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Articolo 788 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Vendita di immobili

Dispositivo dell'art. 788 Codice di procedura civile

Quando occorre procedere alla vendita di immobili(1), il giudice istruttore provvede con ordinanza a norma dell'articolo 569, terzo comma, se non sorge controversia sulla necessità della vendita.

Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio.

La vendita si svolge davanti al giudice istruttore. Si applicano gli articoli 570 e seguenti.

Quando le operazioni sono affidate a un professionista [790], questi provvede direttamente alla vendita, a norma delle disposizioni del presente articolo (2)(3).

Note

(1) Nel caso in cui l'immobile non sia comodamente divisibile, il valore di questo viene determinato applicando in via analogica le norme relative alla vendita nell'espropriazione forzata visto il richiamo che la norma in analisi fa dell'art. 576 del c.p.c. e ss.
(2) Anche nell'ipotesi in cui le operazioni relative alla vendita con incanto del bene immobile vengano affidate ad un notaio, il decreto di trasferimento ex art. 586 va in ogni caso pronunciato dal giudice istruttore.
(3) Secondo il costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la nullità degli atti relativi alla vendita con incanto può essere fatta valere con la procedura dell'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617.

Spiegazione dell'art. 788 Codice di procedura civile

La vendita dei beni comuni costituisce una parentesi eventuale della fase attuativa della divisione, alla quale si ricorre in presenza di una delle situazioni delineate dal codice ed in deroga al principio generale espresso dall’art. 718 del c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione ha diritto di conseguire in natura la parte di beni a lui spettante.

I casi in cui può essere disposta riguardano lo scioglimento delle comunioni ereditarie e la divisione delle cose comuni, e precisamente:
a) se occorre far fronte al pagamento dei debiti ereditari (art. 719 del c.c.;
b) in caso di immobili che non siano comodamente divisibili o il cui frazionamento importerebbe un pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene (art. 720 del c.c.);
c) in caso di bene ritenuto indivisibile nell'interesse della produzione nazionale (art. 722 del c.c.);
d) se la divisione riguarda cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate (art. 1112 del c.c.).

In particolare, nell’ipotesi di non comoda divisibilità del bene comune, l’art. 720 c.c. delinea due soluzioni, che sono l'attribuzione del bene per intero e la vendita all'incanto.
Viene anche espressa preferenza per l'attribuzione, potendo il giudice procedere alla vendita solo se nessuno dei condividenti si avvalga della facoltà di avanzare istanza di attribuzione del bene indivisibile.
Sebbene tale disciplina sia dettata per la divisione ereditaria ed abbia riguardo soltanto ai beni immobili, si ritiene, soprattutto in giurisprudenza, applicabile anche alle comunioni non ereditarie (per effetto del richiamo contenuto nell'art. 1116 del c.c.) ed alle ipotesi in cui la divisione abbia ad oggetto beni mobili.

Una volta effettuata la vendita, la richiesta di attribuzione deve intendersi preclusa in via definitiva.
Nulla viene esplicitamente detto in ordine alla forma del provvedimento con il quale il giudice dispone l'attribuzione; si ritiene, tuttavia, che debba pronunciarsi con sentenza nel caso in cui insorgano contrasti tra i condividenti, mentre in ipotesi di accordo tra gli stessi, si è parlato di una chiusura del giudizio in forme non contenziose, ipotesi che rientrerebbe nell'ambito della previsione generale di cui all'art. 789 del c.p.c., con la conseguenza che il provvedimento rivestirebbe la forma dell'ordinanza.
L'operazione di vendita viene considerata come un incidente extra cognitivo della fase di determinazione delle porzioni, distinto e strutturalmente autonomo dalle altre operazioni stricto sensu divisionali.

La vendita può essere effettuata dal giudice istruttore o dal professionista a ciò delegato, ed ha luogo nelle forme previste per l'esecuzione forzata, in virtù del generale rinvio operato alle norme dettate in materia di espropriazione forzata.
Ciò comporta, non soltanto l'applicazione in via integrale della recente normativa sull'espropriazione immobiliare delegata ai notai (Legge 302/1998), ma anche delle innovazioni apportate al processo esecutivo dalla Legge n.80/2005, la quale, tra l'altro, privilegia la vendita senza incanto (mentre qui vengono richiamate le norme dettate in tema di vendita all'incanto) ed estende la delega di esecuzione della vendita ad altre categorie di professionisti, quali avvocati e commercialisti.

