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Articolo 732 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Diritto di prelazione

Dispositivo dell'art. 732 Codice Civile

Il coerede, che vuol alienare(1) [1542-1547 c.c.] a un estraneo(2) la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione(3), indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine [2964 c.c.] di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria [1501 ss. c.c.](4).

Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.

Note

(1) L'alienazione deve essere a titolo oneroso, poiché la norma parla di prezzo. Di conseguenza rimane esclusa la donazione (v. art. 769 del c.c.).
(2) Si considera estraneo il legatario che ha ricevuto una somma di denaro in sostituzione della quota a lui spettante come legittimario (v. art. 536 del c.c.), nonché colui che ha ottenuto lo scioglimento della comunione.
(3) La comunicazione ai coeredi della proposta di alienazione equivale a proposta contrattuale (v. 1326) con la conseguenza che l'accettazione di uno o più coeredi consente di ritenere concluso a loro favore un negozio di alienazione.
(4) Il diritto di retratto si può esercitare fino a che non si sia perfezionata la divisione e, in ogni caso, entro il termine di prescrizione decennale che decorre dall'alienazione al terzo, anche nel caso in cui permanga lo stato di comunione.

Ratio Legis

La norma mira ad assicurare che il patrimonio ereditario si concentri in capo al minor numero possibile di soggetti, accordando la preferenza a coloro che sono legati da un vincolo di parentela al de cuius.

Brocardi

Ius praelationis
Ius retractionis
Praelatio

Spiegazione dell'art. 732 Codice Civile

La norma in esame stabilisce innanzitutto un diritto di prelazione della quota ereditaria a favore dei coeredi e, conseguentemente, sancisce l'obbligo del coerede, che vuole alienarla, anche in parte, di notificare agli altri la proposta indicando il prezzo. Decorsi due mesi dalla notificazione, il coerede può procedere liberamente all’alienazione.
Ove il coerede non abbia adempiuto a tale obbligo, subentra il c.d. retratto successorio. Questo istituto fu introdotto dai parlamenti francesi, in estensione di quello del retratto litigioso, e giunse così al codice francese, ove fu codificato nell'art. 841: vige altresì nel diritto tedesco, spagnolo e svizzero. Esso era contenuto anche nel progetto del codice civile italiano del 1865, ma fu soppresso dalla Commissione legislativa.
Tenendo anche presente la dottrina e la giurisprudenza formatesi sull'art. 841 del codice francese, si possono fissare questi punti:
a) L’estraneo a cui favore non può aver luogo l'alienazione senza incorrere nella possibilità del retratto successorio, è colui che non partecipa all’eredità (a nulla importando l’eventuale rapporto di parentela) anche se divenuto tale per rinuncia pura e semplice. Se la rinunzia, essendo stata fatta dietro corrispettivo a favore di alcuni soltanto dei chiamati, abbia importato accettazione, non vi è luogo al retratto. Non sono, pertanto, da considerarsi estranei né il figlio nato fuori dal matrimonio riconosciuto, né il coniuge superstite, né il legatario; non così il figlio nato fuori dal matrimonio non riconosciuto o non riconoscibile, che ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio.
b) Hanno diritto alla prelazione (e quindi al riscatto) tutti coloro che partecipano alla successione, cioè tutti coloro ai quali il diritto potrebbe essere ceduto senza incorrere nella sanzione del retratto: può insomma, come insegna la dottrina francese, esercitare il retratto (ed ha quindi diritto alla prelazione) ogni persona contro la quale esso non può essere esercitato.
c) La prelazione ed il retratto competono nel caso di alienazione volontaria non solo del diritto successorio astratto, ma altresì della quota o di parte di essa (questione assai controversa in diritto francese): resta quindi inclusa la cessione in pagamento di un debito; non è invece compresa la permuta, l’espropriazione, ecc.
d) L’azione può essere esercitata contro l’acquirente e contro i suoi aventi causa (a qualunque titolo) finché dura l’indivisione e la successiva procedura di divisione.
e) L'azione spetta a ciascun coerede; avvenuta la divisione per stirpe, a ciascun componente di essa.
f) Ove l’azione sia esercitata da più coeredi (anche in via di intervento) la divisione fra essi dei beni riscattati avviene per quote virili.
g) Coloro che esercitano il diritto di retratto devono rimborsare il prezzo realmente pagato da colui contro il quale esercitano l’azione nonché le spese, i legittimi pagamenti e gli interessi. Nell’ipotesi che per un solo ed unico prezzo siano state alienate cose cadute nella successione e cose estranee, occorrerà stabilire quanta parte del prezzo si riferisca alle une ed alle altre.
h) Operato il riscatto, la quota (o la parte di essa) ceduta resta trasferita al riscattante, con effetto ex tunc: l'originario cedente non ha azione contro di lui e rimane estraneo all'eredità.

Dai lavori preparatori affiorano alcune affermazioni, che non pare abbiano riscontro nel testo della legge:
a) nella discussione in seno alla Commissione parlamentare fu affermato che, a tutela dell’acquirente estraneo, la domanda (di prelazione) va trascritta; ma in base a quale norma di legge?
b) la R. R. n. 123 affermava che nei due mesi andassero compiute le operazioni necessarie per il trasferimento della proprietà. Ma la prelazione si esercita con la dichiarazione; né chi fa uso di tale diritto ha modo di costringere il coerede ad addivenire effettivamente alla cessione in un dato termine.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

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Massime relative all'art. 732 Codice Civile

Cass. civ. n. 14515/2019

La dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale che esprime la volontà di esercitare il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell'acquirente di quota ereditaria, previsto dall'art. 732 c.c. a favore dei coeredi, può essere espressa anche con l'atto introduttivo del giudizio ed è in esso validamente manifestata quando sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sottoscrizione di tale atto o il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell'atto o in calce allo stesso, dal momento che in tal caso, per effetto di siffatta procura, l'atto introduttivo del giudizio è direttamente riferibile alla parte, anche nel punto in cui contenga la suddetta manifestazione di volontà negoziale. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 15/12/2014).

Cass. civ. n. 4831/2019

La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come "universitas" e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della "res" alienata. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 04/04/2014).

Cass. civ. n. 1654/2019

L'alienazione di quota effettuata non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria, bensì dal suo successore a titolo universale, non è passibile di retratto successorio, giacché tale istituto costituisce una deroga alla libera disponibilità della quota in costanza di comunione e, pertanto, la relativa previsione va intesa in senso letterale, non potendo il diritto in questione essere esercitato da o verso soggetti diversi dai primi coeredi. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO ANCONA, 08/11/2013).

Cass. civ. n. 15271/2018

Qualora una quota di eredità sia stata alienata a persona, non facente parte della comunione, che sia, però, sposata, in regime di comunione legale, con uno dei coeredi, l'acquirente non può essere considerato soggetto estraneo ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione previsto dall'art. 732 c.c. poiché tale quota rientra automaticamente ex art. 177 c.c. nella suddetta comunione legale e, pertanto, il regime proprietario conseguente alla cessione è identico a quello che sarebbe derivato se il cessionario fosse stato il coniuge coerede. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 28/04/2016).

Cass. civ. n. 27160/2017

Non sussiste un vincolo di pregiudizialità tecnica, tale da determinare la sospensione necessaria del processo, tra l'azione di riduzione e la domanda di retratto proposta dal legittimario pretermesso avverso l'alienazione dei beni ereditari compiuta dal soggetto che, allo stato, riveste la qualità di erede, giacché le disposizioni testamentarie eventualmente lesive della quota di legittima esplicano la loro efficacia fino alla pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, momento anteriormente al quale difetta, pertanto, uno stato di comunione tra erede e legittimario leso. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 21/12/2015).

Cass. civ. n. 5754/2017

Il retratto successorio, previsto in tema di comunione ereditaria e non anche ordinaria, trova tuttavia applicazione laddove una porzione di immobile della quota ereditaria si trovi già in comunione ordinaria, ipotesi in cui, essendo il retratto esercitato per l'intera quota ereditaria, l'erede subentra, tramite l'acquisto della quota, nella situazione preesistente. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 07/02/2011).

Cass. civ. n. 1358/2017

In tema di comunione ereditaria, la cd. "denuntiatio" della vendita, per essere conforme all’art. 732 c.c., deve risultare tale da permettere al destinatario di comprendere concretamente il tenore dell’offerta e valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza, per stabilire se esercitare, o meno, il diritto di prelazione.

Cass. civ. n. 17520/2016

L'azione di divisione giudiziale della comunione ereditaria proposta anche nei confronti degli acquirenti di una quota non osta alla proposizione nei confronti di costoro, nelle more del primo giudizio, anche della domanda di retratto ex art. 732 c.c., atteso che entrambe le azioni sottendono la validità dell'atto traslativo e l'eventuale giudicato formatosi sulla domanda divisoria non preclude l'esame dell'istanza del retrattante, il cui accoglimento determina un fenomeno di surrogazione soggettiva legale, con efficacia "ex tunc", assimilabile "quoad effectum", rispetto agli esiti del giudizio divisionale, ad una sorta di confusione, appartenendo i beni da dividere, in ragione dell'accoglimento della domanda di retratto, ad un unico soggetto.

Cass. civ. n. 16314/2016

Il coerede può rinunciare alla prelazione ex art. 732 c.c. non solo dopo la "denuntiatio", che si traduce, più propriamente, nel mancato esercizio del diritto rispetto ad una specifica proposta notificatagli, ma anche preventivamente e, dunque, in epoca precedente rispetto ad un'alienazione solo genericamente progettata, giacché egli acquisisce il diritto di retratto unitamente alla qualità di erede. (Nella specie, la S.C. ha escluso che, in ipotesi di alienazione in favore di persona da nominare, la mancata tempestiva "electio amici" possa caducare gli effetti della preventiva rinuncia al diritto di prelazione da parte del coerede).

Cass. civ. n. 8692/2016

In tema di retratto successorio, ove uno degli eredi alieni ad un estraneo la quota indivisa dell'unico cespite ereditario, si presume che l'alienazione concerna la quota che lo riguarda, intesa come porzione ideale dell'"universum ius defuncti", sicché il coerede può esercitare il diritto di prelazione ex art. 732 c.c., salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed intrinseci al contratto (quali la volontà delle parti, lo scopo perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario ed il raffronto con l'entità dei beni venduti), che la vendita ha, invece, ad oggetto un bene a sé stante, mentre non assume alcun rilievo il comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo.

Cass. civ. n. 5865/2016

La "denuntiatio" dell'alienazione della quota al coerede, effettuata ai sensi dell'art. 732 c.c., costituisce una proposta contrattuale nei confronti dello stesso e, pertanto, va realizzata in forma scritta e notificata con modalità idonee a documentarne il giorno della ricezione da parte del destinatario, ai fini dell'esercizio della prelazione.

Cass. civ. n. 15032/2015

L'art. 732 c.c., che prevede il diritto di prelazione e di riscatto dei coeredi, non è applicabile quando il testatore abbia effettuato direttamente la divisione, ancorché assegnando ad un gruppo di discendenti un bene in comunione, in quanto tale comunione è diversa da quella ereditaria, traendo la sua origine non dalla successione a causa di morte, ma dall'atto dispositivo-attributivo con effetti reali posto in essere dal testatore stesso.

Cass. civ. n. 2159/2014

La disposizione dell'art. 732 cod. civ., sulla prelazione del coerede, derogando al principio di libertà negoziale, non può essere estesa alle donazioni, nelle quali, peraltro, si manifesta l'"animus donandi", espressione solidaristica della personalità.

Le facoltà che l'art. 732 cod. civ. attribuisce al coerede sono disponibili, ma l'alienazione onerosa di una porzione della quota ereditaria, di per sé, non implica rinuncia alle stesse.

Cass. civ. n. 25052/2013

Il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall'art. 732 cod. civ., prevale alla stregua di quanto sancito dall'art. 8, ultimo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, sull'analogo diritto del coltivatore diretto del fondo (sia questi mezzadro, colono o compartecipante), quando anche il coerede sia coltivatore diretto e sia trasferita, a titolo oneroso, la quota di proprietà di un fondo facente parte di una comunione ereditaria indivisa.

Cass. civ. n. 3465/2013

Il retratto successorio di cui all'art. 732 c.c. è soggetto al termine di prescrizione di dieci anni, decorrenti dalla data della vendita della quota ereditaria compiuta in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi, ancorché permanga lo stato di comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 17673/2012

Il principio dell' intrasmissibilità del diritto di prelazione fra coeredi, previsto dall'art. 732 c.c., non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell'art. 110 c.p.c.

Cass. civ. n. 4277/2012

Il diritto di prelazione previsto dall'art. 732 c.c. è inerente alla qualità di coerede e costituisce un diritto personale ed intrasmissibile, e non una qualità intrinseca alla quota, o una situazione giuridica autonoma, che possa essere trasferita da sola. Ne consegue che tale diritto di prelazione non può circolare neppure per successione "mortis causa", e non spetta, pertanto, all'erede del coerede.

Cass. civ. n. 9744/2010

I diritti di prelazione e di riscatto previsti dall'art. 732 cod. civ in favore del coerede postulano che l'alienazione compiuta da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di essa) intesa come porzione ideale dell"'universum ius defuncti", e vanno perciò esclusi quando, attraverso un'adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, risulti che i contraenti non hanno inteso sostituire il terzo all'erede nella comunione ereditaria e che l'oggetto del contratto è stato considerato come cosa a sé stante e non come quota del patrimonio ereditario.

