Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1065 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Esercizio conforme al titolo o al possesso

Dispositivo dell'art. 1065 Codice Civile

Colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso. Nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente(1).

Note

(1) Qualora titolo costitutivo del diritto in oggetto sia un contratto, il parametro interpretativo, proprio del presente articolo, deve essere coordinato con le disposizioni che ne disciplinano l'interpretazione (artt. 1362-1371).

Ratio Legis

Tale disposizione richiama, in materia di ambito d'applicabilità e limiti all'esercizio della servitù, il criterio legale del minor aggravio per il fondo servente nel sopperire alle necessità di quello dominante. Tale parametro è utile al fine di correttamente interpretare le fonti del diritto in oggetto, nonché di stabilirne in via residuale la sostanza, quando la fonte si palesi insufficiente.

Brocardi

Civiliter

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1065 Codice Civile

Cass. civ. n. 13818/2019

La servitù viene acquistata per usucapione in esatta corrispondenza con l'utilizzazione delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, protrattasi continuativamente per venti anni, posto che il contenuto del diritto è determinato dalle specifiche modalità con cui di fatto se ne è concretizzato il possesso; ne consegue che ogni apprezzabile variazione delle modalità possessorie interrompe il corso dell'usucapione e dà luogo a una nuova decorrenza del relativo termine. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che, ai fini della decorrenza del tempo per la usucapione ventennale, aveva unificato l'esercizio di una servitù veicolare ed uno successivo carraio e di parcheggio senza distinguere le diverse modalità di esercizio del possesso, intervenute a seguito del mutamento di destinazione del fondo dominante da agricola a turistico alberghiera e di ristorazione).

Cass. civ. n. 20696/2018

L'estensione e le modalità di esercizio della servitù (nella specie, di passaggio) devono essere dedotte anzitutto dal titolo, quale fonte regolatrice primaria del diritto, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall'ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l'"utilitas" legittimante la costituzione della servitù. Solo ove il titolo manifesti imprecisioni o lacune, non superabili mediante adeguati criteri ermeneutici, è possibile ricorrere ai precetti sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c.

Cass. civ. n. 15046/2018

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1063, 1064 e 1065 c.c., l'estensione e l'esercizio delle servitù costituite mediante convenzione devono essere individuati, in caso di lacunosità o imprecisione del titolo, secondo il criterio sussidiario del contemperamento delle esigenze del fondo dominante col minore aggravio di quello servente, tenendo conto, con riferimento all'epoca della loro costituzione, dello stato dei luoghi, della naturale destinazione dei fondi e degli altri elementi rivelatori della "utilitas" da soddisfare, con una valutazione ispirata ai normali criteri di prevedibilità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, nel definire le modalità e il contenuto del diritto di transito, dovesse essere accertato lo stato di fatto originario dei luoghi sulla base delle mappe catastali e della relazione illustrativa al piano di recupero, valorizzando la volumetria preesistente e quella successivamente realizzata, la destinazione dei fondi e la vicinanza al centro urbano alla luce delle innovazioni prevedibili al momento della costituzione del peso).

In tema di determinazione dell'estensione e delle modalità di esercizio delle servitù, ai sensi dell'art. 1065 c.c., prima di adottare il criterio del contemperamento dei contrapposti interessi dei fondi, non occorre considerare gradatamente il possesso dopo il titolo, operando essi sullo stesso piano, ma si deve interpretare la disposizione negoziale secondo i criteri generali dettati dall'art. 1362 c.c. (incluso il comportamento delle parti), al fine di chiarirne la portata. Qualora, però, il titolo non stabilisca nulla di preciso, il possesso è irrilevante poiché, in tal caso, il comportamento si trasformerebbe in titolo costitutivo del contenuto del diritto.

Cass. civ. n. 14546/2012

Al fine della valida costituzione negoziale di una servitù, non è necessaria l'indicazione espressa dell'estensione e delle modalità di esercizio della servitù, in quanto, in mancanza, soccorrono le norme suppletive di cui all'art. 1064 c.c., secondo cui il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, ed all'art. 1065 c.c., secondo cui colui che ha un diritto non può usarne se non a mezzo del suo titolo e del suo possesso; con la conseguenza che, solo nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente.

Cass. civ. n. 14088/2010

L'estensione di una servitù convenzionale e le modalità del suo esercizio devono essere desunte dal titolo, da interpretarsi con i criteri dettati dagli art. 1362 e segg. c.c., non potendo assumere alcun rilievo il possesso, che è criterio idoneo per stabilire il contenuto soltanto delle servitù acquistate per usucapione. Tuttavia, ove la convenzione non consenta di dirimere i dubbi al riguardo, la servitù acquistata in base a titolo negoziale deve reputarsi costituita, ai sensi dell'art. 1065 c.c., in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minore aggravio del fondo servente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione immune da vizi giuridici e logici, aveva ricostruito l'esatta estensione della servitù di passaggio, costituita con atto notarile, in forza della sola interpretazione del negozio).

Cass. civ. n. 7640/2009

In materia di servitù prediali, in presenza di un titolo divisionale che ne definisce le modalità di esercizio ed in mancanza di prova dell'usucapione di un diritto all'uso esclusivo, non è pertinente, per legittimare diverse modalità di esercizio della servitù, il richiamo al criterio dell'equo contemperamento fra il bisogno del fondo dominante ed il minor aggravio del fondo servente, giacché essa non può soccorrere per correggere le esplicite previsioni del titolo.

Cass. civ. n. 3030/2009

I diritti di servitù stabiliti convenzionalmente, per il combinato disposto degli artt. 1064 e 1065 cod. civ., ricomprendono tutto ciò che è necessario per usarne e, nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, devono ritenersi costituiti non per il conseguimento di qualsiasi possibile vantaggio del fondo dominante, ma soltanto di quello corrispondente alla natura, come stabilita dal titolo, del peso imposto sul fondo servente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto ricompresi in una servitù convenzionale di "accesso e scarico", oltre al transito di persone e veicoli, anche altri oneri, quali il passaggio sotterraneo di fognature, il posizionamento di condotte per utenze varie, la sopraelevazione del livello del terreno e la tombinatura di un adiacente canale adacquatore).

Cass. civ. n. 4222/2007

Nel dubbio circa l'estensione o le modalità di esercizio, la servitù acquistata in virtù di un titolo negoziale deve ritenersi costituita, ai sensi dell'art. 1065 c.c., in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, senza che al riguardo possa assumere rilevanza l'esercizio concreto della stessa, cioè il suo possesso, come invece avviene per le servitù acquistate per usucapione.

Cass. civ. n. 8261/2002

In materia di servitù prediali, solamente quando permangano dubbi circa l'interpretazione del titolo costitutivo in ordine all'estensione e alle modalità di esercizio della servitù, il giudice è tenuto ad applicare il criterio sussidiario del minore aggravio per il fondo servente, di cui all'art. 1065 c.c.

Cass. civ. n. 10447/2001

La servitù costituita a favore di un determinato fondo, ove ad esso ne venga unito un altro, non si estende a favore di questo, dovendo i due fondi originari, costituenti ormai un insieme, rimanere distinti ai fini della servitù, senza, tuttavia, che al dominus del nuovo più esteso fondo, come tale legittimato a muoversi in ogni parte del medesimo, ne possa essere imposta la divisione allo scopo di legittimare il fondo servente, la cui tutela può rinvenirsi solo nell'art. 1067 c.c., in caso di uso della servitù divenuto più oneroso. Tale uso, peraltro, se a vantaggio della porzione esclusa dalla servitù, non giova a configurare un possesso estensivo della servitù stessa all'intero fondo, poiché la presunzione della riferibilità dona servitù a tutto il fondo dominante è esclusa dal titolo e gli atti di possesso, afferenti alla porzione dominante, sono inespressivi di uno ius possessionis più esteso dello ius possidendi, salvo che non intervengano situazioni di fatto tali da rendere manifesto l'asservimento a favore della porzione esclusa dal titolo.