Occorre, tuttavia precisare che sussiste una diversità di ratio tra la vendita nell'espropriazione forzata e quella nel giudizio divisorio, in quanto nel primo caso la vendita attiene ad un bene appartenente all'esecutato e si attua contro il suo interesse e a favore di quello del creditore procedente, mentre nel secondo caso riguarda i beni di tutti i compartecipi e non viene effettuata in danno del proprietario.

Inoltre la trasformazione delle cose in denaro non è sostitutiva del progetto di divisione, la cui redazione costituisce attività necessaria ed attiene sia ai beni in natura che alle somme di denaro derivanti dalla vendita dei beni.

Massime relative all'art. 788 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 1199/2010

Gli atti di vendita di immobili a mezzo notaio, posti in essere nell'ambito del procedimento di scioglimento di comunione ereditaria, pur essendo disciplinati dagli artt. 570 e segg. c.p.c., espressamente richiamati dall'art. 788, terzo comma, c.p.c., non sono riconducibili ad una azione esecutiva, avendo solo funzione attuativa dello scioglimento della comunione; ne consegue che il rimedio esperibile avverso tale procedura ed il provvedimento conclusivo di trasferimento del bene non é l'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c., bensì un'autonoma azione di nullità. (Nell'affermare l'anzidetto principio, la S.C. ha rigettato il ricorso ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento con cui era stata disattesa l'istanza di revoca del decreto di trasferimento dell'immobile oggetto di divisione, proposta da uno dei coeredi per la mancata effettuazione della pubblicità prevista dall'art. 490 c.p.c., precisando che tale norma non è applicabile alla fattispecie in esame, disciplinata, invece, dall'art. 790 c.p.c.).

Cass. civ. n. 1575/1999

L'ordinanza con la quale il giudice dispone la vendita all'incanto, ai sensi dell'art. 788 c.p.c., per sciogliere la comunione ereditaria, non è atto né del procedimento di vendita, né del processo di esecuzione, ma da un lato fissa le modalità dell'incanto, dall'altro consente il prosieguo della divisione, sì che, mentre per la prima parte è impugnabile ex art. 617 c.p.c., per l'altra parte non è invece ammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Costituzione, trattandosi di provvedimento privo di contenuto decisorio. In particolare tale rimedio straordinario è da escludere anche nel caso in cui l'ordinanza suddetta non sia stata comunicata alla parte contumace.

Cass. civ. n. 2063/1985

La nullità degli atti relativi alla vendita con incanto di cui agli artt. 576 e ss. c.p.c. va fatta valere con la procedura dell'opposizione agli atti esecutivi prevista dagli artt. 617 e 618 c.p.c., anche quando la vendita sia stata disposta in giudizio di divisione ai sensi degli artt. 787 e 788 c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 788 Codice di procedura civile

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Cliente chiede
martedì 08/10/2024
“In merito a quanto previsto dalla costituzione sul godimento della proprietà privata art 42 , è possibile che , nel caso di un contezioso tra privati, può un giudice imporre ad una delle parti, la cessione della propria porzione di proprietà contro la volontà del proprietario ed imporre un prezzo di vendita? Nel caso specifico trattasi di divorzio ed il bene è una bifamiliare. Non ci sono atti di natura penale quale stalking , violenza o altro.”
Consulenza legale i 17/10/2024
Nel caso di specie i coniugi si trovano a dover affrontare lo scioglimento della comunione con oggetto un bene immobile.
Qualora non sia possibile accordarsi bonariamente sulle modalità di divisione dei beni in comunione o si tratti di beni per loro natura indivisibili come i beni immobili, è necessario rivolgersi al giudice che procederà con la vendita ai sensi degli articoli art. 570 del c.p.c. e seguenti come stabilito dall’art. 788 c.p.c.
In questo modo il bene viene venduto con le modalità stabilite per la vendita forzata e le operazioni vengono delegate ad un professionista.
Il ricavato della vendita verrà suddiviso tra i due coniugi comproprietari.

Per evitare questa procedura, l’unica percorribile per sciogliere la comunione su un bene immobile, le parti si devono accordare per trovare una modalità di assegnazione del bene ad uno o all’altro con compensazioni economiche.