Il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell'acquirente di quota ereditaria, previsto dall'art. 732 cod. civ a favore dei coeredi, viene ad esistenza solo con la manifestazione di volontà che può essere espressa pure con l'atto introduttivo del giudizio, sempre che tale manifestazione sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sua sottoscrizione di tale atto, o con il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell'atto o in calce allo stesso; né può assumere rilievo, in senso contrario, il fatto che la procura speciale sia stata conferita, con il medesimo atto, per lo scioglimento della comunione dei beni e, solo incidentalmente, per l'esercizio del retratto stesso.

Cass. civ. n. 3470/2010

Il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell'acquirente di quota ereditaria, previsto dall'art. 732 c.c., può essere esercitato in giudizio anche dal difensore, poiché il conferimento del mandato alle liti lo abilita ad esprimere la volontà negoziale in nome dei suoi rappresentati.

Cass. civ. n. 20561/2008

Il diritto di prelazione ereditaria, previsto dall'art. 732 cod. civ., non può essere esercitato dai coeredi quando la vendita effettuata da uno o più dei coeredi stessi non riguardi una o più quote ereditarie, ma abbia ad oggetto quote di un bene determinato, in parte assoggettato alla comunione ereditaria ed in parte costituente un'autonoma comunione ordinaria, in quanto in questa particolare ipotesi non si verifica il subingresso di un estraneo nella comunione ereditaria, che l'art. 732 cod. civ tende ad impedire, ma solo il trasferimento di una "res" come bene a sé stante.

Cass. civ. n. 16642/2008

Il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall'art. 732 c.c., e prevalente, ove anche il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo, mezzadro, colono o compartecipante, conformemente a quanto previsto dall'art. 8, ultimo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, presuppone una situazione in cui la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario si trovi ancora nello stato di indivisione quale risultante al momento dell'apertura della successione, sicché, ove siano state compiute operazioni divisionali che abbiano portato ad eliminare l'anzidetto stato, la comunione residuale sugli immobili ereditari si trasforma in comunione ordinaria, senza possibilità di applicazione del menzionato art. 732 c.c.

Cass. civ. n. 4224/2007

In tema di divisione ereditaria, il retratto successorio, avendo la finalità di impedire l'intromissione di estranei nello stato di indivisione determinato dall'apertura della successione mortis causa si applica soltanto alle comunioni ereditarie, atteso che l'art. 732 c.c., derogando al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti ed in particolare alla situazione di comunione ordinaria fra alcuni condividendi creatosi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene. D'altra parte, tenuto conto che in materia di comunione ordinaria vige il principio secondo cui, ai sensi dell'art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota, l'art. 732 c.c. non potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all'art. 1116 c.c., che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall'estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria.

Cass. civ. n. 25041/2006

L'art. 732 c.c., che fa obbligo di notificare al coerede la proposta di alienazione della quota ereditaria, al fine di consentirgli di esercitare il diritto di prelazione, prevede che l'accettazione di essa da parte del suo destinatario determini, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà, il formarsi dell'accordo negoziale e, quindi la conclusione del contratto di compravendita; detta proposta, pertanto, deve assumere gli estremi di una vera e propria proposta contrattuale, così come delineata dall'art. 1326 c.c., e, nel caso in cui la quota ereditaria comprenda beni immobili, deve, per poter produrre i suoi effetti, essere fatta per iscritto.

Cass. civ. n. 1852/2006

I diritti di prelazione e di riscatto previsti dall'art. 732 c.c. in favore del coerede postulano un'adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, quali la volontà delle parti, lo scopo perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario ed il raffronto tra esso e l'entità delle cose vendute, il dato oggettivo assumendo peraltro preponderante rilievo in caso alienazione di quota indivisa dell'unico cespite ereditario (tale rimasto anche a seguito di divisione parziale dei beni ereditari), poiché in tal caso insorge una presunzione di alienazione della quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti sicché il coerede può esercitare il retratto successorio.

Cass. civ. n. 9522/2005

La comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, nè per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, la divisione deve aver luogo in conformità alle norme sulla divisione ereditaria. Solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario, indiviso al momento dell'apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità del retratto successorio, di cui all'art. 732 c.c., che postula la persistenza dello stato di comunione dell'eredità.

Cass. civ. n. 8599/2004

Lo scioglimento della comunione ereditaria non è incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni già compresi nell'asse ereditario, per cui l'attribuzione congiuntiva di beni ereditari non dà luogo al cosiddetto stralcio di quota o ad una divisione parziale, ma produce lo scioglimento della comunione ereditaria, con la conseguente inconfigurabilità del diritto di prelazione legale ex art. 732 c.c., che imprescindibilmente la presuppone, ed applicabilità viceversa ai beni congiuntamente attribuiti della disciplina propria della comunione ordinaria.

Cass. civ. n. 6320/2003

In tema di comunione ereditaria, le prescrizioni di cui all'art. 732 c.c. si intendono adempiute se il destinatario della [i]denuntiatio/i] abbia avuto la concreta possibilità di comprendere il tenore dell'offerta e di valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza al fine di stabilire se esercitare o meno il diritto di prelazione e, nel caso di mancato esercizio di tale diritto, è poi ininfluente la circostanza della vendita delle quote in comunione sebbene nella [i]denuntiatio/i] fosse preannunziato solo il promovimento di una azione di divisione.

Cass. civ. n. 15482/2001

L'art. 732 c.c. riconosce ai partecipanti ad una comunione ereditaria due distinti diritti, lo ius prelationis — in base al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa voglia alienare la propria quota a titolo oneroso, deve notificare agli altri la relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza accordata, sì che non può concludere con terzi il contratto traslativo prima del decorso del periodo normativo previsto — e lo ius retractionis — esercitabile dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria nel caso che sia stato violato il diritto di prelazione, per mancato compimento della predetta notifica della proposta di alienazione ovvero per essere stato ignorato l'esercizio positivo di tale diritto. Si tratta, pertanto, di diritti collegati ma distinti, aventi contenuto diverso e soggetti passivi differenti, ognuno dei quali da considerarsi «terzo» rispetto al rapporto cui non partecipa, con conseguente esclusione della qualità di litisconsorte necessario dell'alienante nei giudizi di riscatto.

Cass. civ. n. 981/2000

In tema di divisione ereditaria, la qualità di «estraneo» cui si richiama l'art. 732 c.c. non si riferisce alla famiglia dell'autore dell'eredità nel senso che non può considerarsi tale, ai fini dell'esperibilità, nei suoi confronti, del retratto successorio, il figlio ex filio del de cuius, sicché è estraneo non solo chi non sia legato da parentela con i coeredi del de cuius, ma anche chi non partecipa all'eredità di cui fa parte la quota ceduta.

Cass. civ. n. 13704/1999

Il diritto di retratto riconosciuto ai coeredi dalla norma di cui all'art. 732, primo comma, c.c. può attuarsi soltanto nel caso di alienazione (onerosa) della quota ereditaria, o di parte di essa, e non anche quando sia stato alienato un cespite determinato. Una tale limitazione, tuttavia, non ostacola l'esercizio del diritto in questione nel caso in cui gli elementi concreti che caratterizzano la fattispecie evidenzino, comunque, l'intento dei contraenti di sostituire nella comunione ereditaria il terzo estraneo, al coerede alienante, e di considerare pertanto, in vista di una tale finalità, il bene, o i beni, oggetto della traslazione, in funzione rappresentativa e come indice espressivo della quota o di parte di essa; ciò in quanto anche la traslazione di un solo bene finisce per individuare, nel caso in questione, la fattispecie presa in considerazione dall'art. 732 cit.

Cass. civ. n. 2387/1998

La domanda di riscatto proposta dal coerede ex art. 732 c.c. costituendo un atto dispositivo di diritti deve necessariamente provenire dalla parte e non dal suo difensore munito di ordinaria procura alle liti. Pertanto la formulazione di tale domanda da parte del difensore, senza uno specifico mandato, equivalendo a mancata proposizione della stessa, comporta che se la domanda sia riproposta in grado d'appello essa, avendo carattere di novità, debba essere dichiarata inammissibile.

Cass. civ. n. 3049/1997

Se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell'unico cespite ereditario, si presume l'alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio (art. 732 c.c.), salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed intrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l'entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, che invece la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante.

Cass. civ. n. 3745/1994

Lo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di uno dei coeredi non ne modifica la natura e non fa venir meno, conseguentemente, il diritto di prelazione che, ai sensi dell'art. 732 c.c., spetta agli altri coeredi nei confronti di quello che vuole alienare, in tutto o in parte, la sua quota, senza che al riguardo possa influire la circostanza che la cessione riguardi soltanto quella quota che si è aggiunta per effetto della precedente esclusione di uno dei soci della comunione, dato che anche tale quota continua a fare parte di una comunione ereditaria, rispetto alla quale non sono mutate, a causa della uscita di un socio, le esigenze che giustificano l'istituto della prelazione in favore dei coeredi.

Cass. civ. n. 8259/1993

Per stabilire, ai fini del diritto di prelazione e retratto del coerede (art. 732 c.c.), se la promessa di vendita da parte di altro coerede della propria quota di comproprietà di un bene ereditario abbia ad oggetto una quota di un bene determinato o la quota ereditaria del promittente, la circostanza che l'immobile, la cui quota è oggetto del preliminare, costituisca l'unico bene dell'eredità giustifica la presunzione (iuris tantum) dell'alienazione della quota di eredità, che può tuttavia essere vinta da altri elementi sintomatici di una diversa volontà delle parti desunti dal tenore letterale della convenzione, quali la mancanza di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all'accollo di eventuali passività.

Cass. civ. n. 5374/1993

Non è soggetta a retratto l'alienazione di quota effettuata non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria, bensì dal suo successore a titolo universale, potendo ritenersi soggetta a retratto la sola alienazione a titolo oneroso che il coerede faccia della quota di comunione che ha acquistato quale erede del de cuius.

Poiché l'esercizio del retratto successorio comporta la sostituzione all'acquirente del coerede che lo abbia esercitato, non è consentito a costui il riscatto parziale non essendo permesso a quest'ultimo di modificare il contenuto della compravendita, né di ledere il diritto dell'acquirente del bene riscattato, con il porlo nella condizione di conservare la proprietà di una parte del bene stesso, ancorché a tale residuo egli non abbia interesse.

Cass. civ. n. 5181/1992

Il principio della intrasmissibilità del diritto di prelazione fra coeredi, previsto dall'art. 732 c.c., non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell'art. 110 c.p.c.

Cass. civ. n. 8304/1990

Le condizioni per l'esperibilità del retratto successorio ai sensi dell'art. 732 c.c. sussistono quando il coerede vende i diritti di comproprietà su tutti i beni immobili e mobili lasciati dal de cuius, giacché in tal caso è ravvisabile il trasferimento della quota, intesa come parte dell'universum ius. Qualora, invece, la vendita riguardi soltanto alcuni beni dell'eredità, poiché in tema di retratto successorio la regola è quella della sua esclusione, per potere ritenere che essa abbia ad oggetto la quota ereditaria, è necessario che colui che eserciti il diritto di riscatto provi la discordanza della dichiarazione negoziale rispetto alla reale volontà dei contraenti, nel senso che costoro abbiano voluto far subentrare l'acquirente, sia pure nei limiti dei singoli beni oggetto del trasferimento, in tutti i rapporti e in tutte le situazioni giuridiche attive e passive della comunione ereditaria.

Per l'operatività della dichiarazione recettizia di riscatto ai sensi dell'art. 732 c.c., è sufficiente che questa pervenga al destinatario, mentre, non essendo l'obbligazione di pagamento del prezzo e delle eventuali spese della vendita in funzione causale al retratto, l'offerta reale (o il pagamento) delle somme di denaro dovute al retrattato può essere anche eseguita in un momento successivo a quello in cui viene resa la dichiarazione di riscatto.

Cass. civ. n. 519/1988

Considerata la finalità della normativa dell'art. 732 c.c., di favorire il mantenimento della comunione ereditaria, la disposizione relativa alla facoltà di agire per il retratto in mancanza della prescritta notificazione ai coeredi della proposta di alienazione ad un estraneo pone la permanenza della comunione come presupposto per l'esercizio del diritto di riscatto, ma non sottrae alla prescrizione, che è istituto di carattere generale, tale diritto, il quale, pertanto, si estingue con il decorso di dieci anni dal momento in cui poteva essere fatto valere (e cioè da quello della conclusione del contratto di trasferimento della quota dell'estraneo) ancorché permanga lo stato di comunione.

Cass. civ. n. 5042/1987

Il diritto di prelazione e di riscatto, che è previsto dall'art. 732 c.c. nell'ipotesi di alienazione della quota ereditaria o di frazione di essa, implicante, per la sua efficacia reale, l'ingresso dell'estraneo alla comunione ereditaria che la norma mira ad evitare, non sussiste allorquando l'atto di alienazione abbia per oggetto la quota ideale di beni indivisi specificamente determinati, sempre che il giudice del merito indagando sulla volontà delle parti, attraverso un'adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie — quali il raffronto tra la consistenza della quota ereditaria e l'entità delle cose vendute, l'eventuale trasmissione immediata del compossesso che è connotato normale, anche se non inderogabile, della vendita ad effetti reali, l'interesse a liberarsi della gestione ereditaria e, in genere, il comportamento dei contraenti prima e dopo l'alienazione — non accerti che, malgrado la diversa forma dell'atto, si sia inteso ugualmente rendere partecipe l'acquirente di tutti i rapporti e di tutte le situazioni giuridiche che fanno capo alla comunione ereditaria, dovendo trovare applicazione anche in tal caso la disposizione dell'art. 732 c.c. sul retratto successorio.

