Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1808 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Spese per l'uso della cosa e spese straordinarie

Dispositivo dell'art. 1808 Codice Civile

Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa(1).

Egli però ha diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti [2756](2)(3).

Note

(1) Anche se il regime è derogabile dalle parti, si ritiene che le spese ordinarie debbano sempre gravare sul comodatario, altrimenti vi sarebbe un corrispettivo per l'uso e, quindi, non si avrebbe più comodato.
(2) Ai sensi dell'art. 2756 del c.c., il comodatario ha un diritto di ritenzione sulle cose oggetto della fattispecie a garanzia del proprio credito finché tali cose si trovano in suo possesso.
(3) In tema di miglioramenti ed addizioni si ritengono applicabili le norme in tema di locazione per l'analogia tra gli istituti (v. 1592, 1593 c.c.).

Ratio Legis

Le spese ordinarie sono sostenute dal comodatario per l'uso della cosa, uso che egli fa nel proprio esclusivo interesse: pertanto, deve sostenerle.
Invece, le spese straordinarie vengono eseguite in vista della duratura conservazione della cosa, quindi anche in vista del momento in cui la cosa verrà resa al comodante: pertanto, gravano su quest'ultimo.

Spiegazione dell'art. 1808 Codice Civile

Onere delle spese ordinarie

L'obbligazione del comodatario di sopportare le spese ordinarie, ossia quelle dovute sostenere per servirsi della cosa stessa, è stata da qualche interprete considerata « un peso naturale del comodato che il comodatario ricava dalla cosa imprestatagli »: e lo spunto sembra attraente, perché richiama quella nozione di modus che è indispensabile per penetrare l'essenza dell'istituto.

Quando, infatti, si dice che le spese ordinarie debbono far carico al comodatario perché sono una conseguenza diretta dell'uso, non si avverte che questo principio contrasta con l'altro, che abbiamo applicato in caso di deterioramento, o perimento della cosa, l'uno e l'altro dovuti esclusivamente all'uso; e non per questo facenti carico al comodatario, ma — al contrario — al comodante.

Gli è che - per tradizione e per adeguarsi alla realtà economico-sociale dell'istituto – il beneficium attribuito dal comodante lo si considera al netto, per cosi dire, degli immancabili rischi che l'uso comporta ma al lordo delle spese ordinarie relative. Ed è in questi limiti, che il consenso si forma, onde più che di peso vero e proprio, dovrebbe anche qui parlarsi di limitazione, sia pur naturale e indefettibile, della obbligazione contratta dal comodante, dal che, al solito, e non autonomamente, discendono le obbligazioni del comodatario.


Rimborso delle spese straordinarie

Ciò vale per le spese ordinarie, al qual proposito il nuovo codice riproduce testualmente, nel primo comma dell'articolo in esame, l'art. 1807 di quello vecchio. Le spese straordinarie sono — anche qui secondo tradizione — a carico del comodante, al quale, peraltro, spetta valutare l'opportunità, o meno, della loro erogazione. Il comodatario che, di suo arbitrio, le abbia sostenute non ha diritto a rimborso. Solo in via eccezionale, in caso di accertata urgenza e necessità, può provvedervi, ed ottenere quindi il rimborso dal comodante.

Il vecchio codice (art. 1817) richiedeva che l'urgenza e la necessità fossero tali da non poter consentire che il comodatario avvertisse il comodante. Attualmente, una tale condizione non è più richiesta, perché — oltre alla difficoltà di prova che essa implicava — è stato ritenuto che il comodante sia sufficientemente tutelato, contro ogni abuso del comodatario, dal controllo del giudice sulla imprescindibilità della spesa.


Il diritto di ritenzione

Sotto la precedente legislazione, si discuteva se il credito del comodatario per le spese straordinarie fosse assistito da diritto di ritenzione, sulla cosa comodata. C'era chi sosteneva l'affermativa, tanto per i beni mobili quanto per gli immobili; chi solo per i primi, argomentando dall'art. 1958 n. 7 (che peraltro parlava solo di privilegio e non di ritenzione); e chi infine lo negava indistintamente sia per gli uni che per gli altri.

Ora, per gli immobili non sembra che possa sorgere perplessità: il comodatario non è possessore, e tanto meno possessore di buona fede, quindi non può invocare l' art. 1152 del c.c..

Per i mobili, l' art. 2756 del c.c., riproducendo l'abrogato art. 1958, n. 7, ha aggiunto, oltre al privilegio, che venga accordato il diritto di ritenzione, per le spese relative alla conservazione o al miglioramento di mobili sino a che questi si trovino presso i1 creditore. E fuori di dubbio, pertanto, che in questo caso la ritenzione è ammessa. Ci rientra, però, il comodatario per il rimborso delle spese straordinarie? Sia la dottrina che la Relazione al re prevale la tesi affermativa.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

549 Nell'articolo 632 sono stati fusi per affinità di materia, i corrispondenti articoli 1813 e 1817 del codice (articoli 619 e 624 del progetto del 1936); e nel successivo articolo 633 per le stesse ragioni sono stati unificati gli articoli 1815 cpv. e 1816 (articoli 621 cpv. e 622 del progetto del 1936).
Non ho riprodotto l'articolo 1814 concernente la solidarietà dell'obbligazione nel caso di comodato costituito in via congiuntiva a favore di più persone, perché il principio si ricava dall'articolo 36.

Massime relative all'art. 1808 Codice Civile

Cass. civ. n. 1039/2019

Il carattere gratuito del comodato non viene meno per effetto della apposizione, a carico del comodatario, di un "modus" di consistenza tale da non poter rappresentare un corrispettivo del godimento del bene; al contrario, viene meno ove l'entità dell'onere economico posto a carico del comodatario e la consistenza del vantaggio a carico del comodante assumano natura di reciproci impegni negoziali, connotandosi in termini di vera e propria sinallagmaticità. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che erroneamente aveva affermato il carattere irrisorio della esecuzione di opere sulla "res" oggetto del contratto, nonostante lo stesso giudice di appello ne avesse stimato come ingente l'ammontare, e non aveva considerato il contenuto della clausola che, in caso di mancata realizzazione dell'opera, attribuiva al concedente la facoltà di recedere "ipso iure" dal contratto).

Cass. civ. n. 15699/2018

Il comodatario, che al fine di utilizzare la cosa debba affrontare spese di manutenzione straordinaria, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, salvo che si tratti di spese necessarie ed urgenti, pretenderne il rimborso dal comodante, non essendo quest'ultimo tenuto, in ragione dell'essenziale gratuità del contratto, a conservare la qualità del godimento della cosa, né a far sì che la stessa sia idonea all'uso cui il comodatario intende destinarla. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha disatteso la pretesa del comodatario di insinuare al passivo del fallimento le spese sostenute per la ristrutturazione di un immobile concesso in comodato dal socio illimitatamente responsabile della società fallita ed adibito dal comodatario a casa coniugale).