Barbara B. chiede
lunedì 06/07/2020 - Marche
“Sono stata citata dalle mie 2 sorelle coeredi, per una divisione giudiziale di un immobile, appunto, ereditato, formato da 3 appartamenti (uno è più piccolo) con soffitta e corte, attualmente, area fabbricabile di 144 m, per un totale di 600mq. La palazzina è in centro storico, e a 50i passi dal mare.per me trattasi di prima casa ho 73anni, sono sola e malata. Hanno addotto come "Falso" motivo alla giudiziale, il mio rifiuto a dividere, (mai richiesto i) per poter arrivare a vendere all'asta la casa, dichiarandolo apertamente in tribunale, al momento della conciliazione obbligatoria, che hanno rifiutato, e che ho dovuto rifiutare anche io anche se non avrei voluto. Molteplici possono essere i motivi immaginabili che possono indurlo a voler fare questa cosa... Io vorrei sapere, se potrei opporsi all'asta a cui sembrano sicure di arrivare, dato che non potrei ricomprare una casa con il poco che realizzeremo, (da noi i prezzi sono molto alti), e se ho sbagliato a firmare insieme a loro il rifiuto alla conciliazione obblig. In sostanza non siamo state d'accordo sul prezzo di vendita. Attendo un Vs. Riscontro”
Consulenza legale i 12/07/2020
L’art. 713 del c.c. stabilisce che i coeredi possono sempre domandare la divisione.
Il successivo art. 714 del c.c. precisa che la divisione può essere chiesta anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l'usucapione per effetto di possesso esclusivo (ricordiamo che, ai fini dell’acquisto per usucapione della proprietà di un immobile occorrono, di regola, e salvo casi particolari, venti anni, ai sensi dell’art. 1158 del c.c.).
Inoltre, in base all'art. 718 del c.c., ciascun coerede può chiedere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell'eredità, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
Tra le deroghe al principio generale dell’attribuzione in natura c’è quella prevista dall’art. 720 del c.c., in materia di immobili non comodamente divisibili.
Per giurisprudenza consolidata (v. Cass. Civ., Sez. II, n. 11891/1998) l’immobile può essere definito “comodamente divisibile” quando il bene può essere frazionato in quote concrete, suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l'aspetto economico-funzionale, quando la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote.
Se l’immobile non è comodamente divisibile, l’art. 720 c.c. stabilisce che esso deve essere “preferibilmente” compreso per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto.
Sempre la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, n. 5679/2004) ha chiarito che la vendita dell'immobile deve essere considerata “rimedio residuale cui ricorrere nella sola ipotesi di indisponibilità di tutti i condividenti ad acquisire l'intero con addebito dell'eccedenza.
Nel nostro caso non è dato sapere se alcuno dei coeredi abbia richiesto l’attribuzione in natura, né se sia stata accertata o meno la comoda divisibilità dell’immobile. La vendita all’asta di un immobile in caso di divisione, comunque, non è affatto scontata, ma occorre verificare se ricorrano le condizioni sopra descritte: mancata richiesta di attribuzione del bene in natura e non comoda divisibilità.

