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Articolo 713 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Facoltà di domandare la divisione

Dispositivo dell'art. 713 Codice Civile

(1)I coeredi(2) possono sempre domandare la divisione [715, 1111 c.c.].

Quando però tutti gli eredi istituiti o alcuni di essi sono minori di età [2 c.c.], il testatore può disporre che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un anno dalla maggiore età dell'ultimo nato [715 c.c.].

Egli può anche disporre che la divisione dell'eredità o di alcuni beni di essa non abbia luogo prima che sia trascorso dalla sua morte un termine non eccedente il quinquennio.

Tuttavia in ambedue i casi l'autorità giudiziaria, qualora gravi circostanze lo richiedano, può, su istanza di uno o più coeredi, consentire che la divisione si effettui senza indugio o dopo un termine minore di quello stabilito dal testatore(3).

Note

(1) La comunione ereditaria si costituisce quando più chiamati accettano l'eredità. Ciascun coerede è titolare di una quota ideale dell'intero asse ereditario. Mediante la divisione ereditaria i beni facenti parte della comunione vengono frazionati in base alle rispettive quote di ciascuno e gli eredi divengono proprietari esclusivi dei beni assegnati.
Si parla in proposito di comunione incidentale che si distingue da quella volontaria, che nasce per accordo tra i partecipanti, e da quella legale o forzosa, che nasce in forza di una previsione di legge.
La divisione ereditaria può essere di due tipi:
- amichevole, se si attua mediante accordo di tutti i chiamati;
- giudiziale, se si svolge sotto la direzione dell'autorità giudiziaria quando non sia raggiunta l'unanimità dei consensi (v. artt. da 784 a 791 c.p.c.).
(2) Legittimato è anche l'erede sotto condizione risolutiva. Al verificarsi dell'evento dedotto in condizione, l'efficacia della divisione viene meno solo per la parte relativa alla sua quota e non per l'intero.
Dubbio è se l'acquirente dell'eredità possa partecipare alla divisione, facendo la norma riferimento solo ai coeredi. Prevale l'opinione favorevole.
(3) La divisione può essere sospesa per volontà:
- del testatore: in presenza di minori o per un periodo non superiore ai cinque anni (v. art. 713 c. 3 c.c.);
- della legge, su cui v. infra l'art. 715 del c.c.;
- dell'autorità giudiziaria, su cui v. infra l'art. 717 del c.c.;
- dei condividenti.

Ratio Legis

La divisione dei beni ereditari consente a ciascun erede di godere e disporre dei beni pervenuti per successione in maniere piena e senza le limitazioni imposte dalla comunione.

Brocardi

Actio familiae herciscundae
Communio incidens
Favor divisionis
Herciscere
Res hereditariae omnium heredum communes sunt

Spiegazione dell'art. 713 Codice Civile

La prima parte della disposizione in esame consacra il diritto dei coeredi a sciogliere la comunione che si costituisce fra di loro per effetto del trapasso del patrimonio del de cuius a più persone. Essa rispecchia un principio tradizionale, relativo a tutte le comunioni, anche non ereditarie, che risale al diritto romano (in comunione vel societate nemo compellitur invitus detineri). La ragione giuridica consiste nel diritto che ciascun titolare della cosa ha di sostituire una situazione legittima (proprietà esclusiva) ad altra pure legittima (comunione); la ragione pratica è quella che, di norma, la parte, divenendo entità a sé, aumenta di valore, nonché la sempre vera massima communio est mater rixarum.
Il diritto di domandare la divisione spetta a ciascuno dei coeredi, legittimo o testamentario, compreso il coniuge superstite che partecipa alla successione con una quota di usufrutto, e ciò era già riconosciuto sotto la vigenza del vecchio codice del 1865.
Il principio non è però senza eccezione, anzi il nuovo codice lo ha di molto ristretto. I comunisti possono pattuire di restare in comunione per un periodo non eccedente i 10 anni. La disposizione che stiamo commentando attribuisce al testatore il diritto di vietare la divisione parziale o totale per cinque anni dall’apertura della successione, o fino ad un anno dal raggiungimento della maggiore età dell’ultimo nato degli eredi istituiti (riproducendo, in questa ultima parte, l’art. #984# del vecchio codice del 1865).

A sua volta, questo diritto del testatore può essere annullato o ridotto, qualora lo richiedano gravi ed urgenti circostanze. Se i coeredi sono tutti maggiorenni (come può avvenire nella prima delle due ipotesi, previste innanzi) e sono tutti d’accordo di procedere alla divisione, non vi è bisogno di intervento dell’autorità giudiziaria. Se sono ugualmente d'accordo, ma vi è fra di essi qualche minore, occorre l'autorizzazione del giudice tutelare; occorre invece l'autorizzazione del tribunale se si tratta di minore sottoposto a tutela, di emancipato, di interdetto o di inabilitato. In caso di disaccordo, occorrerà provvedersi in via contenziosa.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

339 Nell'ultimo comma dell'art. 713 del c.c. è stato proposto di specificare che le circostanze, in base alle quali l'autorità giudiziaria può consentire che la divisione si effettui senza indugio o dopo un termine minore di quello stabilito dal testatore, debbano essere non solo gravi ma anche urgenti. L'aggiunta della parola «urgente» mi è sembrata superflua, perché il carattere di urgenza risulta dalla stessa espressione «senza indugio».

Massime relative all'art. 713 Codice Civile

Cass. civ. n. 1065/2022

In tema di divisione ereditaria, quando tra i condividenti non vi sia stato accordo per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione deve ritenersi istaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne forma oggetto; pertanto, salva l'operatività delle preclusioni dell'ordinario giudizio di cognizione, l'indicazione dei beni può essere compiuta successivamente alla domanda anche dal condividente che non l'abbia proposta, costituendo essa una precisazione dell'unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione.

Cass. civ. n. 40426/2021

In tema di divisione, la richiesta, proveniente da alcuni coeredi e suscettibile di essere avanzata per la prima volta anche in appello, di rimanere in comunione, al fine di scongiurare gli effetti legali derivanti dalla non comoda divisibilità della massa comune, non integra una domanda nuova, trattandosi di una mera sollecitazione al giudice a rinnovare il giudizio sulla divisibilità in natura dei beni, alla luce del mutato assetto del numero e della consistenza delle quote da comporre ed in vista dell'obiettivo tendenziale di assicurare con la divisione una distribuzione in natura dei beni tra i condividenti, scongiurando che i diritti di alcuni di essi vengano tacitati solo in denaro.

Cass. civ. n. 39340/2021

Nelle cause di scioglimento della comunione ereditaria, legittimati passivi sono coloro che abbiano accettato l'eredità, espressamente o tacitamente, nonché i chiamati il cui diritto di accettare non sia stato dichiarato prescritto con sentenza passata in giudicato, per i quali ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario; la sola constatazione del decorso del termine decennale di cui al comma 1 dell'art. 480 c.c., infatti, non basta a produrre l'effetto estintivo del diritto di accettare l'eredità, in quanto questo deve essere sempre accertato nel contraddittorio di tutte le parti interessate, dovendo l'atto con cui si solleva l'eccezione di prescrizione, per il suo carattere recettizio, essere partecipato al titolare del diritto stesso o, in caso di decesso successivo all'apertura di successione, ai suoi eredi, in modo da loro consentire la facoltà di dimostrare il contrario, per effetto dell'interruzione del termine o dell'avvenuta accettazione, tacita o espressa, effettuata dal "de cuius".

Cass. civ. n. 27086/2021

Nella divisione ereditaria e in quella ordinaria, il giudice non può procedere al regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dal rapporto di comunione senza che, in aggiunta alla domanda principale, sia stata anche proposta istanza di rendiconto, mentre, assolto tale presupposto, può autonomamente provvedere, anche in assenza di apposita domanda, alla liquidazione di tale regolamento col sistema dei prelevamenti ovvero con l'incremento della quota, costituendo questa autonoma attività giudiziale, ferma restando la possibilità di deroga pattizia delle norme sull'imputazione e sui prelevamenti, nonché di quelle che stabiliscono l'ordine delle operazioni divisionali.

Cass. civ. n. 3694/2021

Perché si abbia negozio divisorio non è necessario che si verifichi lo scioglimento della comunione nei confronti di tutti i coeredi, essendo sufficiente che ciò avvenga rispetto ai coeredi partecipanti all'atto; in tal caso, infatti, lo scioglimento della comunione opera egualmente, pur se limitatamente ai soli partecipanti all'atto ed ancorché i coeredi che rimangono in comunione debbano, poi, mettere in essere un altro (od altri) negozio per pervenire allo scioglimento definitivo e totale della comunione stessa.

Cass. civ. n. 18910/2020

In tema di giudizio divisorio avente ad oggetto masse plurime ereditarie provenienti da titoli diversi, la divisione unitaria può avvenire per effetto del consenso comunque manifestato dai condividenti e quello tra essi che la contesti deve risultare portatore di un concreto ed effettivo interesse leso da tale tipo di procedimento unitario divisionale.

Cass. civ. n. 18468/2020

L'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perché la prima presuppone la qualità di erede e l'esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere, mentre la seconda implica la qualità di legittimario leso nella quota di riserva ed è diretta alla reintegra in essa, indipendentemente dalla divisione; ne consegue che la domanda di divisione e collazione non può ritenersi implicitamente inclusa in quella di riduzione, sicché una volta proposta la domanda di riduzione, quella di divisione e collazione, avanzate nel corso del giudizio di primo grado con le memorie ex art. 183 c.p.c., sono da ritenersi nuove e, come tali, inammissibili ove la controparte abbia sul punto rifiutato il contraddittorio.

Cass. civ. n. 15764/2020

Il principio di autonomia delle comunioni derivanti da diverso titolo è applicabile anche quando esse riguardino i medesimi beni e intercorrano fra le stesse persone, dovendo anche in questo caso i diritti del singolo essere regolati nell'ambito di ciascuna massa, senza possibilità, salvo diverso accordo, di essere soddisfatti con l'attribuzione di beni facenti parte dell'altra massa.

Cass. civ. n. 5993/2020

Nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, la stima per la formazione delle quote di beni in comunione va effettuata al tempo della divisione, avendo riguardo ad ogni elemento incidente sul valore di mercato, sicché, qualora "lite pendente" sia disposta un'espropriazione per pubblica utilità su immobili della massa comune, occorre tener conto, tra le componenti da dividere, del diritto di credito all'indennità di espropriazione in luogo del bene non più in proprietà dei condividenti.

Cass. civ. n. 1635/2020

Nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione.

Cass. civ. n. 139/2020

Il principio riguardante la natura unitaria del giudizio di divisione va riferito all'intera comunione ereditaria che venga sciolta nei modi e nelle forme di legge, ma non si estende alle ipotesi di divisione di singoli beni ereditari, nelle quali non venga fatta alcuna questione che possa in qualsiasi modo incidere circa la divisione degli altri beni ereditari, e, in particolare, circa l'eventuale appartenenza ad alcune parti, o altro titolo diverso da quello ereditario, di taluni beni apparentemente rientranti nell'eredità. In tal caso ciascuna divisione, anche se collegata con la successiva, ha una propria autonomia processuale, mentre sul piano del diritto sostanziale, ai fini della efficacia preclusiva di eventuali giudicati, assume rilievo il contenuto delle domande espresso nel "petitum" effettivamente richiesto nei diversi giudizi.

Cass. civ. n. 25021/2019

Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall'art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall'art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell'azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Nell'ipotesi in cui tra i beni costituenti l'asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell'art. 713, comma 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti.

Cass. civ. n. 24184/2019

Una volta proposta in primo grado la domanda di divisione dell'eredità basata sulla prospettazione di una successione legittima, non costituisce domanda nuova ed è, pertanto, ammissibile in appello, quella diretta a ottenere la divisione in forza di un testamento olografo successivamente ritrovato, atteso che il titolo regolatore della successione prevale sulla disciplina legale in materia ed, inoltre, la sua deduzione non altera gli elementi essenziali del "petitum", relativo ai beni ereditari da dividere, e della "causa petendi", fondata sull'esistenza della comunione del diritto di proprietà in dipendenza della successione "mortis causa". Ne consegue che è possibile la modifica della domanda di divisione, poiché le diverse modalità di delazione dell'eredità configurano, comunque, un unico istituto e nel procedimento di scioglimento della comunione ereditaria esse non costituiscono una domanda, cosicché la parte può sempre adattarle alle evenienze e alle sopravvenienze di causa.