Cass. civ. n. 21023/2016

Il comodatario che debba affrontare spese relative a tasse o manutenzione dell'immobile al fine di poterlo utilizzare, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di sostenerle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante; né fa venir meno il carattere di essenziale gratuità del comodato la presenza di un "modus" a carico del comodatario, purché esso non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa, con natura di controprestazione.

Cass. civ. n. 1216/2012

Il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva respinto la domanda di rimborso avanzata da un coniuge separato nei confronti dei genitori dell'altro coniuge, proprietari dell'appartamento datogli in comodato).

Cass. civ. n. 2407/1998

Poiché l'assegnazione della casa coniugale ad un coniuge, in seguito alla separazione, non fa venir meno, in analogia a quanto dispone l'art. 6 L. 27 luglio 1978, n. 392, il contratto di comodato, l'applicazione della relativa disciplina permane e pertanto, se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale.

Cass. civ. n. 7923/1992

Al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è né possessore né terzo, dei principi di cui agli artt. 1150 e 936 c.c., ed altresì della carenza, anche nel similare rapporto di locazione, di un diritto ad indennizzo per le migliorie.

Cass. civ. n. 1935/1983

Con riguardo al contratto con il quale il locatario di immobile ceda ad altri il godimento di una porzione del bene, ancorché senza prefissione di scadenza, deve negarsi la ricorrenza di un comodato, e ravvisarsi un rapporto di sublocazione (parziale), qualora risulti che il cessionario non si limiti a concorrere nelle eventuali spese riferibili all'uso del bene (riscaldamento, pulizia, ecc.), ma versi un corrispettivo, che si traduca per il cedente in un risparmio sui propri esborsi di locatario, mediante proporzionale recupero del canone dovuto al locatore, sicché resti esclusa la sussistenza di una causa gratuita, sia pure con l'imposizione di oneri modali, od emerga la previsione di reciproche prestazioni legate da vincolo di corrispettività. 

Cass. civ. n. 2463/1970

La norma dell'art. 1808 comma primo c.c., la quale stabilisce che «il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa», ha carattere dispositivo, e quindi può essere derogata dalle parti.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Modelli di documenti correlati all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 1808 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. G. D. P. chiede
domenica 29/09/2024
“Salve

dovendo concedere in comodato gratuito un bene mio ad uno dei figli, che dovrà apporvi migliori a sue spese, desidero sapere se é possibile stendere un contratto di comodato che preveda due cose irrinunciabili:

durata del contratto fino alla eventuale morte o rinuncia di mio figlio (uno di tre figli), con eventuale diritto di prelazione nel caso in cui, dopo la mia morte, i due fratelli coeredi decidessero (la speranza é quella che veda assegnata a lui l'immobile in ragione del fatto che abbiamo più cose da dividere tra gli immobili miei e di mia moglie). Ma meglio essere cauti e tutelare chi decida di investire e sistemare un immobile non utiizzato.
rimborso di tutte le spese che vengono sostenute per apportare migliorie alla casa (infissi/pertinenze esterne come il giardino) manutenzioni varie/tetto/ ed altre ancora). Proprio per evitare che si apportino migliori ricadenti solo su un figlio e poi in caso di vendita si realizzi più profitto per tutti senza che a lui vengano riconossciuti i meriti delle migliorie
Resto in attesa di una vostra delucidazione sulla possibilità di scrivere un siffatto contratto/atto
Cordiali saluti

Consulenza legale i 07/10/2024
Il contratto di comodato che si intende concludere con il proprio figlio si discosta, per certi versi, dalla disciplina generale dettata dal codice civile e da quelle che sono le caratteristiche essenziali che tale fattispecie deve possedere.
Innanzitutto deve osservarsi, con riferimento alla sua durata (che si ha intenzione di commisurare alla vita del comodatario o ad una sua preventiva rinunzia), che caratteristica del comodato è proprio la sua temporaneità, come chiaramente risulta dal testo della norma che ne dà la definizione, ovvero l’art. 1803 del c.c..
Secondo quanto disposto da tale norma, infatti, il limite di durata del comodato può risultare da un termine finale fissato dalle parti ovvero implicitamente dall’uso specifico per il quale la cosa è concessa in prestito.
Se non è stabilito un termine, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richiede (art. 1810 del c.c.]); si parla in questo caso di comodato precario.

La giurisprudenza che si è occupata di questo tema (si veda in particolare Cass. civ. Sez. I, n. 2750 del 22.03.1994), ha stabilito che il termine, proprio per la sua natura, debba essere certo nel suo verificarsi, argomentando dal fatto che l’assenza di un termine possa essere sintomatico di donazione.
Ora, ci si è chiesti se tale requisito possa dirsi sussistente nel caso specifico di immobile concesso in comodato per tutta la vita del comodatario e la stessa giurisprudenza ha ritenuto che possa dirsi in questo caso rispettato il disposto di cui all’art. 1803 c.c. in quanto si tratta di un termine di cui è certo l’an ed incerto solo il quando (cfr. Cass. n. 1384/1957, n. 1018/1976, n. 511/1978, n. 3834/1980, n. 11620/1990, n. 9909/1998).
L’adesione a tale orientamento comporta che, anche se può trattarsi di comodato di lunga durata, gli eredi del comodante, stante la natura obbligatoria del contratto, saranno tenuti a rispettare il termine di durata del contratto pur se in pendenza di esso dovesse verificarsi la morte del comodante (cfr. Cass. n. 21059/2004, n. 3834/1980, n. 11620/1990).
In ogni caso, si ritiene opportuno precisare che, al pari del comodante, anche i suoi eredi hanno pur sempre il diritto di recedere dal contratto nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 1804 co. 3, 1811 e 1809 co. 2 c.c.

Altro particolare problema che è stato sollevato con riferimento ad un contratto di tale tipo è quello relativo alla sua forma, in quanto si è affermato che volendosi in questo modo mascherare un intento donativo da parte del comodante (si ipotizza una donazione del diritto di abitazione), lo stesso sarebbe nullo per difetto di forma.
In contrario si rileva (cfr. Cass. Sez. III civ., sent. n. 8548 del 03.04.2008) che, anche a volerne ammettere la nullità, troverebbe in ogni caso applicazione il disposto di cui all’art. 1424 del c.c., con la conseguenza che si verificherebbe la conversione del contratto ritenuto nullo in quello valido di comodato “vita natural durante”.

Pertanto, alla domanda se sia possibile fissare quale termine di durata del contratto la morte del comodatario o il suo preventivo recesso dal contratto, può darsi risposta positiva.

