La vendita dei beni comuni costituisce una parentesi eventuale della fase attuativa della
divisione, alla quale si ricorre in presenza di una delle situazioni delineate dal codice ed in deroga al principio generale espresso dall’
art. 718 del c.c., secondo cui ciascun partecipante alla
comunione ha diritto di conseguire in natura la parte di beni a lui spettante.
I casi in cui può essere disposta riguardano lo scioglimento delle comunioni ereditarie e la divisione delle cose comuni, e precisamente:
a) se occorre far fronte al pagamento dei debiti ereditari (
art. 719 del c.c.;
b) in caso di immobili che non siano comodamente divisibili o il cui frazionamento importerebbe un pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene (
art. 720 del c.c.);
c) in caso di bene ritenuto indivisibile nell'interesse della produzione nazionale (
art. 722 del c.c.);
d) se la divisione riguarda cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate (
art. 1112 del c.c.).
In particolare, nell’ipotesi di non comoda divisibilità del bene comune, l’art. 720 c.c. delinea due soluzioni, che sono l'
attribuzione del bene per intero e la vendita all'incanto.
Viene anche espressa preferenza per l'attribuzione, potendo il giudice procedere alla vendita solo se nessuno dei
condividenti si avvalga della facoltà di avanzare istanza di attribuzione del bene indivisibile.
Sebbene tale disciplina sia dettata per la divisione ereditaria ed abbia riguardo soltanto ai
beni immobili, si ritiene, soprattutto in giurisprudenza, applicabile anche alle comunioni non ereditarie (per effetto del richiamo contenuto nell'
art. 1116 del c.c.) ed alle ipotesi in cui la divisione abbia ad oggetto beni mobili.
Una volta effettuata la vendita, la richiesta di attribuzione deve intendersi preclusa in via definitiva.
Nulla viene esplicitamente detto in ordine alla forma del provvedimento con il quale il giudice dispone l'attribuzione; si ritiene, tuttavia, che debba pronunciarsi con sentenza nel caso in cui insorgano contrasti tra i condividenti, mentre in ipotesi di accordo tra gli stessi, si è parlato di una chiusura del giudizio in forme non contenziose, ipotesi che rientrerebbe nell'ambito della previsione generale di cui all'
art. 789 del c.p.c., con la conseguenza che il
provvedimento rivestirebbe la forma dell'
ordinanza.
L'operazione di vendita viene considerata come un incidente extra cognitivo della fase di determinazione delle porzioni, distinto e strutturalmente autonomo dalle altre operazioni
stricto sensu divisionali.
La vendita può essere effettuata dal
giudice istruttore o dal
professionista a ciò delegato, ed ha luogo nelle forme previste per l'
esecuzione forzata, in virtù del generale rinvio operato alle norme dettate in materia di
espropriazione forzata.
Ciò comporta, non soltanto l'applicazione in via integrale della recente normativa sull'espropriazione immobiliare delegata ai notai (Legge 302/1998), ma anche delle innovazioni apportate al processo esecutivo dalla Legge n.80/2005, la quale, tra l'altro, privilegia la vendita senza incanto (mentre qui vengono richiamate le norme dettate in tema di vendita all'incanto) ed estende la delega di esecuzione della vendita ad altre categorie di professionisti, quali avvocati e commercialisti.
Occorre, tuttavia precisare che sussiste una diversità di
ratio tra la vendita nell'espropriazione forzata e quella nel giudizio divisorio, in quanto nel primo caso la vendita attiene ad un bene appartenente all'esecutato e si attua contro il suo interesse e a favore di quello del creditore procedente, mentre nel secondo caso riguarda i beni di tutti i compartecipi e non viene effettuata in danno del
proprietario.
Inoltre la trasformazione delle cose in
denaro non è sostitutiva del progetto di divisione, la cui redazione costituisce attività necessaria ed attiene sia ai beni in natura che alle somme di denaro derivanti dalla vendita dei beni.