L'acquisto del possesso di buona fede come modo autonomo di acquisto del diritto
Mentre l'art. 707 del codice del 1865 si limitava a dire che il possesso produce a favore dei terzi di buona fede l'effetto stesso del titolo, ed aveva quindi consentito la proposizione delle più disparate costruzioni, la nuova norma precisa invece che l'acquisto del possesso di buona fede è causa di un
vero e proprio acquisto del diritto.
E la collocazione che l'
art. 922 del c.c. fa dell'acquisto in oggetto tra i modi d'acquisto della proprietà pone in chiaro, risolvendo un'altra questione dibattuta nella dottrina italiana e specialmente francese, che si tratta di un modo d'acquisto avente presupposti suoi particolari e che non c’è alcuna ragione per cercare di ricondurre a questo o a quello degli altri modi (usucapione istantanea, occupazione).
Il possesso di buona fede quale presupposto dell'acquisto
L'art. 1153 non parla di possesso di buona fede, ma di
acquisto del possesso in buona fede: nessun dubbio però che l'espressione sia usata con riferimento a tale istituto. Basta, per persuadersene, porre attenzione all'esigenza del titolo stabilita nello stesso articolo e all'intestazione della sezione, la quale parla appunto «
del possesso di buona fede di beni mobili e di titoli al portatore ».
L’acquisto in buona fede sana il solo vizio del difetto di proprietà nell’alienante
Per la nuova legge, così come per il codice del 1865, il possesso di buona fede vale soltanto a sanare il difetto di proprietà nell'alienante, non invece altri eventuali vizi del titolo.
Ciò risulta, per il vecchio sistema, dal riferimento dell'art. 707 ai soli terzi e dalla definizione che della mala fede da l'art. 57 cod. comm. quale «
conoscenza del vizio della causa del possesso », per l'art. 1153 è reso chiaro dall'esigenza di un titolo idoneo al trasferimento del diritto e dal presupposto che si tratti di alienazione da parte di
chi non è proprietario. Che anzi la maggior precisione delle espressioni usate in questa norma consenta di respingere senz'altro l'equiparazione che da taluno si era proposta per il codice del 1865 della mancanza del c. d. potere di disposizione alla qualità di
non dominus.
Il principio trova naturalmente applicazione al caso in cui l'acquisto dell'alienante venga, anche successivamente all'alienazione, ad essere annullato, rescisso o risolto. In tal caso infatti, per l'effetto retroattivo dell'annullamento, rescissione o risoluzione, l'alienante si considera come non fosse mai stato titolare del diritto che egli ha trasmesso al possessore di buona fede.
Ulteriori presupposti per l'applicazione della regola « possesso vale titolo »
Ulteriori presupposti per l'applicazione della norma sono: a) il possesso della cosa nell'alienante; b) l'acquisto del possesso da parte dell'acquirente; c) la sua buona fede al momento della consegna.
Il
primo di questi requisiti, sulla cui esigenza molto si è discusso in relazione all'art. 707 cod. del 1865, per il nuovo codice risulta dal richiamo che l'art. 1153 fa al momento della
consegna e dal riferimento dell'articolo successivo all'erronea credenza che l'autore o un precedente
possessore ne sia divenuto
proprietario. Esso è del resto in armonia con la storia e con le finalità della norma, sorta, come è risaputo, per tutelare l'acquirente di beni mobili che dal possesso dell'alienante si induca a ritenerlo titolare del diritto su di essi.
Quest'ultima considerazione, in uno con la formula affatto generica usata dal legislatore, porta a ritenere infondata l'opinione di coloro che richiedono nell'alienante un possesso per cosi dire reale, cioè diretto. Basta invece anche un possesso esercitato a mezzo di altra persona: ciò che importa è che l'alienante si trovi con la cosa in una relazione siffatta da indurre l'acquirente nella erronea opinione di essere di fronte al titolare e che l'acquirente stesso sia, per così dire, investito del possesso se non materialmente dall'alienante, da altri in nome di lui.
Anche il possesso dell'acquirente pile venire acquistato a mezzo d'altra persona, ed è all'atto di tale acquisto che deve sussistere la buona fede. Il momento cui la legge ha riguardo è infatti quello in cui si attua la lesione del diritto altrui e tale momento non è quello della stipulazione del negozio, che in fatto non e idoneo a trasferire il diritto, sebbene il giorno in cui viene acquistato il possesso cui la legge ricollega l'effetto acquisitivo.
La disciplina dei titoli al portatore
La norma, come si è visto, si applica ai beni mobili ed ai titoli al portatore. A questi ultimi, cosi come agli altri titoli di credito, si riferisce pure l'
art. 1994 del c.c., così disponendo : «
Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito in conformità delle regole che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazioni ».
Questa norma non dà una completa disciplina sul punto, ma si limita ad una affermazione di principio in termini generali, rinviando ovviamente per l'attuazione di esso alle norme che regolano l'acquisto in buona fede del possesso delle cose mobili. Il che è tanto più evidente in quanto da un lato l'esigenza che l'acquisto nel possesso del titolo trovi luogo «
in conformità delle regole che ne disciplinano la circolazione » corrisponde al requisito del «
titolo idoneo al trasferimento » dell'art. 1153, dall'altro il richiamo alle regole che disciplinano la circolazione nonché il riferimento all'azione di rivendica dimostrano che la norma, così come l'art. 1153, si applica soltanto ai casi di acquisto
a non domino: in altre parole, l'acquisto in buona fede del possesso vale solo a sanare il difetto di proprietà nell'alienante e non altri eventuali vizi.
La già rilevata circostanza che la materia dei titoli al portatore sia regolata dall'art. 1153 fornisce poi di ciò una ulteriore eloquente conferma. Non è infatti credibile che una stessa norma abbia una diversa portata per i titoli dell'una o dell'altra categoria, tanto più che non c’è ragione alcuna perché non trovino applicazione ai titoli nominativi e all'ordine quegli stessi principi che valgono per i titoli al portatore.
Inammissibilità di una responsabilità per colpa aquiliana a carico del possessore di buona fede che sia in colpa, all'infuori dell'ipotesi di incauto acquisto
Se la buona fede dell'acquirente e dovuta a sua negligenza (all'infuori naturalmente del caso di colpa grave, che vale ad escludere
2043 Libro Obbligazioni (art. 1151 cod. del 1865) ?
La questione è stata dibattuta con riferimento al vecchio codice e per lo più risolta
in senso negativo sotto il duplice riflesso per cui intanto sarebbe ipotizzabile una responsabilità per danni in quanto esistesse a carico del possessore l'obbligo di comportarsi in un certo modo, cioè l'obbligo di informarsi, di fare indagini, ecc., obbligo che invece non esiste, e che, adottando la contraria soluzione, l'art. 707 (ora 1153) verrebbe ad essere praticamente cancellato per tutte le ipotesi di acquisto colposo (e non soltanto in caso di colpa grave o di conoscenza della il-legittima provenienza della cosa).
La stessa soluzione riteniamo debba accogliersi per la nuova legge, che non avrebbe certo potuto accogliere, sena dichiararlo espressamente, un sistema così strano come quello della coesistenza dell’acquisto del diritto con l’obbligo di risarcire i danni da esso derivanti.
Naturalmente tanto per il vecchio, come per il nuovo sistema, è invece da ritenere che la responsabilità aquiliana possa sorgere nell’ipotesi di incauto acquisto (
art. 712 del c.p.).