La seconda questione attiene alla possibilità di inserire nel contratto una clausola in forza della quale riconoscere al comodatario il diritto di essere indennizzato di tutte le somme spese per mantenere in buono stato e/o migliorare l’immobile oggetto di comodato.
Ebbene, norma di riferimento a tale riguardo è l’art. 1808 c.c., il quale distingue tra:
  1. spese sostenute per servirsi della cosa, per le quali non si ha diritto a rimborso;
  2. spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, per le quali il comodatario ha diritto ad essere rimborsato se necessarie ed urgenti.
Ne restano fuori, come sembra evidente, le spese che il comodatario decida di affrontare per apportare migliorie al bene da lui utilizzato, così come le spese straordinarie che non rivestano il carattere della necessità ed urgenza.
In particolare, in relazione ad eventuali miglioramenti apportati alla cosa, si sostiene che il comodatario non abbia alcun diritto ad essere rimborsato non potendo invocare né l’art. 1150 del c.c. (in quanto egli non è possessore) né l’art. 936 del c.c., non rivestendo la posizione di terzo (cfr. Cass. civ. Sez. II n. 7923 del 26.06.1992).

Tuttavia, risulta pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza la tesi secondo cui l’art. 1808 c.c. è norma di carattere dispositivo, con la conseguenza che deve ritenersi legittima una diversa pattuizione, ed in particolare la preventiva autorizzazione da parte del comodante ad apportare migliorie al bene, con diritto al rimborso per il comodatario, determinabile o in misura pari alle spese a tal fine effettivamente sostenute ovvero in misura pari all’aumento di valore che alla cosa ne è conseguito (in quest’ultimo caso sarebbe opportuno allegare al contratto di comodato una perizia attestante lo stato originario dell’immobile).

Ultimo aspetto che si chiede di chiarire è quello relativo alla ammissibilità della attribuzione in favore del comodatario del diritto di prelazione per il caso di alienazione del bene.
Anche tale dubbio può essere risolto in senso positivo, dovendosi in tal senso argomentare dalla stessa nozione e fondamento del patto di prelazione.
In linea generale, infatti, si qualifica come tale quella convenzione in forza della quale un soggetto (promittente) si obbliga a dare ad un altro soggetto (promissario o prelazionario) la preferenza rispetto ad altri, a parità di condizioni, nel caso in cui decida di concludere un determinato contratto.
Ora, per quanto concerne il suo fondamento, tale convenzione può essere inserita in un contratto (assumendo in questo caso la natura di patto accessorio), ma può anche sorgere come contratto autonomo (a titolo oneroso o gratuito, a seconda che il promissario paghi o meno un corrispettivo per la preferenza accordatagli).

Infine, si ammette anche che la prelazione volontaria possa derivare da un negozio a causa di morte, assumendo in tal caso la natura di legato obbligatorio a favore del prelazionario, al quale viene attribuito il diritto di essere preferito nella stipulazione di un determinato contratto qualora l’erede (o gli eredi) decidano di concludere proprio quel contratto (è questa la forma che si suggerisce di utilizzare per soddisfare le proprie intenzioni).


Lorenzo C. chiede
lunedì 19/04/2021 - Lombardia
“Salve,
Io e i miei due fratelli abbiamo ereditato (1/3 ciascuno) la casa dei nostri genitori quando mio padre è venuto a mancare nel giugno 2016. Da allora mio nipote (figlio di mio fratello) si è stabilito nella casa sostenendo di aver avuto il permesso da mio padre (suo nonno) quando era ancora in vita (non c'è nulla di scritto).
Io e i miei fratelli paghiamo ogni anno tasse onerose su questa seconda casa mentre mio nipote ne gode gratuitamente da 5 anni senza esserne proprietario.
Per quel che mi riguarda non mi sta bene tutto ciò anche perché mio nipote si è insediato senza nemmeno chiedermi il permesso. Ha il benestare solo dei miei
fratelli (suo padre e suo zio).
A questo va aggiunto lo stato in cui versa l'immobile, che a mio parere non è sicuro in quanto, ad esempio, il pavimento della cucina mostra un principio di cedimento verso il centro con tutte le piastrelle rotte.
Principalmente vorrei obbligare mio nipote a lasciare libero l'immobile, ma nel caso ciò non sia possibile vorrei evitare tre cose:
1. Che mio nipote diventi proprietario per effetto dell'usucapione.
2. Che io abbia responsabilità di qualsiasi natura nel caso in cui il pavimento della cucina o qualsiasi altra parte pericolante della casa dovesse crollare e
qualcuno si facesse male.
3. Che mi vengano chiesti soldi per attività di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Per completare il quadro aggiungo che mio nipote ha 42 anni, ha un lavoro a tempo indeterminato e convive con la compagna e suo figlio di 1 anno.
Grazie,
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 25/04/2021
Il rapporto che si è venuto ad instaurare tra il nipote che occupa la casa dei defunti nonni ed i figli, nella loro qualità di eredi di questi ultimi, anche se non risulta in alcun modo formalizzato per iscritto, ha una sua qualificazione giuridica e trova regolamentazione nell’ordinamento giuridico.

Tale rapporto, infatti, va inquadrato a tutti gli effetti nella disciplina del comodato, ossia di quel particolare contratto, di natura essenzialmente gratuita, la cui disciplina si rinviene agli artt. 1803 e ss. c.c. ed in forza del quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa, mobile o immobile, affinché la utilizzi per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la medesima cosa ricevuta.
Si tratta di un contratto definito reale, nel senso che per il suo perfezionamento è necessaria la consegna del bene che ne costituisce l’oggetto, e per il quale non è richiesto il rispetto della forma scritta, potendo anche essere concluso verbalmente.

Il caso di specie rientra, ancora più specificatamente, nell’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 1810 del c.c. relativa al c.d. comodato senza determinazione di tempo, in quanto, non sussistendo alcun contratto per iscritto tra le parti, non è certamente possibile individuare un termine entro cui il comodatario dovrebbe restituire l’immobile.
L’unico elemento certo di tale rapporto contrattuale è rinvenibile nell’uso che dell’immobile viene fatto, risultando destinato ad abitazione del nipote e della sua famiglia.

Il problema che adesso ci si pone, giustamente, è quello di capire se la situazione che si è venuta a creare possa ritenersi legittima e soprattutto come ci si possa liberare da eventuali responsabilità che potrebbero discendere dall’uso dell’immobile oggetto di comodato.
Per rispondere a tali interrogativi si ritiene possa essere utile trarre spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 11135 del 04.07.2012 (confermata, peraltro, dalla successiva e più recente ordinanza, sempre della Corte di Cassazione, n. 22540 del 2019).
In tale sentenza la Suprema Corte si è occupata della locazione di immobile in comproprietà posta in essere da uno solo dei comproprietari, dettando alcuni principi che possono senza alcun dubbio estendersi a situazioni, come quella in esame, in cui solo alcuni dei comproprietari prestano il loro consenso alla concessione gratuita in favore di un terzo (il nipote) dell’immobile in comproprietà.