Cass. civ. n. 19284/2019

L'azione di riduzione e quella di divisione, pur presentando una netta differenza sostanziale, possono essere fatte valere nel medesimo processo, in quanto - per evidenti ragioni di economia processuale - è consentito al legittimario di chiedere, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima e, successivamente, nell'eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, l'azione di divisione, estesa anche a quei beni che, a seguito dell'accoglimento dell'azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, 16/05/2018).

Cass. civ. n. 15926/2019

Il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, intraprendendo i singoli condividenti le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione ed acquisendo rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote; ne deriva il diritto delle parti del giudizio divisorio di modificare, anche in sede di appello (nella specie, all'udienza di precisazione delle conclusioni), le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione.

Cass. civ. n. 27645/2018

Quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un'unica comunione, ma tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un'entità patrimoniale a sé stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell'ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi.

Cass. civ. n. 20961/2018

La sentenza contenente l'assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, sicché ciascuno di costoro acquista non solo la piena proprietà dei beni facenti parte della quota toccatagli, ma anche la potestà di esercitare tutte le azioni inerenti al godimento del relativo dominio, compresa quella diretta ad ottenere in via esecutiva il rilascio dei beni costituenti la quota del condividente che, in conseguenza della compiuta divisione, non abbia più nessun titolo idoneo a giustificarne l'ulteriore detenzione.

Cass. civ. n. 2951/2018

Il giudizio di divisione si compone di una fase dichiarativa, avente ad oggetto l'accertamento della comunione e del relativo diritto potestativo di chiederne lo scioglimento, e di una esecutiva, volta a trasformare in porzioni fisicamente individuate le quote ideali di comproprietà sul bene comune. Con riferimento alla prima fase l'ordinanza che, ai sensi dell'art. 785 c.p.c., disponga la divisione, al pari della sentenza che, in base all'ultimo inciso della menzionata disposizione, statuisca in maniera espressa sul diritto allo scioglimento della comunione, ancorché non possieda efficacia di giudicato, preclude un diverso accertamento in altra sede giudiziale, in quanto la non contestazione attribuisce all'esito finale del procedimento, che si concluda con l'ordinanza non impugnabile ex art. 789, comma 3, c.p.c., la medesima stabilità del giudicato sul diritto allo scioglimento della comunione pronunciato con sentenza. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 18/09/2012).

Cass. civ. n. 27160/2017

Non sussiste un vincolo di pregiudizialità tecnica, tale da determinare la sospensione necessaria del processo, tra l'azione di riduzione e la domanda di retratto proposta dal legittimario pretermesso avverso l'alienazione dei beni ereditari compiuta dal soggetto che, allo stato, riveste la qualità di erede, giacché le disposizioni testamentarie eventualmente lesive della quota di legittima esplicano la loro efficacia fino alla pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, momento anteriormente al quale difetta, pertanto, uno stato di comunione tra erede e legittimario leso. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 21/12/2015).

Cass. civ. n. 6931/2016

Il principio dell'universalità della divisione ereditaria non è assoluto ed inderogabile, potendosi anche procedere ad una divisione solo parziale se un accordo in tal senso intervenga tra le parti ovvero quando costituisca oggetto di una domanda giudiziale senza che alcuna delle altre parti ne estenda la portata, chiedendo di trasformare in porzioni concrete le quote dei singoli comproprietari, con divisione dell'intero asse.

Cass. civ. n. 3933/2016

In tema di divisione giudiziale, una volta passata in giudicato la sentenza con la quale è stato disposto lo scioglimento della comunione e sono stati determinati i lotti, questi entrano da quel momento a far parte del patrimonio di ciascuno degli ex comunisti seppure, nel caso ne sia disposto il sorteggio, l'individuazione in concreto di costoro abbia luogo successivamente in concomitanza con tale adempimento di carattere puramente formale, sicché qualsiasi evento si verifichi nel frattempo a vantaggio o in danno dei beni costituenti ciascun singolo lotto, produce il relativo effetto nei confronti dell'ex comunista cui lo stesso verrà assegnato in sede di sorteggio, senza che tali accadimenti possano più influire sulla determinazione della composizione dei lotti e dar luogo ad ulteriori aggiustamenti o conguagli.

Cass. civ. n. 22977/2013

In materia di comunione ereditaria, è consentito ai comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri eredi del medesimo dante causa: tale contratto, con cui i coeredi perseguono uno scopo comune, senza prestazioni corrispettive, non determinando direttamente lo scioglimento della comunione, non configura una vera e propria divisione, per la cui validità soltanto è necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, ma un contratto plurilaterale, immediatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti e destinato ad acquistare efficacia nei confronti degli assenti in virtù della loro successiva adesione, sempre possibile, salva diversa pattuizione, sino a quando non intervenga un contrario comune accordo o un provvedimento di divisione giudiziale.

Cass. civ. n. 12242/2011

Nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria, ove una quota abbia costituito oggetto di cessione, la qualità di litisconsorte necessario spetta ai cessionari della quota e non agli eredi cedenti.

Cass. civ. n. 7881/2011

In tema di divisione immobiliare, il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione "pro quota" del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia.

Cass. civ. n. 13112/2010

Nel giudizio di divisione avente ad oggetto beni immobili soggetti al regime tavolare di pubblicità, incorre in violazione dell'art. 112 c.p.c. il giudice che - in presenza di un'espressa richiesta delle parti - ometta di provvedere alla divisione sulla base di tipi di frazionamento intavolabili, perché in tal modo viene lasciata la redazione di
quei documenti, necessari all'intavolazione dei diritti nascenti dalla sentenza, ad una successiva fase stragiudiziale che potrebbe richiedere un accordo tra le parti.

Cass. civ. n. 6134/2010

In tema di divisione ereditaria, rientra nei poteri del giudice di merito, ed è perciò incensurabile in cassazione, accertare se, nell'ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l'assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo il conguaglio in favore degli altri.

Cass. civ. n. 4224/2007

Poiché la comunione ereditaria ha ad oggetto non soltanto la comproprietà o contitolarità di diritti ma il complesso dei rapporti attivi e passivi che formavano il patrimonio del de cuius al momento della morte, lo scioglimento dello stato di indivisione si verifica soltanto quando i condividenti abbiano proceduto con le operazioni previste dagli artt. 713 e ss. c.c. ad eliminare la maggior parte delle relative componenti; d'altra parte, lo scioglimento della comunione ereditaria non è incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni già compresi nell'asse ereditario in divisione, sicché l'attribuzione congiunta di beni ereditari non dà luogo al cosiddetto stralcio di quota o a una divisione parziale.

Cass. civ. n. 3385/2007

In tema di divisione ereditaria, la cessione a terzi estranei di diritti su singoli beni immobili ereditari non comporta lo scioglimento — neppure parziale - della comunione, in quanto i diritti continuano a fare parte della stessa comunione, restando l'acquisto del terzo subordinato all'avveramento della condizione che essi siano in sede di divisione assegnati all'erede che li abbia ceduti. Ne consegue che, se un coerede può alienare a terzi in tutto o in parte la propria quota, tanto produce effetti reali se e in quanto l'acquirente venga immesso nella comunione ereditaria, mentre in caso diverso la vendita avrà soltanto effetti obbligatori, salvo che la vendita non abbia avuto a presupposto un atto di scioglimento della comunione ereditaria, anche implicito, in ordine a tali beni.

Cass. civ. n. 15583/2005

Un progetto di divisione di comunione, redatto da un terzo, cui sia stato affidato tale compito, ove si presenti di contenuto tale da integrare gli elementi della proposta e dell'accettazione della divisione e venga sottoscritto per adesione da tutti i condividenti, è idoneo a determinare l'incontro di volontà dei medesimi e quindi la conclusione del contratto di divisione.

Cass. civ. n. 18351/2004

Tenuto conto che la comunione ereditaria ha ad oggetto non soltanto la comproprietà o contitolarità di diritti ma il complesso dei rapporti attivi e passivi che formavano il patrimonio del de cuius al momento della morte, lo scioglimento dello stato di indivisione si verifica soltanto quando i condividenti abbiano proceduto con le operazioni previste dagli artt. 713 ss. c.c. ad eliminare la maggior parte delle relative componenti; in tal caso, poiché la comproprietà che ancora residui su alcuni beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, non ricorrono le condizioni per l'esercizio del retratto successorio, previsto dall'art. 732 c.c. esclusivamente in presenza di una comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 17881/2003

In tema di divisione negoziale, in relazione alla quale fra l'altro non trova applicazione la norma dettata dall'art. 784 c.p.c. — per la divisione giudiziale — sul litisconsorzio processuale, la partecipazione (di natura sostanziale) al negozio da parte del contitolare della comunione ereditaria, è necessaria soltanto se lo scioglimento concerna la contitolarità del medesimo diritto (comunione omogenea) e non invece allorché sullo stesso bene concorrano diritti reali di tipo differente come ad esempio usufrutto e proprietà (comunione impropria). Ne consegue che non è affetto da nullità l'accordo stipulato dai comproprietari per lo scioglimento della relativa comunione nonostante che nella divisione negoziale non sia intervenuto il coniuge superstite titolare del diritto di usufrutto e partecipe — quale legatario ex lege — della comunione ereditaria dal momento dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 7129/2001

In tema di divisione giudiziale, una volta passata in giudicato la sentenza con la quale è stato disposto lo scioglimento della comunione e siano stati determinati i lotti, questi entrano da quel momento a far parte del patrimonio di ciascuno degli ex comunisti se pure, nel caso ne sia disposto il sorteggio, l'individuazione in concreto di costoro abbia luogo successivamente in concomitanza con tale adempimento di carattere puramente formale, onde qualsiasi evento si verifichi nel frattempo a vantaggio o in danno dei beni costituenti ciascun singolo lotto, si verifica a vantaggio o in danno dell'ex comunista cui lo stesso verrà assegnato in sede di sorteggio, senza che tali accadimenti possano più minimamente influire sulla determinazione della composizione dei lotti e dar luogo ad ulteriori aggiustamenti o conguagli.

Cass. civ. n. 8693/1998

Il principio secondo il quale non ricorre alcuna ipotesi di evizione nell'ipotesi di nullità del negozio giuridico traslativo del diritto in contestazione (poiché in tal caso il bene oggetto del trasferimento non entra a far parte del patrimonio dell'avente causa) deve ritenersi applicabile anche all'ipotesi di nullità della divisione giudiziale tra coeredi, vizio genetico dell'atto del tutto ostativo alla produzione dei suoi effetti tipici (all'assegnazione, cioè, di beni determinati a ciascuno dei condividenti), ed in conseguenza del quale, esclusa l'ammissibilità del rimedio dell'evizione tra condividenti, sorge, per converso, la necessità di procedere ad una nuova divisione. (Nella specie, il giudice di merito, accertata l'erronea inclusione, in un progetto divisionale tra coeredi, di due fondi oggetto di dominio civico destinati ad alcuni condividenti, e dichiarata, conseguentemente, la nullità dell'intera divisione, aveva escluso, con sentenza confermata dalla S.C., l'esperibilità, per gli assegnatari dei predetti beni, del rimedio di cui agli artt. 758 e 759 c.c. in tema di evizione subita da un coerede, affermando la necessità di procedere ad una nuova divisione).

Cass. civ. n. 10220/1994

Il principio dell'universalità della divisione ereditaria non è un principio assoluto o inderogabile ed è possibile una divisione parziale, sia quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell'intero asse.

Cass. civ. n. 5484/1993

Provvedutosi convenzionalmente allo scioglimento di una comunione, il ripristino di tale comunione può essere effettuato contestualmente nello stesso atto in cui si proceda ad una nuova e diversa divisione della medesima comunione, senza che occorra previamente provvedere con un distinto ed autonomo atto, alla ricostruzione di questa.

Cass. civ. n. 6225/1987

A differenza della divisione ereditaria, la quale, determinando lo scioglimento della comunione fra tutti i coeredi con assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli beni in relazione alle rispettive quote, richiede la partecipazione di tutti i coeredi (e, ove abbia ad oggetto anche diritti reali immobiliari, la stipulazione per atto pubblico a pena di nullità), la convenzione di attribuzione frazionata del godimento separato di un bene o diritto comune ereditario, non comportando direttamente lo scioglimento della comunione, è immediatamente vincolante non solo per le parti contraenti, ma è efficace anche nei confronti delle parti che abbiano espresso adesione all'accordo, sottoscrivendo l'atto, se presenti, oppure, se assenti, mediante consenso preventivo espresso anche verbalmente.

Cass. civ. n. 2231/1985

Poiché i beni di una comunione ben possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sé stanti, può essere oggetto di divisione giudiziale la quota indivisa di un bene già in comunione.