Cass. civ. n. 8996/1994

L'estensione e le modalità di esercizio delle servitù costituite in base a contratto devono essere desunte dal titolo e solo quando la formulazione di questo sia equivoca e ingeneri dubbi è possibile fare ricorso al comportamento complessivo delle parti, come criterio di ricerca della comune intenzione dei contraenti oppure al principio secondo il quale la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con minore aggravio di quello servente.

Cass. civ. n. 4551/1986

Ai sensi dell'art. 1065 c.c., con riguardo alla determinazione dell'estensione e modalità di esercizio della servitù, prima di adottare il criterio del contemperamento dei contrapposti interessi dei fondi previsto dall'ultima parte di tale norma, non deve gradatamente considerarsi, dopo il titolo, il possesso, in quanto essi vanno considerati su uno stesso piano, nel senso che il titolo determina il contenuto del diritto nelle servitù costituite per usucapione. Tuttavia, anche nel caso di servitù costituita in base al titolo, la disposizione negoziale che disciplina l'estensione e le modalità di esercizio della servitù deve essere innanzi tutto interpretata secondo i criteri generali dettati dall'art. 1362 c.c., tenendo, quindi, presente anche il comportamento complessivo delle parti, pur se posteriore alla conclusione del contratto, al solo fine di chiarire il significato e la portata della disposizione negoziale, salvo che il titolo nulla disponga circa l'estensione e le modalità di esercizio della servitù giacché in tal caso il comportamento si trasformerebbe esso stesso in titolo costitutivo del contenuto del diritto.

Cass. civ. n. 3524/1982

L'esercizio della servitù, nell'armonico contemperamento dei principi stabiliti dagli artt. 1064 e 1065 c.c., è dominato dal criterio oggettivo del minimo mezzo, nel senso che il titolare della servitù attiva ha il diritto di realizzare interamente il beneficio garantitogli dal titolo, senza tuttavia appesantire l'onere del fondo servente oltre quanto sia necessario ai fini di quel godimento.

Nella servitù costituita in base a titolo negoziale, ove sussista dubbio circa la sua estensione o le modalità del suo esercizio, deve ritenersi che essa sia stata costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minore aggravio del fondo servente, senza che l'esercizio concreto di tale servitù, cioè il suo possesso, possa assumersi per determinarne autonomamente l'estensione e le modalità di esercizio, come accade, invece, per le servitù sorte per usucapione.

Cass. civ. n. 3306/1981

L'estensione e le modalità di esercizio della servitù (nella specie: di passaggio) debbono essere dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall'ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l'utilitas legittimante la costituzione della servitù. Siffatta indagine è indispensabile pure nell'ipotesi di generico asservimento di un fondo, poiché ciò non esclude che la servitù — spettante in tal caso, come titolarità di diritto e di soggezione, su tutto il fondo asservito — venga esercitata, in relazione alle concrete finalità per le quali essa è costituita, su una porzione determinata del fondo medesimo.

Cass. civ. n. 1445/1978

A norma dell'art. 1063 c.c., l'estensione e le modalità di esercizio di una servitù convenzionalmente costituita vanno dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche, e soprattutto, dall'intento pratico concretamente perseguito, dalle circostanze tenute presenti dalle parti, dal loro comportamento complessivo, dando rilievo, altresì, allo stato dei luoghi, all'ubicazione dei fondi e alla loro naturale destinazione. Nell'interpretazione del titolo può tenersi conto, inoltre, del comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, purché il riferimento a tale comportamento sia compiuto al solo fine di chiarire il significato e la portata della disposizione negoziale.

Cass. civ. n. 3506/1977

... Se è vero che il vigente ordinamento, rifiutando il principio romanistico della tipicità delle servitù, è ispirato a quello della libertà nella determinazione del loro contenuto nell'ambito della categoria generale, quale positivamente disciplinata, è anche vero che l'inquadramento della servitù in uno dei tipi tradizionali conserva una certa rilevanza ai fini dell'indagine richiesta dalla seconda parte dell'art. 1065 c.c., per stabilire se una modalità di esercizio sia conforme al cosiddetto criterio del minimo mezzo, in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minimo aggravio del fondo servente. (Nella specie, la C.S. ha affermato che esattamente il giudice del merito, accertata l'avvenuta costituzione convenzionale di una semplice servitù di passaggio, in assenza di precise clausole idonee a delimitare e ridurre il contenuto del diritto dominicale sul fondo servente al di là di quanto necessario per rendere possibile l'esercizio del passaggio, ha ritenuto non compresa tra le facoltà spettanti al proprietario del fondo dominante anche quella di intercludere la striscia di terreno, gravata dalla servitù, all'uso del relativo proprietario).

Cass. civ. n. 3340/1977

Per la determinazione dell'estensione del contenuto della servitù si deve aver riguardo alle necessità avute presenti al tempo della costituzione di essa e non a quelle sopravvenute o che potrebbero sopravvenire.

Cass. civ. n. 1098/1975

Nelle servitù negative non mancano dei casi nei quali la semplice indicazione dell'utilità determina, per il suo intrinseco contenuto, l'estensione dell'esercizio della servitù su ogni parte del fondo servente in mancanza di una contraria limitazione; sono paradigmatiche in questa linea la servitù di non edificare tra quelle tipiche, e tra le atipiche quella di non compiere sul fondo servente attività insalubri, nocive o rumorose. Nelle servitù positive, invece, il rapporto tra la condotta attiva del titolare del fondo dominante e l'intera estensione di quello servente sicuramente vien meno, anche sul piano astratto, ogni qualvolta l'utilità, pur non essendo stata limitata e pur prestandosi per il suo contenuto ad una estensione ipotetica su ogni parte del fondo servente, tuttavia non si sottrae, sempre sul piano ipotetico, ad una limitazione derivante da possibili situazioni di fatto, che siano incompatibili con la estensione più lata.

Cass. civ. n. 3121/1973

... Tale rilevanza si spiega per due ragioni; anzitutto, in quanto la possibilità di ricondurre la concreta servitù ad una categoria tipica consente di individuare precisamente il bisogno che quella servitù è rivolta a soddisfare, e quindi di armonizzare, rispetto alla situazione di fatto, la duplice esigenza che il fondo dominante riceva nel minimo quello specifico beneficio e che, appagata tale esigenza, il fondo servente non riceva un aggravio ulteriore; in secondo luogo, perché l'eventuale riscontro di una non corrispondenza al tipo, per effetto delle modalità di esercizio della servitù, è, almeno di regola, indice di superamento del limite del minimo mezzo.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 1065 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. G. chiede
venerdì 12/01/2024
“Ho aqcuistato un appartamento in un condominio al quale si accede attraverso una stradina non accessibile con i mezzi.
La stradina suddetta è proprietà del nostro condominio,ma per arrivarci dobbiamo passare attraverso il il fondo del primo condominio a monte che è proprietario di un grande parcheggio dove peraltro c'è molto spazio.
Noi abbiamo il diritto di passagio,ma quando ci sono cose pesanti o traslochi parcheggiamo giusto il tempo per scaricare!
Questi condomini però si oppongono perchè il fondo è di loro proprietà.
Non è facile spiegare la situazione, ma ci chiediamo se davvero non possiamo scaricare merci ecc. dal momento che la strada pubblica è a 100 metri e poi dobbiamo percorrere altri 100 m. a piedi per giungere al nostro condominio.
Ci sarebbe una soluzione?
Grazie!