Ebbene, secondo la S.C., il contratto di comodato d’uso gratuito, se stipulato da uno dei comproprietari, è valido ma il comproprietario che non è stato avvertito, può scegliere di:
  1. ratificare il contratto, rendendolo dunque valido e inattaccabile;
  2. non ratificarlo, e pertanto chiedere l’immediata restituzione del bene ai sensi dell’art. 1810 c.c.

In particolare, quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza, seppure relativo nello specifico caso al contratto di locazione, esprime un concetto giuridico applicabile senza alcun dubbio al contratto di comodato d’uso.
In essa si legge quanto segue: “La locazione della cosa comune (immobile) da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all’art. 2032 codice civile, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’art. 1705, secondo comma, codice civile, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa”.

Escludendo, dunque, nel caso di specie il diritto a poter reclamare una quota dei canoni (in quanto non si è in presenza di un contratto di locazione), ciò che la sentenza ribadisce è, in buona sostanza, la possibilità da parte di uno dei comproprietari di poter concedere una proprietà che appartiene anche ad altri attraverso un contratto di comodato d’uso, ma nel caso in cui non si dovesse avvisare l’altro comproprietario, quest’ultimo potrebbe ratificare il contratto a mezzo raccomandata A/R, facendolo diventare inattaccabile, oppure richiedere la restituzione del bene, ai sensi del succitato articolo 1810 c.c.

Non è in ogni caso consentito, invece, pretendere dagli occupanti il pagamento di quanto dovuto per l’occupazione, trattandosi di un rapporto instaurato a titolo puramente gratuito (di ciò se ne trova conferma nella successiva ordinanza della S.C. pure citata, n. n. 22540 del 2019).

Pertanto, in ordine al primo dubbio manifestato da chi pone il quesito, ovvero se gli sia consentito o meno costringere il nipote a sgomberare l’immobile, la risposta in linea generale e su un piano prettamente teorico, non può che essere positiva.
Tuttavia, nel caso di specie è bene fare i conti anche con l’impressione che un eventuale giudice, innanzi al quale la vicenda potrebbe essere portata, potrebbe trarre dalla particolare situazione che si è venuta a creare, in quanto vi è il rischio che lo stesso possa trarre la sua fonte di convincimento, per non accogliere la richiesta di restituzione nei confronti del nipote, dalla circostanza che a tale situazione è stata prestata acquiescenza dall’ormai lontano 2016 (in ciò potendo ravvisare una ratifica tacita derivante da comportamento concludente).

In considerazione di ciò, sarebbe più opportuno, invece, riconoscere come sussistente il rapporto di comodato di cui si è detto e manifestare la volontà di non voler ulteriormente proseguire in detto rapporto, invocando l’applicazione sia del citato art. 1810 c.c. (norma che, in caso di comodato senza determinazione di tempo, pone in capo al comodatario l’obbligo di restituire il bene non appena il comodante lo richieda), sia degli artt. 1102 e 1103 c.c. dettati in materia di comunione ed applicabili anche nel caso di comunione ereditaria (quest’ultimo, in particolare, al primo comma dispone che "Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota").

In alternativa, qualora si volesse proseguire in tale rapporto costituitosi di fatto, sarebbe opportuno richiedere una sua formalizzazione, redigendo un contratto per iscritto e provvedendo alla sua registrazione (obbligatoria nel caso di contratti di comodato di beni immobili e per la quale va versata un’imposta fissa di registro pari ad euro 200,00).
In tale modo sarebbe possibile anche risolvere tutte le altre problematiche che sono state poste nel quesito, e più precisamente quelle relative al rischio dell’usucapione del bene, nonché quelle inerenti ad eventuali responsabilità derivanti dall’uso della cosa ed all’onere di sopportazione delle spese per manutenzione ordinaria e straordinaria.

Il nipote, infatti, non potrebbe più vantare alcun diritto di usucapire il bene in quanto da quel momento ne conseguirebbe la detenzione sulla base di un valido titolo (il contratto di comodato registrato).

Per quanto concerne eventuali responsabilità, di esse si occupa espressamente l’art. 1812 c.c., dalla cui lettura si evince che la parte comodante incorre in responsabilità derivante da vizi della cosa soltanto se, conoscendo tali vizi, non ne abbia avvertito il comodatario (viene, dunque, espressamente richiesto il dolo).
Pertanto, per non incorrere in alcuna responsabilità, sarà sufficiente che il contratto di comodato che si andrà a redigere contenga non soltanto la descrizione del bene e dello stato in cui si trova, ma anche che nel corpo dello stesso si dia atto di quei vizi da cui si teme possano derivare danni.

In ordine, infine, alle spese che occorrerà nel corso del tempo sostenere per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, di esse si occupano espressamente gli artt. 1807 e 1808.
In particolare, mentre il comodatario non ha mai diritto al rimborso, neanche a titolo di arricchimento, nel caso di spese sostenute per la manutenzione ordinaria, la custodia e la conservazione, per ciò che concerne le spese straordinarie necessarie per la conservazione della cosa, il secondo comma dell’art. 1808 del c.c. pone indirettamente le stesse in capo al comodante, riconoscendo al comodatario il diritto di essere rimborsato qualora sia stato costretto a sostenerle personalmente per il loro carattere di necessità ed urgenza (sono, indubbiamente da qualificare come straordinarie e da porre a carico della parte comodante le spese per il rifacimento del pavimento della cucina, in quanto discendono dall’obbligo di tale parte contrattuale di mantenere la cosa concessa in godimento in stato da servire all'uso convenuto).

Va comunque detto che la disciplina dettata dall’art. 1808 c.c. è derogabile nei limiti dell'art. 1229 del c.c., con la conseguenza di poter pattuire nel contratto che si suggerisce di redigere una diversa ripartizione delle spese, salvo sempre il limite di gratuità del comodato.