Cass. civ. n. 4275/1984

Quando all'eredità sono chiamate più persone, benché alcune per legge ed altre per testamento, la pluralità dei successori e la diversità dei relativi titoli non rompono l'unità della successione, instaurandosi fra i più coeredi una communio incidens che investe l'intero patrimonio ereditario del quale costoro esprimono unitariamente di fronte ai terzi la titolarità, con la conseguente necessità che la stessa divisione dell'asse, pur potendo essere chiesta da ciascun coerede, deve sempre estendersi, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, a tutto il complesso dei beni caduti in successione.

Cass. civ. n. 3182/1982

La sopravvenuta alienazione, totale o parziale, dei beni oggetto di comunione non osta a che i partecipanti, a prescindere da eventuali ed autonome pretese risarcitone, possano proporre domanda di divisione, al fine di realizzazione i propri rispettivi diritti, in tutto od in parte, mediante equivalente in denaro, previa ricostruzione, sia pur fittizia, della massa dividenda, con formazione delle relative quote.

Cass. civ. n. 4105/1981

La vendita di un bene ereditario operata da un coerede prima della divisione acquista efficacia (retroattiva) solo se il bene sia assegnato all'alienante a seguito di divisione ereditaria, per cui, fino a tale assegnazione il bene continua a far parte della massa comune da dividere.

Cass. civ. n. 3014/1981

In mancanza di una chiara manifestazione di volontà delle parti, diretta alla formazione di un'unica massa, quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi non si realizza un'unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni. Alla pluralità dei titoli corrisponde, quindi, una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un'entità patrimoniale a sé stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti rispetto a questa, al di fuori e indipendentemente dai diritti che gli competono sulle altre masse. Nell'ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione
i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisibilità dei beni immobili che vi sono inclusi.

Cass. civ. n. 533/1978

E di ostacolo alla proponibilità di una domanda di divisione ereditaria secondo le norme della successione legittima solo la positiva risultanza ma non anche la mera possibile sussistenza di ulteriori eredi, di un testamento e di ulteriori beni, oltre quelli oggetto della domanda.

Cass. civ. n. 3451/1977

L'esistenza di una divisione di fatto non fa venir meno l'interesse giuridico di tutte le parti — coeredi o condomini — alla divisione giudiziale, per ottenere un titolo che sia trascrivibile a norma dell'art. 2646 c.c., e questo interesse comune è sufficiente a giustificare che le spese del giudizio di divisione siano poste a carico della massa.

Cass. civ. n. 1145/1977

Qualora la divisione, per volontà delle parti, abbia ad oggetto solo alcuni dei beni del patrimonio comune, ciò che viene attribuito a ciascun partecipante assume la natura di acconto sulla porzione spettante in sede di divisione definitiva, con la conseguenza che tale ultima porzione, salvo patto contrario, va determinata attraverso una valutazione globale di tutti i beni, quelli già divisi e quelli rimasti in comunione, secondo un criterio uniforme e riferito allo stesso momento temporale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 713 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. R. chiede
giovedì 08/08/2024
“Buongiorno,
Mio nonno è deceduto circa 14 anni fa lasciando diversi beni, tra cui una masseria e dei terreni. Tuttavia, ad oggi, i miei parenti non hanno ancora avviato la procedura di successione per la divisione del patrimonio.
Tra l'altro un parente ha avuto dei problemi di fallimento e pignoramenti, quindi dovrebbe rifiutare l'eredità.
Come si può risolvere questa situazione?
Attendo vostre
Saluti

Consulenza legale i 14/08/2024
A distanza di 14 anni è abbastanza difficile pensare di poter ancora esercitare il diritto di accettare o rinunziare ad un’eredità, in quanto o sono stati posti in essere atti comportanti accettazione tacita della stessa (cfr. art. 476 del c.c.) oppure si è perso il diritto di accettarla, valendo per esso il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 480 del c.c..
E’ bene, innanzitutto, ricordare che secondo la giurisprudenza (cfr., tra le tante, Cass. n. 22017/2016), la denuncia di successione e il pagamento dell’imposta collegata, non comportano accettazione tacita dell’eredità; si tratta, infatti, di adempimenti fiscali che, in quanto diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno mero scopo conservativo e rientrano dunque tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 del c.c..
In particolare, afferma la S.C. che l’accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e che non sia altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede.
In ogni caso, l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso e non è censurabile in sede di legittimità, se la motivazione è immune da vizi logici o da errori di diritto (cfr. Cass. n. 12753/1999; Cass. n. 5688/1988).

Diverse, invece, sono le conseguenze se la denuncia di successione si accompagna alla voltura catastale, essendo quest’ultimo un adempimento che rileva non solo dal punto di vista fiscale, ma anche civile, per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi.
In tal senso si è espressa di recente Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 14/04/2022, n. 12259, così massimata:
A differenza della mera denuncia di successione, che ha valore esclusivamente fiscale, la voltura catastale ha invece rilievo sia agli effetti civili che a quelli catastali, ed è atto idoneo ad integrare un'accettazione tacita dell'eredità. Pertanto, deve considerarsi erede colui che ha effettuato la voltura al Catasto dei beni del de cuius a proprio favore”.

Quanto fin qui precisato può essere utile per comprendere meglio la posizione in cui si trova il parente in danno del quale sono state poste in essere procedure esecutive e/o fallimentari, in quanto lo stesso potrebbe aver ormai definitivamente perso il diritto di accettare l’eredità o, al contrario, rivestire la qualità di erede per aver tacitamente accettato l’eredità.
Infatti, se si è già proceduto alla voluta catastale degli immobili e gli eredi hanno preso possesso degli stessi, quel parente non ha più alcuna possibilità di rinunziare all’eredità.
In ogni caso, per porre fine alla situazione di incertezza in cui ci si trova l’unico modo è quello di procedere alle operazioni di divisione del patrimonio ereditario ex art. 713 c.c., norma che, in conformità a quanto dettato in tema di comunione in generale dall’art. 1111 del c.c., attribuisce a ciascun coerede il diritto di chiedere in qualunque momento la divisione, la quale può essere effettuata sia per via contrattuale (qualora vi sia l’accordo di tutti i coeredi) che per via giudiziale (in mancanza di accordo).
A tale divisione sarà legittimato ad intervenire o meno il parente in difficoltà economica a seconda che lo stesso abbia assunto la posizione di erede (anche tacitamente) o non possa più acquisirla per intervenuta prescrizione ex art. 480 c.c.


S. B. chiede
mercoledì 31/07/2024
“Io e due miei nipoti abbiamo ereditato l’appartamento dove viveva mia madre. L’intenzione di tutti e tre è quella di vendere l’appartamento e, al riguardo, abbiamo trovato un possibile compratore.
Purtroppo, ci sono stati dei problemi con i miei nipoti. Questi hanno preso oggetti di valore (ori e gioielli principalmente) dalla casa di mia madre sia quando lei era ancora in vita che poco dopo che era deceduta.
Quando era in vita hanno preso i gioielli dicendo che era meglio così perché c’era una badante in casa (negli ultimi anni mia madre ha avuto bisogno di assistenza continua) sottintendendo che lo hanno fatto perché la badante avrebbe potuto rubarli. Hanno preso i gioielli senza chiedermi nulla, sono venuto a conoscenza del fatto quasi per caso, mesi dopo che li avevano presi.
In aggiunta, poco dopo che mi madre è venuta a mancare, hanno preso altri oggetti di valore e, quando ho fatto presente la cosa, mi hanno risposto che lo hanno fatto perché la: “nonna li aveva promessi a loro”. Piccolo aspetto non di poco conto è che alcuni degli oggetti che hanno preso li avevo comprati io e lasciati a casa di mia madre tanti anni fa, non erano suoi pertanto non poteva prometterli.
Ho chiesto più volte (mesi) che gli oggetti di valore venissero riportati indietro e venissero divisi equamente, ma senza alcun riscontro. Le richieste, anche dirette, sono state ignorate.
Io vorrei vendere l’appartamento, ma ho il timore che, una volta venduto l’appartamento i miei nipoti spariranno nel nulla. A conti fatti, l’unico motivo per cui ci sentiamo è solo per la vendita dell’appartamento.
La mia domanda è questa: posso rifiutarmi di vendere la mia quota di appartamento fino a che i miei nipoti non si decidono di restituire gli oggetti di valore (in modo da dividerli in maniera equa)? Posso dirglielo direttamente, è una cosa possibile a livello legale oppure no?”
Consulenza legale i 10/08/2024
Purtroppo in mancanza di un inventario dei beni lasciati dalla de cuius vi è ben poco da fare, in quanto in materia di beni mobili (si qualificano tali i gioielli, così come del resto i mobili che arredano l’appartamento) vige la presunzione del possesso vale titolo.
In particolare, mentre per i beni immobili ed i beni mobili registrati il legislatore ha previsto l’istituzione di pubblici registri (ove annotare i vari trasferimenti), per quel che riguarda i beni mobili non registrati, invece, ha dettato all’art. 1153 del c.c. la suddetta regola del possesso vale titolo, in forza della quale il semplice possesso della cosa mobile ne fa presumere la proprietà.
Così, anche chi acquista un bene da chi non ne è proprietario, ne diviene ciò nonostante proprietario purchè ricorra una serie ben precisa di presupposti, tra cui:
  1. che si tratti, appunto, di beni mobili;
  2. che degli stessi ne sia stato acquistato il possesso;
  3. che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato.

Pertanto, in mancanza di un titolo idoneo (quale potrebbe essere appunto l’inventario di eredità) e considerato che i nipoti hanno del tutto ignorato le richieste di restituzione di quei beni fattegli pervenire, non si dispone di alcun elemento probatorio atto a dimostrarne l’appartenenza alla defunta e che, conseguentemente, ne possa legittimare una richiesta giudiziale di restituzione.
Dell’inventario si occupano, ai fini fiscali, l’art. 9 comma 2 del Dlgs. n. 346/1990, mentre sotto il profilo processuale gli artt. 769 e ss. c.p.c. ed è, si ribadisce, il solo titolo per mezzo del quale, al momento dell’apertura della successione, è possibile acquisire la prova di ciò che apparteneva al defunto.

In ogni caso, la mancata consegna dei beni mobili richiesti non può costituire valida ragione per rifiutarsi di prestare il proprio consenso alla vendita dell’immobile caduto in successione, in quanto tale comportamento si porrebbe in contrasto con il principio dettato dagli artt. 1111 e 713 c.c., ovvero quello secondo cui ciascuno dei partecipanti alla comunione può sempre domandare lo scioglimento della stessa.
Infatti, anche la vendita dell’immobile può costituire un modo per giungere allo scioglimento della comunione, e ciò vale in particolare nell’ipotesi in cui si tratti di immobile non comodamente divisibile, come si ricava specificatamente dagli artt. 720 e 721 c.c. in tema di divisione ereditaria.


P. D. chiede
lunedì 27/05/2024
“Parere Brocardi 28/5/2024

Buongiorno, il 20/4/2012 mio padre è venuto meno, lasciando la (seconda) moglie RL comproprietaria del 75x di una villa a quattro piani adatta alla vita di più persone, nonché di un piccolo appartamentino uso vacanza; il quarto residuo indiviso di tutto è andato a me, figlio del De Cuius

In capo alla vedova RL, oltre al 75x di proprietà, c’è poi il diritto di abitazione in capo al coniuge superstite, come sempre in questi casi.

Successivamente, senza chiedere a me permesso od altro, nella casa si è trasferito a vivere un convivente della RL che abita ormai lì da anni senza aver trasferito la residenza od altro.

In sostanza RL e il suo convivente hanno goduto in via esclusiva di tutto mentre io ho sempre dichiarato in denuncia di successione tutte le quote ereditarie , e ho sempre pagato le tasse immobiliari pari al mio quarto

Ora la mia problematica è questa: se un domani la signora RL dovesse venire meno, il convivente giuridicamente è solo ospite; tuttavia A NON VOLERLO COMUNQUE MANDARE VIA io potrò quantomeno godere del mio 25x di comproprietà e andare a vivere nella stessa casa dove c’è solo il convivente-ospite (ipotizzando che non se ne sia andato), portandoci la mia roba e occupando una parte dell’immobile? Calcolando che questo lo farei immediatamente e prima ancora che si apra un testamento e si sappia chi è il proprietario del 75x.

Dall’altro verso, ipotizzando che nessuno venga meno nei prossimi tempi, mi chiedo quale sia il tipo di azione legale piu idonea quantomeno ad interrompere l’usucapione ai miei danni.