Cordiali saluti !”
Consulenza legale i 18/01/2024
La soluzione della questione che qui viene prospettata va ricercata, prima che nella legge, nel titolo (sentenza o contratto) in forza del quale la servitù di passaggio di cui si discute è stata costituita.
In linea generale una servitù si definisce di passaggio in quanto deve consentire al suo titolare di poter attraversare uno o più fondi altrui (c.d. fondo servente) per raggiungere il fondo di sua proprietà (c.d. fondo dominante).
Ciò significa che chi gode della stessa non può approfittarne occupando più suolo di quanto il titolo gli riconosca oppure circolando in aree non necessarie per raggiungere la sua proprietà; allo stesso modo, il diritto di passare sul fondo altrui non può trasformarsi nel diritto di fare manovra e di parcheggiare, in quanto nel passaggio, almeno secondo quanto stabilito dalle norme dettate in tema di servitù, non è incluso anche il diritto di carico e scarico.
In tal senso può argomentarsi dall’art. 1065 c.c., dalla cui lettura si evince che, nel dubbio e salvo che non sia diversamente stabilito, la servitù di passaggio “deve intendersi costituita in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominate con il minor aggravio del fondo servente”.

Quanto appena detto, dunque, consente di poter affermate che la servitù di passaggio non include ex lege il diritto di sosta per il carico o lo scarico, salvo che:
  1. non sia stato il giudice a stabilirlo espressamente, in caso di costituzione giudiziale della servitù;
  2. non sia stato specificamente pattuito per accordo tra le parti.
In assenza di alcuna previsione in tal senso, il diritto che qui si vorrebbe esercitare potrebbe anche conseguirsi per usucapione, ed è probabilmente per tale ragione che i titolari del fondo servente si ostinano ad opporsi a tale abitudine.

Ad ogni modo, se le occasioni di utilizzo di quel passaggio per il carico e lo scarico sono davvero minime ed occasionali, il comportamento ostativo dei titolari del fondo servente risulta senza alcun dubbio privo di valido fondamento normativo, non potendo gli stessi lamentare quell’aggravio a cui si riferisce il sopracitato art. 1065 c.c.
Se, al contrario, non si tratta di un uso sporadico, ma di un comportamento che si rende necessario ripetere con una certa costanza e frequenza (ad esempio perché nel condominio dominante vi sono negozi o attività commerciali in genere), piuttosto che ricorrere al giudice onde ottenere il riconoscimento di tale diritto, si può pensare di risolvere la questione mediante redazione di una semplice scrittura privata, in forza della quale le parti (i due condomini, in persona degli amministratori p.t. e previa delibera assembleare) si daranno reciprocamente atto che, nei soli casi di necessità, il condominio su cui grava la servitù di passaggio concede al condominio in favore del quale quella servitù è stata costituita il diritto di sostare temporaneamente per effettuare il carico e lo scarico di merci varie.
In questo modo si consegue un doppio risultato:
  1. per il condominio titolare del fondo servente la certezza che non gli potrà mai essere opposta la costituzione di una servitù di carico e scarico per usucapione;
  2. per il condominio titolare del fondo dominante la possibilità di non essere ostacolato in dette operazioni.


P. I. chiede
lunedì 04/09/2023
“Mia moglie possiede un terreno gravato da una servitù di passaggio carraio dalla strada statale verso un fondo dominante (con due proprietari); il fondo dominante era intercluso quando la servitù fu creata.
Recentemente uno dei proprietari del fondo dominante ha acquistato terreni contigui al fondo stesso, sui quali ha fatto costruire una strada che connette il fondo dominante alla strada statale. Questo permette la circolazione dalla strada statale attraverso la nuova strada verso il fondo dominante e poi sul terreno di mia moglie verso la strada statale e vice-versa. La circolazione non si limita ai veicoli dei due proprietari del fondo dominante e loro visitatori, ma anche a veicoli di imprese che eseguono lavori sui fondi di nuova acquisizione.
Come si interpretano gli articoli 1055, 1065 e 1067 in questo caso?”
Consulenza legale i 20/09/2023
Va premesso che, dalla documentazione allegata, è emerso che la servitù di cui trattasi è una servitù di origine volontaria: quindi non sarà applicabile la disciplina dell’art. 1055 c.c., che riguarda la cessazione dell’interclusione del fondo (ovvero di quella situazione per cui un fondo è circondato da fondi altrui, e non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio).
Tale norma riguarda, infatti, le servitù coattive (quelle cioè la cui costituzione può essere imposta dal giudice, anche in mancanza del consenso del proprietario del fondo servente), e non è invece applicabile alle servitù volontarie, come ha ribadito anche in tempi recentissimi la giurisprudenza.
In proposito, si veda Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 04/09/2023, n. 25716: “le servitù volontarie, a differenza di quelle coattive, le quali si estinguono con il venir meno della necessità per cui sono state imposte, non si estinguono con il cessare della "utilitas" per la quale sono state costituite, ma soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l'estensione o le sopprimano”; principio espresso anche dalla meno recente Cass. Civ., Sez. II, sentenza 08/02/2013, n. 3132.
Tale problema non si pone invece con le altre due norme citate nel quesito, che riguardano in generale le modalità di esercizio della servitù.
Ora, l’art. 1065 c.c. stabilisce che chi ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso.
Occorrerebbe dunque esaminare il titolo, cioè l’atto costitutivo della servitù, in quanto il documento inviato non è l’atto costitutivo, bensì un atto successivo, dal quale comunque si desume che si tratta una servitù di passo carrabile e quindi esercitabile mediante passaggio di veicoli.
Qualora, nonostante l’esame del titolo, permanga il dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, il secondo comma dell’art. 1065 c.c. stabilisce il criterio c.d. del minimo mezzo, per cui la servitù deve ritenersi costituita “in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”.

Ora, se il proprietario del fondo servente intende invocare un’ipotetica violazione di tale norma, dovrà ovviamente provare l’aggravio. Stando alla situazione descritta, si lamenta - a quanto è dato capire - che il passaggio venga esercitato anche mediante veicoli che devono effettuare lavori (presumibilmente mezzi pesanti, dunque); è anche vero, però, che il passaggio - sempre stando a quanto riferito - risulterebbe “ripartito” tra le due strade (quella oggetto di servitù e la nuova strada). Forse un chiarimento aiuterebbe nella comprensione del quesito con riferimento a tale aspetto.

Quanto al richiamo all’art. 1067, esso appare, ad avviso di chi scrive, non pertinente, non ravvisandosi nel caso descritto “innovazioni” tali da rendere più gravoso l’esercizio della servitù.

GIANNI R. chiede
giovedì 01/11/2018 - Veneto
“Buon giorno , questo è il mio problema.
Un proprietario di due fondi agricoli dominanti,confinanti tra loro con un passaggio comunicante, ognuno con diversa servitù di passaggio .
Una di queste servitù su via agraria di 150 metri di mia parziale proprietà (centro via x lungo fa confine ,meta' sx mia proprietà, meta' dx di terzo proprietario.Il terreno di questa persona è alla fine della stradina).
Può per sua comodità usare spesso il passaggio su mia servitù con mezzi meccanici agricoli per lavorare entrambi i terreni?o adoperare il passaggio x andare direttamente sul secondo terreno il quale ha un' altra servitù ?
Grazie”
Consulenza legale i 06/11/2018
Prima di rispondere alla domanda contenuta nel quesito, occorre fare alcune brevissime premesse teoriche in merito all’istituto giuridico della servitù.
L’art. 1027 c.c. fornisce una definizione della servitù prediale: il peso imposto sopra un fondo (servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante).
I requisiti quindi di tale diritto (che fa parte dei diritti reali) sono:
1) la predialità: cioè la servitù è posta a vantaggio del fondo (praedium) e non del proprietario;
2) la vicinanza tra i fondi (in modo da da consentire l’esercizio della servitù);
3) l’utilità per il fondo dominante: qualsiasi vantaggio che consenta una migliore utilizzazione del fondo.

