogato); i canali che conducono le acque ad un fondo o ad un edificio (art. 412 del codice abrogato).
Nella seconda (immobili per incorporazione) sono compresi quei beni che, come indica l'espressione, fanno corpo con il suolo, come gli alberi, le piante, i frutti finché non vengono raccolti, le produzioni del suolo: essi si considerano una sola cosa con il suolo fino a che con acquistano una propria autonomia grazie alla separazione.
Dell'ultima sottospecie (immobili per accessione) fanno parte quei beni che non adereriscono al suolo in modo inscindibile, come gli edifici, ma che vengono uniti ad esso per il tramite di mezzi artificiali o, come si dice, esterni, quali catene, corde, ecc., tali per cui, eliminati questi, cessa il rapporto del bene con il suolo. Vi sono ricompresi i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti attaccati alla riva con uno dei mezzi ora accennati.
Immobili per destinazione o per determinazione di legge. Rinvio agli artt. 816 e 817 c.c.
Le altre classificazioni dei beni immobili, quali quelle per destinazione o per determinazione di legge, non saranno ora accennate. La prima è stata assorbita dall'istituto della pertinenza, di cui all'art.
817 c.c. cui si rimanda; la seconda sarà trattata nell'articolo seguente. Quanto ai beni mobili costituenti universalità l'odierno codice civile, innovando rispetto al codice abrogato, li contempla esplicitamente all'art.
art. 816 del c.c. c.c.
I beni mobili. L' amotio de loco ad locum. Le cose distaccate dall'edificio. I materiali della demolizione o raccolti per la ricostruzione
Il secondo capoverso dell'art. 812 afferma che sono mobili tutti gli altri beni. Sembra che la qualifica di mobili si debba riconoscere per esclusione, vale a dire escludendo che si tratti di immobili. In realtà vi è un metodo diretto di accertamento, che dipende dalla natura stessa dei beni, e che consiste nell'attitudine che gli stessi hanno di essere trasportati da un luogo ad un altro senza che se ne alteri la sostanza o la forma.
Questa amotio de loco ad locum è la loro principale caratteristica, sufficiente per la loro classificazione, tranne per le eccezioni stabilite dalla legge. Non ha importanza se il trasferimento ha luogo per forza interna della stessa cosa o per impulso meccanico esterno, nè rilevano la gravità dello sforzo da compiere e le difficoltà del trasporto. La distinzione romanistica di cose animate e non animate (mobilia et semoventes) non viene più presa in considerazione dall'odierno codice.
Le cose che si staccano da un bene immobile (ruta coesa) si considerano mobili, ma il distacco dev'essere tale che la cosa separata acquisti una sua autonomia, vale a dire che non debba essere rimessa a posto e nuovamente incorporata. Quindi la separazione casuale o momentanea di qualche parte dell'immobile, per effetto di vetustà o per bisogno di riparazione o per altro motivo, che comporti il ripristino della cosa distaccata, non fa acquistare alla stessa la natura di bene mobile.
Il nuovo codice non ha riprodotto l'art. 420 del codice del 1865, in base al quale i materiali provenienti da demolizione o da un edificio o raccozzati per costruirne uno nuovo erano considerati mobili sino a che non venissero adoperati per la costruzione. Ciò, però, non significa che tale concetto sia stato eliminato. Al contrario, esso non è stato riprodotto poiché bastano i principi generali per classificare i materiali di demolizione e quelli raccolti per la nuova costruzione. Poiché l'immobile non esiste più, è naturale che i materiali che lo costituivano riacquistino la propria natura; e, al contrario, poiché i1 nuovo edificio non è ancora venuto ad esistenza, è naturale che i materiali che dovranno servire per la sua costruzione conservino la propria natura.
La Commissione reale aveva ritenuto preferibile l'opinione contraria limitatamente ai materiali in cantiere per la ricostruzione di un edificio, giacché la loro destinazione all'immobilizzazione e il loro progressivo collocamento nella fabbrica conferiva preventivamente ad essi il vero carattere che avrebbero assunto da un momento all'altro. Si trattava, pertanto, di immobili per anticipazione, come vi sono mobili per anticipazione, dei quali si parlerà a breve. Il nuovo codice non ha accolto questa eccezione al principio generale, e quindi il principio tradizionale, contenuto nell'art. 420 del codice abrogato, deve considerarsi valido ancora oggi.
I mobili per anticipazione
I beni mobili non hanno portato, neppure in dottrina, all'elaborazione di suddistinzioni, come invece è avvenuto per gli immobili, infatti l'unica categoria è quella dei mobili per natura.. Si riconosce generalmente l'esistenza dei mobili per disposizione di legge, di cui all'art.
815 c.c., e dei beni mobili per anticipazione, di cui adesso si tratterà. Sono considerati tali i prodotti del suolo ed in particolare i frutti degli alberi, che prima del distacco dal suolo o dall'albero vengono considerati come mobili, poiché di essi si può disporre come di una cosa mobile futura. Ciò si ricava in modo espresso dall'art.