Luca S. chiede
martedì 13/10/2020 - Sicilia
“Buongiorno, il quesito è il seguente.
A ridosso del nostro matrimonio (circa nove anni fa) i genitori di mia moglie hanno realizzato diversi lavori di ristrutturazione nell’appartamento di proprietà dei miei genitori pagando (il padre) direttamente le maestranze. Preciso che sono stati acquistati molti mobili e rifatti anche gli infissi.
Dopo circa nove anni mia moglie ha deciso di separarsi giudizialmente da me.
La casa verrà assegnata sicuramente a lei che la abiterà con mio figlio. Mia moglie ed i miei suoceri hanno riconosciuto che la casa l’abbiamo avuta in comodato d’uso gratuito per adibirla a casa familiare.
La domanda è se i genitori di lei hanno diritto di chiedere i soldi impiegati per la ristrutturazione della casa di proprietà dei miei genitori a questi ultimi.
Grazie per la risposta che mi fornirete”
Consulenza legale i 16/10/2020
In materia di spese effettuate sull’immobile in comodato, la norma di riferimento è costituita dall’art. 1808 del c.c., il quale stabilisce che il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa; ha però diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, purché necessarie e urgenti.
Si tratta di un principio ribadito nel corso degli anni dalla giurisprudenza, anche con riferimento a fattispecie simili a quella oggetto del quesito: ad esempio, secondo Cass. Civ., Sez. I, n. 15699/2018, “il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione straordinaria (non riconducibili alla categoria delle spese straordinarie necessarie e urgenti per la conservazione della cosa) può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Ne consegue che se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, né necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale”.
Il concetto è spiegato efficacemente anche da Cass. Civ., Sez. III, n. 13339/2015: “la disposizione dell'art. 1808 c.c. esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (comma 1), prevedendo un'unica eccezione per le spese straordinarie occorse per la conservazione della cosa, sempreché le stesse siano state necessarie ed urgenti (comma 2). A fronte del chiaro tenore della norma, risulta implicitamente - ma chiaramente - esclusa la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell'indennità o dell'indennizzo) per esborsi che, ancorché abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa”.
Sulla stessa linea pure Cass. Civ., Sez. II, n. 1216/2012, la quale peraltro esclude la possibilità di ricorrere all’azione di ingiustificato arricchimento prevista dall’art. 2041 del c.c.: “in tema di comodato, il comodatario che, avendo sostenuto delle spese ordinarie, si sia vista rigettata l'azione di rimborso avanzata ai sensi dell'art. 1808 cod. civ., non può esperire quella di illecito arricchimento, atteso che il requisito di sussidiarietà evocato dall'art. 2041 cod. civ. non consente che la relativa azione possa essere utilizzata in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ove quest'ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto il recupero dell'utilità trasferita all'altra parte”.
I principi sin qui esaminati possono certamente essere applicati al nostro caso, anche se nella vicenda oggetto del quesito le spese sono state effettuate non direttamente dal comodatario, bensì dai genitori di uno dei coniugi, nell'interesse di questi ultimi, o meglio del nucleo familiare. Pertanto i suoceri che le hanno sostenute non potranno chiederne il rimborso, salvo si tratti di esborsi compresi tra quelli di cui al secondo comma dell’art. 1808 c.c., ovvero di spese urgenti e necessarie “per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa”, come chiarito dalla giurisprudenza sopra citata.

LAURA M. chiede
giovedì 29/11/2018 - Liguria
“Spett.le Brocardi.it, buongiorno.
l'appartamento dove abito e' di proprietà per 1/3 mio e per 2/3 di mio figlio. In una stanza di 12 metri e' stato dato il comodato d'uso gratis alla M.L. sas (la quale paga la tassa spazzatura, e nella denuncia redditi viene esposto il codice 6). purtroppo proprio dove e' l'ufficio della Società è caduto il soffitto, da una perizia eè risultato che tale evento è stato causato dal fatto che il cemento armato è marcito con il ferro tutto arrugginito.
Volendo, in attesa di risolvere la controversia con l'amministratore del caseggiato, provvedere alla necessaria riparazione, sono a chiedere se le spese di ristrutturazione (spese straordinarie) vanno addebitate a me, a mio figlio o alla Società
Ringrazio e porgo distinti saluti.

Consulenza legale i 03/12/2018
Alcune brevissime premesse giuridiche prima di rispondere alla domanda contenuta nel quesito.
Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito con il quale una parte (comodante) consegna ad un’altra (comodataria) una cosa perché questa se ne serva per un tempo o per un uso determinato con l’obbligo di restituirla (articolo 1803 codice civile).
Salvo quanto diversamente previsto dalle parti nel contratto di comodato, in base all’art. 1808 del codice civile, il comodatario “ha diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti”.
Come si evince dunque anche dalla semplice lettura della predetta norma, non vi è un obbligo di legge in capo al comodatario di accollarsi le spese straordinarie le quali competono invece al comodante. Soltanto laddove queste siano necessarie ed urgenti, il comodatario può effettuarle e poi chiedere il relativo rimborso al proprietario dell’immobile avuto in comodato.

Proprio in merito a tale aspetto si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 18063/2018 nella quale è stato ribadito che “il comodatario il quale, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione anche straordinarie, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. L'art. 1808 c.c. non distingue tra spese autorizzate e spese ad iniziativa del comodatario, ma fra spese sostenute per il godimento della cosa e spese straordinarie, necessarie ed urgenti affrontate per conservarla, con la conseguenza che l'eventuale autorizzazione del comodante non è in nessuno dei due casi discrimine per la ripetibilità degli esborsi effettuati dal comodatario. Al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportano miglioramenti, ne' sotto il profilo dell'art. 1150 c.c., perché egli non è possessore, nè sotto quello dell'art. 936, perché non è terzo anche quando agisce oltre i limiti del contratto, ne' infine sotto quello dell'art. 1595 c.c., in via di richiamo analogico, perché un'indennità per i miglioramenti è negata anche al locatario la cui posizione è molto simile a quella comodatario.”

Ciò posto, in risposta alla domanda contenuta nel quesito possiamo dunque affermare quanto segue.
La spesa straordinaria relativa alla riparazione del soffitto, salvo che nel contratto di comodato sia prevista una diversa ripartizione, spetta ai proprietari dell’immobile (secondo le rispettive quote di proprietà). Tuttavia, laddove la società comodataria provveda di sua iniziativa ad effettuare l’intervento sostenendo le relative spese, considerato che si tratta di opera necessaria ed urgente, potrà richiedere il rimborso ai proprietari in forza dell’art. 1808 c.c.
Da ultimo, per inciso, precisiamo che anche le spese straordinarie condominiali sono a carico del comodante.