Cosetta M. chiede
martedì 23/04/2019 - Emilia-Romagna
“Buonasera,
nel 1990 mio padre mi regalò un immobile che, su richiesta di mio marito, fu cointestato ad entrambi con una finta compravendita; in sede di rogito notarile non fu fatta alcuna ‘controdichiarazione’ e, anche se non fu fatto nessun versamento di denaro a mio padre né allora né dopo, egli diede genericamente atto di quietanza nel rogito stesso.
Nel 2002 mi sono separata e, nell’udienza presidenziale, mio marito spontaneamente dichiarò e il giudice ‘prese atto’ nel verbale d’udienza che egli (mio marito) era disponibile a che la casa fosse affidata a me pur se il figlio, alle soglie della maggiore età, aveva scelto di andare a vivere in città con il padre. Da allora mio marito si è sempre disinteressato della casa, anche per quanto riguarda le spese straordinarie e le migliorie che io ho fatto nel corso degli anni. Si può configurare un Comodato?
Nel 2013 però mio marito, appena deceduto mio padre, avanzò domanda di scioglimento della comunione e divisione della casa, oltre a chiedere una indennità locatizia dal 2002.
Io mi sono opposta visti anche i valori esagerati che lui attribuiva sia alla casa, sia al canone mensile, indicato in sede di mediazione in 3.000,00 euro al mese, poi ridotto, si fa per dire, a 1.500 euro in sede processuale. La casa, un ex rustico, si trova in un cortile agricolo dove insistono altri immobili agricoli di proprietà della mia famiglia, in un piccolo paese della campagna bolognese e questi valori sono del tutto impropri e fuori mercato.
Il 10 settembre 2018 è stata emanata Sentenza Non Definitiva, con la quale il giudice rigettava la mia domanda riconvenzionale di accertamento della simulazione di donazione nulla per difetto di forma, perché la prova avrebbe dovuto essere fornita con la produzione in giudizio della Controdichiarazione. Il Giudice, GOT, ha anche rifiutato ogni testimone che avevo proposto in quanto mi ha ritenuto ‘parte’, quindi non potevo beneficiare delle agevolazioni probatorie di cui all’art. 1417 c.c. e mi condannava anche alla corresponsione di una indennità locatizia pari alla metà (in quanto comproprietaria) del canone di 1.400,00 euro al mese. Scioglieva la comunione e riteneva di dover ordinare la vendita dell’immobile ai sensi dell’art. 788 c.p.c. a mezzo professionista, con separata e successiva ordinanza, che a tutt’oggi non è stata ancora emessa.
Il mio avvocato ha presentato Riserva d’Appello contro la Sentenza Non Definitiva.
Come posso fermare la vendita?
Ho letto che se in sede di divisione sorgono contestazioni sulla necessità della vendita di un bene immobile, il giudice istruttore non può disporre con ordinanza la vendita (Cass.8 nov. 1974, n 3432).
Avendo fatto la Riserva d’Appello posso ancora fare Reclamo al Collegio? Quando va proposto eventualmente?
Avendo contestato il suo diritto alla proprietà dell’immobile, non è già implicita la contestazione sulla necessità della vendita?
Grazie per una sollecita risposta.”
Consulenza legale i 02/05/2019
Per quanto riguarda la prima domanda, cioè quella relativa alla configurabilità di un comodato avente ad oggetto l’immobile cointestato ad entrambi i coniugi, può rispondersi che questo tipo di contratto tra le parti è, sì, astrattamente configurabile, ma la sussistenza degli elementi costitutivi del comodato avrebbe dovuto essere provata da chi intende sostenerne l’esistenza. In mancanza di tale prova, l’occupazione dell’immobile deve ritenersi senza titolo e dà luogo - come è avvenuto nel caso in esame - al riconoscimento di una indennità in favore del comproprietario.
È stato affermato in giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. VI, sent. n. 24838/2014): “si ricorda che, con il contratto di comodato, il proprietario concede gratuitamente a terzi il diritto di uso del bene proprio e che, soprattutto quando si tratti di un immobile, la sussistenza di un'effettiva volontà di assoggettare il bene a vincoli e a destinazioni d'uso particolarmente gravosi... non può essere presunta, ma deve essere positivamente accertata”.
Chiaramente, in questa sede non è possibile esprimere valutazioni circa la correttezza della decisione adottata dal giudice in merito al pagamento dell’indennità, non essendo chi scrive a conoscenza degli atti di causa e delle difese ed eccezioni articolate da chi pone il quesito.
Quanto agli ulteriori quesiti formulati, alla eventuale possibilità di “fermare la vendita” e, in definitiva, ai mezzi di impugnazione utilizzabili. va fatta una precisazione sull’ordinanza da emanarsi ai sensi dell’art. 788 del c.p.c.
La norma in questione, dettata in materia di scioglimento di comunioni, dispone che, quando occorre procedere alla vendita di immobili, il giudice istruttore provvede con ordinanza a norma dell'art. 569 del c.p.c., terzo comma, se non sorge controversia sulla necessità della vendita.
Invece, se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio.
Ora, premesso che l’ordinanza di vendita, come riferito nel quesito, non risulta emessa, va precisato anche che la “controversia sulla necessità della vendita” cui fa riferimento l’art. 788 c.p.c. è cosa diversa dalla contestazione del diritto di proprietà sull’immobile, sollevata nel giudizio di merito, in quanto attiene alle modalità attuative della divisione.
In tema di scioglimento della comunione di immobili occorre, infatti, valutare se l’immobile sia o meno comodamente divisibile; nel caso in cui non lo sia, dovrà preferibilmente essere compreso per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei condividenti, purché ne richieda l'attribuzione. Se non sono possibili né il frazionamento né l’attribuzione, si fa luogo alla vendita all'incanto (art. 720 del c.p.c.).
In ogni caso, anche in presenza di controversie, la legge non vieta di disporre la vendita, ma stabilisce appunto che essa in tal caso debba essere disposta, anziché con ordinanza, con sentenza.
Quanto ai mezzi di impugnazione di un simile provvedimento (ordinanza che dispone la vendita pur in presenza di contestazioni), si registrano diversi orientamenti. Secondo un primo filone, più risalente, nel procedimento di scioglimento della comunione, qualora sorga una controversia sulla necessità di vendita degli immobili, la relativa decisione compete a norma dell'art. 788 c.p.c. al collegio, con la conseguenza che, ove la vendita sia stata disposta con ordinanza del giudice istruttore (disattendendo l'istanza di acquisizione in proprietà dell'immobile in comunione, salvo conguaglio) anziché con sentenza da parte del collegio, tale provvedimento - contro cui non è dato né reclamo immediato al collegio né il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi - è impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avendo esso, malgrado la forma assunta, contenuto decisorio e non essendo altrimenti impugnabile (Cass. Civ., Sez. II,, 1572/2000).
Secondo, invece, un orientamento più recente, espresso da Cass. Civ., Sez. VI, ord. n. 11013/2018, in tema di giudizio di divisione, l'ordinanza con cui il giudice istruttore dispone la vendita del bene, pur in presenza di contestazioni insorte tra i condividenti, ha contenuto decisorio e natura di sentenza; essa è pertanto impugnabile con l'appello, con conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione.
In ogni caso, è escluso il reclamo al collegio, prospettato nel quesito.
Riguardo alla possibilità di fermare l’ulteriore corso del procedimento, va detto che la sospensione del giudizio di primo grado a seguito di appello immediato avverso sentenza non definitiva può essere disposta dal giudice istruttore esclusivamente su concorde istanza delle parti, a norma dell'art. 279 del c.p.c., quarto comma (Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 419/2004). In particolare, la disposizione citata prevede che, quando sia stato proposto appello immediato contro una sentenza non definitiva, il giudice istruttore può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa, sino alla definizione del giudizio di appello, ma solo su istanza concorde delle parti e sempre che il giudice stesso ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata.

