La questione sottoposta all’esame dei giudici di legittimità era nata in seguito alla decisione di un uomo di citare in giudizio gli eredi del padre, chiedendo la dichiarazione della nullità del testamento olografo di quest’ultimo, e, di conseguenza, che fosse disposta la divisione ereditaria del patrimonio comune secondo le norme sulla successione legittima.
I convenuti, nel resistere in giudizio, chiedevano, d’altro canto, che la divisione ereditaria avvenisse previo conferimento, da parte dell’attore, ai sensi dell’art. 737 del c.c., della donazione indiretta effettuata in suo favore dal de cuius attraverso il pagamento di un suo debito.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano, però, la richiesta di collazione avanzata dai coeredi convenuti. Secondo la Corte territoriale, in particolare, il pagamento effettuato dal dante causa in favore del figlio si doveva considerare avvenuto a titolo di garanzia e non di liberalità, posto che lo stesso rispondeva anche ad un interesse proprio del de cuius, in qualità di coobbligato in solido con il figlio per i debiti della loro società, al fine di evitare l’incremento degli interessi moratori e l’escussione coattiva del proprio patrimonio.
Di fronte a tale decisione, gli originari convenuti decidevano di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione denunciando, tra le altre cose, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 737, 769 e 1236 del c.c. A loro avviso, infatti, il pagamento eseguito dal de cuius ad estinzione di un debito della società di cui facevano parte sia lui che il figlio, originario attore, aveva originato, verso quest’ultimo, un credito di pari importo e, per questo motivo, la rinuncia del padre ad agire in regresso verso il figlio costituiva, senza dubbio, un’ipotesi di donazione indiretta.
La Suprema Corte ha accolto il suddetto motivo di ricorso.
Come già più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, la donazione indiretta va individuata sulla base del perseguimento di un fine di liberalità e non, invece, del mezzo giuridico impiegato, il quale può essere di vario tipo, seppur entro i limiti consentiti dall’ordinamento, potendo, dunque, consistere in atti o negozi la cui combinazione produce l’effetto di un’attribuzione patrimoniale gratuita, eccedente rispetto al mezzo utilizzato (ex multis Cass. Civ., n. 3134/2012; Cass. Civ., n. 5333/2004).
Nel caso di specie, essendo stato allegato il pagamento di un debito quale fattispecie di donazione indiretta, si doveva considerare, altresì, implicitamente dedotto anche il mancato regresso o la mancata surrogazione del de cuius, senza i quali l’attribuzione patrimoniale non si sarebbe potuta configurare.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, dunque, non assume alcun rilievo l’esistenza o meno di un interesse proprio del solvens all’adempimento, poiché tale interesse non elimina la natura di liberalità indiretta della rinuncia al regresso.