Giuseppe G. chiede
giovedì 22/11/2018 - Sardegna
“Buongiorno,
chiedo un parere circa la vendita di un bene precedentemente concesso in comodato d’uso gratuito.
Un tizio ha concesso alla mia società un appezzamento di terreno abbandonato da parecchi anni.
Il contratto, regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate, ha scadenza fissata il 31-01-2047.
Nel contratto è espressamente riportato: “ il presente contratto di comodato gratuito ha la durata di anni trenta, presentando condizioni di irrevocabilità per l’intero periodo di adesioni ad eventuali azioni, misure o impegni intraprese da parte del comodatario, ovvero l’obbligo del comodante di continuare gli impegni assunti dal comodatario. I comodanti dichiarano di rinunciare espressamente alla facoltà prevista dal 2° comma dell’art. 1809 e 1810 del codice civile;”
La mia azienda con i propri mezzi e le proprie maestranze ha effettuato parecchi lavori di bonifica e miglioramento fondiario (in economia, quindi senza fatture da terzi). Oggi ho saputo ufficiosamente che il proprietario ha venduto l’appezzamento di terreno.
Secondo voi devo liberare il bene oppure il contratto continuerà fino a naturale scadenza? Se devo restituire il bene posso chiedere un indennizzo per il miglioramento fondiario? Eventualmente a chi chiedere?
Grazie anticipate per la risposta”
Consulenza legale i 29/11/2018
Il contratto di comodato d’uso gratuito è stato stipulato, nel caso di specie, con una determinata durata, che le parti hanno dimostrato di voler mantenere ferma, tanto da concordare entrambi sulla non applicazione al rapporto degli artt. 1809, 2° comma, c.c. e 1810 c.c. (quest’ultimo, in realtà, comunque non è rilevante per la risposta al quesito poiché dettato per i contratti di comodato senza determinazione di durata).

Ora, benché nel contratto sia stabilito quanto sopra e benché vi sia scritto che il comodante ha l’obbligo di “continuare gli impegni assunti dal comodatario” (espressione che, per la verità, non è molto chiara nel suo significato: parrebbe, in ogni caso, che le parti si siano impegnate a non “recedere” dal rapporto di comodato fino alla scadenza), comunque il terzo acquirente del bene prevale sempre sul comodatario.
E’ stata la Corte di Cassazione a chiarirlo con un'importante sentenza: “Il contratto di comodato, posto in essere dall’alienante di un bene, in un periodo precedente alla vendita dello stesso, non è opponibile al terzo acquirente. Colui che acquista, a titolo particolare, un bene, già dato in comodato dall’alienante, infatti, non deve subire alcun pregiudizio in ragione dell’esistenza di tale contratto e ha il diritto di chiedere la cessazione del godimento del bene da parte del comodatario, al fine di conseguirne la piena disponibilità” (Cass. civ. n. 664 del 18 gennaio 2016). E ciò diversamente da quanto prevede, invece, la disciplina della locazione perché, continua la Suprema Corte: “(...) le disposizioni dell'art. 1599 c.c. non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione.(Cass. 15 maggio 1991, n. 5454)".

In forza di questa giurisprudenza, parrebbe inevitabile il rilascio dell’immobile nel caso di specie.
Prima di liberarlo, tuttavia, sarebbe opportuno sentire il vecchio proprietario.
Una cosa, infatti, è avere un diritto, altro è decidere di farlo valere: potrebbe darsi, infatti, che il venditore e l’acquirente si siano accordati perché quest’ultimo rispetti l’accordo già intercorso con il comodatario fino alla scadenza del contratto di comodato; oppure ancora che il nuovo acquirente non abbia alcun interesse, almeno nell'immediato, a prendere possesso del terreno (meno probabile).
In buona sostanza, si ritiene consigliabile informarsi sullo stato delle cose.
In subordine, il comodatario sa già – come detto sopra – che se il nuovo proprietario dovesse far valere il proprio diritto, l’immobile dovrà essere rilasciato immediatamente.

Vi sono tuttavia due considerazioni aggiuntive.
  1. Il fatto – attenzione - che esista un contratto tra comodante e comodatario che obbliga il primo al rispetto della scadenza dei trent’anni non è circostanza priva di conseguenze: anche se il terzo acquirente, infatti, di fatto prevale sul comodatario, quest’ultimo potrà comunque far valere l’inadempimento del comodante rispetto al contratto sottoscritto. Questi, infatti, si era impegnato formalmente a mantenere il rapporto per una determinata durata, indipendentemente dalle vicende che fossero intervenute medio tempore, ma poi ha venduto il bene a terzi in violazione dell’obbligo e senza informare il comodatario.
  2. Sotto il profilo delle spese occorse per l’immobile, va detto che il comodatario può vantare qualche diritto.
Sotto quest'ultimo profilo, l’art. 1808 c.c., in effetti, nega al comodatario il diritto al rimborso delle spese sostenute per l’uso della cosa (le spese ordinarie di manutenzione). Attribuisce, poi, il diritto al rimborso delle spese straordinarie di manutenzione ma solo se necessarie ed urgenti.
Tuttavia, a livello interpretativo, la tutela del comodatario è stata ampliata: è ormai pacifico, infatti, che, qualora abbia apportato alla cosa dei miglioramenti con il consenso del comodante, il comodatario abbia diritto ad un’indennità corrispondente alla minore somma fra l’importo speso ed il valore dell’utilità conseguita dal bene al momento della riconsegna.
E’ stato ritenuto applicabile per analogia, infatti, il disposto dell’art. 1592 c.c. valevole per le locazioni e relativo alle migliorie apportate dall’inquilino con il consenso del locatore.

Nel caso di specie, non è chiaro dal testo del quesito se i miglioramenti e la bonifica del fondo siano stati eseguiti con il consenso o meno del comodante. Se sì, vale quanto sopra specificato, per cui al momento del rilascio del bene (o anche prima) il comodatario potrà richiedere l’indennità. in caso contrario, purtroppo, il bene dovrà essere restituito senza ottenere alcunché per gli esborsi effettuati.
Sul soggetto al quale rivolgersi per richiedere l'indennità, si ritiene giuridicamente più corretto far riferimento al nuovo proprietario, il quale potrà poi – legittimamente – chiedere il ristoro di quanto pagato e/o il danno al venditore ed ex proprietario del bene.

