La questione sottoposta all’esame dei giudici di legittimità era nata nell’ambito del giudizio di divisione ereditaria in cui due fratelli avevano chiesto, oltre allo scioglimento della comunione ereditaria sui beni del padre deceduto, anche la condanna di un terzo fratello al pagamento dei frutti civili e alla resa del conto, considerato che lo stesso era nel possesso di alcuni beni immobili del de cuius.
Il fratello convenuto si costituiva in giudizio, eccependo la prescrizione del credito relativo ai frutti civili e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento, in suo favore, dell’usucapione dei beni immobili e dei terreni pertinenziali facenti parte della comunione ereditaria, che erano attualmente in suo possesso, nonché il rimborso della somma da lui pagata per ristrutturare uno di detti immobili, in cui aveva stabilito la sua abitazione, oltre all’assegnazione della quota di beni in natura spettantigli.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, però, rigettavano le eccezioni e le domande riconvenzionali del convenuto, disponendo lo scioglimento della comunione ereditaria, sulla base del progetto delineato dal consulente tecnico d’ufficio.
Rimasto soccombente, all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, l’originario convenuto ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, tra le altre cose, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1720 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. Il ricorrente lamentava, infatti, il mancato riconoscimento, in suo favore, del rimborso delle spese da lui sostenute per ristrutturare l’immobile in cui lui stesso abitava e che faceva parte dell’asse ereditario.
La Suprema Corte ha accolto il suddetto motivo di ricorso.
Sul punto gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come il costante orientamento della Corte di Cassazione abbia, da tempo, affermato, in materia, il principio di diritto per cui “il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150 cod. civ. - secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti - ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore” (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 5135/2019; Cass. Civ., n. 16206/2013).
Alla luce di tale statuizione, accolta dalla costante giurisprudenza di legittimità, i giudici di merito, una volta accertato, attraverso una consulenza tecnica d’ufficio, l’esistenza di opere realizzate dal ricorrente su uno degli immobili oggetto della comunione ereditaria, nonché il loro presumibile costo, avrebbero, dunque, dovuto riconoscergli il diritto ad ottenere un rimborso, essendo, in tal modo, state provate le spese da lui sostenute.