La questione sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità era sorta in seguito al giudizio attivato da due sorelle, contro la moglie e i figli del defunto fratello, a cui la madre, in vita, aveva donato il suo intero patrimonio, chiedendo la divisione della massa ereditaria, da calcolare in seguito alla collazione dei beni donati, e, in subordine, la riduzione della suddetta donazione, con conseguente reintegrazione della loro quota di legittima.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, rigettavano le istanze attoree. La Corte territoriale, in particolare, confermava il rigetto della domanda di riduzione per lesione di legittima, stante la mancanza della previa accettazione dell’eredità con beneficio di inventario da parte delle appellanti.
Rimaste soccombenti all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, le attrici ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, tra le altre cose, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 564 del c.c. e dell’art. 345 del c.p.c. Le ricorrenti evidenziavano, infatti, come il rigetto della domanda principale di divisione della massa ereditaria avrebbe dovuto comportare, necessariamente, l’accoglimento di quella subordinata di riduzione della donazione disposta dalla madre, in vita, a favore del fratello, a prescindere dal fatto che esse avessero o meno accettato l’eredità con beneficio d’inventario.
A loro avviso, dunque, la Corte d’Appello aveva errato nell’interpretare l’art. 564 del c.c. nel senso di escludere che esse potessero agire in riduzione senza una previa accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. Nel caso di specie, infatti, non c’era la necessità, tutelata da detta norma, di tutelare terzi estranei alla successione, impossibilitati a verificare la consistenza dell’asse ereditario. Quest’ultimo, infatti, era interamente costituito dai beni donati dalla madre al fratello delle ricorrenti, e la loro consistenza era ben nota alle parti.
Le stesse ricorrenti evidenziavano, poi, come, esse, una volta esclusa la loro possibilità di agire per lo scioglimento della comunione ereditaria, a causa dell’inesistenza di relictum, non avrebbero comunque potuto acquistare la qualità di eredi finché non fosse stata ridotta la donazione, con la conseguente reintegrazione delle rispettive quote di legittima. Alla luce di ciò, dunque, nel caso di specie non si poteva considerare l’accettazione di eredità con beneficio d’inventario quale condizione necessaria per l’esercizio dell’azione di riduzione, come, invece, erroneamente sostenuto dai Giudici di merito, i quali, peraltro, non avevano nemmeno esaminato detta questione che, essendo stata sollevata in Appello, era stata erroneamente ritenuta nuova e, quindi, inammissibile.
La Cassazione ha accolto il ricorso, giudicando fondato il suddetto motivo di doglianza.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia già avuto modo di chiarire che la lettera dell’art. 564 del c.c. risponde a quella che è la genesi storica dell’istituto dell’accettazione beneficiata, il quale riconosce, nella redazione dell’inventario, una forma di tutela in favore del terzo, al fine di consentirgli di valutare la consistenza dell’asse ereditario, con la conseguenza che tale esigenza non si pone qualora l’azione giudiziale, come nel caso de quo, sia proposta nei confronti di altri eredi che, invece, siano in grado di verificare la consistenza dell’asse ereditario del de cuius (cfr. Cass. Civ., n. 5768/2013).
Concordemente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, poi, i Giudici di legittimità hanno ribadito come, nel caso di assenza di relictum, non sia necessaria la qualifica di erede ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione. La stessa Suprema corte ha, difatti, già avuto modo di precisare che “qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché, non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, solo dopo l'esperimento vittorioso di tale azione egli è legittimato a promuovere o a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell’asse ereditario” (cfr. Cass. Civ., n. 19527/2005).
Sulla base della giurisprudenza della Cassazione, dunque, “il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché pretermesso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell'apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, né la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario” (cfr. Cass. Civ., n. 16635/2013).
La Corte d’Appello aveva, peraltro, errato anche nel considerare nuova e, quindi, inammissibile, la domanda attorea, nella parte relativa all’assenza di relictum. Come evidenziato dagli Ermellini, infatti, essa non integrava una mutatio libelli, posto che le appellanti non avevano introdotto alcun tema d’indagine fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio. Invero, la pretermissione delle ricorrenti dall’eredità della madre era stata semplicemente rappresentata, in appello, come un altro aspetto della lesione della quota di legittima, causata dalla donazione che aveva determinato l’azzeramento del relictum.