Ciò posto, una servitù può costituirsi in modo coattivo (imposta cioè direttamente dalla legge per esigenze di natura pubblica) oppure in modo volontario (tramite contratto o testamento), oltre alla possibilità di acquisire una servitù per usucapione.

Nel caso in esame, dalla lettura del quesito parrebbe che l’oggetto di tale servitù sia il passaggio a un fondo agricolo anche tramite mezzi meccanici.
In base all’art. 1065 del codice civile, colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso.
Nel nostro caso, non sappiamo però su quale titolo si fondi la servitù e quindi non sono note l’estensione e le sue modalità di esercizio.
Ad ogni modo, come sancisce il predetto articolo del codice civile, “nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”.

Sulla base di tali principi, la risposta alla domanda contenuta nel quesito in linea teorica dovrebbe intendersi negativa in quanto il fondo servente dovrebbe essere utilizzato solo per accedere ad uno dei due terreni agricoli, in quanto l’altro -seppur comunicante – dispone anche di un proprio passaggio oggetto di altra servitù.
Infatti, ricordiamo -come sopra evidenziato- che in caso di servitù prediale il requisito dell’utilità pertiene al fondo e non al titolare del diritto di servitù.
Come ha sottolineato la Suprema Corte nella sentenza n. 8802/2000: “si configura un diritto personale di godimento solo laddove manchi una funzione di utilità fondiaria, funzione che deve essere valutata con riferimento al fondamento oggettivo e reale dell’utilità stessa, a vantaggio diretto del fondo dominante, per la sua migliore utilizzazione”.

Fermo quanto precede, nel caso in esame va altresì però tenuto presente che essendo consentito e pienamente legittimo il passaggio sulla strada in parte di Sua proprietà per accedere a uno dei due terreni, non sarebbe possibile in concreto impedire il passaggio successivo all’interno dell’altro terreno appartenente al medesimo proprietario.
A mente di ciò, si potrebbe comunque inviare una lettera al proprietario dei due fondi dominanti invitandolo ad usare il passaggio sulla strada di cui Lei è comproprietario esclusivamente per accedere al fondo per il quale è stata costituita la servitù e non ad altri per i quali esiste apposito passaggio (ed apposito diritto di servitù).

VITTORIO . S. chiede
giovedì 12/10/2017 - Toscana
“Sono proprietario di un immobile che possiede anche un accesso dal resede passando per una corte a comune; detta corte deriva da un frazionamento ed accatastamento a comune fra due proprietari nell'anno 1863 al Catasto Generale Toscano:chiamiamo (A) e (B) i due danti causa.
A seguito di successioni, atti di divisione e vendite la parte di (A) si è divisa in 2 (due) proprietari (A1) e (A2). Adesso è accatastata al NCEU come BENE COMUNE NON CENSIBILE. Su questa corte a comune oltre ai proprietari sopraccitati esistono delle servitù di passo per altre tre abitazioni . La corte è aperta a tutti e si affaccia sulla via comunale con passaggio a raso. Tre proprietari di abitazione che affacciano sulla corte ed hanno anche l'ingresso dalla medesima lasciano parcheggiate sulla corte le proprie auto, dalla sera fino alla mattina alternandosi a parcheggiare un mese per uno; vengono parcheggiate quindi N°2 auto di due rispettivi proprietari una a destra ed una a sinistra in questo piccolo piazzale. La cosa è stata sempre tollerata finché veniva parcheggiata una sola auto, adesso però così facendo è anche difficile passare con una bicicletta od un motore senza graffiare le auto in sosta, il passaggio si è ristretto. Di questi tre parcheggiatori uno ha il diritto di proprietà ed è avente causa dell'originale proprietario raffigurato sopra con la lettera (B), gli altri due hanno soltanto il diritto di passaggio su questa corte (chiamiamoli (C) e (D). Le abitazioni di questi tre signori hanno l'ingresso che affaccia su detta corte. Uno di questi parcheggiatori è più di 20 anni che utilizza la corte per parcheggiare l'auto. Gli altri due no. Nel 2015 ho inviato una lettera a (C) intimandogli di togliere l'auto dalla corte perché preclude l'uso della stessa ai reali proprietari ; lui mi rispose che era più di 20 anni che lasciava la macchina in quel posto la sera, e che il diritto di parcheggio l'aveva usucapito. E' successo spesso che dovendo entrare nella corte per scaricare la spesa fatta al supermercato dall'auto non lo ho potuto fare perché c'era un auto di questi signori parcheggiata. Adesso poi questi tre signori frontisti della corte (B-C-D) hanno deposto dei vasi con delle piante di fiori sul lastrico della corte fuori dal proprio ingresso ciascuno sul lato adiacente la propria abitazione, per cui ho preso l'iniziativa personale di inviare una lettera a tutti loro tre invitandoli a togliere sia le auto, in sosta sulla corte a qualsiasi ora, sia i vasi di fiori e quant'altro. Mi sembra una cosa legittima chiedere di lasciare libera e vacua la corte per non impedire il passaggio ad altri. Possono questi signori vantare l'usucapione avendo parcheggiato la propria auto senza aver fatto opere che escludono gli altri condomini? Se questi si opporranno alle mie richieste che probabilità ci saranno di aver ragione in una eventuale causa civile? Ci sono delle sentenze in proposito?”
Consulenza legale i 19/10/2017
La prima norma che si ritiene utile poter invocare a tutela delle sue ragioni è quella contenuta nell’art. 1102 c.c., la quale dispone, in maniera alquanto chiara e inequivoca, che ciascun comproprietario può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne un pari uso secondo il loro diritto.

In questo caso si assiste ad una duplice violazione della norma appena citata, e ciò per le seguenti ragioni:
  1. l’uso che viene fatto della corte si pone in contrasto con la sua destinazione quale risulta dai vari atti di frazionamento e divisione, ossia quella di bene comune non censibile, pretendendosi di utilizzarlo come spazio destinato a parcheggio, ciò per cui occorre uno specifico atto di destinazione urbanistica;
  2. la sosta delle auto costituisce indubbiamente un ostacolo all’esercizio della servitù di passaggio per coloro che ne hanno diritto, nonché impedisce il pari uso da parte di tutti i comproprietari, in quanto le ridotte dimensioni non consentono a tutti i partecipanti di utilizzare quello spazio per parcheggiarvi la propria auto.

Queste sono, in linea generale, le ragioni che fanno apparire illegittimo il comportamento lamentato e che si cercherà di approfondire.

Intanto va detto che sul tema dell’uso distorto che spesso viene fatto degli spazi comuni si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione, in particolare con specifico riferimento a controversie condominiali, a cui questa fattispecie può sicuramente assimilarsi, trattandosi pur sempre di una problematica in materia di comunione di diritti reali (si segnala, tra le più recenti, la sentenza della Corte di Cassazione n. 27043 del 27.12.2016).