1472 c.c.
La soppressione degli articoli 421-424 del codice del 1865. Conseguenze
Il nuovo codice non ha neppure riprodotto le disposizioni contenute negli articoli 421, 422, 423 e 424 del codice abrogato, che cercavano di spiegare il contenuto delle espressioni “beni mobili”, “effetti mobili”, “sostanza mobile”, oppure della parola “mobili”, “mobilia” o “mobiliare”, o infine delle espressioni “casa mobiliata”, “casa con tutto quello che vi si trova”.
In ciò è stato seguito il progetto della Commissione reale, la quale nella sua relazione notava che « l'esperienza ha dimostrato che invece di risolvere ogni possibile controversia, gli articoli 421-424 le hanno in maggior numero suscitate. Di qui l'opportunità di sopprimere tale formulario ufficiale di regole interpretative e restituire al giudice la funzione di risolvere ogni dubbio, con i mezzi di comune interpretazione ». Ne deriva che il giudice è libero di indagare la vera volontà della legge o dell'uomo, senza attenersi all'interpretazione suggerita dagli articoli abrogati; anche se sarebbe utile vi si rifacesse nei casi che ancora restano dubbi.
Deve, poi, considerarsi che se le espressioni suindicate sono state usate in leggi precedenti al codice del 1865, gli articoli 421 e 422 ne davano un'interpretazione quasi autentica; se in leggi posteriori che (salvo prova contraria) sono state usate nel senso indicato dal codice, poiché il legislatore utilizza un linguaggio tecnico. Qualora, invece, si trovino in disposizioni umane anteriori all'abrogazione degli articoli dal 421 al 426 si presume che siano state utilizzate come il giudice avrebbe dovuto intenderle in forza degli articoli stessi. Il legislatore non ha dettato a tal proposito alcuna disposizione transitoria: pertanto il giudice nell'interpretare le espressioni in esame dovrebbe rifarsi alle disposizioni del vecchio codice.
Principali distinzioni fra il regime dei beni immobili e quello dei beni mobili
Come anzidetto, la classificazione di un bene nella categoria dei mobili o in quella degli immobili comporta la sottoposizione del bene stesso all'uno o all'altro regime, che si differenziano notevolmente tra di loro.
Si evidenziano le principali differenze:
a) le convenzioni che trasferiscono la proprietà di beni immobili, quelle che costituiscono o modificano diritti reali immobiliari e in genere tutti i contratti, indicati nei numeri da 1 a 9, 11 e 12 dell'art.
1350 c.c., che concernono beni immobili, devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità. Tale forma non è chiesta per il trasferimento dei beni mobili , pertanto i relativi contratti si possono provare con prova testimoniale fino all'ammontare di euro 2,58 (art.
2721 c.c.), salvo i casi previsti nell'art.
2724 c.c. (principio di prova scritta, impossibilità di procurarsi la prova scritta, perdita del documento);
b) le convenzioni che trasferiscono la proprietà dei beni immobili o costituiscono o modificano diritti reali immobiliari ed in genere i contratti che concernono beni immobili indicati all'art.
1350 c.c. devono essere resi pubblici a mezzo della trascrizione affinché abbiano effetto nei confronti dei terzi (art.
2643 c.c.). Le stesse convenzioni relative ai beni mobili non sono soggette a tale formalità, tranne se si tratta di beni iscritti nei pubblici registri (navi, aeromobili, automobili, ecc.);
c) tra più acquirenti da un medesimo venditore di un bene la trascrizione costituisce titolo preferenziale (art.
2704 c.c.); fra più acquirenti di beni mobili la preferenza spetta a chi ha per primo conseguito il possesso in buona fede, e se nessuno l'ha conseguito, a colui che possiede il titolo di data certa anteriore (artt. [[n1380]] c.c.);
d) il possesso di buona fede dei beni mobili e il titolo idoneo al trasferimento della proprietà fanno acquistare la proprietà anche se il venditore non era il proprietario del bene, e la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente (art.
1153 c.c.). La norma non trova applicazione per i beni immobili, per i quali il possesso può trasformarsi in proprietà solo per effetto dell'usucapione (art.
1158 c.c.);
e) i beni immobili sono suscettibili di ipoteca, non così invece i beni mobili, salvo le rendite dello Stato nel modo determinato dalle leggi relative al Debito Pubblico e le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli, secondo le leggi che li riguardano (art.
2810 c.c.);
f) l'usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari si compie con il possesso continuo di venti anni (art.
1158 c.c.), salvo quanto afferma l'art.
1159 c.c., in base al quale l'usucapione si compie col decorso di dieci anni; l'usucapione di beni mobili si realizza per mezzo del possesso continuato per cinque anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede;
g) l'azione di manutenzione per la tutela del possesso è concessa solo per il possesso di un bene immobile o di un diritto reale sopra un immobile, e non per i beni mobili, salvo che si tratti di universalità di beni mobili (art.
1170 c.c.);
h) in diritto processuale le differenze fra i due regimi sono anche maggiori e si manifestano particolarmente in materia di competenza, circa il giudice (art.