Edmondo R. chiede
lunedì 01/10/2018 - Lombardia
“Con una Sentenza, depositata il 20 Ottobre 2003, si dichiarava sciolta una comunione di proprietà immobiliare e se ne disponeva la vendita giudiziale. Le quote di proprietà allora risultanti in Catasto erano: 7/15 di A e 2/15, ciascuno, di B,C,D,E e la Sentenza stabiliva che del ricavato della vendita il 34% spettava ad A ed il 16,5% a B,C,D,E. L'Avvocato di B,C,D chiedeva un rinvio della vendita giudiziale e suggeriva di trovare un compratore per evitare la penalizzazione di valore conseguente. Fu trovato il compratore, ma la vendita non si perfezionò perché la banca gli rifiutò il mutuo perché il CTU, pensando, erroneamente, che tutto il terreno fosse costruibile, aveva stimato un valore pari al 140% di quello di mercato. D acquistò, con rogito notarile, le quote di B e C, scoprendo che in Catasto le quote di proprietà erano invariate, si rivolse all' Avvocato che gli disse che bisognava attendere la trascrizione della Sentenza. Successivamente A donò le sue quote ad E: anche questa volta le quote di proprietà rimasero invariate. La situazione catastale attuale è: D è proprietario di 6/15 ed E di 9/15 mentre la Sentenza prevede che del ricavato della vendita il 49,5% spetterebbe a D e il 50,5% ad E.
E' possibile la vendita separata a terzi della quota di ricavo(49,5 oppure 50,5)? In caso di impossibilità si può chiedere la vendita giudiziale correggendo l'errore del CTU?”
Consulenza legale i 12/10/2018
Dalla situazione che viene descritta nel quesito sembra che si sia in presenza di una classica ipotesi di comunione (ordinaria o ereditaria) di beni immobili, qualificati, anche a seguito della CTU, come non comodamente divisibili e che siano sorte contestazioni sulla necessità o meno della vendita.
In casi come questo, oltre alle norme sostanziali dettate dal codice civile agli artt. 1100 e ss., debbono trovare necessariamente applicazione le norme dettate dal codice di procedura civile, ovvero gli artt. 784 e ss. c.p.c.

In particolare, si legge all’art. 788 cpc che, in tutti i casi in cui sorge contestazione sulla necessità della vendita, quest’ultima deve essere necessariamente disposta con sentenza, non potendo il Giudice istruttore provvedere con propria ordinanza.
Nella stessa sentenza poi, normalmente, viene dato atto che la causa verrà rimessa sul ruolo, con separata ordinanza, al fine di procedere alla vendita giudiziale.