Il ragionamento generalmente seguito dalla S.C. è quello secondo cui non può considerarsi ex se abusiva la condotta di uno o più comproprietari consistente nel parcheggio dei propri autoveicoli all’interno della corte comune, e ciò in virtù della considerazione che tra le destinazioni accessorie del cortile comune (la cui funzione principale è quella di dare aria e luce alle varie unità immobiliari) rientra pacificamente quella di consentire ai comproprietari l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprietà, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonché la sosta anche temporanea dei veicoli stessi (cfr. Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2010, n. 13879; Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2006, n. 5848).

Si osserva tuttavia nelle medesime pronunce che lo stesso art. 1102 c.c., pur consentendo ad un comproprietario l’utilizzazione della cosa comune anche in un modo particolare e più intenso rispetto agli comproprietari, pone tuttavia il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, escludendo così che l’utilizzo del singolo possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa del pari diritto, attuale o potenziale, degli altri comproprietari (cfr. Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2009, n. 7637); ciò che si richiede, dunque, è che non venga alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2007, n. 5753; Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24414; Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2006, n. 972).

Pertanto, configura sicuramente un abuso la condotta del comunista consistente nella stabile occupazione, mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura, di una porzione del cortile comune, poiché di fatto impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento, in tal modo, alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (cfr. Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3640).

Per quanto concerne la pretesa da parte dei vicini, titolari del diritto di servitù di passaggio, di poter vantare l’usucapione del diritto di parcheggio, può rispondersi dicendo che non vi è nulla da temere in tal senso.

Al riguardo, intanto, una norma che si ritiene utile richiamare è l’art. 1065 c.c., il quale pone al suo primo comma il principio generale secondo cui il titolare della servitù deve esercitare la stessa conformemente al suo titolo o al suo possesso, e sicuramente una servitù di passaggio non può che legittimare al semplice passaggio e transito sul fondo servente e non a sostare sullo stesso per lunghi periodi di tempo.

Inoltre, il secondo comma della medesima norma continua dicendo che qualora sorgano dei dubbi (e quindi delle controversie) circa l’estensione e le modalità di esercizio della servitù, la servitù deve ritenersi costituita in maniera tale da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente; sicuramente costituisce un aggravio il preteso diritto di sostare sulla corte, ponendosi peraltro in contrasto con la naturale e primaria funzione della corte, quale vista sopra e riconosciuta dalla stessa giurisprudenza di legittimità, ossia quella di dare aria e luce alle unità immobiliari che vi si affacciano.

Per quanto concerne la pretesa usucapione del diritto di parcheggio, va invece detto che il possessore usucapente deve provare di aver goduto del bene per il tempo necessario in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, ossia ponendo in evidenza, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, una inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni atto di godimento o di gestione (Cassazione, 9903/06; Cassazione, 16841/05; Cassazione, 5226/02).

La stessa Corte di Cassazione, nell’individuare i presupposti necessari al fine di ottenere, nell’ambito di un condominio, il riconoscimento per usucapione di un diritto reale esclusivo, quale un diritto di servitù di transito e parcheggio, ha affermato che è necessario provare lo ius excludendi nei confronti degli altri condomini e cioè il diritto di escludere gli altri condomini dall'uso dello spazio riservato a parcheggio.

Nel caso di specie il c.d. ius excludendi si ritiene che non possa farsi consistere nel semplice fatto che durante la notte lo spazio interessato veniva occupato dalla propria autovettura, né esistono altre opere visibili e permanenti che possano dare prova di voler esercitare in via esclusiva il diritto di parcheggio su una determinata porzione della corte comune; anzi, nel momento in cui si è cercato di delimitare con vasi e fioriere uno spazio, risultano correttamente inviate delle missive volte a contestare tale stato di cose (in tal senso può richiamarsi Cassazione Civile, sez. II, sentenza 16/05/2014 n° 10858).

Alla luce delle superiori osservazioni, dunque, si ritiene che la soluzione migliore sia quella di diffidare formalmente gli altri comproprietari e titolari del diritto di servitù di passaggio dal fare un uso illegittimo del cortile comune, intimandogli così di rimuovere entro un termine prefissato i vasi e di non parcheggiare a lungo termine la propria autovettura, poiché ciò impedisce il transito agli altri aventi diritto.

E’ chiaro che nel caso in cui rimangano sordi a tale invito, l’unica strada resta quella di ricorrere all’autorità giudiziaria, al fine di ottenere dal giudice competente (ossia quello del luogo in cui è ubicato l’immobile) la dichiarazione di tale illegittimità dell’uso e la conseguente cessazione (nella sentenza n. 237 dell’11 gennaio 2010, la Corte di Cassazione si è occupata proprio di tale materia, prendendo in esame i provvedimenti che il giudice può adottare).

Trattasi sempre di un giudizio, il cui esito è fondamentalmente legato alle prove che si riusciranno a fornire a sostegno delle proprie ragioni e che saranno, o meno, in grado di convincere il giudice.

Attilio C. chiede
lunedì 11/09/2017 - Abruzzo
“Ho acquistato recentemente un appartamento che devo ristrutturare. L’immobile acquistato deriva da un frazionamento di appartamento di dimensioni maggiori che è stato diviso in due unità immobiliari (per il frazionamento operato nel 1986 è stata ottenuta una sanatoria nell’ottobre 1997).
Sul mio appartamento grava una servitù di passaggio di tubi di scarico di un bagno realizzato nell’appartamento confinante e che faceva parte dell’appartamento originario. Per consentire il passaggio degli scarichi nel mio appartamento sono presenti in corridoio ed in bagno dei gradini che rappresentano una barriera architettonica che potrebbe compromettere il rilascio dell’abitabilità da richiedere dopo la ristrutturazione.
A mio giudizio, la soluzione attuale per il passaggio della servitù non rappresenta per me il “minor aggravio” possibile previsto dal cc 1065 in quanto la tecnologia di oggi permette di realizzare gli scarichi con l’utilizzo di sistemi, comunemente utilizzati (ad esempio il Sanitrit che costa circa 400 euro), che eviterebbero completamente la presenza dei gradini.
Oltre ai tubi di scarico, nel mio appartamento ci sono, sempre a favore dello stesso appartamento confinante, anche dei tubi per il passaggio del gas realizzati con giunti e gomiti (oggi non a norma) e che non seguono affatto il percorso più breve possibile all'interno del mio appartamento.
Posso chiedere ai proprietari dell’appartamento attiguo di adeguare il loro impianto di scarico per consentirmi di rimuovere i gradini e di adeguare l'impianto del gas alle attuali norme di sicurezza?
Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 19/09/2017
Se è vero che la servitù va esercitata in modo tale da arrecare il minor aggravio possibile al fondo servente, è anche vero che l’art. 1065 c.c. è norma interpretativa, dettata per i casi in cui l’utilità del fondo dominante possa essere esercitata in una molteplicità di modi, casi in cui occorre privilegiare l’esercizio meno gravoso per il fondo servente, salvo diversa espressa pattuizione.

L’articolo in commento recita infatti “nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”.
Ad esempio il diritto di attingere l’acqua sul fondo altrui, e la conseguente necessità - per il proprietario del fondo dominante - di passare attraverso il fondo servente, non può essere interpretato di guisa tale da ritenere sussistente altresì il diritto di passeggiare arbitrariamente sul terreno altrui, ovvero di sostarci per il tempo non strettamente necessario a prelevare l’acqua.

Non vi è una norma particolare che possa tutelare la posizione del fondo servente che voglia ottenere una riduzione della servitù ed un miglioramento del fondo servente.

Tuttavia, se le innovazioni non comportano alcun maggior aggravio della servitù, non vi sarà ragione per la quale il proprietario del fondo dominante le vorrà negare il diritto di murare le tubazioni o sostituirle, se chiaramente l’intervento verrà sostenuto a sue spese.