Cass. civ. n. 369/1986

Il limite posto dall'art. 732 c.c. al diritto del coerede di disporre liberamente della quota, preordinato al fine di evitare che nei rapporti tra coeredi, il più delle volte legati da vincoli familiari, si intromettano estranei con fini speculativi, sussiste soltanto rispetto alle alienazioni di quota unitaria o di parte della medesima (intesa come frazione matematica), e non nel caso di alienazioni di uno o più beni determinati, le quali hanno effetti meramente obbligatori ed essendo condizionate all'attribuzione dei beni stessi, in sede di divisione, al coerede alienante, non consentono alcuna interferenza dell'acquirente nell'ambito della comunione. Tuttavia, l'indicazione di beni determinati nel contratto di alienazione non costituisce elemento decisivo per escludere l'ipotesi di trasferimento della quota ereditaria o di parte di essa, occorrendo accertare se l'acquirente sia stato o non introdotto nella comunione. A tal fine è necessaria l'indagine che si avvalga tanto del dato oggettivo della rappresentatività quantitativa del bene, quanto del dato soggettivo della volontà dei contraenti, desumibile anche dal comportamento successivo al negozio, con l'avvertenza che, nel caso di alienazione di quota indivisa dell'unico cespite ereditario, il criterio oggettivo acquista un peso particolare che costituisce una presunzione a favore degli altri coeredi i quali intendano esercitare il retratto.

Cass. civ. n. 246/1985

Oggetto dei diritti di prelazione e di riscatto previsti dall'art. 732 cod. civ. è la quota ereditaria, intesa come parte del patrimonio del defunto, cioè dell'universum ius, con la conseguenza che il retratto successorio non è applicabile quando la vendita abbia per oggetto cose determinate o quote ideali delle medesime, quando cioè si ritenga, in base alla valutazione degli elementi concreti della fattispecie, (volontà delle parti, consistenza del patrimonio ereditario, raffronto tra questo e l'entità delle cose vendute, immissione del compratore nel possesso delle cose ecc.) che i contraenti non intesero sostituire il terzo all'erede nella comunione ereditaria e che l'oggetto del contratto fu considerato come cosa a sè stante e non come quota del patrimonio ereditario. L'indagine del giudice di merito diretta ad accertare se la vendita abbia per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero beni determinati, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 4537/1982

Agli effetti di cui all'art. 732 c.c., la «notificazione» al coerede avente diritto a prelazione della proposta di alienazione di quota ereditaria è da ravvisare in qualsiasi forma di comunicazione, anche verbale, che tale coerede riceva dell'indicata proposta (comprensiva del prezzo), in modo da poter concretamente valutare il suo interesse a sostituirsi al terzo nell'acquisto, a nulla rilevando che siffatta «notificazione» sia effettuata da altro coerede o da terzi, incluso il propostosi acquirente, in quanto, in ogni caso, il coerede cui spetta la prelazione viene messo in condizione di evitare, ove lo voglia, che estranei entrino nella comunione ereditaria alla quale egli partecipa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 732 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. F. R. B. chiede
venerdì 19/07/2024
“Domanda circa la possibilità di esercitare retratto successorio dagli eredi dei coeredi (su un bene indiviso in comunione ereditaria per la vendita di un sesto a un terzo estraneo)
La cassazione 2016 riafferma l'intrasmissibilità del diritto di prelazione agli eredi dei coeredi, per tutelare i "primi coeredi".. ma se questi sono TUTTI defunti, i nuovi legittimati posso acquisire gli stessi diritti dei coeredi defunti? ho letto il vs riporto cass. civ. 5754/2017, ma la cassazione si è mai espressa sul diritto di retratto fra eredi di coeredi nel momento in cui i primi coeredi sono tutti defunti? grazie. diastinti saluti. bm”
Consulenza legale i 06/08/2024
La questione in esame va inquadrata nel tema delle comunioni tra più soggetti formate da c.d. masse plurime, a cui si riferisce, sotto il profilo fiscale, l’art. 34, comma 4, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e che ricorrono, ai fini civilistici, quando gli stessi soggetti risultano comproprietari di più beni non in forza di un titolo unitario, bensì per effetto di una pluralità di titoli.

Dispone la suddetta norma che le comunioni tra i medesimi soggetti, che trovano origine in più titoli, sono considerate come una sola comunione se l'ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte.
In altri termini, ogni titolo di acquisto genera una comunione in rapporto al bene che ne è oggetto e l'atto di scioglimento della comunione non concretizza un'unica divisione, ma tante divisioni quanti sono i titoli costitutivi delle singole comunioni, ad eccezione del caso, regolato, appunto, dall'articolo 34, comma 4, citato, in cui l'ultimo acquisto di quote derivi da successione a causa di morte.

Lo spirito della legge, quindi, tende a favorire la definitiva attribuzione dei beni ai soggetti, di regola legati fra loro da vincoli di parentela, che hanno proprietà comuni, seppure derivanti da titoli diversi.
Nella medesima ottica si pone il disposto di cui all’ art. 732 c.c., norma che riconosce in capo a ciascun coerede il diritto di essere preferito a parità di condizioni rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria, nel caso in cui uno dei coeredi intenda alienare la propria quota.

In altri termini, la ratio del retratto successorio deve individuarsi nel facilitare la formazione delle porzioni, impedendo che nei rapporti tra i coeredi si possano inserire estranei , con la conseguenza che il diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c. deve ritenersi sussistente finchè persiste la comunione ereditaria, la quale costituisce il presupposto per l’esercizio del retratto successorio (cfr. Cass. n. 18351/2004).
Soltanto la divisione può far cessare il presupposto essenziale per la prelazione, come precisato da Cass. n. 2647/1967.

Ciò posto, considerato che nel caso in esame non risulta venuto meno lo stato di comunione ereditaria, sebbene discendente da titoli diversi, in conformità a quanto disposto dagli artt. 732 c.c. e 34 D.P.R. 131/1986 non sarà possibile alienare la propria quota ereditaria ad un estraneo senza violare il diritto di prelazione riconosciuto agli altri coeredi.
Del resto, di quanto appena detto se ne trova conferma proprio nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5754/2017 citata nel quesito.


A. R. chiede
martedì 02/07/2024
“Coniugi, in comunione di beni, possiedono immobili ciascuno al 50%:
- Coniuge1 1/2 pari al 50%;
- Coniuge2 1/2 pari al 50%.
A seguito del decesso del Coniuge1, le quote degli immobili, pervenute agli eredi per effetto della successione legittima, si sono attestate come segue:
- Coniuge superstite 4/6;
- Figlio1 ................: 1/6;
- Figlio2 ................: 1/6.
Domanda: il coniuge superstite può vendere la sua quota, pari a 4/6, ad uno del figli oppure ad un soggetto terzo (estraneo).
Nel caso in cui ciò non fosse possibile, quale altre possibilità ci sarebbero per "eliminare" la quota dei 4/6?
In attesa di un Vostro riscontro, porgo cordiali saluti.
In attesa”
Consulenza legale i 09/07/2024
Per prima cosa si rende necessario definire meglio le quote, in quanto, pur rappresentando l’intero (6/6), non tengono conto della circostanza che il coniuge superstite risultava già titolare del 50% degli immobili.
Le corrette proporzioni, dunque, facendo applicazione, a seguito della morte di uno dei comproprietari, dell’art. 581 c.c., sono le seguenti:
12/12 intero
8/12 quota coniuge, di cui 6/12 iure proprio e 2/12 iure successionis;
2/12 iure successionis quota figlio 1
2/12 iure successionis quota figlio 2

Sebbene, come può notarsi, l’immobile non sia per intero in comunione ereditaria (ne sono di certo esclusi i 6/12 di cui il coniuge era già titolare iure proprio), la giurisprudenza (si veda in particolare Cass. civ. Sez. II, n. 5754/2017) ritiene che anche per tale ipotesi debba trovare applicazione l’art. 732 c.c., norma che disciplina il c.d. retratto successorio.
In particolare, secondo la S.C. il retratto successorio, previsto in tema di comunione ereditaria e non anche ordinaria, è destinato a trovare applicazione anche ove una porzione di immobile della quota ereditaria si trovi già in comunione ordinaria, ipotesi in cui, essendo il retratto esercitato per l’intera quota ereditaria, l’erede subentra, tramite l’ac­quisto della stessa, nella situazione preesistente.

A ciò si aggiunga che, sempre secondo una tesi sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, pur se il carattere eccezionale dell’art. 732 c.c. fa sì che esso non si applichi alla comunione ordinaria, quest’ultima, tuttavia, non si instaura solo per il fatto che la comunione tra coeredi ricomprenda un unico immobile, come accade nel caso in esame (cfr. Cass. n. 6293/2015; Cass. n. 2457/1956).

Pertanto, non potendosi sfuggire a quanto prescritto dall’art. 732 c.c., sembra sia del tutto da escludere l’alienazione della quota di cui il coniuge superstite è titolare in favore di un soggetto estraneo alla comunione (ordinaria ed ereditaria), sussistendo anche in questo caso l’esigenza di facilitare la formazione delle porzioni, così da impedire che nei rapporti tra i coeredi si inseriscano estranei.
Resta, invece, possibile che la madre alieni liberamente la propria quota su quell’immobile ad uno dei coeredi, con esclusione dell’altro.
Ovviamente, dovrà trattarsi di vendita reale e non simulata, poiché se la vendita dovesse dissimulare una donazione in favore del figlio acquirente, l’altro figlio potrebbe far valere la simulazione e chiedere che di tale donazione se ne tenga conto, in sede di determinazione della massa ereditaria ex art. 556 c.c., onde verificare la sussistenza di una lesione della quota di riserva spettantegli per legge (lesione che sembra certa se, come si intuisce da ciò che viene riferito nel quesito, il patrimonio della disponente è costituito soltanto dalla quota su quell’immobile).

Per quanto concerne la possibilità di adottare altre soluzioni onde far uscire quella quota di proprietà immobiliare dal patrimonio della madre, argomentando dalla circostanza che l’art. 732 c.c. fa riferimento ad un atto di alienazione, da intendere come atto traslativo a titolo oneroso che abbia come corrispettivo una prestazione assolutamente fungibile, si suggeriscono le seguenti alternative:
  1. stipulare un atto di c.d. cessione onerosa, preferibilmente tra la madre ed il figlio, in forza del quale il figlio, a fronte del trasferimento in suo favore della quota di proprietà da parte della madre, si obbliga a prestare in favore di quest’ultima assistenza e mantenimento per tutto il resto della sua vita.
Trattandosi di atto che comporta un trasferimento immobiliare, si rende necessario fare ricorso al ministero del notaio, richiedendo tale atto la forma scritta ex art. 1350 c.c. e dovendo essere trascritto ex art. 2643 c.c.

  1. altra soluzione può essere quella di stipulare, sempre dinanzi al notaio, un atto di riconoscimento di debito della madre nei confronti del figlio e di contestuale trasferimento, a titolo di datio in solutum, della quota di proprietà della madre debitrice in favore del figlio creditore.
La sussistenza di un debito di pari valore può giustificare un eventuale mancato pagamento di corrispettivo per il suddetto trasferimento immobiliare (rimanendo a questo punto a carico dell’altro figlio, in sede successoria, l’onere di provare l’insussistenza di un debito).
Sembra superfluo dire che a tale meccanismo negoziale sarà necessario fare ricorso solo per l’ipotesi in cui il figlio acquirente non disponga di fondi necessari per versare alla madre il corrispettivo della vendita.


A. D. chiede
martedì 31/05/2022 - Lazio
“Egregi avvocati, abito in un condominio minimo, composto da tre proprietá; uno dei proprietari ha deciso di vendere.
La mia richiesta è: posso far valere il diritto di prelazione, pagando quando dichiarato sull'atto notarile?”
Consulenza legale i 14/06/2022
Il termine "prelazione" da un punto di vista legale ha diversi significati ma nel caso specifico con "prelazione" si intende il diritto di un soggetto ad essere preferito a parità di condizioni rispetto ad altri, nella conclusione di un determinato contratto. Nella pratica troviamo molto spesso la prelazione quando si devono concludere determinate tipologie di vendita.
Facciamo un esempio.
Tizio del tutto liberamente decide di vendere il suo appartamento per il prezzo di 100; a tale offerta di vendita rispondono due soggetti Caio e Sempronio che offrono il medesimo prezzo richiesto da Tizio, ovvero 100. Supponendo che Caio, per una qualsiasi ragione, abbia diritto alla prelazione egli dovrà essere preferito dal venditore Tizio rispetto a Sempronio nella conclusione della vendita anche se quest’ultimo offriva di acquistare il bene alle medesime condizioni.

Il diritto di prelazione viene previsto dal legislatore in determinati specifici interventi. Si pensi ad esempio tra i casi più frequenti nella prassi alla prelazionedei confinanti e dell’affittuario in caso di vendita di terreni agricoli; la prelazione prevista dal conduttore nel caso in cui il locatore voglia vendere il bene locato; oppure, infine, alla prelazione riconosciuta ai coeredi ex art. 732 del c.c. quando uno dei coeredi voglia cedere a soggetti estranei alla famiglia la sua quota di eredità.

In ambito condominiale però non è previsto nessun diritto di prelazione: non vi è alcuna norma di legge che attribuisce al vicino il diritto, a parità di condizioni, di essere preferito rispetto a coloro che sono estranei alla compagine condominiale nell’acquisto di una unità immobiliare ricompreso nell’edificio in cui egli abita.
Nel caso specifico quindi non pare esservi alcun diritto di prelazione a meno che colui che vende non abbia in passato concesso un diritto di prelazione agli altri due proprietari per contratto: ipotesi che tuttavia accade piuttosto raramente.