Vi ringrazio vivamente e Vi porgo i migliori saluti


Consulenza legale i 02/06/2024
La situazione in cui attualmente ci si trova è quella della comunione ereditaria, anche se per quote diseguali, considerato che il figlio è titolare di una quota minima rispetto a quella del coniuge superstite, il quale ultimo, peraltro, gode del diritto di abitare l’immobile e di far uso dei mobili che lo arredano.
Le norme a cui occorre fare riferimento, dunque, sono sia quelle dettate agli artt. 713 e ss. c.c. in tema di divisione ereditaria che quelle dettate in tema di comunione ordinaria agli artt. 1100 e ss. c.c.

Ebbene, innanzitutto va detto che finchè perdura lo stato di comunione dovrà farsi applicazione di quanto disposto dall’art. 1102 del c.c..
In particolare, il primo comma di tale norma pone dei limiti negativi alla facoltà di godimento della cosa comune da parte di ciascun compartecipe, risultando inibito al singolo comunista di alterarne la destinazione economica e di impedire agli altri compartecipi di fare parimenti uso del bene secondo il loro diritto.
Sebbene la norma usi l’espressione “parimenti uso”, è evidente che la stessa non si può intendere nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo (ovvero fruito da tutti i comproprietari nella medesima unità di tempo e di spazio), in quanto ciò determinerebbe sul piano concreto l’impossibilità per ogni comunista di usare la cosa comune tutte le volte in cui questa dovesse risultare insufficiente.
Pertanto, qualora non sia possibile il godimento promiscuo e diretto del bene comune, non resta che ricorrere alle alternative dell’uso diretto o frazionato nello spazio o nel tempo ovvero dell’uso indiretto (tipica forma di uso indiretto, a cui in genere si ricorre, è quella di dare il bene in locazione a terzi).

Riconducendo quanto fin qui detto al caso di specie, può intanto dirsi che nella prima ipotesi prospettata, ovvero quella della morte di colei che è titolare della quota maggiore (oltre che del diritto di abitazione), l’altro comproprietario, anche se per quota inferiore, potrà far valere il proprio diritto di godere dell’immobile, trasferendo all’interno dello stesso beni di sua pertinenza, in modo da occupare, ove possibile, una minima porzione dello stesso.
Per quanto concerne la posizione di colui che attualmente vi si trova in forza di un mero rapporto di ospitalità, sembra evidente che se costui, a seguito dell’evento ipotizzato (la morte della compagna) non dovesse conseguire alcun diritto sull’immobile, non avrebbe più alcun titolo per rimanervi, con la naturale conseguenza che coloro che ne risulteranno legittimi proprietari potranno diffidarlo a sgomberare l’immobile, ponendo in essere, se necessario, ogni azione giudiziaria necessaria a raggiungere tale fine (ci si riferisce all’azione di liberazione dell’immobile per occupazione senza titolo).

Qualora, poi, una volta individuato il successore nella quota del 75% di proprietà, i comunisti non dovessero trovarsi nelle condizioni di raggiungere un accordo circa le modalità di uso del bene comune (sia come uso diretto, per indivisibilità dell’immobile secondo le rispettive quote, che come uso indiretto), non rimane altra soluzione che quella di procedere allo scioglimento della comunione.
Sia l’art. 713 c.c. che l’art. 1111 del c.c. riconoscono al comunista il diritto di chiedere in qualunque momento lo scioglimento della comunione (sia essa ereditaria che ordinaria), diritto che, oltre ad essere imprescrittibile, si qualifica di natura potestativa.
Alla divisione si può giungere per mezzo di un contratto ovvero giudizialmente.
Il primo ha natura di vero e proprio patto, in forza del quale i contitolari si accordano per sciogliere la comunione, attribuendosi reciprocamente una porzione di beni dal valore proporzionale alle rispettive quote.
Qualora, invece, le parti non riescano a raggiungere un accordo, alla divisione della cosa comune non si può che pervenire giudizialmente.

Regola generale in tema di divisione è quella fissata dall’art. 718 del c.c., norma che attribuisce a ciascun condividente il diritto ad avere la sua quota in natura dei beni da dividere.
Tuttavia, nel caso in cui non sia possibile rispettare tale regola, supplisce il disposto di cui al successivo art. 720 del c.c., norma che disciplina l’ipotesi della non comoda divisibilità di beni immobili.
Per comoda divisibilità deve intendersi la possibilità di frazionare il bene in tante quote quanti sono i comunisti (Cass. n. 364/1986) ovvero la possibilità, in relazione alla struttura del bene, di formare un numero di quote omogenee eguale a quello dei condividenti (Cass. n. 4111/1996); è anche necessario che l’eventuale divisione non incida negativamente sull’originaria destinazione economica del bene.

Nel caso in cui non sussistano i suddetti presupposti e nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero, la vendita all’incanto rimane l’unico rimedio per sciogliere la comunione, rimedio che proprio per questo si definisce residuale (la domanda di vendita all’incanto deve ritenersi contenuta in quella di scioglimento della comunione, la quale implica la richiesta di attuazione di tutti i mezzi a tal uopo previsti dalla legge per realizzare lo scopo, tra i quali vi è, appunto, la vendita del bene se indivisibile).

Per quanto concerne, poi, l’ipotesi a cui si fa riferimento nella parte conclusiva del quesito, ovvero quella del continuare a permanere ancora per diversi anni della attuale situazione e del timore che si possa perdere il diritto di proprietà su quella minima quota per intervenuta usucapione da parte di coloro occupano l’immobile in via esclusiva, va detto che si tratta di un’eventualità da scartare, in quanto costoro possono attualmente godere dell’immobile in via esclusiva in forza del diritto di abitazione di cui all’art. 540 del c.c., mentre il convivente in forza di un mero rapporto di ospitalità, il quale, come si è detto prima, non gli consentirà di continuare a permanervi dopo la morte di colei che lo ospitava.


M. S. chiede
giovedì 03/08/2023
“Salve. Mia nonna è da poco deceduta e gli eredi siamo io (nipote dato che mio padre è deceduto 4 anni fa) e mio zio (fratello di mio padre). Mia nonna (che non ha fatto testamento) ci lascia in eredità un appartamento che io vorrei vendere mentre mio zio non è d'accordo e vorrebbe affittarlo o restaurarlo per venderlo a miglior prezzo. È nel mio diritto farmi dare la mia parte nel caso non ci si accordasse?? E nel caso lui non volesse? Come posso muovermi? Grazie in anticipo”
Consulenza legale i 09/08/2023
La situazione in cui attualmente ci si trova è quella della comunione ereditaria, per la quale trovano applicazione sia le norme che il codice civile detta in tema di divisione ereditaria (artt. 713 e ss. c.c.) sia le norme dettate in tema di comunione ordinaria (artt. 1100 e ss. c.c.).
Innanzitutto va detto che finchè perdura lo stato di comunione ereditaria dovrà farsi applicazione di quanto disposto dall’art. 1102 del c.c..
In particolare, il primo comma di tale norma pone dei limiti negativi alla facoltà di godimento della cosa comune da parte di ciascun compartecipe, risultando inibito al partecipe di alterarne la destinazione economica e di impedire agli altri compartecipi di fare parimenti uso del bene secondo il loro diritto.
Ovviamente la nozione di pari uso del bene comune non si può intendere nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo (ovvero fruito da tutti i comproprietari nella medesima unità di tempo e di spazio), in quanto ciò determinerebbe sul piano concreto l’impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte in cui questa dovesse risultare insufficiente.

Pertanto, qualora non sia possibile il godimento promiscuo e diretto del bene comune, non resta che ricorrere alle alternative dell’uso diretto o frazionato nello spazio o nel tempo ovvero dell’uso indiretto.
Costituisce una tipica ipotesi di uso indiretto proprio quella di dare il bene in locazione a terzi; tuttavia, poiché una decisione di questo tipo incide sulla estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede sull’intero bene indiviso, la stessa non può che essere disposta dal giudice o deliberata dall’assemblea a maggioranza (soluzione quest’ultima impossibile da praticare nel caso di comunione per quote eguali di due soli soggetti).

Qualora, dunque, i comunisti non si trovino nelle condizioni di raggiungere un accordo circa le modalità di uso del bene comune (sia come uso diretto che come uso indiretto), non rimane altra soluzione che quella di procedere allo scioglimento della comunione.
Sia l’art. 713 c.c. che l’art. 1111 del c.c. riconoscono al comunista il diritto di chiedere in qualunque momento lo scioglimento della comunione (sia essa ereditaria che ordinaria), diritto che, oltre ad essere imprescrittibile, si qualifica di natura potestativa.
Alla divisione si può giungere per mezzo di un contratto ovvero giudizialmente.
Il primo ha natura di vero e proprio patto tra i coeredi (o più in generale tra i contitolari di un diritto reale), in forza del quale essi si accordano per sciogliere la comunione, attribuendosi reciprocamente una porzione di beni dal valore proporzionale alle rispettive quote.

Qualora, invece, le parti non riescano a raggiungere un accordo, alla divisione della cosa comune non si può che pervenire giudizialmente.
Il giudizio divisorio è regolato dalle disposizioni in materia del codice di procedura civile ed in particolare dagli artt. 784 e ss. c.p.c.; la domanda di divisione si propone con citazione innanzi al giudice competente per territorio ex art. 22 del c.p.c. e per valore ai sensi del secondo comma dell’art. 12 del c.p.c. (alla divisione giudiziale devono partecipare tutti i coeredi in quanto litisconsorti necessari).

Regola generale in tema di divisione è quella fissata dall’art. 718 del c.c., norma che attribuisce a ciascun condividente il diritto ad avere la sua quota in natura dei beni da dividere.
Tuttavia, nel caso in cui non sia possibile rispettare tale regola, supplisce il disposto di cui al successivo art. 720 del c.c., norma che disciplina l’ipotesi della non comoda divisibilità di beni immobili.
Per comoda divisibilità deve intendersi la possibilità di frazionare il bene in tante quote quanti sono i coeredi (Cass. n. 364/1986) ovvero la possibilità, in relazione alla struttura del bene, di formare un numero di quote omogenee eguale a quello dei condividenti (Cass. n. 4111/1996); è anche necessario che l’eventuale divisione non incida negativamente sull’originaria destinazione economica del bene.
Pertanto, i presupposti per accertare rigorosamente la comoda divisibilità di un immobile consistono, sotto l’aspetto strutturale, nella impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive e non richiedenti opere complesse e di notevole costo; sotto l’aspetto economico e funzionale, invece, nel fatto che la divisione non incida sulla originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso.

Ebbene, nel caso in cui non sussistano i suddetti presupposti e nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero, la vendita all’incanto rimane l’unico rimedio per sciogliere la comunione, rimedio che proprio per questo si definisce residuale (la domanda di vendita all’incanto deve ritenersi contenuta in quella di scioglimento della comunione, la quale implica la richiesta di attuazione di tutti i mezzi a tal uopo previsti dalla legge per realizzare lo scopo, tra i quali vi è, appunto, la vendita del bene se indivisibile).
Solo una espressa e specifica istanza del condividente interessato assurge ad imprescindibile presupposto per l’attribuzione dell’intero bene, con addebito per l’eventuale eccedenza, ad uno dei condividenti (così di recente Cass. ordinanza n. 36736/2022), e neppure il giudice, investito del giudizio di divisione, ha il potere di scelta fra attribuzione dell’immobile e vendita.

Sulla base di quanto fin qui si è cercato di chiarire, dunque, può rispondersi come segue a quanto richiesto:
lo zio comproprietario non può imporre all’altro coerede né di affittare né di restaurare l’appartamento per venderlo a miglior prezzo.
Non può imporre di affittarlo se non vi è il consenso dell’altro comproprietario, in quanto in caso contrario verrebbe ad essere violato il disposto di cui all’art. 1102 c.c., norma che sancisce il principio del pari uso della cosa comune.
Non può imporre di restaurarlo per venderlo in quanto l’art. 1104 del c.c., in tema di comunione in generale, prevede quale solo obbligo a carico dei partecipanti quello di contribuire nelle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, mentre il successivo art. 1108 del c.c. precisa che solo con deliberazione della maggioranza dei partecipanti, che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono decidere tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo e redditizio il godimento (proprio ciò che vorrebbe lo zio, ma che risulta impossibile da attuare in quanto la comunione riguarda due soli soggetti per pari quote).

Non può, invece, avanzarsi alcuna pretesa di farsi liquidare dall’altro comproprietario il valore in denaro dell’appartamento da dividere in quanto l’attribuzione per intero del bene ad uno dei comproprietari ha quale suo imprescindibile presupposto, come risulta dall’art. 720 c.c., l’espressa richiesta avanzata in tal senso da uno dei comproprietari, non potendo neppure il giudice imporre tale soluzione.
Pertanto, in mancanza di tale richiesta ed in caso di non comoda divisibilità dell’immobile, non vi può essere altra soluzione che quella di procedere alla vendita all’incanto dell’appartamento.