Qualora il vicino dovesse invece negarle tale possibilità, sarà possibile fare applicazione dell’art. 1068 c.c., a mente del quale “se l'originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo”.

Al proposito Cassazione civile sez. II, 3 marzo 1994, n. 2104 “la disposizione del comma 2 dell’art. 1068 c.c., che consente al proprietario del fondo servente di offrire al proprietario dell’altro fondo un luogo ugualmente comodo per l’esercizio della servitù nel caso in cui l’originario esercizio sia divenuto eccessivamente gravoso per il fondo servente o impedisca di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, si applica, per analogia, data l'”eadem ratio”, anche nel caso di spostamento verticale della servitù e, più in generale, nel caso di variazione del modo di esercizio della servitù. In tutti i predetti casi, come in quello di spostamento orizzontale della servitù, a cui si riferisce l’art. 1068 c.c., le spese dello spostamento – salva diversa convenzione – debbono essere sopportate, per il generale principio “cuius commoda, eius incommoda”, dal proprietario del fondo servente, che l’abbia richiesto.”

Tuttavia, va specificato che il proprietario del fondo servente non può operare innovazioni che rendano incomodo o più difficoltoso l’esercizio della servitù (art. 1067 c.c.), e dunque tale miglioramento le potrà essere accordato solamente se l’intervento non renda disagevole la servitù (ad esempio con riguardo alla possibile minore comodità degli interventi di riparazione) .

Vincenzo M. chiede
domenica 13/08/2017 - Campania
“In fase di divisione di beni fu stabilito che dalla strada principale alla mia abitazione (circa 15 metri) fu confermata una servitù attiva di passaggio che porta alla mia abitazione al secondo piano. Premetto che anche il proprietario del fondo servente vi transita con la sua auto . Nell'atto non fu specificato carrabile perché all'epoca lo si dava per scontato nei due metri di servitù . Vi chiedo: E' giusto se transito anche io con macchina solo per scaricare la spesa ? grazie”
Consulenza legale i 23/08/2017
L'esistenza di una servitù di passaggio non offre generalmente all’avente diritto la garanzia di poter transitare liberamente sul bene altrui anche con l’autovettura.

Infatti, dalla normale servitù di passaggio occorre distinguere la servitù di passo carrabile, poiché soltanto quest’ultima, ampliandone il contenuto, consente l'attraversamento, non solo pedonale, ma anche con l'uso di veicoli.

Di tale distinzione si è anche interessata la Corte di Cassazione, ed in particolare si vuole segnalare la sentenza n. 5434/2010, nella quale viene chiaramente affermato che, a meno che non sia diversamente previsto o che non si proceda all'ampliamento coattivo, se il titolo costitutivo non lo prevede in modo chiaro e preciso, con la costituzione di una servitù di passaggio si deve ritenere che il beneficiario abbia il potere di passare solamente a piedi.

Infatti, quando, come nel caso di specie, si è in presenza di una servitù volontaria, dovrebbe essere sempre il titolo costitutivo della servitù ad indicare ogni singolo potere conferito al proprietario del fondo dominante; solo in mancanza di indicazione espressa, soccorre ad integrazione la norma di cui all’art 1066 c.c., la quale prevede che il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, nonché il secondo periodo dell’art. 1065 c.c, per effetto del quale, qualora sussistano dei dubbi circa la estensione e le modalità di esercizio della servitù, questa deve ritenersi costituita in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio per il fondo servente.

E’ quest’ultimo quello che viene definito il criterio c.d. del minimo mezzo, posto dalla legge come regola fondamentale per determinare i limiti e le modalità d’esercizio delle servitù, criterio già presente nelle fonti romane e fondato sull’equità e sul buon senso.

Questo principio assume non soltanto valore interpretativo della volontà negoziale e più in generale del titolo costitutivo, ma anche e soprattutto un valore integrativo o suppletivo, e ciò quando le determinazioni del titolo, riguardo a punti non essenziali, manchino o siano carenti.

A proposito del contenuto proprio di tale regola, si è sostenuto che il fondo dominante debba ricevere quel minimo beneficio economico che occorre per soddisfare il bisogno cui una certa servitù è normalmente destinata.

Si ritiene che ciò debba intendersi nel senso che, salvo il minor aggravio per il fondo servente, non ci sia motivo per restringere al minimo le facoltà attribuite al titolare della servitù, ossia, modificando la prospettiva di osservazione, che il principio del civiliter uti attribuisce al proprietario del fondo dominante tutte le facoltà compatibili con il minor possibile aggravio del fondo servente.

Va anche aggiunto che contenuto e limiti della servitù di passaggio, in caso di genericità del titolo, possono essere desunti anche da un riferimento fattuale alla situazione dei luoghi, senza che questa possa comunque assumere rilievo autonomo e preponderante.

Dalle considerazioni e dai principi sopra espressi, dunque, se ne può trarre la conclusione che, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalità di esercizio (come potrebbe sostenersi nel caso in esame), correttamente dovrà riconoscersi l’esistenza della sola servitù di passaggio pedonale ove dallo stato dei luoghi non si possano ravvisare gli estremi del passaggio carrabile (così tra l'altro Cass. Civ. 7 agosto 1995, n. 8643); in caso contrario, invece, ossia qualora lo stato dei luoghi faccia presumere il contrario, in applicazione del principio sopra espresso secondo cui la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, potrà ritenersi consentito anche il passaggio con mezzi meccanici, per soddisfare il bisogno del fondo dominante di scaricare la spesa, avendo la stradella già una larghezza di metri due (quindi, percorribile da una autovettura) e non comportando l'esercizio di tale facoltà alcun aggravio ulteriore per il fondo servente.

Unico rilievo che potrebbe addursi contro tale uso della servitù è il richiamo alla regolamentazione del codice della strada, laddove individua le misure di una corsia di marcia (Art. 140 del D.P.R. 495/92), fissandone la misura minima in metri 2,75, e quindi superiore alla larghezza della stradella in oggetto.

Nulla esclude, comunque, che si possa chiedere un ampliamento coattivo della servitù in guisa da conseguirne anche il passaggio, ma non la sosta, con mezzi meccanici, giustificando tale richiesta con la necessità di voler soddisfare esigenze fondamentali del proprietario del fondo dominante, quale potrebbe essere il carico o lo scarico di beni di qualsiasi genere.

Alessia M. chiede
sabato 20/08/2016 - Friuli-Venezia
“Buona sera. Sono proprietaria dal 2007 di un immobile su un lotto intercluso. Per accedervi transito a piedi su una stradina lunga in tutto circa 40 mt (priva di luce e con il terreno tutto disconnesso) di proprietà fino al mio cancello (a circa 20 mt dalla pubblica via)di un proprietario e per la parte finale di un altra proprietaria. Da pochissimo ho recuperato l atto notarile del 1968 con le servitù di transito previste per tutti i proprietari degli immobili posti lungo la stradina (3 da un lato e 3 dall' altro...tutti residenziali..non vi sono terreni agricoli..ma solo villette con giardino ad uso esclusivo..trattasi di condominio orizzontale). Le prime due case sono sulla pubblica via, le ultime due hanno il transito solo pedonale dalla stradina mentre quello in auto da un altro vialetto (con servitù di transito con ogni mezzo a traino animale e meccanico), io e la mia dirimpettaia (proprietaria della stradina dal mio cancello in poi) sino ad ora siamo entrare nelle nostre proprietà solo a piedi. Io vorrei poter accedere a casa anche in auto sia per sicurezza che per un invalidità che potrebbe portarmi in futuro problemi di deambulazione. La servitù a mio favore prevede il "transito sia a piedi che con ogni mezzo sia a traino animale che meccanico". Il proprietario della prima parte della stradina non mi ha creato, almeno verbalmente, problemi mentre la proprietaria della seconda parte..nonché mia dirimpettaia... mi ha fatto scrivere dal legale che non posso transitare in auto perché i mezzi a traino meccanico non comprendono le auto. Premesso che riuscirei ad arrivare al mio immobile in auto percorrendo anche solo la prima parte della stradina....la seconda proprietaria può impedirmelo? Parlando di immobili residenziali, i mezzi a traino meccanico comprendono le auto? Cosa fa più testo ..la dicitura " con ogni mezzo" oppure "a traino" come specifica l'avvocato della dirimpettaia?L'invalidità, seppur al momento non specifica a problemi di deambulazione, può essere utilizzata per lo scopo?
Grazie”
Consulenza legale i 24/08/2016
E’ opportuno premettere quale sia la disciplina giuridica applicabile alla fattispecie di servitù in esame.