Delineati per sommi capi la situazione ed il percorso giudiziario che si presume sia stato seguito per giungere alla sentenza di scioglimento della comunione, va detto, intanto, che, avendo il provvedimento natura di sentenza a tutti gli effetti, contro di esso non ci si potrà opporre se non attraverso gli ordinari strumenti di impugnazione, ossia a mezzo di un atto di appello; poiché si presume che ciò non sia stato fatto entro il termine di decadenza di sessanta giorni (termine lungo per impugnare), la sentenza di cui si tratta avrà indubbiamente ormai acquistato autorità di cosa giudicata, essendo così divenuta immodificabile.
Tale precisazione viene fatta sotto il profilo della possibilità di sollevare oggi eventuali censure in ordine al contrasto esistente tra quote risultanti dal catasto e misura determinata dal Giudice nella ripartizione delle somme che si ricaveranno dalla vendita giudiziale (è più che evidente, infatti, che a colui che dal catasto risulta titolare di una quota pari a 6/15 non può spettare il 49,5% del ricavato, ma spetterebbe il 40%, così come a colui a cui competono i 9/15 dell’intero dovrà attribuirsi il 60% del ricavato della vendita).

Chiarito ciò, vediamo adesso di rispondere alle specifiche domande che sono state poste.
La prima domanda riguarda la possibilità o meno di effettuare una vendita a terzi dell’immobile o degli immobili secondo le quote determinate in sentenza.
Ebbene, fin quando la sentenza non verrà trascritta, ogni cessione a terzi non potrà che esser fatta secondo le quote risultanti dal catasto (ossia D potrà alienare o cedere i 6/15, mentre E i 9/15); fino a quel momento, infatti, ciò che risulta dalla sentenza ha soltanto valore puramente interno, ossia fra le parti, non essendo stato reso pubblico con il mezzo della trascrizione (a cui dovrà seguire la successiva voltura al catasto).

Per quanto riguarda la seconda domanda, ossia quella relativa alla possibilità di chiedere una correzione dell’errore in cui è incorso il CTU, ad essa si potrà dare risposta tenendo conto della disciplina applicabile a tale fase.
E’ stato prima precisato che la disciplina della fattispecie che si esamina si rinviene nel codice civile ed in quello di procedura civile.
Infatti, con la stessa sentenza con la quale viene determinato lo scioglimento della comunione e vengono così fissate le quote da attribuirsi a ciascun comunista, si rimette contestualmente la causa sul ruolo onde procedere alla vendita giudiziale.
Costituisce questa la c.d. fase attuativa della divisione, alla quale si applicano le norme dettate in tema di vendita nell’esecuzione forzata (artt. 534 e 576 e ss. Cpc).
In particolare dispone il terzo comma dell’art. 788 c.p.c. che la vendita si svolge davanti al giudice istruttore o anche con il deferimento delle operazioni ad un notaio ex art. 730 del c.c., mentre, per quanto concerne la disciplina da seguire, troveranno applicazione gli artt. 570 e ss cpc.
Ai sensi dell’art. 576 del c.p.c., l’ordinanza con cui viene disposta la vendita deve tra l’altro stabilire il prezzo base dell’incanto determinato ex 568; quest’ultima norma, a sua volta, individua gli esatti parametri a cui l’esperto nominato dal Giudice (ossia il CTU) deve riferirsi per giungere ad una corretta determinazione di tale valore.

Da ciò se ne deve far conseguire che, tutte le volte in cui tali parametri non sono stati rispettati (per mero errore o per qualunque altra ragione), sarà in facoltà delle parti di presentare un ricorso al giudice competente per la vendita (ossia lo stesso giudice che dovrà emettere l’ordinanza ex art. 576 cpc), con il quale rappresentare che la stima dell’ausiliare risulta viziata per eccesso, spiegandone le ragioni e chiedendo di riconvocare il CTU al fine di redigere una perizia integrativa.
Sarà poi sulla base di quest’ultima che il giudice potrà emettere l’ordinanza con cui verrà disposta la vendita dell’immobile.

Questa la situazione sotto il profilo puramente teorico e tecnico.
Dal punto di vista fattuale e concreto, invece, un’altra è la strada che si suggerisce di seguire.
Considerato che, malgrado la sentenza di scioglimento della comunione risalga a circa 15 anni fa, ci si continua ancora a trovare in uno stato di indivisione, e tenuto conto che l’avvio della procedura di vendita giudiziale comporterebbe l’instaurazione di un ulteriore ed autonomo giudizio, per il quale certamente non si possono prevedere tempi celeri, la soluzione ideale sarebbe quella di trovare mediante contrattazione privata un acquirente terzo estraneo, a cui poter vendere l’immobile o gli immobili secondo il reale valore di mercato, a prescindere da quello che abbia stabilito la perizia del CTU.

La vendita andrebbe chiaramente fatta secondo le quote di cui ciascuno dei comunisti risulta titolare in catasto, mentre la ripartizione della somma ricavata dalla stessa vendita potrà effettuarsi secondo la libera e concorde volontà delle parti, e dunque anche rispettando le quote stabilite nella sentenza di scioglimento della comunione (49,5% a D e 50,5% ad E).