Marco F. chiede
giovedì 27/09/2018 - Liguria
“Buonasera,
vorrei chiedere vostra consulenza per quanto segue:
Faccio parte di un'Organizzazione di Volontariato e da circa 2 mesi ho stipulato un contratto di comodato d'uso gratuito in veste di comodatario con un Ente comodante.
Il bene del contratto è un terreno che la mia Associazione utilizzerà per addestramento in attività di Protezione Civile.
Due sono i quesiti: Il Contratto è in forma scritta e da quel che mi risulta, non è obbligatoria la registrazione presso Agenzia delle Entrate. Volevo chiedere vostro consiglio al riguardo, visto e considerato che nel contratto vige clausola che prevede ogni imposta per spese contrattuali a carico del Comodatario e, almeno momentaneamente, vorrei evitare questo onere per la mia Associazione.
Infine, il terreno è momentaneamente sprovvisto di utenza luce/elettricità e acqua, quindi dovremo ripristinare entrambe quanto prima, data la necessità di entrambe per l'efficace utilizzo del bene in oggetto. Sono presenti entrambi i contatori, disattivati dall'utilizzatore precedente.
Il contratto prevede "manutenzione ordinaria e straordinaria del fondo a carico del comodatario, il quale in deroga all'art. 1808 c.c., rinuncia al diritto a rimborso di spese per riparazioni straordinarie sostenute per la conservazione dell'immobile, necessarie ed urgenti".
Il secondo chiarimento che vi chiedo è se dunque la domanda di riallaccio delle utenze luce e acqua, con i relativi oneri, sono a carico del comodatario, quindi la mia Associazione.
Questo è quanto. Mi scuso per la banalità delle richieste ma vista la poca esperienza del sottoscritto vorrei avere le necessarie "dritte" tramite il consulto di esperti.
Resto in attesa di vostro gentile riscontro.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 03/10/2018
La prima domanda a cui si chiede di rispondere è se il contratto di comodato sia soggetto o meno a registrazione.
In effetti vi è un po’ di confusione su tale argomento, in quanto molto spesso si è indotti a pensare che la gratuità del comodato, che vale a distinguerlo dalla locazione, lo renda esente da registrazione.
Purtroppo non è cosi, in quanto la registrazione del contratto di comodato è facoltativa soltanto nel caso in cui lo stesso assuma una forma verbale, mentre obbligatoria nei seguenti altri casi:
  1. se redatto in forma scritta: la registrazione dovrà essere effettuata entro il termine di 20 giorni dalla sua redazione (così art. 5 della Tariffa Parte I del T.U. 131/1986), e sarà dovuta una sola volta e nella misura fissa di euro 200.00;
  2. se stipulato in forma verbale ed enunciato in altro atto soggetto a registrazione (così art. 22 del T.U. 131/1986).
Peraltro, si tenga conto del fatto che la presentazione dell’atto all’Agenzia delle Entrate per la registrazione varrà anche a conferire certezza alla data in cui il contratto è stato stipulato, il che può rilevarsi utile allorché si renda necessario per una delle parti opporre l’esistenza di tale contratto ad un qualsiasi terzo.
Stando così le cose, dunque, nel caso di specie non ci si potrà esimere dal provvedere ad assolvere al pagamento dell’imposta di registro, con onere a proprio carico esclusivo, e ciò in conformità a quanto pattuito all’art. 9 del contratto, ove è detto che “Le spese dovute per l’applicazione di imposte al presente contratto sono a carico del comodatario”.

La seconda domanda che si pone è relativa al soggetto in capo al quale debbano farsi gravare le spese per l’attivazione delle utenze di luce e acqua, se sul comodante o sul comodatario ovvero su entrambi.
Per rispondere a tale domanda si ritiene intanto opportuno partire dall’analisi del testo del contratto stipulato tra le parti, di cui occorre evidenziare le seguenti parti:
  1. all’art. 1 viene individuato quale oggetto del comodato un appezzamento di terreno della superficie di mq. 1455, il quale viene consegnato al comodatario nello stato di fatto in cui si trova (quindi senza utenze allacciate);
  2. all’art. 2 viene precisato ciò che il comodatario andrà a realizzare su quel terreno, anche per specificarne la destinazione d’uso, escludendosi implicitamente il comodante da ogni obbligo di partecipazione alla realizzazione delle opere a tal fine necessarie (ivi comprese la voltura o il subentro nelle utenze per fornirlo dei servizi che si renderanno necessari);
  3. all’art. 5 si pongono a carico del comodatario le spese per manutenzione ordinaria e straordinaria del terreno, con rinuncia perfino al rimborso per spese straordinarie previsto dal secondo comma dell’art. 1808 c.c.;
  4. all’art. 7 si fa espresso rinvio alle norme dettate dal codice civile in materia di contratto di comodato.

Ebbene, il fatto stesso che i servizi di luce e acqua si renderanno necessari per lo svolgimento dell’attività del comodatario, esonera chiaramente il comodante da ogni obbligo di partecipazione alle relative spese.
Ma tale esclusione trova conferma non solo nel contratto intercorso tra le parti, in cui il comodatario rinuncia perfino al rimborso di eventuali spese sostenute per riparazioni straordinarie, ma anche nella normativa dettata dal codice civile, a cui l’art. 7 del contratto fa espresso richiamo.
In particolare ci si riferisce al primo comma dell’art. 1808 c.c., in cui viene negato al comodatario il diritto di chiedere il rimborso di tutte quelle spese che egli è costretto ad affrontare per servirsi della cosa.

Indubbiamente, l’allaccio di luce e acqua saranno necessari per lo svolgimento dell’attività che si ha intenzione di praticare su quel terreno, e non vi può essere alcuna ragione logico e/o giuridica per pretendere che il comodante partecipi a tali spese.
Si sottolinea, infatti, che il comodato è per sua natura un contratto essenzialmente gratuito e che pertanto nessun onere ne può conseguire a carico di ciascuna delle parti che vi hanno aderito.

Peraltro, trattandosi nella sostanza di un contratto di locazione senza corrispettivo, si potrà applicare per analogia la normativa dettata in materia di locazione, ed in particolare l’art. 9 della Legge 392/1978, la quale stabilisce che sono interamente a carico del conduttore, tra le altre, le spese relative alla fornitura dell’acqua e dell’energia elettrica.
Nell’ambito di tali spese, tuttavia, occorre distinguere tra spese di allaccio ex novo dell’impianto idrico, elettrico, del gas e dei contatori (che sono a carico del locatore, in quanto costituiscono un beneficio per la proprietà) e spese di apertura di un nuovo contratto, voltura o subentro che, permettendo l’erogazione e la fruizione dei relativi servizi, sono a carico del conduttore.

Poiché qui si parla di riallaccio, si presuppone che le utenze già vi siano e che si debba soltanto chiedere l’apertura di un nuovo contratto, il che non può che esser fatto a nome di chi andrà ad utilizzare il servizio in quanto detentore dell’immobile, ossia il comodatario.