Forse potrebbe esservi una prelazione nel caso in cui i tre proprietari fossero, ad esempio, fratelli e avessero ricevuto l’immobile in cui abitano tramite una eredità: in questo caso, sempre ipoteticamente, potrebbe trovare applicazione la prelazione di cui all’art. 732 del c.c.: tuttavia, il quesito non offre spunti sufficienti per considerazioni più precise.



P. M. chiede
martedì 31/05/2022 - Lazio
“Gentile avvocato,
sono una donna di 43 anni che ha sempre vissuto con il padre invalido. Mio padre ha lasciato un testamento pubblico in base al quale io sono diventata proprietaria di 2/3 dell'immobile di famiglia e mia sorella 1/3 dell'immobile di famiglia. Mia sorella non vuole nè vendermi la sua quota, nè vendere l'appartamento, in quanto è sposata, senza figli, non ha mai lavorato e vive in affitto. Vuole che io rimanga il "custode" dell'immobile nell'eventualità abbia bisogno di tornare a casa, senza pagare nessuna spesa. Mi sono rivolta a delle società immobiliari per poter vendere la mia quota. Volevo sapere se per vendere la mia quota di 2/3 è necessario l'atto di accettazione tacita dell'eredità da parte di mia sorella.”
Consulenza legale i 06/06/2022
La situazione in cui ci si trova è presa in considerazione e tutelata dal codice civile sotto diversi profili.
Innanzitutto occorre precisare che per alienare la propria quota di quell’immobile non occorre che l’altro chiamato abbia accettato l’eredità, seppure tacitamente, in quanto tale vendita deve intendersi limitata esclusivamente alla quota di cui è titolare l’alienante, rimanendone esclusa la rimanente quota.
Occorre, invece, prestare particolare attenzione a quanto disposto dall’art. 732 c.c., norma che riconosce in favore dell’altro coerede, rimasto escluso dalla vendita, il diritto di prelazione e riscatto nei confronti di eventuali terzi acquirenti.
La prelazione, infatti, comporta il diritto in capo a ciascun coerede di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria nel caso in cui uno dei coeredi intenda alienare la propria quota.

Per tale ragione, prima di procedere a tale trasferimento, si rende necessario adempiere a quanto disposto dal detto art. 732, ovvero notificare all’altro coerede (non necessariamente a mezzo di ufficiale giudiziario, purchè con modalità idonee a documentare esattamente il giorno della ricezione) la proposta di alienazione, la quale equivale ad ogni effetto a proposta contrattuale in favore del coerede estraneo alla vendita.
A quest’ultimo viene così concesso, a pena di decadenza, uno spatium deliberandi di due mesi dalla notifica o trasmissione di quella proposta di alienazione, entro cui dovrà decidere se esercitare o meno il diritto di prelazione.
In assenza di denuntiatio il trasferimento immobiliare in favore del terzo estraneo alla comunione non può considerarsi inefficace, ma soggetto al potere di riscatto o retratto degli altri coeredi.

Pertanto, alla domanda che viene posta va data risposta positiva (ossia è possibile alienare ad un estraneo la propria quota di eredità sull’immobile), ma avendo cura di rispettare le formalità prescritte dall’art. 732 c.c.
Deve anche precisarsi che quanto fin qui detto vale soltanto per il caso in cui la comunione ereditaria sia costituita esclusivamente da quell’appartamento, in quanto si presume che l’alienazione della quota di cui si è titolari su quell’immobile debba intendersi come porzione ideale dell’universum ius defunti.
Al contrario, se nell’eredità sono compresi altri beni, mobili ed immobili, la vendita della propria quota di quell’appartamento sarà in grado di produrre esclusivamente effetti obbligatori, dovendosi intendere subordinata alla condizione della assegnazione di quel bene (o della sua quota parte) al coerede alienante in sede di divisione ereditaria (cfr. Cass. ord. N. 4831/2019, n. 4428/2018, n. 76/2018, n. 21050/2017).

Al di là della ammissibilità di una vendita della quota di propria pertinenza su quell’immobile, il codice civile si preoccupa in altri modi di tutelare la posizione di colui che si viene a trovare in uno stato di comunione forzosa (è tale la situazione che si genera a seguito dell’apertura di una successione, considerato che ci si trova in comunione con gli altri coeredi a prescindere dalla propria volontà).
In particolare ci si intende riferire a quanto disposto dall’art. 713 del c.c., norma che riconosce a ciascun coerede di domandare in qualunque momento lo scioglimento della comunione ereditaria.
Si tratta di un diritto definito di natura potestativa ed imprescrittibile, il quale tuttavia postula la qualità di erede e, pertanto, l’accettazione di eredità.
Nel caso di specie sembrerebbe difettare, stando a quanto viene detto nel quesito, quest’ultima condizione (ossia l’accettazione, anche in forma tacita, dell’eredità da parte della sorella), ma alla mancanza di tale elemento è facile sopperire avvalendosi di quanto disposto dall’ art. 481 del c.c., norma che disciplina la cd. actio interrogatoria.
Quest’ultima norma, infatti, prevede che chiunque ne abbia interesse possa rivolgersi all’autorità giudiziaria (Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione), chiedendo che venga fissato un termine all’altro o agli altri eredi, entro cui dichiarare formalmente se accettare o rinunciare all’eredità, trascorso inutilmente il quale si perde il diritto di accettare.

Ciò comporta che, se la sorella dovesse entro quel termine accettare l’eredità, sarebbe costretta a soggiacere al diritto potestativo dell’altro coerede di sciogliere la comunione ereditaria, mentre se dovesse rinunciare o non manifestare alcuna volontà, fatto salvo il diritto di rappresentazione, per quella quota ereditaria finirebbe per aprirsi la successione legittima, con conseguente attribuzione in favore dell’altra sorella (cioè colei che pone il quesito), trattandosi dell’unico erede per legge.
Non può, infatti, trovare applicazione l’istituto giuridico del diritto di accrescimento, il quale presuppone, nel caso di successione testamentaria, che più eredi siano stati istituiti nello stesso testamento e che l'istituzione nella quota avvenga senza determinazione di parti o, se vi è determinazione, che questa sia fatta in parti uguali (in questo caso si è di fronte a quote diverse).
E’ più corretto, invece, inquadrare la fattispecie nell’ipotesi di c.d. espansione della quota ex art. 522 del c.c., norma per effetto della quale la parte della sorella che rinunzia va ad accrescere quella dell’altra sorella (cioè di colei che pone il quesito), la quale a quel punto sarà libera di alienare l’immobile nella sua interezza.

Nel caso in cui, poi, dovesse giungersi allo scioglimento della comunione ereditaria (in forza di divisione consensuale o giudiziale), altra norma di cui si può invocare l’applicazione è l’art. 720 del c.c., il quale dispone che se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e se la divisione non può effettuarsi senza il loro frazionamento, gli stessi devono essere preferibilmente compresi per intero nella porzione del coerede che ha diritto alla quota maggiore, il quale a sua volta sarà tenuto a soddisfare in denaro la quota del coerede non assegnatario.

C. S. chiede
venerdì 06/05/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
siamo tre fratelli che avevano ricevuto in eredità dai genitori le quote indivise di due box auto, senza definire gli spazi a ciascuno attribuiti. Praticamente ciascun fratello possedeva un terzo indiviso di un primo box di 19 m2 con annessa corte privata di circa 28 m2, e possedeva un terzo indiviso di un secondo box di 37 m2.
Uno dei tre eredi ha venduto le sue quote indivise ad una terza persona, senza avvisarci, lo scorso settembre 2021. Casualmente io sono venuta a conoscenza del fatto attraverso un messaggio whatsapp della nipote, a metà dicembre 2021.
Il quesito: ma noi non avremmo avuto diritto di prelazione? C'era il dovere di avvisarci per iscritto dell'intenzione di vendere? Insomma, la vendita è stata fatta secondo la legge? C'è qualcosa che possiamo fare adesso, cinque mesi dopo esserne venuti a conoscenza?
Adesso il nuovo comproprietario ci chiede di fare una divisione dei beni davanti al notaio. Siamo costretti a fare questa azione? Possiamo almeno addossare al richiedente le relative spese ?

Grazie e saluti”
Consulenza legale i 26/05/2022
La questione che qui viene esposta è stata affrontata in diverse occasioni sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, giungendosi alla conclusione che in casi come questo non può configurarsi alcun diritto di prelazione ereditaria ex art. 732 c.c. in favore dei coeredi rimasti estranei alla vendita.
In termini generali per prelazione ereditaria si intende il diritto riconosciuto in capo a ciascun coerede di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria, nel caso in cui altro coerede intenda alienare la propria quota, diritto che se violato consente al coerede o agli altri coeredi di esercitare il c.d. retratto successorio.

La ratio del retratto successorio è stata individuata nel facilitare la formazione delle porzioni, impedendo che nei rapporti tra i coeredi si inseriscano estranei.
Proprio per tale ragione, si è potuto affermare che si ha prelazione solo quando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quando trasferisca singoli beni o quote di proprietà di singoli beni (così Cass. 246/1985, Appello Catania 27.01.2007 e Tribunale di Padova 04.11.2010).
In quest’ultimo caso, infatti, la vendita sarà destinata a produrre soltanto effetti obbligatori, in quanto la stessa dovrà intendersi sottoposta alla condizione che quei beni o la loro quota parte vengano assegnati in sede di divisione al coerede alienante (come tale, dunque, non sarà in grado di produrre il pregiudizio che la prelazione vuole evitare).
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione in diverse occasioni, e precisamente con sentenze n. 4831/2019, n. 4428/2018, n. 76/2018 e 21050/2017).

Qualora, poi, oggetto di comunione ereditaria sia un unico cespite, l’alienazione da parte di uno dei coeredi della quota indivisa di quell’unico cespite va considerata a tutti gli effetti come alienazione della sua intera quota, intesa come porzione ideale del c.d. universum ius del defunto (ossia dell’intero patrimonio ereditario), con la conseguenza che gli altri coeredi, rimasti estranei all’alienazione, potranno esercitare il retratto successorio.

Occorre a questo punto evidenziare che la fattispecie oggetto di esame non può farsi rientrare in quest’ultima ipotesi per il solo fatto che il compendio ereditario si è di fatto ridotto ai soli due box auto.
Si tratta, pur sempre, di vendita di quote di proprietà di un singolo bene, alla quale, come si è detto prima, non può conseguire il riconoscimento del diritto di prelazione in favore degli altri coeredi.
Del resto, a sostegno della contraria tesi (della sussistenza del diritto di prelazione) non si può addurre la circostanza che in questo modo si viene a consentire ad un estraneo di inserirsi nei rapporti tra i coeredi, in quanto ciò è già avvenuto con la precedente alienazione, effettuata di comune accordo tra tutti i coeredi, ed avente ad oggetto l’altro bene ereditario (l’appartamento) in favore di soggetto estraneo alla comunione ereditaria.

A quanto sopra dedotto va aggiunta un’altra considerazione: si ha diritto di prelazione, ex art. 732 c.c., solo in costanza di comunione ereditaria, che costituisce pertanto il presupposto per l'esercizio del retratto successorio.
A tale riguardo la Corte di Cassazione, Sez. II civ., con sentenza n. 18351 del 13/09/2004, ha affermato che “Il presupposto per l'esercizio del retratto successorio è la permanenza della comunione ereditaria…. Anche l'accordo con il quale i coeredi hanno provveduto ad assegnarsi la maggior parte dei cespiti ereditari, può essere idoneo ad eliminare lo stato d’indivisione risultante al momento della successione, trasformandosi la comunione che ancora residui sugli immobili ereditari in comunione ordinaria…..”.
Nel caso di specie i coeredi non hanno raggiunto un accordo di questo tipo, ma hanno provveduto a vendere di comune accordo il cespite ereditario presumibilmente di maggior valore (l’appartamento), con il risultato di sciogliere, seppure parzialmente, la comunione ereditaria e, si ritiene, trasformando in comunione ordinaria quella ancora sussistente sui due box auto.
Ciò che si teme, dunque, è che il giudice di merito, chiamato a risolvere un’eventuale controversia di questo tipo ed a cui compete stabilire se ricorrono o meno i presupposti per l'esercizio del retratto, possa negare la sussistenza di tali presupposti, deducendo dal comportamento complessivo delle parti l’attuale insussistenza di una comunione ereditaria.

A questo, punto, dunque, non resta altro da fare che procedere allo scioglimento di quella comunione con l’intervento, in sede di divisione, del terzo acquirente.

G.R. chiede
lunedì 11/10/2021 - Lombardia
“buongiorno art.732
appartamento in edilizia convenzionata intestato ai miei genitori
deceduto mio padre (1989) e scattata automaticamente la successione
50% mia madre
il restante 50% suddiviso ancora in tre fratelli, mia madre e i miei due nipoti, figli di mio fratello deceduto (1979)
mia madre 7 anni fa decide di vendere la sua quota di proprietà a due figli (nuda proprietà con usufrutto) tramite atto notarile
adesso che mia madre è deceduta siamo diventati proprietari delle rispettive quote
la domanda è:
può uno dei fratelli o dei nipoti esercitare il retratto successorio?
è necessaria la successione visto che questo era il solo bene immobile?”
Consulenza legale i 17/10/2021
La norma citata nel quesito, ossia l’art. 732 c.c., disciplina la prelazione del coerede, dovendosi intendere come tale il diritto riconosciuto in capo a ciascun coerede di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria, nel caso in cui un altro coerede intenda alienare la propria quota.
La ragione giustificatrice di tale diritto si individua nel voler favorire la concentrazione della comunione ereditaria nelle mani dei coeredi e nel voler evitare che degli estranei entrino a far parte del novero dei coeredi.