Una tale soluzione consentirebbe di abbandonare il giudizio in corso, il quale potrebbe semplicemente essere dichiarato estinto per intervenuta cessazione della materia del contendere.

W. F. &. P. chiede
lunedì 26/03/2018 - Lombardia
“VENDITA DI FABBRICATO COINTESTATO VALERIA E ANTONIA – SORELLE
Valeria vuole vendere l’immobile avuto in eredità dai genitori perché ha bisogno di realizzare e subito.
Antonia vuole a tutti i costi acquistare la parte di comproprietà (indivisibile) di Valeria ma non ha i soldi e continua a tirare in lungo asserendo di dover vendere prima un’altra unità e con il ricavato pagare la sorella Valeria, che non può attendere oltre.
Sono passati due anni….
Abbiamo consigliato a Valeria di rivolgersi al Tribunale per la volontaria giurisdizione e chiedere la vendita, riservando ovviamente ad Antonia metà del ricavato, al netto delle speses.
Come procedere e quali sono le istanze da fare e a chi notificarle?
Con che mezzo effettuare le notifiche?
Antonia rifiuta d fornire il proprio indirizzo di residenza quindi si dovrà procedere al deposito degli atti nella Casa del Comune dell’ultimo domicilio noto, ma così facendo non saprà mai dell’iniziativa della sorella Valeria.
Come se ne esce da questo garbuglio?
Verbalmente le due sorelle hanno sempre parlato di 180mila Euro da dividere in due.
Ora è necessario fare una perizia (asseverata?) oppure Valeria può ritenere questo importo come acquisito (alla bisogna abbiamo un teste che può confermare ) e passarlo con il mandato alla vendita ad una agenzia immobiliare?”
Consulenza legale i 03/04/2018
Regola generale, applicabile ad ogni tipo di comunione, compresa quella derivante dalla successione per causa di morte, è quella contenuta nel terzo comma dell’art. 1108 c.c., norma che richiede il consenso di tutti i comproprietari per gli atti di alienazione e di costituzione di diritti reali sul fondo comune.

Una conferma di tale regola la si può indirettamente ricavare, proprio con riguardo ai beni in comunione ereditaria, dall’art. 719 c.c., il quale consente che la vendita di un bene ereditario possa essere deliberata a maggioranza esclusivamente nella particolare ipotesi in cui essa si renda necessaria per il pagamento dei debiti e dei pesi ereditari.

Al di là di tale ipotesi eccezionale, in mancanza di accordo, l’unico modo per il singolo comproprietario di liberarsi della propria quota di comproprietà, qualora l’altro o gli altri coeredi non vogliano acquistare o vendere l’intero, è quello di rivolgersi al Tribunale onde ottenere la divisione giudiziale.

Presupposti per richiedere la divisione dell’eredità sono:
  1. esistenza di un’unica massa ereditaria;
  2. istituzione di più eredi;
  3. istituzione di eredi per quote ideali e non per beni singolarmente.

Giudice competente sarà, ex artt. 9 e 22 c.p.c., il Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, mentre il relativo procedimento sarà regolato dagli artt. 784 e ss. c.p.c., dettati proprio in materia di scioglimento di comunioni.

In particolare, la prima norma che viene in esame è l’art. 784 c.p.c., il quale prevede una ipotesi di c.d. litisconsorzio necessario, richiedendo che la domanda di divisione ereditaria debba proporsi nei confronti di tutti gli altri eredi.

Sarà dunque necessario che tale domanda, avente la forma dell’atto di citazione, venga notificata all’altra sorella, e ciò secondo le forme prescritte dagli artt. 137 e ss. c.p.c.

Ora, poiché non risulta nota la sua attuale residenza né, si presume, la sua attuale dimora e/o domicilio, non resta che tentare di effettuare la notifica dell’atto ex art. 138 c.p.c. direttamente in mani proprie del destinatario, qualora si sia a conoscenza di qualche luogo ove la stessa possa trovarsi.

Qualora proprio non sia possibile rinvenire la sorella in alcun luogo, neppure nel luogo ove magari presta attività lavorativa, allora purtroppo non resterà altra soluzione che quella di ricorrere alla notifica ex art. 143 c.p.c., ossia mediante deposito di copia dell’atto nella Casa Comunale dell’ultima residenza o, se questa è ignota, in quella del luogo di nascita del destinatario.

