Il primo comma di questa norma, contrariamente al sistema di determinazione del valore fondato ordinariamente sul
petitum, attribuisce espressa rilevanza al rapporto giuridico su cui si fonda la
domanda giudiziale.
Secondo la tesi prevalente in dottrina, nel concetto di “
rapporto giuridico obbligatorio” va ricompreso qualunque tipo di
obbligazione, sia essa contrattuale o meno.
Per quanto concerne, invece, il tipo di
azione a cui la norma si riferisce, si ritiene che possa trattarsi non soltanto delle azioni di accertamento, di condanna o costitutive (riferite sempre, anziché all’intero rapporto obbligatorio, soltanto ad una parte di esso), ma anche delle azioni personali relative a beni immobili, le quali, ai fini della competenza per valore, non vengono regolate né dall’
art. 14 del c.p.c. (riferito alle cose mobili) né dall’
art. 9 del c.p.c. (relativo alle cose di valore indeterminabile).
Per “
parte del rapporto che è in contestazione” deve intendersi quella parte che abbia originato la controversia, a prescindere dall’eventuale più ampia estensione del sindacato del giudice, che può riguardare anche antecedenti logici inerenti all’intero rapporto obbligatorio, ma la cui decisione non è idonea ad acquisire efficacia di giudicato.
Ancora più nel dettaglio, con l’espressione “
in contestazione” non devono intendersi le questioni controverse, bensì l’oggetto della domanda; ciò porta a concludere che il
convenuto non ha alcun potere di incidere sulla competenza attraverso la contestazione e che l’art. 12 in esame è norma sulla competenza astratta, che ha come destinatario soltanto l’
attore.
A questo punto, vediamo di capire come concretamente va determinato il valore applicando questa norma e con riferimento ai singoli tipi di azione.
Azioni di accertamento o di condanna: occorre fare riferimento a ciò che viene effettivamente richiesto; così, ad esempio, se viene chiesto il pagamento di una rata residua, il valore della controversia sarà determinato non dall’importo dell’intera rata, ma proprio da quel residuo.
Azioni costitutive: secondo parte della dottrina quando la norma parla di “
cause relative alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio”, intende fare riferimento all’intera categoria delle sentenze costitutive, per le quali si sostiene che il valore viene determinato sulla base del valore del rapporto giuridico che la sentenza costitutiva viene a far cessare o a costituire.
In particolare, con riferimento alla domanda di
risoluzione, si distingue a seconda che la risoluzione venga chiesta in relazione a rapporti a tratti successivi o meno; così, mentre nel primo caso, in cui la risoluzione avrà efficacia
ex nunc, il valore della controversia andrà determinato in base al valore delle rate scadute e non pagate e di quelle da scadere, nel diverso caso in cui la risoluzione venga chiesta con efficacia
ex tunc, il valore della causa dovrà desumersi dal valore dell’intero rapporto.
Diverso, sempre secondo la dottrina, è il caso delle domande di
annullamento, per le quali il valore della causa è dato dal valore dell’intero rapporto, e ciò in quanto la sentenza che accoglie la domanda pone nel nulla l’intero rapporto (salvo che l’annullamento, con riferimento ad un rapporto ancora in esecuzione, venga chiesto solo ai fini futuri, senza che possa avere alcuna incidenza sulle prestazioni già eseguite, ipotesi in cui il valore si determina sulla base del residuo).
Per le
azioni di rescissione si sono sviluppate le seguenti tesi:
-
secondo la tesi maggioritaria il valore della causa va determinato tenendo conto del prezzo indicato come giusto dall’attore nella domanda;
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secondo altra tesi, il valore sarebbe dato dalla differenza tra il prezzo pattuito e quello indicato come equo dall’attore;
-
una terza tesi ritiene che, poiché con tale azione si mira a far decadere l’intero vincolo contrattuale, occorre fare riferimento al valore dell’intero contratto, desumibile dal prezzo pattuito;
-
un’ultima tesi è dell’idea che il valore dell’azione di rescissione sia dato dal valore reale del bene.
Azione revocatoria: in questo caso, secondo la tesi giurisprudenziale prevalente, il valore della causa si determina non sulla base dell’atto impugnato, ma sulla base del credito per il quale si agisce in revocatoria, a prescindere dal fatto che il valore dei beni sottratti alla garanzia del
creditore risulti superiore.
Azione surrogatoria: qui è discusso se il valore della causa debba individuarsi nel valore del credito in forza del quale si agisce o se debba esser dato solo dal valore del rapporto fino a concorrenza del valore del credito.
L’
ultimo comma della norma si occupa della determinazione del valore delle
cause per divisione, disponendo che il riferimento debba esser fatto al valore della massa attiva da dividersi.
Ciò deve intendersi nel senso che i debiti sono già divisi di diritto tra i partecipanti (in proporzione alle loro quote di partecipazione alla successione) e che il valore della causa di divisione sarà determinato soltanto dai rapporti giuridici attivi, cioè da
diritti reali e crediti.
Si ritiene che tale norma trovi applicazione non soltanto nel caso di divisioni ereditarie, ma anche in caso di divisione di patrimoni caduti a qualunque titolo in comunione (secondo la giurisprudenza alle cause di divisione sono assimilabili anche le cause di
riduzione per lesione di legittima, considerato che anche queste presuppongono l’accertamento della consistenza dell’intero asse ereditario).