Nella sostanza, non ci sono dubbi che la servitù in questione presenti tutte le caratteristiche di una servitù coattiva di passaggio, essendo il fondo della signora completamente intercluso.
Tuttavia, per legge, qualora la servitù – anche se possiede tutte le caratteristiche sostanziali di una servitù coattiva, viene invece regolata pattiziamente, si devono applicare in quanto prevalenti le norme dettate per le servitù volontarie (ovvero quelle costituite mediante accordo tra le parti), articoli 1063 e seguenti del cod. civ. (in proposito si veda Cassazione civile, sez. II, 06 settembre 1991, n. 9385).

L’art. 1063 cod. civ. in particolare, recita: “L’estensione e l’esercizio della servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti” ed il successivo art. 1065 cod. civ. recita “Colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso (…)”. Il titolo che regola la servitù è quindi la principale e prioritaria fonte di disciplina della servitù, solo in mancanza del quale possono trovare applicazione le altre norme del codice civile.

Ciò premesso, è evidente pertanto che la servitù in esame sia regolata dall’atto notarile del 1968 e che solo a quest’ultimo si possa fare riferimento.
La frase del suddetto atto che rileva ai nostri fini è quella correttamente citata nel testo del quesito, ovvero “transito sia a piedi che con ogni mezzo sia a traino animale che meccanico”. Purtroppo, per com’è formulata, la frase può assumere due diversi significati, entrambi ugualmente e potenzialmente corretti:

a) con ogni mezzo, indipendentemente che si tratti di “mezzo a traino animale” oppure di “mezzo meccanico”;
b) con ogni mezzo, sia “a traino animale”, che “a traino meccanico” (quest’ultima, evidentemente, è l’interpretazione adottata dal legale della vicina, nell’interesse della sua cliente).
Ora, ad avviso di chi scrive, la seconda interpretazione non pare tuttavia rispondere a criteri di logica.

In primo luogo e banalmente, perché se il redattore dell’atto avesse voluto limitare l’accesso al fondo ai soli mezzi a trazione avrebbe più correttamente scritto “sia a piedi che con ogni mezzo a trazione, sia animale che meccanico”.
In secondo luogo, pare alquanto singolare che si fosse voluto concedere all’epoca, in alternativa a quello pedonale, il passaggio, appunto, ai soli mezzi “a trazione”: perché mai solo a questi ultimi e non alle autovetture, specialmente in considerazione che trattasi, con riferimento all’intero complesso, di zona meramente residenziale ed in alcun modo luogo di natura agricola? Dalla descrizione dello stato dei luoghi (il posizionamento delle abitazioni e dei vialetti), tra l’altro, sembra si possa desumere che sin dall’inizio il complesso immobiliare sia stato realizzato per scopi residenziali e non agricoli (il che, appunto, avrebbe invece potuto in qualche modo giustificare la limitazione ai mezzi a trazione).
In conclusione, si ritiene che l’eccezione sollevata dal legale di controparte non trovi alcun fondamento logico né fattuale e che si possa, pertanto, legittimamente esercitare, in forza del titolo costitutivo della servitù il passaggio con autovetture. Qualora la vicina non dovesse essere d’accordo, incomberà eventualmente sulla medesima l’onere di intentare un giudizio e di dimostrare la validità della propria tesi interpretativa.

Peraltro, si ritiene, per rispondere infine anche all’ultima domanda posta nel quesito, che le esigenze personali dettate da problemi di deambulazione – per ora ancora lievi ma destinati oggettivamente ad aggravarsi – possano costituire senz'altro un valido motivo per la concessione del passaggio con l’auto, ciò in forza di un principio di tutela della disabilità desumibile, a propria volta, dai principi costituzionali a tutela della persona in generale.

La giurisprudenza sembra non lasciare dubbi in proposito:

- “È sufficiente che il fondo non sia raggiungibile da un disabile per ritenerlo "intercluso" e dunque per configurare il diritto di passaggio coattivo sul fondo altrui” e “Ai sensi dell'art. 1052 c.c., da leggere alla luce della sentenza della Corte cost. n. 167 del 1999, la costituzione di servitù coattiva di passaggio a favore di fondo non intercluso può avvenire non soltanto in presenza di esigenze dell'agricoltura e dell'industria, ma anche quando sia accertata, in generale, l'inaccessibilità al fondo da parte di qualsiasi portatore di handicap o persona con ridotta capacità motoria, essendo irrilevante l'inesistenza in concreto della disabilità in capo al titolare del fondo servente.” (Cassazione civile, sez. II, 28/01/2009, n. 2150);

- “L'impossibilità, ai sensi dell'art. 1052 comma 2 c.c., di costituire una servitù coattiva di passaggio in favore di immobile adibito a civile abitazione non intercluso, ma dotato di passaggio inidoneo al transito di persone disabili, suscita dubbi di legittimità costituzionale per la lesione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 cost.) e del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 comma 2 cost.), la compressione della tutela del diritto alla salute (art. 32 cost.) e il mancato rispetto della funzione sociale della proprietà (art. 42 comma 2 cost.)” (Pretura La Spezia, 19/09/1997).

Giuseppe C. chiede
mercoledì 22/07/2015 - Marche
“Ho acquistato dalla società che ha lottizzato un fondo attiguo al mio (reso, poi, edificabile) una servitù di passaggio (che non specifica alcuna modalità di uso e che utilizzo mediante il ricovero della mia auto nel mio giardino o quando pulisco il giardino con un camion di terzi). Ora sto tentando di avviare una piccola costruzione sul mio lotto ed ho chiesto all'ENEL, all'Azienda del Gas e dell'acqua un allaccio di utenza. Mi si risponde che desiderano " una autorizzazione formale che li sollevi da responsabilità verso terzi (vicini)" . Ma non è per mia colpa se all'atto dell'urbanizzazione dell'area tali enti non hanno tenuto conto né programmato le necessità dei fondi vicini. Comunque tutti hanno individuato la possibilità degli allacci a 100 mt. circa dalla mia proprietà, ma devo utilizzare la strada di passaggio (della quale ho il diritto di servitù) ed inibire, per il tempo necessario, un vicino dall'uso del suo garage.
Domanda: devo io preoccuparmi di porre le società appaltanti delle utenze di scegliere il punto di allaccio più vicino al mio lotto o devono provvedervi autonomamente le stesse ? Inoltre l'ENEL si rifiuta di applicare la soluzione da me suggerita (ed utilizzata per un fondo attiguo) di bypassare il tutto mediante l'applicazione di un palo che farebbe transitare la corrente elettrica via aerea.(ma resta il problema dell'acqua e del gas)
Come debbo e posso comportarmi nel merito ?
Grazie.”
Consulenza legale i 28/07/2015
Nella vicenda in esame si ha una servitù di passaggio concessa volontariamente dal proprietario del fondo confinante.
La servitù non specifica le modalità di uso, ma appare evidente che essa sia stata concessa per il passaggio della persona a piedi o con veicoli, per raggiungere il proprio fondo.
Il fatto che esista già una servitù di passaggio non consente automaticamente di ritenere lecito qualsiasi passaggio, anche di condutture, ma attiene a un preciso diritto, quello finora esercitato dal titolare della servitù. Stabilisce, infatti, l'art. 1065 c.c. che "Colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso. Nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente".