M. C. chiede
mercoledì 12/04/2023
“buonasera, avrei bisogno di un consiglio su come agire.
Mia madre morta prematuramente e senza testamento, lasciava un marito e tre figli.

Mio Padre e mia madre erano in regime di comunione dei beni ed insieme avevano svariate proprieta cadute in successione per quote diverse.

Ad oggi successivamente all'atto di successione io mio padre e i miei fratelli ci ritroviamo essere possessori comuni indivisi di tutti gli immobili intestati a mia mamma Per la quota di 33% dell'intero immobile intestato ai figli e 66% a mio padre.

Premettendo che ad oggi ogni figlio occupa un appartamento di questo stabile e che ogni appartamento e uguale all'altro per valore.

Ad oggi la volontà mia di mio fratello e di mio padre e quella di procedere con la divisione dei beni e la donazione da parte di mio padre della restante quota degli appartamenti che sono già materialmente in nostro possesso ma che non ne abbiamo la piena proprietà.
il problema e che la terza figlia mia sorella non vuole sapere niente ne di dividere ne di vendere le quote di sua proprieta negli appartamenti in nostro possesso rifiutando qualsiasi tipo di dialogo in merito alla questione.

Ad oggi voglio sapere come posso diventare pieno proprietario dell'appartamento di cui già sono in possesso e come cessare la comunione di tutti i beni con mia sorella che non vuole ne parlare ne con me ne con mio padre ne con mio fratello (tra l'altro non vuole nemmeno partecipare alle spese di ordinaria manutenzione dell'immobile)
Consulenza legale i 18/04/2023
Il quesito contiene un’affermazione che costituisce presupposto fondamentale per realizzare la propria volontà, e precisamente nella parte in cui è detto che “ad oggi ogni figlio occupa un appartamento di questo stabile e che ogni appartamento è uguale all’altro per valore”.
Sulla base di ciò, infatti, sarà sufficiente invocare il disposto di cui al comma 1 dell’art. 713 c.c., ove viene consacrato il principio secondo cui ciascun coerede può in qualsiasi momento chiedere (e pretendere) che si proceda a divisione dei beni caduti in successione.
Il successivo art. 714 c.c. precisa che tale diritto sussiste anche nel caso in cui uno o più coeredi abbiano goduto separatamente di parte dei beni ereditari, ipotesi che ricorre appunto nel caso di specie.

Costituisce opinione pacifica quella secondo cui il diritto di chiedere la divisione ha natura di diritto potestativo ed è imprescrittibile, postulando soltanto l’aver acquistato la qualità di erede e, pertanto, l’avvenuta accettazione dell’eredità.
Alla divisione si può giungere in virtù di un contratto (in forza del quale i coeredi si accordino per sciogliere la comunione, attribuendosi reciprocamente una porzione dei beni del valore proporzionale alle rispettive quote), ovvero, in assenza del consenso unanimemente manifestato da tutti i comunisti, a seguito di sentenza del giudice (giudizialmente).
Il giudizio divisorio è regolato dalle disposizioni dettate in materia dal codice di procedura civile, ed in particolare dagli artt. 784 e ss. c.c., dovendosi pur sempre privilegiare, ex art. 718 del c.c., il diritto di ciascun coerede di ottenere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell’eredità.

Pertanto, considerato che, come è stato evidenziato all’inizio, gli immobili attualmente occupati e che si ha interesse ad acquisire in via esclusiva sono tutti di pari valore e considerato altresì che la sorella condividente dovrebbe facilmente comprendere che si può comunque giungere a divisione anche senza il suo consenso (con l’intervento del giudice), non si vede per quale ragione quest’ultima debba continuare ad ostacolare la divisione, impedendo il raggiungimento di un accordo.
Qualora la sorella dovesse rendersi conto che la sua persistente opposizione non può che portare ad un inutile aggravio di spese, la volontà manifestata nel quesito potrà essere facilmente raggiunta stipulando contestualmente un atto di divisione e donazione (con la donazione il padre trasferirebbe a ciascun figlio la quota di proprietà che gli rimane sugli immobili oggetto di divisione).

Si ritiene opportuno precisare che, allorchè dovesse giungersi ad una divisione giudiziale, il fatto che uno dei coeredi abbia goduto in via esclusiva di uno dei beni ereditari non può valere quale causa di prelazione nell’assegnazione di quel medesimo bene.
Di contro, se il coerede ha eseguito delle migliorie sul bene da lui posseduto (a differenza magari di altri), può pretendere, in sede di divisione ereditaria, non già l’applicazione dell’art. 1150 del c.c. (secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti), bensì il rimborso delle spese sostenute per il bene (ovviamente se adeguatamente certificate), esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non già di valore.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. VI con ordinanza n. 8938 del 31.03.2021, nella quale la S.C. sostiene che il coerede che ha eseguito delle migliorie va qualificato quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria.
Quanto da ultimo detto vale anche per chiedere alla sorella il rimborso delle spese nel frattempo sostenute per provvedere alla ordinaria manutenzione dell’immobile.

P. M. chiede
mercoledì 04/05/2022 - Lazio
“Gentile avvocato,
sono una donna di 43 anni che ha vissuto sempre con il padre invalido nella casa di famiglia. Il 16 gennaio di questo anno mio padre è venuto a mancare. Ha lasciato un testamento in base al quale io sono proprietaria del 66,6 % della casa e mia sorella del 33,3%(legittima).Ho fatto valutare l'appartamento di famiglia e il valore stimato è di 138000 euro. Vorrei acquistare l'immobile per intero liquidando la quota di mia sorella (33%), che ammonterebbe a 45000 euro. Mia sorella si rifiuta di vendermi la quota al valore di mercato, e ha chiesto 100000 euro, cioè più del doppio. Ovviamente io mi sono opposta, replicando che il valore di mercato è 138000 euro. Mi ha risposto " sono fatti tuoi", e si rifiuta di pagare le spese straordinarie dell'appartamento perchè ci vivo io. Pongo delle domande:
1)Può bloccarmi in questo modo chiedendo una cifra al di sopra del valore di mercato?
2)C'è un modo per obbligarla a vendermi la sua quota al giusto valore di mercato?
3)Può tenersi la sua quota facendo quello che vuole e scaricando tutte le spese sulla mia persona perchè ci abito e intanto usufruendone in brevi periodi?
4)Eventualmente,si può affidare la procura ad un legale che tratti con lei fino alla risoluzione del problema, io non voglio più avere a che fare con lei..Sarebbe capace anche di "boicottare" una eventuale cessione di quota.

Spero in una vostra risposta e poter uscire da questo incubo”
Consulenza legale i 11/05/2022
Le ragioni dell'atteggiamento che l'altra comproprietaria ha assunto si ritiene siano abbastanza evidenti, avendo questa ricevuto dal padre defunto soltanto la quota che la legge riserva in suo favore.
Indubbiamente la scelta del testatore non può che essere stata dettata da ciò che in vita ha ricevuto da ciascuna delle figlie, in termini sia di affetto che di cure ed assistenza, aspetto di cui, tuttavia, non sembra voler tenere conto l'altra sorella.

Ora, tralasciando queste considerazioni di carattere prettamente sociale e familiare, si tratta adesso di capire in che modo è possibile sciogliere la comunione forzosa che si è venuta a creare e, soprattutto, di comprendere se, nel frattempo, l'agire della sorella può ritenersi o meno legittimo.

La prima domanda a cui viene chiesto di rispondere è se l'altra comproprietaria può bloccare l'acquisto dell'intero chiedendo una cifra al di sopra del valore di mercato.
La risposta, purtroppo, è positiva, in quanto, in forza del principio di carattere generale della libertà di iniziativa economica privata, principio su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico ed in cui si intende ricompresa anche l’autonoma contrattuale delle parti, ciascuno è libero di vendere a chicchessia i propri beni ed al prezzo che ritiene più opportuno (ovviamente sarà l'altra parte, poi, a decidere se accettare o meno le condizioni di vendita che gli vengono proposte).
In forza di tale principio deve anche rispondersi negativamente alla seconda delle domande poste, ossia se esiste un modo per obbligare l’altra comproprietaria a vendere la sua quota al giusto valore di mercato.

Ciò, di certo, non significa che si devono continuare a sopportare gli atteggiamenti prevaricatori della sorella, la quale mostra totale disinteresse per la gestione di quell’immobile comune, né vuol dire che non vi è soluzione per uscire da tale situazione di comunione.
Per risolvere problemi di questo tipo, infatti, il codice civile prevede norme e strumenti ben precisi, che adesso si cercherà di illustrare.
Innanzitutto, per ciò che concerne il profilo della gestione della cosa comune e delle modalità di ripartizione delle spese che la stessa richiede di affrontare, si ritiene che sia corretto fare applicazione delle norme che il codice civile detta in tema di comodato.
Infatti, in assenza di corrispettivo e di un formale contratto di locazione a cui poter ricondurre la detenzione esclusiva dell’immobile da parte di una sola delle comproprietarie, non può che presumersi la sussistenza tra le medesime parti di un rapporto di comodato, figura contrattuale per la quale non è richiesto il rispetto di alcuna forma scritta (è sufficiente la consegna della cosa) e che viene solitamente impiegata tra amici e parenti per dare in prestito un'abitazione o altro, consentendo ad altri il godimento del bene, in virtù della relazione affettiva intercorrente tra le parti.

L’aspetto negativo della riconduzione a tale figura contrattuale del rapporto sussistente tra le due sorelle comproprietarie deve individuarsi proprio in quella che costituisce l’obbligazione principale posta a carico del comodatario, ossia la restituzione del bene a semplice richiesta del comodante, che potrebbe essere avanzata in qualsiasi momento, non essendo stato pattuito alcun termine per tale restituzione.
In un caso del genere, ritornerebbero a trovare applicazione le norme sulla comunione ordinaria, ed in particolare l’art. 1102 del c.c., per effetto del quale ciascun comproprietario non può impedire il pari uso della cosa comune da parte degli altri partecipanti secondo il loro diritto.

Sotto il profilo delle spese, invece, è ingiustificabile la posizione assunta dall’altra sorella, ossia il suo rifiuto di partecipare alle stesse.
Infatti, in un caso del genere si ritiene corretto fare applicazione di quanto disposto dall’art. 1808 del c.c., in forza del quale devono farsi gravare sul comodatario (ossia sulla sorella che di fatto usufruisce del bene) le spese relative all’uso ed alla gestione ordinaria dell’immobile, mentre graveranno sulla parte comodante tutte le spese straordinarie occorrenti per la conservazione del bene.
Ovviamente, trattandosi di immobile di cui è comproprietaria anche la parte che ne ha la detenzione esclusiva, peraltro in misura maggiore, la suddivisione di tali spese dovrà essere effettuata in proporzione alla quota di cui ciascuna delle sorelle è comproprietaria (ossia in ragione di 2/3 e di 1/3).

Quanto fin qui detto, con cui si intende rispondere alla terza delle domande poste, vale per ciò che concerne il regime di ripartizione delle spese finchè perdura la situazione in cui attualmente ci si trova.
Ritornando, adesso, alla seconda delle domande che vengono formulate, si è detto nella parte iniziale di questa consulenza che, in virtù del principio dell’autonomia contrattuale, il nostro ordinamento non consente, salvo i casi imposti dalla legge, di imporre ad un soggetto di vendere un bene di cui è comproprietario, in via esclusiva o pro quota, né di venderlo ad un prezzo determinato (valore di mercato).

Di contro, sempre il nostro ordinamento giuridico stabilisce un altro principio di carattere generale, ossia quello secondo cui ciascun erede ha il diritto di chiedere in qualunque momento la divisione della cosa comune.
Si tratta di un diritto definito di natura potestativa, ossia all’esercizio del quale gli altri coeredi non possono che soggiacere, ed imprescrittibile.
Ciò che si suggerisce, dunque, per raggiungere l’effetto desiderato, è di manifestare alla sorella la propria volontà di procedere a scioglimento della comunione ereditaria, chiedendo l’attribuzione in via esclusiva dell’immobile ed il soddisfacimento delle ragioni della sorella con un conguaglio in denaro.
A tal fine si potrà fare applicazione di quanto disposto dall’art. 720 del c.c., nella parte in cui è detto che “se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili….essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore…”.