Presupposto essenziale per la configurabilità del diritto di prelazione e per il conseguente esercizio del retratto successorio è la sussistenza di una comunione ereditaria, la quale ovviamente non si instaura finché tutti coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità, per legge o per testamento, non abbiano manifestato, espressamente o tacitamente, la volontà di accettare l’eredità.

Pertanto, rispondendo alla seconda delle domande poste, ossia se occorre o meno la successione, si ritiene opportuno chiarire che ciò che occorre non è tanto aver presentato la denuncia di successione (essendo questo un adempimento di natura prettamente fiscale, che lascia impregiudicato il diritto di accettare o meno l’eredità e che possono compiere tutti gli aventi diritto all’eredità, anche se non ancora effettivamente eredi), quanto piuttosto aver manifestato la volontà di accettare l’eredità, in quanto solo da tale momento i chiamati all’eredità vengono a trovarsi nella posizione di coeredi e, conseguentemente, possono legittimamente vantare il diritto di cui si discute.
A tal proposito si ricorda, come prima accennato e come dispone chiaramente l’art. 474 del c.c., che l’accettazione può essere sia espressa che tacita.
Nel primo caso essa viene manifestata in un atto espresso, che può avere sia forma di atto pubblico che di scrittura privata, il quale a sua volta deve essere registrato all’Agenzia delle entrate e, relativamente ai soli immobili caduti in successione, trascritto presso la competente Conservatoria dei Registri immobiliari.
Nel secondo caso, invece, l’accettazione va desunta dall’attività posta in essere dal chiamato rispetto al compendio ereditario, la quale deve essere tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio, incompatibile con la volontà di rinunciare e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede.

Posto quanto sopra, l’altro aspetto particolare della situazione che si sottopone all’esame, riguarda la circostanza che il compendio ereditario si compone di un solo bene immobile, ciò che potrebbe far sorgere il dubbio se anche in tale ipotesi si venga a configurare o meno un diritto di prelazione in favore dei coeredi non alienanti.
Ebbene, di una fattispecie simile si è occupata in diverse occasioni la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, giungendo alla conclusione che qualora la comunione ereditaria abbia ad oggetto un cespite unico, se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell'unico cespite ereditario, si presume l'alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, e perciò il coerede non alienante può esercitare il retratto successorio (in tal senso possono citarsi Tribunale Padova, Sez. I, 03/01/2013; Cass. civ., Sez. II, 04/04/2003, n. 5320; Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 03/05/2016, n. 8692).

In conclusione, dunque, può dirsi che:
  1. anche se l’eredità è composta da un solo bene, l’alienazione della quota da parte di un coerede dà diritto agli altri coeredi di esercitare il retratto successorio;
  2. per il sorgere del diritto di prelazione è necessario che ci si trovi in uno stato di comunione ereditaria, ossia che tutti i chiamati all’eredità, ed in particolare coloro che intendono esercitare il retratto successorio, abbiano accettato espressamente o tacitamente l’eredità.


Anonimo chiede
giovedì 16/09/2021 - Lazio
“A seguito di successione ereditaria per la morte di mio padre, sono diventato coerede, insieme a mio fratello e mio nipote minorenne (figlio del già defunto altro mio fratello - antecedente alla morte di mio padre - ), di un'abitazione indipendente in comunione ereditaria indivisa (33%). Prima di procedere alla divisione della comunione ereditaria mio fratello vuole cedere, ed io accettare, la sua quota esclusivamente a me. Esercitando io il diritto di prelazione la legge impone a mio fratello di farlo anche verso il nipote?
Grazie per questa risposta
Saluti”
Consulenza legale i 23/09/2021
Della prelazione ereditaria si occupa l’art. 732 c.c., dalla cui lettura si evince che si tratta del diritto, riconosciuto in capo a ciascun erede, di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria, nel caso in cui altro coerede intenda alienare la propria quota.
La violazione di tale diritto consente al coerede di esercitare il retratto successorio, ossia di riscattare il bene nei confronti dell’eventuale terzo acquirente (per tale ragione la prelazione ereditaria viene definita come prelazione reale).

La ragione giustificatrice della prelazione si individua nel voler favorire la concentrazione della comunione nelle mani dei coeredi, intendendosi così evitare che estranei, mossi magari da intenti speculativi, possano entrare a far parte del novero dei coeredi.

Presupposto essenziale per la sussistenza del diritto di prelazione e per il conseguente esercizio del retratto successorio è che ci si trovi in costanza di comunione ereditaria e che il coerede intenda porre in essere un atto di alienazione.
Per alienazione deve intendersi qualunque atto traslativo a titolo oneroso, che abbia come corrispettivo una prestazione assolutamente fungibile.
Inoltre, l’atto traslativo deve avere ad oggetto la quota del singolo coerede o frazione di essa, mentre non si configura alcun diritto di prelazione nell’ipotesi in cui oggetto di trasferimento siano singoli beni o quote di proprietà di singoli beni, poiché in questo caso l’alienazione avrà effetti puramente obbligatori, rimanendo subordinata alla condizione dell'assegnazione, a seguito della divisione, del bene o della sua quota parte al coerede medesimo.

Per estraneo alla comunione deve intendersi qualunque soggetto che non sia in comunione ereditaria, indipendentemente da eventuali rapporti di famiglia; ciò significa che anche il coniuge o il parente di uno dei coeredi è da qualificarsi come estraneo allorchè non rientri nel novero dei coeredi.
La Corte di Cassazione ha qualificato come estraneo anche chi ha ottenuto, nei propri confronti, lo scioglimento della comunione (cfr. Cass. n. 4815/1981; Cass. n. 981/2000).

Precisati in termini generali i presupposti per la configurabilità del diritto di prelazione, sembra evidente che nel caso di specie ne sussistano tutti i presupposti oggettivi (l’alienazione della quota di uno dei coeredi e la sussistenza dello stato di comunione), ma non quelli soggettivi, in quanto l’alienazione deve essere effettuata non in favore di un estraneo, ma in favore di uno dei coeredi, venendo così meno la ratio giustificatrice del diritto, ossia evitare l’ingresso nella comunione ereditaria di estranei.

Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno espressamente chiarito che il coerede può alienare liberamente la propria quota ad uno o più coeredi con esclusione dei restanti coeredi; in particolare, in giurisprudenza vanno segnalate Cass. Sez. II civ, sentenza n. 9231/2005 e Cass. civ. Sez. VI ordinanza n. 15271, nelle quali la S.C. afferma che, qualora due coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbiano acquistato quote indivise di eredità, di cui altra quota sia già di proprietà esclusiva di uno di essi iure hereditatis, deve escludersi che gli altri coeredi abbiano il diritto di riscatto nei confronti della quota acquistata dal coniuge estraneo alla comunione, e ciò sia in ragione della particolare natura della comunione legale, sia perché il diritto di prelazione non è esercitabile nei confronti del coerede.

Pertanto, il coerede nipote non può in alcun modo pretendere che il diritto di prelazione venga rispettato anche nei sui confronti.


Raffaele D. chiede
giovedì 19/08/2021 - Campania
“Sono erede insieme a due sorelle di una proprietà che fu dei nostri genitori. Morti entrambi si doveva dividere detta proprietà. Poichè non si è riusciti a trovare un accordo in merito alla divisione, sono stato costretto a ricorrere ad una divisione giudiziale. Prima di procedere alla divisione giudiziale una mia sorella compra una quota dall'altra. Quindi esercito la divisione giudiziale solo per una sorella che possiede due quote.
Il procedimento va avanti e si arriva alla perizia e divisione di un CTU. Dalla stessa si evidenzia che mia sorella è in comunione di beni con il marito, quindi anche lui possessore di mezza quota della proprietà. Pertanto il mio legale notifica al marito di mia sorella un contradittorio. In seguito a questo il marito di mia sorella si costituisce e pretende che il procedimento venga svolto da capo e che vuole l'assegnazione della sua mezza quota. Ora domando è possibile esercitare il diritto di retratto successorio?.
Ci sono sentenze a favore?
In attesa di un vostro riscontro porgo distinti saluti.
Sono a disposizione per eventuali chiarimenti.”
Consulenza legale i 25/08/2021
Il retratto successorio, o diritto di prelazione ereditaria, disciplinato dall’art. 732 c.c., consiste nel diritto, riconosciuto in capo a ciascun coerede, di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria, nel caso in cui altro coerede intenda alienare la propria quota.
La sua ragione giustificatrice si rinviene nell’intento di favorire la concentrazione della comunione nelle mani dei coeredi e nell'evitare che estranei (i quali potrebbero essere mossi da intenti speculativi) entrino a far parte del novero dei coeredi.

Come si ricava chiaramente dalla lettura della norma sopracitata (nella parte in cui è detto “…finchè dura lo stato di comunione ereditaria”), la costanza della comunione ereditaria costituisce presupposto essenziale per l'esercizio del retratto successorio (cfr. Cass. civ., Sez. II, 13/09/2004, n. 18351), presupposto che viene meno soltanto con la divisione.
In particolare, con riferimento proprio alla divisione, è stato precisato che l'azione di divisione giudiziale della comunione ereditaria, proposta anche nei confronti degli acquirenti di una quota, non impedisce la proposizione nei confronti di costoro, nel corso del primo giudizio, anche della domanda di retratto, argomentando dalla circostanza che entrambe le azioni presuppongono la validità dell'atto traslativo.
Da ciò se ne fa conseguire che, l'eventuale giudicato formatosi sulla domanda divisoria, non preclude l'esame dell'istanza del retrattante, il cui accoglimento determina un fenomeno di surrogazione soggettiva legale, con efficacia ex tunc, assimilabile, rispetto agli esiti del giudizio divisionale, ad una sorta di confusione, (a seguito dell’accoglimento della domanda, i beni da dividere finiscono per appartenere ad un unico soggetto, così Cass. civ. Sez. II, 09.02.2016 n.17520).

Per alienazione deve intendersi un atto traslativo a titolo oneroso, purchè abbia come corrispettivo una prestazione assolutamente fungibile; pertanto, oltre, alla compravendita, si è ritenuta soggetta a prelazione, anche la vendita con patto di riscatto, la trasmissione della nuda proprietà con riserva di usufrutto, la promessa di vendita, nonché la vendita conseguente a procedura esecutiva.
Inoltre, costituisce opinione pacifica in giurisprudenza quella secondo cui il diritto di prelazione si configura soltanto allorquando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quando trasferisca singoli beni (cfr. Cass. civ. 22.01.1985 n. 246) o quote di proprietà di singoli beni; in tal caso, infatti, l'alienazione è capace di produrre effetti puramente obbligatori, risultando subordinata alla condizione sospensiva dell'assegnazione del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo per effetto della divisione, non essendo pertanto capace fino a tale momento di produrre il pregiudizio che la prelazione vuole evitare (cfr. Cass. civ. Sez. II, ordinanza 19.02.2019 n. 4831; Cass. civ. Sez. II, 23.02.2018 n. 4428; Cass. civ. Sez. II, 04.01.2018 n. 76; Cass. civ. Sez. II, 11.09.2017 n. 21050).

Per quanto concerne la nozione di “soggetto estraneo alla comunione”, si ritiene che debba qualificarsi come tale qualsiasi soggetto che non sia in comunione ereditaria, a prescindere da rapporti di famiglia; così, è da considerare estraneo chi ha ottenuto, nei propri confronti, lo scioglimento della comunione, nel caso ad esempio di stralcio della quota divisionale (cfr. Cass. n. 4048/1978; Cass. n. 981/2000; Cass. n. 4815/1981).
La giurisprudenza di legittimità ha avuto anche occasione di occuparsi di un caso come quello in esame, ossia dell’ipotesi in cui due coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbiano acquistato quote indivise di eredità, di cui altra quota sia già di proprietà esclusiva di uno di essi iure hereditatis, giungendo alla conclusione che in un’ipotesi di questo tipo deve escludersi che gli altri coeredi abbiano il diritto di riscatto nei confronti della quota acquistata dal coniuge estraneo alla comunione, argomentando sia dalla particolare natura della comunione legale, sia dalla circostanza che il diritto di prelazione non potrebbe essere esercitato nei confronti del coerede (cfr. Cass. civ. ordinanza n. 15271/2018; Cass. civi sent. N. 9231/2005).

Alla luce di quanto fin qui detto, dunque, sembra inevitabile dover concludere che nessun diritto di prelazione e di conseguente retratto può nel caso di specie riconoscersi per effetto della compravendita posta in essere da una sorella nei confronti dell’altra e del suo coniuge in regime di comunione legale dei beni, difettando uno dei presupposti essenziali per il sorgere di tale diritto, ossia la vendita a soggetto qualificabile come estraneo alla comunione ereditaria.
Non rimane, dunque, altra soluzione che quella di proseguire nel giudizio di divisione ereditaria già intrapreso.


DR. M. S. chiede
giovedì 08/10/2020 - Lombardia
“La mia compagna ha ereditato una porzione di immobile ( appartamento ).
Non si è trattato di eredità di beni in comunione dato che subito dopo la legalizzazione del testamento, ben circostanziato in merito a “chi che cosa “, si è provveduto ad eseguire la successione con intestazione diretta dei beni immobili agli eredi aventi diritto.
Il de cuius ha dato facoltà di prelazione, in caso di alienazione delle proprietà ereditate, ad uno degli eredi a valere sugli altri.
Tutto quanto sopra è avvenuto una decina di anni fa ( 2008/2009 ).