Indubbiamente, conseguenza pratica di tale forma di notifica sarà che difficilmente il destinatario potrà venire a conoscenza del fatto di essere stato citato in giudizio e così potersi costituire regolarmente, e ciò anche onde essere messo nella condizione di decidere di evitare il giudizio stesso, proponendo concretamente alla sorella di voler acquistare quella quota ereditaria.

In ogni caso, comunque, tale forma di notifica non potrà certo costituire un ostacolo alla prosecuzione del procedimento giudiziale di divisione, il quale verrà chiaramente svolto in sua contumacia, dopo che il giudice istruttore avrà potuto constatare la regolarità della notifica per il rispetto del principio del litisconsorzio necessario.

Instauratosi il giudizio, sarà il giudice istruttore del Tribunale a dirigere le operazioni di divisione, e sarà proprio a tale giudice che si dovrà richiedere di procedere alla vendita dell’immobile ex art. 720 c.c., ossia in quanto trattasi di bene indivisibile e di cui nessuno dei condividenti ha chiesto o intende chiedere l’attribuzione per intero nella propria quota di eredità, con addebito dell’eccedenza.

Si tenga presente che tale giudizio potrà assumere la natura di procedimento di volontaria giurisdizione soltanto se esso riesca a svolgersi senza contestazioni, ipotesi questa molto probabile data la contumacia dell’altro condividente.

In ogni caso, dispone l’art. 788 c.p.c. che, se occorre procedere alla vendita dell’immobile, appunto perché indivisibile, il giudice istruttore provvederà con ordinanza emessa ex art. 569 comma terzo c.p.c., ossia con la stessa forma di provvedimento con cui viene disposta la vendita forzata dell’immobile nelle procedure di espropriazione forzata immobiliare, essendo quest’ultima la procedura che di fatto dovrà a quel punto seguirsi.

Per quanto concerne le modalità con cui determinare il valore dell’immobile da vendere, occorrerà rispettare il disposto di cui all’art. 568 c.p.c., il quale stabilisce che il valore dell’immobile è determinato dal Giudice avuto riguardo al suo valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato ex art. 569 c.p.c. (ciò induce ad escludere, dunque, che per tale valore ci si possa riferire esclusivamente al prezzo che si era verbalmente pattuito tra le sorelle).

Lo stesso art. 788 c.p.c., comunque, offre la possibilità di ottenere uno snellimento della procedura appena vista, consentendo alle parti di richiedere al Giudice istruttore che la vendita venga delegata ad un professionista, il quale vi potrà provvedere direttamente ex art. 790 e 791 c.p.c.

Occorre infine precisare che ex comma 1-bis dell'art. 5 del D.lgs. 28 del 2010, tutte le controversie in materia di divisione e successioni ereditarie sono assoggettate alla c.d. Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, il che comporta che, una volta presentata all’organismo prescelto la domanda di mediazione obbligatoria, questa andrà comunicata all’altra parte (la sorella) ex art. 8 comma 1 dello stesso D.lgs. 28/2010, ossia con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione.

Si avrà dunque un ulteriore momento, anticipatorio del giudizio, per tentare di far in modo che la sorella venga a conoscenza della procedura che si sta instaurando e così decidersi ad acquistare quella quota di immobile e potersi porre fine allo stato di comunione ereditaria; di tale momento si dovrà cercare di approfittare, considerato che la norma appena citata consente di portare la domanda di mediazione obbligatoria a conoscenza dell’altra parte “con ogni mezzo idoneo”, di cui ovviamente si possa dar prova (ove possibile, ci si potrebbe anche avvalere di una PEC).

Per concludere, si vuole suggerire un’ultima soluzione, che forse potrebbe soddisfare in maniera più immediata gli interessi di entrambe le parti:

tenuto conto che la sorella Valeria è disposta ad acquistare l’altra quota dell’immobile ereditario nel momento in cui riuscirà a vendere un altro immobile (di cui si presume sia proprietaria esclusiva), perché allora non pensare di raggiungere lo stesso effetto dello scioglimento della comunione ereditaria con un c.d. atto diverso dalla divisione?

In termini pratici, si potrebbe proporre alla sorella di permutare quel bene di cui è proprietaria esclusiva con la metà indivisa dell’immobile in comunione ereditaria, con la conseguenza che entrambe le sorelle diventeranno proprietarie per l’intero di un singolo bene immobile e ciascuna di esse potrà farne ciò che vuole, ossia abitarlo ovvero affidarlo ad una agenzia immobiliare per la vendita.

Trattasi di una soluzione che, se attuabile dal punto di vista pratico e dei contrapposti interessi, consentirebbe evidentemente di evitare di dover iniziare e sostenere i costi di un processo civile.




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