Considerato che, con molta probabilità, una tale richiesta non sarà bonariamente accolta dall’altra sorella coerede o, quantomeno, non si raggiungerà tra i coeredi un accordo circa la misura del conguaglio in denaro, non si potrà fare a meno di fare ricorso ad un divisione giudiziale.
In questo caso, la proposta di fare applicazione dell’art. 720 c.c. (con attribuzione dell’intero immobile alla porzione del coerede che ha diritto alla quota maggiore) dovrà avanzarsi al giudice che si occuperà della divisione, il quale, per ciò che concerne la stima del bene (e, dunque, la determinazione del conguaglio in denaro da versare all’altra sorella) non potrà non fare applicazione di quanto disposto dall’art. 726 del c.c., ossia attenersi a quello che è il valore venale dei singoli oggetti.
Va al riguardo precisato che la stima dei beni, cioè la riduzione del valore di un bene in danaro, deve essere riferita al tempo della divisione ( cfr. Cass. civ. 27.11.1982 n. 6469) e non a quello dell'apertura della successione e che il termine "valore venale" richiama inequivocabilmente il valore di mercato dei beni stessi con riferimento alla loro natura, ubicazione e consistenza.
Per tale stima l’autorità giudiziaria sarà indispensabile fare ricorso all’ausilio di un CTU (consulente tecnico di ufficio), il quale a sua volta dovrà necessariamente attenersi a criteri obiettivi e non soggettivi, come pretenderebbe di imporre la sorella.

Ovviamente tutte le operazioni sopra suggerite potranno essere condotte da un legale di propria fiducia, a cui dovrà sostanzialmente conferirsi mandato per procedere allo scioglimento della comunione ereditaria (si raccomanda vivamente di pretendere un preventivo scritto e ben dettagliato per tutte le attività da svolgere; meglio, se possibile, chiederne più di uno, rivolgendosi a diversi professionisti).
Qualora le parti dovessero accordarsi in via bonaria, senza ricorso all’autorità giudiziaria, il loro accordo dovrà essere formalizzato innanzi ad un notaio, comportando il trasferimento di un diritto reale, per la cui pubblicità (trascrizione nei Registri immobiliari e volture catastali) è richiesto il rispetto della forma dell’atto pubblico o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata ex c.c.art. 2643 del c.c..
Dinanzi al notaio, ovviamente, dovranno comparire le parti personalmente, salvo il conferimento di una procura speciale a qualunque altra persona di propria fiducia (non necessariamente un legale).

Mauro S. chiede
lunedì 03/09/2018 - Veneto
“Possiedo 2/3 di quote di una residenza composta da 3 appartamenti che ho ereditato alla morte del padre. Una sorella ha da subito attivato la divisione legittima per poi cedere al sottoscritto la sua quota. L'edificio presenta delle irregolarità progettuali e degli abusi edilizi che richiedono cifre importanti per la messa in regola (circa 100.000 euro) stimata da un CTU alla richiesta di mediazione. Io vorrei procedere con la sanatoria di tutto per poter utilizzare e trarre profitto, magari affittandolo, ma soprattutto vorrei evitare pesanti sanzioni qualora il comune verificasse a conoscenza e notificasse le irregolarità. Tramite l'avvocato ho avanzato una seria proposta di acquisto o di una divisione equa della spese da sostenere per evitare che l'edificio deperisca e per rispetto alla memoria di mio padre. Dopo quasi 5 anni gli avvocati palleggiano tra minacce e veti. Cosa posso fare ? Richiedere la divisione giudiziale, certo ma sicuramente il giudice ci obbligherà a sanare le difformità palesemente visibili. Potete gentilmente darmi qualche suggerimento secondo la vostra esperienza ? Grazie .
Mauro S.”
Consulenza legale i 11/09/2018
Va premesso che, secondo la giurisprudenza amministrativa (si veda, per tutte, la recente Cons. di Stato, Sez. IV, sent. 3823/2016), il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo edilizio deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che, diversamente considerando, il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio – sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti che vantano un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari.
In carenza della situazione da ultimo descritta, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni (incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente) non potrà essere né richiesto – non avendo il soggetto titolo per proporre tale istanza – né, ovviamente, rilasciato – non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso – in modo legittimo dalla P.A.
Ne consegue che, nel caso in esame, in cui gli immobili da regolarizzare sono in comproprietà tra gli eredi, in mancanza di accordo tra gli stessi non sarà possibile provvedere a richiedere i titoli abilitativi necessari per effettuare la relative opere.
Appare quindi inevitabile, perdurando tale situazione, procedere ad un nuovo giudizio di divisione. Ai sensi dell’art. 791 bis del c.p.c., è possibile anche proporre una domanda congiunta di divisione.
In ogni caso, però, la domanda di divisione deve necessariamente essere preceduta da una richiesta di mediazione ex D. Lgs. n. 28/2010, occasione utile per raggiungere l’auspicata soluzione condivisa della questione.
Nel caso in esame, risulta essere stata già attivata - ma infruttuosamente - una procedura di mediazione negli anni precedenti, con tanto di espletamento di consulenza tecnica.
In proposito, sarebbe interessante conoscere il contenuto della proposta di mediazione eventualmente formulata in quella sede.
Va ricordato, infatti, che sia la mancata partecipazione al procedimento di mediazione sia la mancata adesione alla proposta possono avere riflessi importanti sul successivo giudizio in tribunale e comportare per la parte che non tiene un atteggiamento “collaborativo” alcune conseguenze sfavorevoli (ad esempio, sopportare le spese del successivo giudizio in tribunale) e vere e proprie sanzioni.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 8 Dl Lgs. n. 28/2010, comma 4-bis, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116 del c.p.c., secondo comma. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi in cui l’esperimento della mediazione è prevista a pena di improcedibilità della domanda, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Inoltre, secondo l’art. 11 del medesimo D. Lgs. n. 28/2010, se non viene raggiunto un accordo amichevole, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione; in ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.
La formulazione di una proposta riveste particolare rilevanza: ai sensi del successivo art. 13, qualora l’accordo non venga raggiunto e, nel successivo giudizio, il provvedimento che definisce quest’ultimo corrisponda interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Tali disposizioni si applicano anche alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e al compenso dell’esperto eventualmente nominato quale consulente.
Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto eventualmente nominato.

Fedele M. chiede
mercoledì 14/02/2018 - Puglia
“A seguito della morte di Marta (2010) si è aperta la successione legittima non essendoci testamento. Eredi sono i figli,che non concordano sulla divisione dei beni.Il patrimonio della defunta ,consta di due masse: la prima comprende i suoi beni personali ( terreni,fabbricati e denaro giacente su un c/c bancario ); la seconda quale quota dell'eredità del suo coniuge Giuliano ,morto nel 1992.La seconda massa non è stata ancora assegnata perché fra i germani,figli ed unici eredi dei defunti coniugi Giuliano e Marta,è pendente in Tribunale dal 2001 la divisione giudiziaria dei beni paterni. Nel citato giudizio la signora Marta non ha mai inteso costituirsi.
Marco,uno degli eredi,ha deciso di chiedere singolarmente alla Banca la quota di denaro a lui spettante e di procedere con la divisione giudiziaria per la prima massa. Per la seconda, Marco afferma,la quota spettante alla genitrice sarà divisa direttamente a loro eredi.
Desidero conoscere:
- La Banca,senza il consenso degli atri eredi,può rifiutarsi di corrispondere a Marco la sua quota di denaro?
-Può Marco procedere con la divisione giudiziaria solo per la prima massa corrispondente ai beni personali della signora Marta,poiché la seconda massa sarà divisa direttamente a loro eredi?”
Consulenza legale i 07/03/2018
Alla morte del correntista, la Banca “congela” temporaneamente il rapporto contrattuale in essere con il de cuius, non consentendo più alcuna operazione né tantomeno alcun prelievo dal conto, ai soggetti che si professino eredi.

E’ pur vero che, trattandosi di beni liquidi e, dunque, facilmente divisibili, ciascun erede potrebbe prelevare la sua quota presentando alla banca la dichiarazione di successione, così velocizzando e semplificando notevolmente le operazioni, rispetto a quanto debba avvenire per i beni immobili non facilmente divisibili ovvero per i beni mobili sul cui valore ed assegnazione in natura è possibile discutere.

Tuttavia la Cassazione è di contrario avviso, in quanto la situazione potrebbe creare un vulnus di tutela in danno di alcuno degli eredi.

La Cassazione, a conferma dell’orientamento predominante, nella sentenza n. 24657/2007 ha riaffermato che i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, poiché, solo in in tal modo è possibile conservare l'integrità della massa ed evitare qualsiasi iniziativa individuale idonea a compromettere l'esito della divisione ed a ledere la quota di taluno dei coeredi.

Del resto gli istituti bancari, proprio al fine di evitare ogni loro responsabilità, tendono a liquidare le somme depositate soltanto in presenza e con l’accordo di tutti gli eredi: sulla questione è pure intervenuto l’A.B.F.[1], il quale ha sempre avvallato l’operato cautelare degli intermediari finanziari e delle Banche.
Ad esempio, con la decisione n. 469 del 28 gennaio 2014 il Collegio di Milano dell’A.B.F., nel risolvere situazione analoga a quella oggetto di quesito, per la liquidazione delle somme depositate presso il conto corrente del de cuius, ha ritenuto necessario “una disposizione congiuntamente impartita da tutti i coeredi al fine di evitare che una qualsiasi iniziativa individuale possa compromettere l’esito della divisione stessa”.

Dunque l’erede Marco non potrà ottenere la sua quota di eredità sul deposito in conto corrente della de cuius e la Banca dovrebbe negare ogni richiesta del medesimo in tal senso, fintantoché non sussiste il consenso di tutti gli eredi, questione che resta comunque indipendente dalla pendenza del giudizio di divisione con riguardo all’altra eredità.

Ciò in quanto risulta oramai scalfito il principio dell’universalità della divisione ereditaria.

La Suprema Corte ha più volte ribadito che non è un principio assoluto o inderogabile e che è ben possibile una divisione parziale, sia quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata chiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda chiedendo a loro volta la divisione dell'intero asse (Cass. 10220/1994, n. 4036/1978).


Per rispondere al secondo quesito, invece, occorre evidenziare che allo stato attuale, e finché non termina il procedimento di divisione che vede coinvolti i figli con riferimento all’eredità del padre, la quota della coniuge, ora deceduta, non è ancora individuabile nella sua esatta entità.

Se ad esempio l’intera eredità fosse consistita in un appartamento, e nel giudizio di divisione si addivenisse ad una vendita tramite asta, la quota della de cuius consisterebbe in una somma di denaro pari alla quota ideale di eredità che le spettava.
Circostanza che renderebbe facilmente divisibile la sua quota, oramai caduta anch’essa in successione, una volta terminato il giudizio di divisione.

Dunque, solo una volta terminata la divisione giudiziale della prima comunione ereditaria, sarà possibile comprendere l’esatta entità della quota e dividerla, oppure proporre un nuovo giudizio di divisione.

Se ad esempio a definizione del giudizio di divisione alla de cuius venisse assegnato un intero appartamento, tra più beni immobili posseduti dal coniuge premorto, vista l’alta litigiosità dei contendenti, molto probabilmente si paventerebbe l’ipotesi di un nuovo giudizio.

Dunque, per rispondere alla sua seconda domanda, la seconda massa ereditaria costituita dalla quota ideale di eredità sulla successione del marito non sarà direttamente divisa tra i coeredi, ma occorrerà valutare l’esito del giudizio di divisione per comprenderne come sarà devoluta tra gli eredi.

[1] L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è un organismo che si occupa della risoluzione, stragiudiziale, delle controversie che possono sorgere tra i clienti e le Banche.


Anonimo chiede
martedì 14/03/2017 - Liguria
“Spett. Studio Brocardi,
sto valutando di chiedere un risarcimento per mancato utilizzo a mio fratello riguardo a quote di appartamenti ereditati in comproprietà e che lui utilizza in modo esclusivo così come di beni acquistati dai genitori a nome suo.
Vi avevo già posto il quesito ma non ero stato chiaro nello specificare di aver sempre pagato IMU IRPEF e MANUTENZIONI cosi che avevate ipotizzato la possibilità di subire un usucapione.
I beni in comunione, in centro città, sono 2 grandi appartamenti usati senza alcun titolo da molti anni e uno studio dentistico di 13 vani.
Quest'ultimo era stato concesso in locazione commerciale a prezzo simbolico di 1.500 euro all'anno, ho mandato due disdette in tempo utile , senza avere mai risposta. Mi avevate spiegato di poter chiedere arretrati per 5 anni ma avendo fatto la mediazione 3 anni fa gli anni diventano 5+ 3 ?
Riguardo allo Studio posso chiedere la cifra segnata sul contratto con aggiornamento Istat o, essendo decaduto l'affitto, posso chiedere un risarcimento in base alle tabelle dei valori degli affitti dell'Ufficio Entrate che è circa 30 volte superiore ? Una volta stabilito il mio credito dovrà pagare l'affitto anche da ora in avanti ?
La mediazione è già stata effettuata e mio fratello ha rifiutato tutto al primo incontro e mi ha poi detto che se gli faccio causa per l'affitto chiederà la divisione legale, cosa che vorrei evitare a causa di tempi e costi infiniti.
E' possibile chiedere il risarcimento senza chiedere divisione legale ?
Se decidessi di fare una causa sarebbe possibile quantificare tutti i costi ( tribunali, avvocati, tasse, periti ecc. ) ?