Vorrei cortesemente sapere:
1) se nel caso si tratta di prelazione “ volontaria” o “ legale “
2) se è sempre valida nonostante siano trascorsi 10 anni dalla successione ( l’art. 1566 del codice civile parla, nel caso di prelazione volontaria, di una durata massima di 5 anni)
3) in ogni caso, dovendo vendere l’immobile, ho fatto la “ denuntiatio “ con raccomandata a.r. indicando la cifra fissata per la vendita e le condizioni di pagamento ed ovviamente chiedendo accettazione o rinuncia entro i 60 gg. previsti.
Dovevo obbligatoriamente indicare anche il nome di un acquirente ( cosa impossibile dato che stiamo trattando con 4 papabili )?
In attesa di un riscontro, cordialmente

Consulenza legale i 14/10/2020
La precisazione contenuta nel quesito, in cui si dice che oggetto del trasferimento non è una quota, bensì una porzione ben individuata di un immobile ed avente la consistenza di un appartamento, esclude intanto che nel caso di specie possa trovare applicazione l’art. 732 c.c., norma che disciplina la c.d. prelazione legale.

Quella voluta dal testatore, invece, configura un’ipotesi di c.d. prelazione volontaria, la quale trova la sua fonte nel testamento (anziché nella legge) e si realizza attraverso quello che si definisce legato di prelazione.
In tale ipotesi, infatti, colui il quale è stato onerato del legato, sia che rivesta la posizione di erede che quella di legatario, sarà tenuto, in una eventuale futura negoziazione del bene che gli è stato attribuito, a preferire, a parità di condizioni, colui o coloro i quali sono stati indicati come beneficiari di quel legato.

Ovviamente, l’onerato (cioè colui su cui grava il legato e che deve rispettare il diritto di prelazione) è sempre libero di non negoziare, ed infatti il diritto di prelazione diviene attuale soltanto se ed in quanto l’onerato decida spontaneamente di addivenire alla conclusione del contratto.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, si tratta di un legato di tipo obbligatorio (determina il sorgere in capo all’onerato di un vero e proprio obbligo) ed atipico (in quanto non espressamente disciplinato dal legislatore).

Per quanto concerne i limiti di utilizzabilità del legato di prelazione nonché le modalità per inserirlo validamente nella scheda testamentaria, ci si è chiesti innanzitutto se la prelazione testamentaria incontri gli stessi limiti previsti dal legislatore per l’ipotesi disciplinata dall’art. 1379 del c.c. (contenente il divieto di alienazione), ovvero se il testatore debba necessariamente avere un’apprezzabile interesse e se l’obbligo dell’erede o del legatario debba essere contenuto entro convenienti limiti di tempo.

A tal proposito, da un lato si pone chi, in virtù del richiamo operato dall’art. 1324 del c.c., ritiene che ai negozi mortis causa si applichino anche le norme sui contratti e, conseguentemente, è dell’idea che anche l’art. 1379 c.c. debba applicarsi alla prelazione disposta per testamento.
Dall’altro lato, invece, si pongono dottrina e giurisprudenza prevalenti, i quali ritengono che la prelazione testamentaria sia una fattispecie diversa da quella contrattuale disciplinata dal citato art. 1379 c.c.
Si fa, infatti, osservare che con il legato di prelazione non si incide sul potere di disposizione del bene, ma se ne fissano solo alcune modalità di esercizio, nel senso che in capo all’onerato non viene posto l’obbligo di non alienare, ma solo quello di preferire un determinato soggetto qualora voglia vendere.
Ciò induce ad escludere che esso debba essere, necessariamente, contenuto entro convenienti limiti temporali.
Di contro, si ritiene che, poiché determina l’insorgere di un vero e proprio obbligo, esso incontri il divieto di pesi e condizioni previsto all’art. 549 del c.c., con la conseguenza che, se posto a carico di un erede legittimario, istituito nella quota di riserva, integrerebbe sicuramente una lesione di tale quota.

In quanto legato di natura obbligatoria, da cui consegue in capo al beneficiario o ai beneficiari l’insorgere di un diritto di credito, la violazione dell’obbligo di preferire non gode di una tutela reale (come accade nella prelazione legale di cui all’art. 732 c.c., che prevede l’esercizio del diritto di riscatto), ma è in grado di determinare solo l’insorgere di un’obbligazione risarcitoria.
Di conseguenza, quello che prima costituiva diritto di credito ad essere preferiti, si trasforma in diritto al risarcimento, mentre la negoziazione che ha violato la disposizione prelatizia rimane pienamente valida ed efficace.
Per la verità, il testatore avrebbe a disposizione una serie di istituti giuridici a cui ricorrere al fine di rendere più forte la prelazione in oggetto, quali l’inserimento di una clausola penale ovvero di una condizione risolutiva (cioè potrebbe condizionare risolutivamente l’istituzione di erede o legato all’evento della mancata ottemperanza del dovere prelatizio), ciò di cui, tuttavia, il testatore nel caso di specie non sembra essersi avvalso.

Delineati per grandi linee i contorni del diritto di prelazione disposto per testamento, si tratta adesso di vedere come ci si deve comportare nel caso in esame, rispondendo così analiticamente alle domande che vengono poste.

  1. Il tipo di prelazione che viene in esame è quella volontaria, in quanto disposta per volontà del testatore e costituente oggetto di un legato atipico di natura obbligatoria.
Non ricorre alcuna ipotesi di prelazione legale, in quanto l’art. 732 c.c., che la disciplina, ha come suo presupposto essenziale la sussistenza di una comunione ereditaria, mentre in questo caso l’immobile per il quale è stata prevista risulta assegnato in via esclusiva all’erede onerato.

  1. A tale tipo di prelazione non può applicarsi l’art. 1566 del c.c., norma che attiene al contratto di somministrazione, fattispecie completamente diversa dal contratto di vendita, a cui la prelazione si riferisce.
Unico dubbio potrebbe porsi, come è stato detto nella parte introduttiva di questa consulenza, sull’applicabilità o meno dell’art. 1379 c.c., norma che, tuttavia, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono non applicabile alla prelazione disposta per testamento, in quanto con essa non si incide sul potere di disposizione del bene, ma se ne fissano solo alcune modalità di esercizio.
Pertanto, se ne deve dedurre la piena operatività ed efficacia della prelazione per come voluta dal testatore.

  1. Per quanto concerne la c.d. denuntiatio, va detto che si tratta di una dichiarazione, contenente una proposta contrattuale che, in quanto tale, deve contenere tutte le condizioni per la conclusione del contratto, quale prezzo di vendita, condizioni contrattuali e indicazione di un congruo termine (30 o 60 giorni) entro cui il prelazionario deve decidere se esercitare il diritto di prelazione (e, quindi, concludere il contratto) oppure no (tale termine è quello che si definisce spatium deliberandi).
Non può in alcun modo ritenersi necessario, per la validità di tale denuntiatio, specificare anche il promittente o i promittenti acquirenti, in quanto si tratta di elemento che non incide sulla completezza della proposta contrattuale e sul contenuto del contratto che si andrà a concludere.

Sotto il profilo formale, è corretto l’uso della raccomandata con ricevuta di ritorno, in quanto mezzo sufficiente per provare di aver adempiuto all’obbligo di denuntiatio, nonché per calcolare con esattezza il momento da cui far decorrere il termine concesso al prelazionario per l’esercizio del suo diritto.


Marco D. chiede
venerdì 14/06/2019 - Marche
“Mio zio ( non avendo figli) vuole attualmente vendere un negozio che abbiamo in società al 50% in quanto crede che un domani nel momento del suo decesso si creerebbero problematiche di tipo amministrativo.
La sua quota del 50% verrebbe ereditata e divisa al 25 % con i nipoti tra cui anche il sottoscritto ed il restante 25 % a sua moglie
La mia domanda è:
ipotizziamo che attualmente non vendiamo il locale, ma in futuro accettando l’eredità raggiungerei una quota proprietaria maggiore di tutti gli altri eredi, se volessi successivamente vendere o affittare , prendere decisioni in generale come mi dovrò comportare?
Sarei obbligato a chiedere sempre il permesso di tutti gli eredi oppure autorizzato automaticamente a prendere decisioni in autonomia ( sempre previo avviso a tutti gli eredi) ?
Si potrebbero opporre a proposte di vendita o affitto creando problemi?
In attesa di risposta.
Cordialmente
MD”
Consulenza legale i 20/06/2019
La situazione descritta e che si presuppone di dover affrontare è quella di una futura e possibile comunione ereditaria, per tale intendendosi quella situazione di contitolarità del patrimonio ereditario che si instaura tra i chiamati all’eredità nel momento in cui decidono di accettare l'eredità e prima che venga effettuata la divisione dei beni.
Per la verità, non risulta ben chiaro se a cadere in comunione sarà un immobile o un’azienda (immobile compreso), in quanto mentre nella parte iniziale del quesito si parla di negozio e di possibili problematiche di tipo amministrativo, nel prosieguo si parla di vendita o affitto del locale e di situazione proprietaria.

Inoltre, si ritiene doveroso anche fare una precisazione in ordine alle quote ereditarie: una suddivisione come quella indicata nel quesito (25% al coniuge ed il restante 25% indiviso ai nipoti) potrebbe essere soltanto frutto di una volontà testamentaria, sicuramente valida in quanto verrebbe rispettata la riserva in favore del coniuge, che l’art. 540 del c.c. determina in misura pari a metà del patrimonio ereditario.
Qualora, invece, non vi fosse testamento, si applicherebbero le quote della successione legittima, ed in particolare troverebbe applicazione l’art. 582 del c.c., il quale dispone che, in caso di concorso del coniuge con ascendenti, fratelli o sorelle, al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre ai fratelli ed alle sorelle il restante terzo, da dividere in parti eguali (nel nostro caso saranno i figli di fratelli e sorelle, ossia i nipoti, a succedere per rappresentazione ex art. 468 del c.c.).

Fatta questa precisazione, cerchiamo adesso di rispondere alla situazione prospettata, analizzandola sia per il caso in cui oggetto di eredità sarà soltanto l’immobile in sé e per sé considerato, sia per l’ipotesi in cui a cadere in successione sarà il negozio, ovvero l’azienda (l’immobile costituirebbe uno dei beni aziendali).
Se oggetto dell’eredità è l’immobile ove si trova il negozio, considerato che la comunione ereditaria altro non è che una forma di comunione ordinaria, troveranno applicazione le norme per quest’ultima dettate agli artt. 1100 e ss. c.c., contemperate con quelle dettate sempre dal codice civile per le ipotesi di comunione di beni ereditari.
In particolare, occorre distinguere tra atti di disposizione della quota e atti di amministrazione, ordinaria e straordinaria.

Degli atti di disposizione della quota si occupa l’art. 1103 del c.c., il quale consente a ciascun partecipante di disporre del suo diritto e di cederne agli altri il godimento nei limiti della sua quota.
Ciò comporta che il singolo comproprietario, seppure titolare di una quota maggioritaria, non può imporre agli altri comproprietari, aventi diritto ad una quota di minor valore, di alienare l’intero bene o di cederne per intero il godimento a terzi estranei.
Inoltre, come prima accennato, qualora uno qualunque dei coeredi volesse alienare ad estranei la sua quota, dovrebbe rispettare il disposto di cui all’art. 732 del c.c., norma che disciplina il c.d. diritto di prelazione ereditaria.
Dispone tale norma che il coerede, il quale intenda alienare la propria quota (o parte di essa) ad un estraneo, è tenuto a notificare la proposta di alienazione, contenente l’indicazione del prezzo, agli altri coeredi, i quali avranno un diritto di prelazione (si parla tecnicamente di retratto successorio).
Qualora non si adempia a quanto statuito da tale norma, gli altri coeredi, che non hanno ricevuto la proposta di alienazione, saranno autorizzati a riscattare la quota alienata da ogni avente causa, e ciò fino al momento dello scioglimento della comunione ereditaria (se più coeredi volessero acquistare la quota oggetto di prelazione, essa verrebbe assegnata, in parti uguali, ai coeredi che intendono acquistare).

Va evidenziato che la disciplina della prelazione ereditaria vale soltanto per il caso di alienazione della quota, mentre nel concetto di disposizione di quota di cui all’art. 1103 c.c. vi si fanno rientrare, a parte il trasferimento del diritto pieno di proprietà (cioè la vendita), anche gli atti costitutivi di diritti reali di godimento (quali l’usufrutto o la costituzione dei diritti di uso e di abitazione), nonché gli atti costitutivi di diritti personali di godimento, quali il comodato o la locazione.
Da quanto detto, dunque, se ne deve dedurre che vendita e locazione dell’immobile ereditato saranno ammissibili soltanto nei limiti della propria quota, mentre per disporre dell’intero bene occorrerà il consenso di tutti i comunisti (sarebbe, questo, un classico esempio di masse plurime, ossia di comunione che origina da titoli diversi).

Altre norme di cui tener conto in una ipotesi di comunione, come quella che si prospetta verrà a realizzarsi, sono:
  1. l’art. 1102 del c.c., dettato in tema di uso della cosa comune, il quale riconosce a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso.
  2. gli artt. 1105 e 1108 c.c., i quali si occupano di fissare secondo quali modalità e maggioranze è possibile amministrare la cosa comune e compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
In particolare, con specifico riferimento alla locazione, occorre a sua volta distinguere a seconda che si tratti di:
  1. locazione infrannovennale: trattasi di atto di ordinaria amministrazione, per il quale è sufficiente la deliberazione della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote.
Dunque, poiché chi pone il quesito avrebbe una quota di maggior valore, riuscirà tranquillamente a deciderne la locazione, ma solo a seguito di un processo decisionale che coinvolge gli altri comproprietari.
  1. locazione ultranovennale: è atto di straordinaria amministrazione, per il quale l’art. 1108 c.c. richiede espressamente il consenso di tutti i partecipanti alla comunione.