Giancarlo F. chiede
mercoledì 14/02/2018 - Toscana
“Buona sera. Mi riferisco alle responsabilità penali e civili e/o altre, nel caso di affitti e/o comodati di immobili. Più precisamente nel caso in cui, dopo accordo delle parti, si decida, ad esempio nel comodato, di attribuire tutte le spese di manutenzione e , in caso di necessità, anche quelle eccezionali che si rendessero necessarie per la messa in sicurezza dell'immobile - all'interno e all'esterno dello stesso edificio - al solo comodatario utilizzatore. Se ciò fosse ammissibile, chiedo di sapere se verificandosi una qualche specie di danno a carico del comodatario utilizzatore e/o di terze persone ospitate nell'immobile, possa essere incolpato anche il comodante proprietario, se fosse accertato che anche egli, come il comodatario utilizzatore , era al corrente, prima della firma del comodato, di qualche possibile grave rischio nell' immobile o all' esterno di esso ( Ad esempio un albero pericoloso nelle vicinanze dell'immobile) di cui entrambi non avevano però messo in atto, nè prima nè poi, misure preventive idonee ad evitare possibili danni . Secondo me potrebbe esserci un concorso di colpa del comodante proprietario con il comodatario utilizzatore dell'immobile anche se ai sensi del comodato solo quest'ultimo avrebbe dovuto risolvere il problema di cui era peraltro era già a conoscenza. Chiedo cortesemente chiarimenti se entrambe le figure siano responsabili. Distinti saluti”
Consulenza legale i 22/02/2018
La risposta alla sua domanda necessita di un’analisi dei differenti istituti coinvolti negli esempi prospettati che attengono a fattispecie completamente diverse tra loro e per le quali, pertanto, resta difficile affermare se vi sia una responsabilità solidale o meno del comodante e del comodatario.


Preliminarmente va ricordato che il comodato è il contratto per mezzo del quale il comodante consegna al comodatario un bene affinché questi se ne serva per utilizzarlo con l’obbligo di restituirlo. Il comodato è un negozio essenzialmente gratuito (2° comma art. 1803 c.c.) ma questo non vale ad escludere un interesse del comodante al quale potrebbe ad esempio interessare che l’immobile venga abitato per evitare un degrado del bene conseguente al non uso.


Tale circostanza rende sicuramente possibile l’accollo delle spese ordinarie e straordinarie in capo al comodatario se sostenute per la conservazione della cosa senza obbligo del rimborso (art. 1808 c.c.).


Dubbia invece resta la possibilità che si configuri un contratto di comodato anche nel caso in cui nel contratto le parti espressamente convengano che tutte le spese straordinarie e non solo quelle per la conservazione della cosa secondo l’utilizzo convenuto, debbano essere sostenute dal comodatario, potendo costituire tale prestazione un corrispettivo del godimento del bene e quindi configurare una locazione o comunque un contratto a titolo oneroso diverso dal comodato.


Un parere contrario è stato espresso dal Tribunale di Bergamo, sentenza del 20 novembre 2001, che ha affermato che "ai sensi dell'articolo 1808, comma 1, del Codice civile, il comodante non ha l'obbligo di consegnare e mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto con il comodatario, spettando a quest'ultimo sostenere tutte le spese necessarie per consentire detto uso, derivino esse da opere di manutenzione ordinaria o straordinaria. Pertanto, in un contratto di comodato che conceda il godimento gratuito del bene, la clausola per cui il comodatario assume l'obbligo di sostenere le opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, limitandosi a rispettare il tipo legale, non può mai essere considerata come pattuizione volta ad introdurre un corrispettivo del godimento, ai fini della qualificazione del negozio come locazione anziché come comodato".


Ma al di là della qualificazione giuridica come comodato o meno, è sempre possibile per due soggetti stipulare un contratto in cui si concede un bene in godimento all'altro con l’obbligo di sostenerne le spese straordinarie ed ordinarie.


Con riferimento ai contratti di locazione, invece, è pacifica la derogabilità delle norme di legge che regolano il riparto delle spese tra locatore e locatario, per cui è sempre possibile stabilire contrattualmente di far accollare ai conduttori sia le spese di ordinaria manutenzione, anche se dipendenti da vetustà o caso fortuito, sia quelle di manutenzione straordinaria (Cassazione 10 dicembre 2013 n. 27540).


Dunque se ad esempio il condominio decidesse di rifare la facciata, anche il comodatario/locatario dovrebbe sostenerne pro quota - in base ai millesimi - le spese.


Discorso a parte deve essere fatto con riferimento ai danni verso terzi che dovessero essere conseguenza della rovina del bene immobile.
La distribuzione delle spese straordinarie non elide certo la responsabilità del proprietario per i danni arrecati a terzi dai suddetti beni.


In tali casi viene in rilievo piuttosto l’art. 2053 c.c. “Il proprietario di un edificio o di un’altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”.


La norma prescinde dalla sussistenza di una relazione di fatto con la cosa (come ad esempio per le cose in custodia dispone l’art. 2051 c.c.), in quanto l’imputazione del fatto sorge di diritto in capo al proprietario al tempo della rovina dell’edificio.


E si tratta di una responsabilità legale presunta che può essere esclusa solo se il danno sia causalmente riconducibile a caso fortuito, forza maggiore oppure a fatto del terzo.


Se ad esempio un fulmine si abbattesse su un albero il quale cascando provocasse la morte di un uomo, si escluderebbe la responsabilità del proprietario in quanto si potrebbe facilmente appurare che l'evento si è verificato per l’intervento determinante di forze naturali, per cause di forza maggiore.


Se invece un albero, facente parte della proprietà, cadesse sulla pubblica via provocando la morte di un passante, il proprietario si presumerebbe responsabile sia in sede civile che in sede penale dell’accaduto, al di là della circostanza che il bene sia stato concesso in locazione a terzi.


Dunque la circostanza che le opere di manutenzione dovessero essere svolte dal comodatario non può comunque esimere il proprietario dalla norma dettata dall’art. 2053 c.c. .


La questione è stata anche affrontata dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3290 del 2013 Sez. Pen. nella quale la Corte di Legittimità ha sottolineato che l’obbligo del comodatario di sostenere le “spese straordinarie, necessarie ed urgenti sostenute per la conservazione della stessa in nulla elide quello del proprietario di garantire i terzi dai danni che dalla cosa derivino".


L’elemento rilevante è sempre la disponibilità giuridica del bene e non la sua disponibilità materiale.


La cassazione a Sezioni Unite, seppur in una pronuncia piuttosto risalente, ha chiarito che anche nel caso in cui il bene sia locato, dei danni derivanti dalla rovina dell’edificio resta responsabile il proprietario (Cass. S.U. n. 12019/1991).


Potrebbe al più rinvenirsi una responsabilità contrattuale del conduttore/comodatario che avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione dell’immobile ma non potrà essergli imputata la responsabilità per l’evento in applicazione estensiva dell’art. 2053 c.c..


Resta poi da sottolineare che, invece, il contratto per mezzo del quale si attribuisse la responsabilità per tutti i danni che dall’immobile derivino ai terzi in capo al comodatario sarebbe soggetto a più profili di invalidità in quanto assimilabile ad un contratto di assicurazione e difficilmente inquadrabile nell’ambito dei rapporti di locazione o di comodato.



Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.