Consulenza legale i 05/04/2017
Nel fornire la consulenza si seguirà l’ordine delle domande di cui al quesito.

Se è stata esperita la mediazione obbligatoria di legge ai sensi del Decreto Legislativo n. 28/2010 (che detta le regole in materia di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), la prescrizione si è interrotta nel momento in cui è stata inoltrata al fratello la domanda.
Infatti l’art. 5, comma 6, del decreto in questione recita: “6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. I termini ricominciano a decorrere dalla data di conclusione del procedimento di mediazione.
Pertanto, dal momento in cui si è concluso il procedimento di mediazione promosso, la prescrizione ha ricominciato a decorrere: attenzione, però, non dal momento in cui si era interrotta ma da zero, ovvero da quel giorno hanno iniziato a decorrere nuovamente i 5 anni di legge.

L’importo dei canoni da recuperare dev’essere il medesimo indicato nel contratto di locazione disdettato, perché quello è il valore della locazione cui il locatore ha diritto per contratto (con l’aggiornamento Istat, se anch’esso espressamente pattuito).
Diversamente, si sarebbe dovuta prevedere già in contratto questa eventualità, ovvero la possibilità – in caso di inadempimento del conduttore – di fare riferimento ai valori degli affitti indicati dall’Agenzia delle Entrate.
Il locatore avrà poi il diritto al risarcimento del danno, in base al principio generale del 1218 cod. civ. (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (…)”), ma dovrà provarlo: ovvero dovrà dimostrare che l’inadempimento del fratello/conduttore, oltre alla perdita dell’importo dei canoni locatizi, gli ha causato un’ulteriore danno e quantificarlo.

La domanda circa l’obbligo o meno del fratello moroso di versare ancora l’affitto, non è chiara: se, infatti, come è stato detto e come avevamo specificato anche nel corso di precedente consulenza, la (prima) disdetta è stata effettuata nei termini e validamente, il contratto non esiste più, e dunque il fratello non dovrà versare più nulla dalla data della disdetta in avanti (salvo, come ovvio e come già detto, gli arretrati con gli interessi e l’eventuale danno).

Certamente, il locatore è libero di chiedere il risarcimento degli eventuali danni che abbia subìto a causa della situazione, senza obbligo di chiedere la divisione.
Se, tuttavia, quest’ultima è l’intenzione del fratello, egli potrà procedere con una domanda di divisione del tutto legittimamente, anche senza il consenso dell’altro coerede/comproprietario (dovrà fare una causa apposita e convenir in giudizio quest’ultimo).

Non tutti i costi di una causa (di divisione o di altro tipo) sono, purtroppo, quantificabili.
Vanno distinte in primo luogo due ipotesi:

a) se fosse l’ex locatore a promuovere il giudizio: in tal caso le voci di spesa sarebbero:

- onorario dell’avvocato che redige l’atto introduttivo: questa è una voce che difficilmente si può quantificare perché le tariffe professionali forensi non esistono più ed ogni avvocato è libero di quantificare il proprio compenso.
Un utile parametro, tuttavia, può essere il Decreto Ministeriale n. 55/2014, al quale il Giudice deve obbligatoriamente fare riferimento quando liquida le spese di lite al termine di una causa nell’eventualità in cui la parte non abbia prodotto in giudizio alcun accordo sul compenso legale. I compensi dipendono dal valore della causa, che nel caso di specie corrisponderebbe al valore degli immobili da dividere. La tabella dei compensi contenuta nel citato decreto, con riferimento al giudizio civile ordinario è la seguente:
Giudizi Ordinari e Sommari di Cognizione avanti al Tribunale
da 0,01
a 1.100,00
da 1.100,01
a 5.200,00
da 5.200,01
a 26.000,00
da 26.000,01
a 52.000,00
da 52.000,01
a 260.000,00
da 260.000,01
a 520.000,00
studio della controversia 125,00 405,00 875,00 1.620,00 2.430,00 3.375,00
fase introduttiva del giudizio 125,00 405,00 740,00 1.147,00 1.550,00 2.227,00
fase istruttoria e/o trattazione 190,00 810,00 1.600,00 1.720,00 5.400,00 9.915,00
fase decisionale 190,00 810,00 1.620,00 2.767,00 4.050,00 5.870,00
Totale Media
Procedura
630,00 2.430,00 4.835,00 7.254,00 13.430,00 21.387,00

- spese di notifica dell’atto introduttivo (la spesa, con buona approssimazione, si aggira attorno ai € 10,00)
- contributo unificato (è una marca da bollo) per l’iscrizione a ruolo del procedimento; anche questa dipende dal valore della domanda. La tabella di legge sul c.u. è questa:

Valore 1° grado Impugnazione Cassazione
Per i processi di valore fino a € 1.100,00 € 43,00 € 64,50 € 86,00
Per i processi di valore superiore a € 1.100,00 e fino a € 5.200,00 € 98,00 € 147,00 € 196,00
Per i processi di valore superiore a € 5.200,00 e fino a € 26.000,00 € 237,00 € 355,50 € 474,00
Per i processi di valore superiore a € 26.000,00 e fino a € 52.000,00 € 518,00 € 777,00 € 1.036,00
Per i processi di valore superiore a € 52.000,00 e fino a € 260.000,00 € 759,00 € 1.138,50 € 1.518,00
Per i processi di valore superiore a € 260.000,00 e fino a € 520.000,00 € 1.214,00 € 1.821,00 € 2.428,00
Per i processi di valore superiore a € 520.000,00 € 1.686,00 € 2.529,00 € 3.372,00
- in una causa di divisione occorre, considerare, inoltre, il costo della Consulenza Tecnica d’Ufficio (ovvero il perito nominato in corso di causa dal Giudice, il quale effettua una perizia di stima dell’immobile e lo “porziona” in lotti): in genere, questa spesa viene anticipata dall’attore (la parte cioè che promuove il giudizio) e poi eventualmente posta dal Giudice, al termine della causa, a carico della parte soccombente o a carico di entrambe le parti. Il costo non è preventivabile, perché dipende dalle tariffe applicate dal professionista che effettua la perizia.

- La sentenza emessa all’esito del giudizio, infine, va registrata: occorre, dunque, farsi carico anche dell’imposta di registro, anche questa non semplice da quantificare (i criteri di calcolo, dettati ex lege, sono complessi).

b) Nel caso l’ex locatore non fosse l’attore ma fosse il convenuto (chiamato in giudizio dal fratello) i costi sarebbero sostanzialmente gli stessi, escluso il contributo unificato e le spese di notifica dell’atto introduttivo.

Maria L. chiede
lunedì 28/12/2015 - Calabria
“Sono vedova. E' morto mio suocero, padre di mio marito deceduto precedentemente al padre diversi anni fa.
So che ha diritto a una quota dell'eredità mia figlia (maggiorenne).
Poiché a distanza di un anno dalla morte di mio suocero gli altri suoi due figli non hanno proceduto ad alcuna divisione dei beni, desidero sapere qual è la procedura legale (a chi rivolgersi..etc..) perché mia figlia ottenga la divisione
(Gli altri eredi nel frattempo hanno continuato a riscuotere gli affitti delle diverse case di mio suocero senza dare parte alcuna a mia figlia).
Distinti saluti”
Consulenza legale i 04/01/2016
Quando più soggetti succedono al de cuius, accettandone l'eredità, si forma sui beni del patrimonio ereditario una comunione. Questo a meno non che vi sia un testamento con il quale il de cuius stesso abbia già provveduto alla divisione dei beni (art. 734 del c.c.), cosa che sarà necessario verificare (nel caso, si dovrà anche verificare che tale divisione comprenda tutti gli eredi e non leda le quote di legittima, art. 735 c.c.).

Una volta accertato lo stato di comunione tra gli eredi, la figlia potrà procedere alla divisione. Con essa si attribuiscono i beni ereditari ai singoli in proporzione delle rispettive quote. Per stabilire l'asse ereditario si dovrà tener conto non solo dei beni lasciati dal defunto ma anche delle passività e di quanto egli abbia disposto in vita (es. donazioni).
Il principio in tema di divisione è quello per cui i coeredi possono sempre chiedere la divisione (art. 713 co. 1 c.c.), salvo sussista una delle eccezioni previste dalla legge, cioè che il testatore abbia disposto che l'eredità resti indivisa, in caso di eredi minorenni, fino ad un anno dopo che l'ultimo nato è maggiorenne, ovvero, anche se non ci sono minorenni, per 5 anni (art. 713 co. 2 e 3 c.c.; entrambe le ipotesi possono essere superate dal giudice). Inoltre, può accadere che gli stessi eredi si siano accordati per un patto di indivisione ex art. 1111 del c.c.. Altre eccezioni sono previste dagli art. 715 e 717.

La legge prevede che la divisione possa essere fatta in più modi, di seguito descritti in sintesi.

1) Innanzitutto, i coeredi possono accordarsi per una divisione contrattuale, cui è possibile procedere secondo la disciplina ex art. 718 ss c.c.. Tale contratto se ha ad oggetto beni immobili deve avere la forma scritta (art. 1350 n. 11 c.c.) ed è soggetto a trascrizione (così come va trascritto se comprende beni mobili registrati). In caso vi siano creditori è necessario osservare anche l'art. 1113 del c.c., tanto in caso di divisione contrattuale che giudiziale.
La divisione contrattuale presuppone l'accordo tra coeredi: se questo sussiste essa consente di sciogliere la comunione senza ricorso ad un procedimento giudiziale.
Peraltro, se il patrimonio del de cuius è ingente e comprende molti e diversi beni, è utile rivolgersi ad un esperto (notaio, geometra ecc.) per affidargli lo svolgimento delle operazioni.

2) Se manca un accordo tra i coeredi ciascuno di essi può ricorrere al giudice per ottenere una divisione giudiziale (regolata dagli art. 784 ss c.p.c.). In tal caso, se è contestato anche il diritto di procedere alla divisione, il giudizio accerta innanzitutto tale diritto. Quindi, viene individuata la massa ereditaria e formate le porzioni; il giudice procede alle operazioni di divisione, potendo anche delegare un notaio o un professionista; viene redatto un progetto divisionale (spesso il giudice nomina a tal fine un consulente tecnico) su cui le parti sono chiamate a discutere. Se sorgono contestazioni, il giudice decide con sentenza, altrimenti dichiara esecutivo il progetto con ordinanza (il procedimento è analogo se il giudice ha delegato un notaio o un professionista). In ogni caso, il giudice dà le disposizioni necessarie per l'estrazione a sorte dei lotti (art. 789 co. 4 c.p.c.).

3) Infine, l'art. 791 bis del c.p.c. ha introdotto e disciplinato la possibilità di una divisione a domanda congiunta. Essa presuppone che non vi sia controversia né sul diritto di procedere alla divisione, né sulle quote o altre questioni pregiudiziali. La domanda deve essere avanzata congiuntamente dagli eredi o condomini e dagli eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto opposizione alla divisione, mediante ricorso al Tribunale con il quale chiedono la nomina di un notaio o avvocato del circondario affinché questo svolga le operazioni di divisione. Il giudice, con decreto, nomina il professionista il quale, in sintesi, predispone il progetto di divisione ed eventualmente dispone la vendita di beni non comodamente divisibili (ad entrambi tali atti le parti possono opporsi). Se non vi è opposizione entro 30 giorni il progetto è depositato in cancelleria ed il giudice lo dichiara esecutivo.

Infine, per quanto concerne le somme già riscosse dagli eredi, la figlia coerede potrà richiedere la parte di sua spettanza ponendo la relativa domanda all'atto della divisione. Tale principio è stato enunciato anche recentemente dalla Cassazione, secondo cui: "in tema di divisione immobiliare il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione "pro quota" del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia" (Cass. 14652/2012).