Quanto fin qui visto vale per il caso in cui a cadere in successione sia il solo immobile.
Nel caso in cui, invece, sia l’azienda (riconducibile al negozio ivi condotto) ad entrare nel patrimonio ereditario, essa costituirà oggetto di comunione solo se sussiste il fine del semplice godimento in comune fra i successori dell’azienda relitta dal de cuius, secondo la consistenza che la stessa aveva al momento dell’apertura della successione (ed in tal caso si applicheranno le regole sopra viste della comunione).
Qualora, invece, l’esercizio di detta azienda venisse continuato in comune dagli eredi con finalità speculative, l’originaria comunione incidentale si trasformerà ipso iure in una società, sia pure di fatto, e le vicende di quel rapporto saranno regolate dalla disciplina delle società.
Pertanto, nel caso in cui più eredi esercitino, congiuntamente ed in via di fatto, lo sfruttamento diretto dell’azienda già appartenuta al “de cuius”, deve escludersi la configurabilità di una mera amministrazione di beni ereditari in regime di comunione incidentale di godimento e si sarà, invece, in presenza dell’esercizio di attività imprenditoriale da parte di una società di fatto.

In questo caso verranno in rilievo le norme dettate dal codice civile in materia di società di persone, ed in particolare, per quel che qui ci interessa, l’art. 2256 del c.c., il quale vieta a ciascun socio di servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società.
Sempre in applicazione di tali norme, ciascun socio potrà esercitare il diritto di recesso nei casi previsti dalla legge ex art. 2285 del c.c. ed ottenere la liquidazione della propria quota ex art. 2289 del c.c., così come in qualunque momento si potrà deliberare lo scioglimento di quella società per una delle cause previste dall’art. 2272 del c.c. e provvedere alla liquidazione e ripartizione dell’attivo ex artt. 2282 e 2283 c.c.

Volendo a questo punto fornire, sulla base di quanto fin qui esposto, una soluzione schematica ai dubbi posti con il quesito, può dirsi quanto segue:
  1. la vendita dell’intero immobile non è consentita a chi è titolare della quota di maggior valore, anche dandone preavviso agli altri comproprietari
  2. la locazione è consentita se infrannovennale, ma devono partecipare alla relativa deliberazione anche gli altri comproprietari;
  3. per la locazione ultranovennale occorre il consenso di tutti i comproprietari;
  4. si può alienare solo la quota di cui si è titolari, ma occorre prima offrirla in prelazione agli altri coeredi
  5. se l’immobile costituisce bene aziendale e gli eredi continuano quell’attività, si creerà una società di fatto con conseguente applicazione delle norme sulle società di persone, tra cui quelle sul recesso, liquidazione della quota e scioglimento e liquidazione della società.


Igor P. chiede
domenica 12/11/2017 - Estero
“Salve vi scrivo riguardo all'interpretazione del codice civile relativamente al diritto di prelazione.

Sono recentemente diventato comproprietario al 50% con mio fratello alla morte di mia nonna che ne era usufruttuaria, noi già detenevamo il 50% della nuda proprietà.

Ora io sostengo che poiché siamo diventati pieni proprietari solo mortis causa di mia nonna si applichi il diritto di prelazione.
Insomma come se fossimo coeredi anziché comproprietari vista la natura della provenienza del bene mortis causa.

Chiedo ciò in quanto mio fratello ha deciso autonomamente di vendere il suo 50% ai nostri genitori senza notificarmi nulla e pertanto eventualmente impedendomi di esercitare il diritto di prelazione.

In aggiunta a ciò c'è un acquirente (con regolare offerta arrivata tramite agenzia immobiliare controfirmata anche da mio fratello) che ha rinnovato (non è riuscito a rispettare il termine della proposta d'acquisto del stipulare il contratto preliminare di una settimana) la sua volontà ad acquistare ad una cifra più vantaggiosa di quella offerta da i nostri genitori (per vari motivi solo a lui).

Ora, io mi ritrovo nella condizione di non poter vendere il mio 50% all'acquirente arrivato tramite agenzia, quindi un importante perdita di guadagno e con l'aggravante che mi eventualmente ritroverò come nuovi comproprietari i nostri genitori. Genitori i quali ostacoleranno la vendita di tale immobile con maggiore forza giuridica in quanto diventeranno comproprietari al 50%.

Il mio quesito è il seguente:
è sostenibile affermare che questo caso, nonostante io fossi già comproprietario della sola nuda proprietà, poiché la piena comproprietà del bene e disponibilità dello stesso è arrivata solo mortis causa di mia nonna (che era intestataria dell'usufrutto), sia assimilabile a quello dei coeredi e che quindi io avessi il diritto di prelazione e quindi obbligo di notifica da parte del mio comproprietario ?

Vi ringrazio anticipatamente per la vostra attenzione.

Cordiali Saluti


Consulenza legale i 17/11/2017
Chi pone il quesito afferma di essere diventato comproprietario al 50% con il fratello alla morte della nonna che ne era usufruttuaria e che lui ed il fratello avevano già il 50% della nuda proprietà.
Chiede, pertanto, se sia o meno esercitabile il diritto di prelazione in relazione alla situazione venutasi a creare a seguito della morte di sua nonna.

Per una risposta precisa al richiesto parere, sarebbe stato opportuno conoscere in virtù di quale titolo essi erano già titolari della quota del 50%.
In mancanza di tale specificazione, ragioniamo per casi.

Primo caso: i due fratelli hanno ricevuto in donazione con riserva di usufrutto (o comunque non a titolo di successione), il 50% dell’immobile (25% al primo fratello ed il 25% al secondo fratello).
ll titolo di acquisto è dato, dunque, dalla donazione.
Alla morte della nonna, i due fratelli diventano coeredi dell’ulteriore 50%. In tal caso il titolo di acquisto è costituito dalla successione (a causa di morte).
Ne consegue che essi sono “comproprietari” del primo 50% e “coeredi” in relazione al secondo 50%.
Alla luce di tale situazione, il diritto di prelazione sussiste solo per la vendita del 25% della quota ricevuta a titolo di successione a causa di morte della nonna, essendosi venuta a creare una comunione ereditaria.
In tal caso, pertanto, il secondo fratello avrebbe dovuto inviare prima all'altro la proposta di vendita e, nel caso di mancato interesse di quest'ultimo all’acquisto, vendere la propria quota liberamente ad un terzo.
Non avendo, invece, rispettato il diritto di prelazione, la vendita è comunque valida ma il primo fratello ha il cd. “diritto di retratto”, cioè il diritto di riscattare la quota ceduta da chiunque l’abbia acquistata e da ogni successivo acquirente.
Il diritto di retratto consente, infatti, al coerede di sostituirsi al terzo acquirente nell’acquisto della quota, al prezzo pagato, con un’espressa dichiarazione di volontà indirizzata allo stesso. Per effetto, cioè, della sola dichiarazione, il primo fratello ( cd. retraente) subentra al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso.
Per l’ulteriore 25% ricevuto a titolo di donazione, invece, non sussiste il diritto di prelazione trattandosi di comunione ordinaria.

Secondo caso: i due fratelli hanno ricevuto il 50% in eredità dal nonno, mentre l’altro 50% è andato in eredità alla nonna.
Alla morte della nonna, diventano eredi dell’ulteriore 50%.
In tal caso si realizza sin dall’inizio, sull’intera quota, la comunione ereditaria con conseguente applicazione dell’istituto della prelazione.
Pertanto, prima di vendere la quota a terzi, il secondo fratello avrebbe dovuto notificare al primo la proposta di vendita.
Anche il tal caso, ove non rispettata la prelazione, il primo fratello ha il diritto di ritratto, cioè il diritto di riscattare la quota ceduta da chiunque l’abbia acquistata, attraverso una dichiarazione unilatera recettizia per effetto della quale, come detto in precedenza, il primo fratello (retraente) subentra al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso.

Anonimo chiede
venerdì 06/01/2017 - Puglia

“Buon giorno Signori Avvocati_.
Leo e Gigia, coniugi senza ascendenti e senza discendenti sono proprietari ciascuno al 50% di casa di abitazione con annessa cantina e posto auto scoperto oltre che, sempre al 50% ciascuno, di un terreno agricolo.
Circa un anno addietro muore Leo –senza lasciare testamento- ed i suoi eredi sono: la moglie Gigia ed i due fratelli di Leo.
Gigia provvede alla presentazione della denuncia di successione.
Per effetto della dipartita di Leo le quote ereditarie sono le seguenti:
- a Gigia (coniuge superstite con diritto ad abitare la casa coniugale) i 2/3 della proprietà di Leo;
- ai due fratelli di Leo, il restante 1/3 della proprietà di Leo.
Per quanto sopra, l’intera proprietà risultava così formata:
- Gigia che possedeva il 50% dell’intero patrimonio, accresce la sua proprietà dell’ulteriore 33.3333% per cui, in totale, possiede l’ 83.3333% (pari a 10/12 dell’intero);
- I due fratelli possiedono cumulativamente il 16.6667% (pari ai 2/12 dell’intero).
Successivamente alla denuncia di successione, Gigia, riservando per sé l’usufrutto vitalizio, con ogni garanzia di Legge –senza preventivamente comunicarlo ai cognati- “…vende, cede e trasferisce a favore di Paoletto (estraneo), la sola nuda proprietà dei diritti pari ai 10/12 pro indiviso, a Lei spettanti…”, della sola casa con cantina e posto auto scoperto; non ha ceduto il terreno.
Di conseguenza non ha ceduto la quota ereditata o parte di essa, bensì un intero formato da una sua già esistente proprietà oltre quella a lei accresciuta per effetto della successione al marito.
Infatti, nell’atto di compravendita, si legge “…la venditrice garantisce la piena proprietà e disponibilità della quota degli immobili oggetto del presente atto, a lei pervenuti … in parte con atto di compravendita …dell’anno 1981 ed in parte per successione legittima al marito Leo deceduto….”
Alla luce di quanto sopra, possono i fratelli di Leo esercitare il diritto di retratto successorio nei confronti di Paoletto -acquirente estraneo-?. Ed in caso affermativo possono riscattare l’intera nuda proprietà ceduta da Gigia oppure la sola quota parte riveniente dalla successione dei beni ex Leo?
Confido nella Vostra risposta a breve e cordialmente saluto.

Consulenza legale i 12/01/2017
Dalla descrizione dei fatti parrebbe proprio che il caso di specie rientri a tutti gli effetti nell’ipotesi del retratto successorio di cui all’art. 732 cod. civ..

Costituisce, a tal proposito, un falso problema quello posto nel quesito in merito alla possibilità per i fratelli del de cuius di riscattare l’intera nuda proprietà ceduta o solamente la parte di nuda proprietà che la moglie aveva ereditato dall’ex marito, pari al 33,3333%.
Infatti, l’art. 732 cod. civ. parla di cessione, da parte del coerede, della propria quota: il che s’intende della quota di comproprietà sull’intero.
Ebbene, nel momento in cui il marito è morto, sull’abitazione con relative pertinenze e sul terreno si è aperta la comunione ereditaria. In altre parole, non si è verificata una “scissione” tra proprietà piena della moglie sull’immobile al 50% e comproprietà sul residuo 50% tra lei ed i due fratelli superstiti; al contrario, più correttamente, si è creata una situazione di comproprietà sull’intero immobile tra la moglie e due fratelli superstiti, pur con diversità di quote (l’una all’83,3333% e gli altri al 16,6667% ciascuno).

Ciò significa, di conseguenza, che la cessione dell’intera quota di (nuda) comproprietà della moglie al terzo – pari all’83,3333% dell’immobile – potrà essere riscattata dagli altri coeredi.

La finalità degli istituti della prelazione ereditaria e del retratto successorio, infatti, sembra essere quella di impedire che degli estranei si intromettano nella comunione ereditaria che si determina al momento dell’apertura della successione. Pertanto, nel caso in esame, la legge accorda preferenza ai due fratelli sulla cessione dell’intera quota di nuda proprietà della casa di abitazione della moglie. Diversamente opinando, ed in spregio alla citata finalità dell’istituto della prelazione ereditaria, si verificherebbe l’assurda situazione di una (nuda) comproprietà sull’immobile suddivisa tra i due fratelli ed il terzo, i primi per la quota parte di 33,3333% ed il secondo per il 50%.

Per quanto concerne l’oggetto della cessione, si ritiene pacificamente che sia soggetta a prelazione ex art. 732 cod. civ. anche la vendita della nuda proprietà, perché vi è comunque alienazione che comporterà acquisto futuro ma certo della piena proprietà. È acquisto che fa avvicinare alla piena proprietà, la cui acquisizione è soltanto differita nel tempo.

In conclusione, gli altri coeredi, fratelli del defunto, avranno diritto di esercitare il retratto finché dura la comunione ereditaria o comunque entro dieci anni a partire dal momento in cui il diritto può essere fatto valere ossia a far data dall’alienazione della quota.