Di conseguenza, non emerge dalla situazione descritta nel quesito un diritto a far passare le condutture necessarie per i nuovi allacci sul passaggio già concesso in servitù. Naturalmente, però, ciò non significa che al proprietario del fondo che voglia effettuare la costruzione sia inibita ogni tutela.

Quanto all'acqua, l'art. 1033 c.c. prevede che il proprietario di un fondo sia tenuto a dare passaggio alle acque di ogni specie che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per gli usi agrario industriali, ma esclude che questa servitù possa toccare le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.
Quindi, se il fondo interessato dal passaggio delle condutture non rientra tra le tipologie escluse, il confinante è tenuto a concedere la posa delle stesse.
Se, invece, il fondo interessato è un cortile, giardino, etc., si potrebbe eventualmente riconoscere una servitù coattiva di acquedotto solo laddove esista una situazione di interclusione assoluta, non altrimenti eliminabile (cfr. Cass. civ., 1.8.1995, n. 8426); in altre parole, quando non esista nessun'altra possibilità per far passare le tubazioni. Diversamente, si dovrà cercare di ottenere dal vicino una servitù di acquedotto volontaria.

Circa il passaggio del gas, pare non esservi, secondo la giurisprudenza - la possibilità di ottenere una servitù coattiva ("A differenza delle servitù volontarie che possono avere ad oggetto una qualsiasi utilitas, purché ricavata da un fondo a vantaggio di una altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un "numerus clausus", sono cioè tipiche avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge, sicché non sono ammissibili altri tipi al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela. Pertanto, è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano, dovendosi escludere una applicazione estensiva dell'articolo 1033 c.c. In tema di servitù di acquedotto coattivo, atteso che l'esigenza del passaggio di tubi conduttori del gas non può essere ricondotta sotto la stessa fattispecie normativa che regola la imposizione di servitù di acquedotto, in conseguenza della non assimilabilità delle due situazioni per i caratteri peculiari di struttura e funzione di ciascuna di esse, ed in particolare della pericolosità insita nell'attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù di acquedotto", Cass. civ., sez. II, 25.1.1992, n. 980).
Si dovrà ricorrere, pertanto, alla concessione di una servitù volontaria da parte del titolare del fondo su cui dovranno passare le tubazioni.

Per quanto concerne l'utenza elettrica, l'art. 1056 del c.c. stabilisce che ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, in conformità delle leggi in materia.
La disciplina di tale figura di servitù è rinviata alle leggi speciali, in particolare T.U. 1775/33 (artt. 119 e seguenti). L'art. 119 dice che ogni proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche aeree o sotterranee che esegua chi ne abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l'autorizzazione dall'autorità competente. Quindi, nel caso di specie, se esiste la prescritta autorizzazione, le condutture elettriche possono essere fatte passare sul fondo del vicino.

In ogni caso, è bene ricordare il principio generale per cui, anche in caso di diritto a far costituire una servitù coattiva, è dovuta al proprietario del fondo servente una indennità per legge. In caso di servitù volontariamente concessa, saranno invece le parti a determinare il compenso per l'autorizzazione al passaggio delle tubazioni e condutture.
Il problema relativo al vicino, cui sarà inibito l'uso del garage per il tempo necessario all'effettuazione dei lavori, richiede - se questi è un terzo, cioè non coincide con il titolare del fondo su cui deve avvenire il passaggio delle tubazioni - un ulteriore accordo con il medesimo e un indennizzo legato al temporaneo mancato utilizzo del fondo (o una contropartita diversa, da decidersi di comune accordo).

In merito alla scelta del luogo per gli allacci, solitamente esso è individuato dalla società di fornitura, che effettua i necessari sopralluoghi, proponendo la collocazione che ritiene più idonea, compatibile con la conformazione dei luoghi e con la normativa che regola il settore specifico (gas, acqua, etc.). Se l'utente è in grado di individuare un luogo migliore, potrà farlo presente alla società, ma questa deve comunque garantire che siano rispettate le norme di legge e di sicurezza nella posa delle tubazioni o condutture.

P. L. chiede
mercoledì 07/08/2024
“nella mia proprietà c'è un pozzo a cui attingono acqua molti vicini da più di trenta anni asciugando la sorgente in quanto usano l'acqua non solo per uso domestico ma anche per irrigare piante ed orti, mi sono accorto solo in questi ultime settimane che il pozzo ricade nel mio fondo, ho chiesto ai miei confinanti di essere più accorti e di rispettare anche le mie esigenze senza alcun esito positivo. posso legalmente chiudere il pozzo e non fare attingere acqua arbitrariamente ?
Non è nelle mie intenzioni privare i vicini dei terreni limitrofi di attingere l'acqua, non so come mi debbo comportare.
Specifico che l'acqua del pozzo viene attinta con motori a scoppio elettrici e a gasolio fino a prosciugarlo e i vicini non vogliono sentire ragioni comportandosi in maniera arrogante e presuntuosa, arrivando pure a delle minacce.”
Consulenza legale i 09/08/2024
Il comportamento descritto nel quesito - consistente nel prelievo d’acqua dal pozzo situato nel fondo altrui, prelievo che sembra essere effettuato in maniera continuativa, mediante l’utilizzo di mezzi meccanici - viene posto in essere (stando a quanto viene riferito) “da più di trent’anni”.
Pertanto, è necessario verificare se i vicini che prelevano l'acqua abbiamo effettivamente acquistato, per usucapione, una vera e propria servitù di presa d’acqua.
Al riguardo l’art. 1080 c.c. precisa che “il diritto alla presa d'acqua continua si può esercitare in ogni istante”; ed è proprio tale continuità che consente di distinguere la servitù di presa d’acqua rispetto alla c.d. servitù di attingimento.
Inoltre, proprio perché la servitù di presa d’acqua, di regola, ha delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, essa è una servitù c.d. apparente. In quanto tale, può essere appunto acquistata per usucapione (art. 1061 c.c.).
Dunque, nel caso concreto, occorre accertare se davvero tale prelievo continuo di acqua sia stato esercitato di fatto, e in via continuativa, per il periodo di tempo previsto dalla legge, di regola venti anni.

In ogni caso, anche qualora si accertasse l’effettivo acquisto per usucapione di una servitù di presa d’acqua, non è detto che ciò possa avvenire senza rispetto per le esigenze del fondo servente.
In proposito, a parte la regola generale di cui all’art. 1065 c.c., secondo cui “nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”, abbiamo anche delle norme specifiche relative alla servitù di presa d’acqua.
Tra queste c’è, ad esempio, l’art. 1093 c.c., il quale stabilisce che “se la servitù dà diritto di derivare acqua da un fondo e per fatti indipendenti dalla volontà del proprietario si verifica una diminuzione dell'acqua tale che essa non possa bastare alle esigenze del fondo servente, il proprietario di questo può chiedere una riduzione della servitù, avuto riguardo ai bisogni di ciascun fondo. In questo caso è dovuta una congrua indennità al proprietario del fondo dominante”.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.