Aniello chiede
giovedì 17/09/2015 - Campania
“Sono proprietario di 333/1000 di una abitazione, mio genero è proprietario di 250/1000 della stessa abitazione, la moglie mia figlia è proprietaria di 277/1000 della stessa abitazione, altri 5 figli ogni uno è proprietari di 28/1000 per un totale di 140/1000 sempre della stessa abitazione.
Possono i miei 5 figli con 140/1000 di proprietà impedirmi di vendere a mio genero e a mia figli la mia proprietà liquidando le loro spettanze. Grazie distinti saluti.”
Consulenza legale i 23/09/2015
Nel caso di specie una comunione (che si presume ereditaria) insiste su un immobile adibito ad abitazione.

La vendita di quota ereditaria tra coeredi è ammessa liberamente, senza neppure l'obbligo di denuncia previsto dall'art. 732 sul retratto successorio.

Questo articolo sancisce che, quando un coerede vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, scatti l'obbligo di notificare la proposta di alienazione (comprensiva di prezzo), agli altri coeredi (c.d. denuntiatio), i quali hanno diritto di prelazione.
Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria.

Poiché la ratio della norma è quella di mantenere i beni in un determinato ambito soggettivo, cioè tra le persone che risultano eredi del de cuius (non a caso l'articolo parla di "estranei"), non risulta necessario notificare la proposta di alienazione agli altri coeredi quando si intenda vendere la propria quota a un altro coerede.

Nel caso di specie, il proprietario dei 333/1000 dell'abitazione può cedere a titolo oneroso la propria quota al genero e alla figlia senza che gli altri figli possano in qualche modo opporsi.

Una notazione giuridica. In caso di alienazione della quota indivisa di un immobile:
- quando l'immobile è l'unico cespite ereditario, l’effetto traslativo dal comunista al suo avente causa è immediato con effetti reali, in quanto il comproprietario/cedente è “proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre”, di modo che “l’effetto traslativo non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota all’erede alienante”;
- quanto vi sono anche altri beni compresi nell'eredità, l’effetto traslativo dal comunista al suo avente causa è differito con effetti obbligatori, in quanto fino a che al cedente il bene non sarà assegnato in sede divisionale, detto bene “continua a far parte della comunione” (c.d. vendita dell’esito divisionale).
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, sez. II, con sentenza n. 26051 del 10.12.2014.

Per completezza, si precisa che qualora il caso di specie attenesse ad una comunione ordinaria, a maggior ragione esisterebbe il diritto del comproprietario di disporre liberamente del suo diritto - nei limiti della sua quota - ai sensi dell'art. 1103 del c.c..

Serena M. chiede
domenica 23/02/2014 - Friuli-Venezia
“Spett. Brocardi.it
Io, mia sorella e due cugini, tra loro fratelli, abbiamo ereditato due terreni (uno edificabile e uno non edificabile), un immobile ad uso abitazione ed uno ad uso commerciale.
La proprietà è indivisa, quindi ognuno di noi possiede la quota di un quarto.
Per il momento si intende mantenere la proprietà indivisa del terreno non edificabile.
Riguardo gli altri tre beni:
i cugini sono interessati a vendere la propria quota ai coeredi o a terzi; mia sorella è interessata alla proprietà del terreno edificabile e dell'abitazione; io sono interessata ad ottenere la proprietà intera del locale commerciale.
Attualmente tutti noi coeredi siamo d'accordo alla suddetta soluzione.
Ora, premesso che, da una stima recente, il valore dell'immobile commerciale è sostanzialmente pari alla somma dei valori del terreno edificabile e dell'abitazione, pensavo di procedere con due atti:
prima acquisire la quota di mia sorella del locale commerciale, lasciando a lei la mia quota dell'abitazione e del terreno edificabile;
in seguito acquistare dai cugini le loro due quote di un quarto ciascuna del locale commerciale.
Vorrei quindi sapere:
se legalmente posso procedere in questo modo e se tale soluzione sia per me conveniente rispetto all'acquisto di tutte tre le quote del locale commerciale;
come si configura il primo atto (divisione ereditaria, permuta o altro tipo di atto) e quale tassazione comporta in base alla nuova normativa in vigore dal 01/gennaio/2014.
Si ringrazia e si porgono distinti saluti.”
Consulenza legale i 06/03/2014
Nel caso proposto si potrebbero prospettare dal punto di vista giuridico alcune alternative:
1) una cessione delle quote dei cugini agli altri due fratelli e una contestuale o successiva permuta tra le due sorelle (scambio di abitazione e terreno edificabile con immobile commerciale);
2) una divisione che però mantenga in comunione uno dei beni immobili del compendio ereditario. Si parla in questo caso di "stralcio di quota divisionale", intendendosi con tale espressione la situazione in cui i condividenti assegnano alcuni dei beni comuni solo ad uno o ad alcuni di essi, ad integrale soddisfazione della quota a questi spettante; per effetto di ciò i condividenti non assegnatari resteranno invece in comunione sugli altri beni non oggetto dello stralcio, con la conseguente proporzionale modificazione delle quote di diritto spettanti a ciascuno di essi. Questa soluzione è attuabile, però, solo laddove per i cugini che cedano la loro quota dei fabbricati e del terreno edificabile sia ricalcolata la quota di spettanza sul terreno non edificabile, in modo da riequilibrare le proporzioni tra tutti i coeredi (eventualmente con conguagli). Circostanza che, forse, nella fattispecie non si verifica (bisognerebbe che il valore del terreno non edificabile fosse particolarmente elevato).

Per comprendere quale sia l'esatto esborso economico che le parti dovranno affrontare presentandosi davanti a un notaio, sarebbe necessario conoscere con esattezza i valori degli immobili. Tuttavia, è possibile precisare quanto segue.
La prima soluzione prospettata (la permuta) comporterebbe (oltre all'onorario del notaio) una tassazione di questo tipo:
- innanzitutto va calcolata astrattamente come in una semplice compravendita l'imposta di registro sul bene che va a chi pone il quesito (quindi, l'immobile commerciale): si tratta del 9% sul valore commerciale del bene (con un minimo di € 1.000) oltre imposte ipotecarie e catastali da € 50 ciascuna;
- allo stesso modo va calcolata astrattamente la tassazione sui beni che vanno alla sorella: il 9% di imposta di registro (con un minimo di € 1.000) oltre imposte ipotecarie e catastali da € 50 ciascuna (l'imposta di registro passa al 2% se si tratta di prima casa); il 9% di imposta di registro sul terreno (con un minimo di € 1.000) oltre imposte ipotecarie e catastali da € 50 ciascuna;
- infine, per calcolare la tassazione applicabile in concreto, va presa la più alta tra le imposte di registro sopra astrattamente calcolate; l'imposta ipotecaria è pari a 50 euro e poi vi sarebbero due imposte catastali da 50 euro (su questo punto in realtà ci sono interpretazioni diverse di una recente circolare dell'Agenzia delle Entrate, per cui secondo alcuni vi sarebbe solo una imposta pari a 50 euro e non due).

La seconda soluzione, lo stralcio divisionale, richiede una breve riflessione sul trattamento fiscale da applicare.
La divisione (ordinaria) prevede una imposta di registro pari all'1% del valore dei beni (con un minimo di € 200), oltre 200 euro di imposta catastale e 200 euro di imposta ipotecaria. Ci si chiede, però, se sia corretto qualificare il suddetto atto come “stralcio di quota” e applicare l'imposta di registro sul valore della quota stralciata anziché sul valore dell'intera massa.
La giurisprudenza è sostanzialmente concorde nel ritenere che l’imposta di registro vada commisurata al valore della quota stralciata e non dell’intero asse.

Ricordiamo che se il compendio immobiliare proviene da una successione che si è aperta da meno di 20 anni e non è mai stato fatto un atto di accettazione di eredità, il notaio chiederà la trascrizione di accettazione tacita di eredità (o anche più di una a seconda della tipologia di atto), che avrà un costo di trascrizione pari ad 294,00 euro, oltre onorario.

E' importante precisare che sarà indispensabile che a ciascuno degli atti (anche alla permuta tra le due sorelle) partecipino tutti i soggetti contitolari del diritto.

Anonimo chiede
martedì 27/02/2024
“Deceduta mia nonna e poi mio nonno i tre figli(due figlie A e B, un figlioC) hanno proceduto a pagare la successione di entrambi ma senza dividere mai i beni .Deceduta una figliaA i suoi due figli hanno provveduto a pagare la successione senza dividere i beni con la zia B e lo zio C viventi.Deceduto il figlioC le corrispettive due figlie rinunciano in tribunale ai beni del padre (hanno ciascuna un figlio minore) .Resta in vita solo mia madre .B.
Le figlie di C rinunciatarie e non in possesso dei beni non aprono e non pagano la successione.
Come bisogna procedere affinché si arrivi alla divisione di questa eredità attualmente gestita da mia madre B e dai due nipoti figli della sorella A ?”
Consulenza legale i 06/03/2024
Prima di rispondere a quanto viene chiesto si reputa possa essere utile cercare di capire secondo quali quote i soggetti interessati alla successione dei nonni si trovano attualmente in uno stato di comunione ereditaria, dal quale intendono uscire.
Alla morte della nonna, in assenza di testamento (considerato che nel testo del quesito non se ne fa cenno), chiamati all’eredità ex lege sono il coniuge superstite ed i tre figli A, B e C, in favore dei quali l’eredità si è devoluta secondo quanto prescritto dall’art. 581 del c.c., ovvero per 1/3 in favore del coniuge e per 2/3 indivisi in favore dei figli.
Per maggiore comodità di successiva divisione, può dirsi che alla moglie spetta una quota pari a 6/18, mentre ai figli una quota pari a 4/18 ciascuno.

Alla morte del nonno i tre figli A, B e C diventano eredi anche dei 6/18 indivisi di pertinenza della madre e, pertanto, ciascuno di essi diventa comproprietario per una quota complessiva pari a 6/18 indivisi.

Il passaggio successivo è quello della morte della figlia A, a seguito della quale l’eredità della stessa (pari a 6/18) si devolve in favore dei due figli in ragione di 3/18 indivisi ciascuno.
Pertanto, a tale momento la situazione proprietaria è la seguente:
B: 6/18
C: 6/18
Figlie di A: 3/18 ciascuno.

Ulteriore evento è quello della morte del figlio C (anch’egli comproprietario per 6/18), alla cui eredità, però, le rispettive figlie rinunciano.
La rinuncia di queste ultime costituisce presupposto per l’operatività dell’istituto giuridico della rappresentazione, disciplinato dagli artt. 467 e ss.c.c., in forza del quale si realizza la delazione ereditaria in favore dei discendenti delle figlie rinunzianti, con diritto da parte di queste ultime di accettare o rinunziare all’eredità del loro ascendente (C) entro il termine ordinario di prescrizione, fissato dal primo comma dell’art. 480 del c.c. in dieci anni dall’apertura della successione.
Pertanto, finchè anche i chiamati per rappresentazione non decideranno di esercitare il loro diritto, permarrà una situazione di incertezza, la quale non consentirà di porre fine a quello stato di indivisione.

Ovviamente, coloro che hanno interesse a sciogliersi dalla comunione non saranno costretti a subire passivamente tale situazione, potendo avvalersi di un particolare strumento giuridico messo a disposizione dal nostro ordinamento proprio per tali ipotesi.
Ci si riferisce a quanto prescritto dall’art. 481 c.c., norma che consente a “chiunque vi abbia interesse” di richiedere all’autorità giudiziaria (competente è il Tribunale del luogo di apertura della successione) la fissazione di un termine entro cui il chiamato o i chiamati all’eredità devono dichiarare se accettare o rinunziare l’eredità.
Qualora i soggetti ai quali sia stato fissato il suddetto termine non rendano alcuna dichiarazione, perderanno definitivamente il diritto di accettare.

Pertanto, per giungere più rapidamente allo scioglimento della comunione ereditaria, si suggerisce di procedere nel seguente modo:
  1. far fissare alle minori, figlie delle figlie di C, un termine ex art. 481 c.c.;
  2. se entro il termine così fissato dichiareranno di accettare l’eredità, si potrà chiedere di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria ex art. 713 del c.c. c.c. comma 1.
Si tenga presente che, trattandosi di minori, occorrerà l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 del c.c. e l’accettazione potrà essere effettuata solo con beneficio di inventario, come espressamente disposto dall’art. 472 del c.c..
  1. se, invece, entro il suddetto termine non verrà resa alcuna dichiarazione, perderanno il diritto di accettare e la quota ereditaria di C andrà devoluta in favore degli ulteriori eredi legittimi dello stesso, che nel caso di specie saranno fratelli e sorelle, e precisamente la sorella B e le figlie di A, in rappresentazione di quest’ultimo.
La quota di C, pari a complessivi 6/18, sarà devoluta in ragione di 3/18 in favore di B e per gli altri 3/18 in favore delle figlie di A, indivisamente tra loro.


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