7 cod. proc. civ.), il modo di determinare il valore della causa (articoli
14 e
15 c.p.c.); il foro dell'esecuzione forzata (articoli
16 e
26 c.p.c.), quello per le cause relative a diritti reali su beni immobili (art.
21 c.p.c.), e in tutta la procedura dell'espropriazione forzata, che è organicamente diversa a seconda che si tratti di beni mobili (Libro III, tit. II, cap. II, c.p.c.) o di beni immobili (stesso Libro e titolo, cap. IV, cod. proc. civ.).
Altre distinzioni delle cose mobili con conseguenze giuridiche. Cose fungibili ed infungibili. Divisibili ed indivisibili. Cose presenti e future
Il nuovo codice non contiene ulteriori classificazioni dei beni. La Commissione reale aveva ripreso dal codice del 1865 quella delle cose fungibili e delle cose consumabili, che però non sono state inserite nel codice attuale: evidentemente il legislatore, anche se non ha voluto disconoscere ciò che esiste già di per sé in rerum natura, non ha comunque ritenuto che fosse suo compito quello didascalico, e pertanto si è rimesso alla dottrina per tali ulteriori descrizioni relativamente ai suddetti beni. Ma alcune di esse sono, tuttavia, necessarie, perché influiscono sulla formazione dei negozi giuridici, sulla loro vita e sull'adempimento. Pertanto saranno sommariamente accennate.
In primo luogo, vi sono cose determinate (individuate o certe) e cose di genere: le prime sono l'oggetto del negozio, mentre le altre possono esserne l'oggetto.
Nella formazione dei contratti l'identificazione dell'oggetto avviene in forma diversa a seconda della natura determinata o di genere della cosa (art.
1378 c.c.). Nella risoluzione, lo smarrimento di una cosa determinata e i1 suo perimento (art.
1257 c.c.) possono condurre a conseguenze diverse da quelle che deriverebbero dalla perdita di una cosa di genere (genus numquam perit). Altre differenze si riferiscono all'obbligo di custodire (art.
1177 c.c.) e alla qualità media della prestazione (art.
1178 c.c.), al trasferimento della proprietà (art.
1378 c.c.).
Cose fungibili e infungibili. Le prime sono quelle dove l'una può prendere il posto dell'altra nell'adempimento delle obbligazioni (la principale cosa fungibile è il denaro), mentre le cose infungibili sono quelle che si devono consegnare come stabilito dalle parti. Alle cose fungibili sono applicabili gli articoli
art. 1243 del c.c. c.c. in terra di compensazione legale o giudiziale e
1813 c.c. circa l'oggetto del mutuo.
Divisibili e indivisibili. Le prime si possono dividere in parti omogenee, di modo che una loro parte sia identica all'intero, a prescindere dalla quantità, e non perdono il loro valore economico. Come le cose, così le prestazioni possono essere divisibili od indivisibili. I diversi effetti in materia di obbligazioni sono principalmente quelli indicati negli articoli
1314 e segg. c.c. L'indivisibilità può aversi per natura (es. un cavallo), per legge (il pegno è indivisibile anche se la cosa data in pegno è divisibile), o per convenzione (è indivisibile la prestazione per il modo in cui è stata considerata dalle parti contraenti, malgrado l'oggetto dell'obbligazione sia suscettibile di divisione).
Cose presenti e future. Le prime sono quelle che esistono al momento della conclusione del negozio giuridico, sono invece cose future quelle che nello stesso momento non esistono o non sono ancora nel patrimonio del disponente. L'art.
1348 c.c. prevede che la prestazione di cose future possa essere dedotta in contratto, salvo i particolari divieti sanciti dalla legge (es.: stipulazione con riguardo ad una successione non ancora aperta). Inoltre l'art.
1472 c.c. autorizza la disposizione dei frutti non separati, che sono considerati come cose future. Le cose future sono, inoltre, prese in considerazione nelle donazioni (art.
771 c.c.) e nell'ipoteca (art.
2823 c.c.).
Cose semplici e cose composte. Sono cose semplici quelle che costituiscono un tutto omogeneo e cose composte quelle che invece risultano dal complesso organico di cose semplici, che si possono scomporre di modo che ogni elemento acquisti una sua propria autonomia. Esempio delle prima sono un libro, un cavallo; delle seconde una nave, un edificio. Si tratta di un concetto economico, che riveste comunque una sua importanza in diritto, poiché fra le varie cose che vengono condotte ad unità la principale comunica alle altre la propria disciplina, in base al principio accessorium sequitur principale.
Distinzione dei beni nei rapporti col titolare
Vi è, poi, una classificazione delle cose in rapporto al titolare del diritto e sotto tale aspetto si distinguono nelle due grandi categorie dei beni di proprietà privata e dei beni di proprietà pubblica. Quest'ultima si suddivide, a sua volta, in beni demaniali e beni patrimoniali dello Stato, delle Province e dei Comuni, come dispone l'art.
822 c.c. cui si rimanda.