Roberto M. chiede
giovedì 19/05/2016 - Campania
“4 fratelli, che per semplicità chiamerò "A", B", "C" e "D", ereditarono dai loro genitori - ed in parti uguali - un terreno (senza mai operarci alcuna divisione);
circa 30 anni fa decedettero sia "A" che "B" ed ereditarono le loro quote i loro rispettivi unici figli;
successivamente morì il fratello "C", lasciando in eredità ai 2 nipoti - ed in 2 parti uguali - la sua quota (12,5 % ad ognuno);
cosicché il terreno diventò di proprietà del figlio di "A" (al 37,5%), del figlio di "B" (al 37,5%) e del sopravvivente fratello "D" (al 25%);

circa 20 anni fa, il figlio di "A" mi propose di acquistare la sua quota (37,5%), adducendomi di aver già richiesto (anche se solo verbalmente) al figlio di "B" ed allo zio "D", se e qualora volessero acquistare loro la sua quota;

e poiché questi gli risposero negativamente (almeno così mi riferì) propose a me se volessi acquistarla;

poiché il rifiuto del figlio di "B" e dello zio "D" mi sembrarono plausibili, acquistai la sua quota del 37,5%;

domanda: pur essendo trascorsi oltre 20 anni dal mio acquisto, il figlio di "B" potrebbe ancora esercitare il diritto di prelazione ? tenendosi - tra l'altro - presente che quelli - sin dall'inizio - è a conoscenza del mio acquisto ? ed in caso affermativo, il diritto di prelazione, potrebbe essere esercitato su tutta la quota da me acquistata (37,5%) o solo sulla quota ereditata dallo zio "C" (ovvero solo sul 12,5%) ?;
Consulenza legale i 26/05/2016
Il diritto di prelazione cui si accenna nel quesito è quello previsto e disciplinato dall’art. 732, per il quale: “Il coerede, che vuole alienare [1542 c.c. e ss.] a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria [230 bis c.c., 1502 c.c. e ss.].
Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali”.

Nel caso di specie, tuttavia, la suddetta norma non può trovare applicazione per il semplice motivo che il diritto di prelazione in questione è personalissimo ed intrasmissibile e, per pacifica e consolidata giurisprudenza, non spetta neppure all’erede del coerede.

Tra le moltissime pronunce si riportano le seguenti: “Il diritto di prelazione previsto dall'art. 732 c.c. è inerente alla qualità di coerede e costituisce un diritto personale ed intrasmissibile, e non una qualità intrinseca alla quota, o una situazione giuridica autonoma, che possa essere trasferita da sola. Ne consegue che tale diritto di prelazione non può circolare neppure per successione mortis causa, e non spetta, pertanto, all'erede del coerede” (Cassazione civile, sez. VI, 16 marzo 2012, n. 4277) e “In tema di successioni, il diritto di prelazione tra i coeredi, in costanza di comunione ereditaria, non è trasmissibile a favore dei successori del coerede perché la norma di cui all'art. 732 c.c. (che eccezionalmente lo prevede solo per il coerede), in deroga al generale principio della libertà ed autonomia negoziale e delle libera circolazione dei beni ed al più specifico principio di libertà di alienazione della propria quota dei beni comuni prima della divisione, non è suscettibile di applicazione estensiva ed analogica.” (Tribunale Salerno, sez. II, 11 gennaio 2016, n. 89).

Per completezza, va detto che comunque la norma non sarebbe stata applicabile neppure nel caso in cui B fosse ancora vivo e avesse voluto cedere la propria quota ad A piuttosto che a D: l’art. 732 c.c., infatti, riguarda la sola ipotesi di vendita della quota a terzi estranei alla comunione ereditaria e non ad altri partecipanti alla comunione stessa (la finalità del legislatore, infatti, è proprio quella di assicurare la persistenza e la concentrazione della titolarità dei beni ereditari in capo ai primi successori).

Da ultimo, in ogni caso, si tenga presente che nelle ipotesi in cui il diritto di prelazione in commento opera, l’esercizio del medesimo è soggetto al termine di prescrizione ordinario, ovvero quello di dieci anni dalla notifica della proposta di alienazione.

Ennio D. G. chiede
domenica 06/05/2012 - Abruzzo
“Sono comproprietario pro-quota di un locale commerciale ricevuto in eredità attualmente in affitto per attività di ristorazione il cui contratto 6+6 anni scade il 31.12.2012, contratto disdettato entro i termini di legge. Poiché tutti i coeredi (nove) sono intenzionati alla vendita con rinuncia al diritto di prelazione, chiedo cortesemente di sapere se la rinuncia trasmette tale diritto all'attuale conduttore oppure possiamo vendere il locale liberamente ovvero senza darne avviso al conduttore perché eserciti tale diritto. Grazie. Ennio Di Gregorio, Pescara”
Consulenza legale i 06/05/2012

Il diritto di prelazione che spetta a ciascun coerede è cosa ben diversa dal diritto di prelazione che spetta al conduttore nel caso in cui il locatore abbia intenzione di vendere l'immobile locato.

Il diritto di prelazione di ciascun erede trova la sua disciplina all'art. 732 del c.c. e si tratta di un diritto che l'erede ha sin dal momento in cui acquista tale qualità. La norma in analisi prevede che il coerede che vuole alienare la sua quota ad un estraneo deve notificare la proposta di alienazione indicando il prezzo agli altri coeredi. In mancanza di tale notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa finché dura lo stato di comunione.

Ciascun erede può rinunciare al diritto di prelazione prima che gli venga notificata la proposta di alienazione della quota con le relative condizioni. È bene precisare che sia in dottrina che in giurisprudenza si è soliti intendere la vera rinuncia con quella concernente un generico progetto di alienazione, mentre la rinuncia successiva alla notificazione viene qualificata come mancato esercizio del diritto di prelazione.

Dal quesito si evince che tutti i coeredi hanno rinunciato al loro diritto di prelazione, ma con tale rinuncia non si trasmette alcunché al conduttore.

Infatti, quest'ultimo soggetto, in base alla sua qualifica di conduttore dell'immobile, è titolare di un diritto di prelazione disciplinato all'art. 38 della legge 27 luglio 1978 sulle locazioni di immobili urbani. Tale norma indica l'obbligo per il locatore di dare comunicazione al conduttore della sua volontà di trasferire l'immobile a titolo oneroso, e tale comunicazione deve avvenire con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

Occorre però precisare che l'ultimo comma dell'art. 38 di cui sopra, ultimo comma, dispone che le norme dello stesso articolo non trovano applicazione nelle ipotesi previste dall'art. 732 del c.c., per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nell'ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado. Di conseguenza, la legge riconosce la prevalenza della prelazione ereditaria su quella del conduttore. Pertanto, non spetta il diritto di prelazione al conduttore se il locatore è comproprietario dell'immobile a titolo di comunione ereditaria, ipotesi prevista appunto dall'art. 732 del c.c..


Francesco chiede
giovedì 01/03/2012 - Lombardia
“01 - 03 - 2012
Eredi di un bene immobile di circa 70 Mq (da ristrutturare)di un valore di 42.000 euro.
Siamo in 10 beneficiari ed avremmo trovato un interessato all'acquisto, ma un erede non vuole. Come comportarsi ?

Grazie per la cortese attenzione”
Consulenza legale i 05/03/2012

Nell'ipotesi, che si avvera di frequente, in cui più persone siano chiamate pro quota alla stessa eredità, si ha il tipico caso della comunione ereditaria. Essa viene regolata dalle norme generali sulla comunione. A favore di ciascun coerede esiste un diritto di prelazione nell'acquisto della quota o di parte della quota ereditaria che uno di loro voglia alienare a degli estranei (art. 732 del c.c.). E' un modo per evitare l'intromissione di nuovi soggetti nella comunione che il più delle volte è formata da persone aventi vincoli di familiarità. Il coerede, o i coeredi, che vogliono alienare a estranei la propria quota devono notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno lo jus praelationis. La prelazione deve essere esercitata nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza di notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente estraneo e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione.

Qualora non venisse esercitato il diritto di prelazione da parte del coerede dissenziente alla vendita, la legge riconosce ad ogni coerede la facoltà di chiedere lo scioglimento della comunione. La divisione può essere contrattuale (o amichevole), se tutti i chiamati all'eredità si mettono d'accordo sul modo di assegnare i singoli beni, oppure giudiziale, se non vi è accordo tra le parti. In quest'ultimo caso le operazioni si svolgeranno sotto la direzione del giudice istruttore nominato per la causa, o di un notaio a lui delegato. Il giudizio deve essere promosso nei confronti di tutti i coeredi, secondo le regole del litisconsorzio necessario. Il giudice potrà nominare un perito che verificherà il valore dell'immobile e accerterà se questo è divisibile o meno. Se l'immobile non è divisibile sarà il giudice ad ordinare la vendita e a disporre la divisione del ricavato.


Immacolata chiede
mercoledì 08/02/2012 - Campania
“sono erede di un suolo insieme ad altri 5 fratelli, posso vendere la mia quota a terzi o devo per forza avvisare gli altri eredi?”
Consulenza legale i 12/02/2012

Nell'ipotesi, che si avvera di frequente, in cui più persone siano chiamate pro quota alla stessa eredità, si ha il tipico caso di comunione ereditaria, la quale viene regolata dalle norme generali in tema di comunione. Ogni coerede ha i diritti che la legge attribuisce a chi si trova in comunione, riguardo il godimento, l'amministrazione, la facoltà di chiedere la divisione della cosa comune ecc...

Una limitazione riguarda la facoltà di alienazione della propria quota. A favore di ciascun coerede, infatti, esiste un diritto di prelazione nell'acquisto della quota ereditaria che uno di loro voglia alienare a degli estranei (art. 732 del c.c.. È un modo per evitare l'intromissione di nuovi soggetti nella comunione, che il più delle volte è formata da persone aventi vincoli di familiarità. Il coerede che vuole alienare a estranei la propria quota o parte di essa deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali - a parità di condizioni - hanno uno ius praelationis. La prelazione deve essere esercitata nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni.

In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente estraneo e da ogni successivo avente causa, finché duri lo stato di comunione (c.d. retratto successorio). Con l'esercizio del retratto successorio si verifica la sostituzione del contraente retraente nella posizione di colui che ha ricevuto da chi non ha rispettato il diritto di prelazione.


salvatore chiede
domenica 03/04/2011 - Lombardia

“Per la vendita di un garage da parte del mio vicino ho diritto di prelazione?
grazie”

Consulenza legale i 04/04/2011

La prelazione prevista dall’art. 732 del c.c. riguarda il caso di alienazione di un bene ereditario, in cui deve essere preferito come acquirente, l’eventuale coerede (c.d. retratto successorio). Nel nostro ordinamento, inoltre, sono previsti anche altre ipotesi di prelazione legale. La prelazione agraria, disciplinata dagli art. 7 della Legge 14.8.1971, n. 817 e dall’art. 8 della Legge 26.5.1965, n. 392, riguarda il caso di vendita di terreni e fondi rustici ed è prevista a favore di coltivatori diretti confinanti o affittuari del fondo oggetto di alienazione; mentre il diritto di prelazione previsto dall’art. 38 della L. 392 del 27.7.1978 è relativo al caso di vendita dell’immobile locato, destinato ad uso diverso da quello abitativo, ed è prevista a favore del conduttore. Fuori da questi casi, invece, può configurarsi solo se è stato stipulato tra le parti un patto di prelazione, di natura convenzionale.

Nella fattispecie concreta, però non sembra ravvisarsi alcuno dei casi tipici sopra citati.


G. G. chiede
giovedì 11/05/2023
“Spett.li Avvocati, sono intestataria al 50% insieme a mio fratello di un appartamento che ci è pervenuto per testamento da parte di un genitore, pertanto in caso di vendita a un terzo vige la prelazione del cointestatario alla stessa cifra. Mio fratello vuole venderlo tramite agente immobiliare. Io, se ho inteso correttamente,a fronte di una proposta scritta da parte dell'agente immobiliare, che ritengo non congrua, potrò esercitare la prelazione. Le chiedo : l'agente immobiliare in caso di mia prelazione del 50% cioè della quota di mio fratello ha diritto a quale provvigione ? (Lui però non ha interesse che venga esercitata la prelazione perchè ci rimette la provvigione che avrebbe ottenuto in caso di vendita sul mercato dell'immobile al 100% sia del venditore che del compratore... )
Consulenza legale i 25/05/2023
La situazione che qui si ipotizza ha formato oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata su tale tema con sentenza n. 19226 del 28.09.2016.
L’analogo caso di cui si è occupata la Corte di Cassazione attiene al compenso spettante al mediatore ex art. 1755 c.c. in caso di acquisto di immobile locato da parte del conduttore (anch’egli titolare del diritto di prelazione), a cui sia stato notificato l’invito previsto ex lege ad esercitare il diritto di acquistare a condizioni pari a quelle offerte dal terzo reperito dall’agente immobiliare a seguito dello svolgimento della sua attività.
Ebbene, fa osservare la S.C. che in questi casi l’agente immobiliare, pur avendo diligentemente adempiuto al suo incarico e riuscito così a reperire un terzo promissario acquirente (con il quale sono state perfino pattuite le condizioni economiche della trattativa e poi della vendita), di fatto poi rischia, senza alcuna sua colpa od omissione, di non poter incamerare le provvigioni cui avrebbe diritto, o quantomeno di non poterle percepire in misura piena, se poi ad acquistare l’immobile non sia il terzo dallo stesso agente reperito, bensì l’inquilino che esercita la prelazione.

Ciò perché, sussistendo un diritto di prelazione (tale è il caso, oltre che del conduttore, anche del coerede ex art. 732 del c.c.), il contratto tra il venditore ed il terzo potenziale acquirente deve intendersi sospensivamente condizionato al mancato esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto, con la naturale conseguenza che potrà essere portato ad esecuzione soltanto nel caso in cui il titolare del diritto di prelazione non intenda esercitarla nei modi e termini previsti dalla legge.
Pertanto, una volta eseguita la c.d. denuntiatio (ossia la notifica dell’invito ad esercitare il diritto di prelazione), qualora il prelazionario, che magari in un primo momento aveva espresso l’intenzione di non voler acquistare, decida di cambiare idea e di volersene al contrario avvalere, il mediatore, che ha correttamente adempiuto al suo incarico, si trova giuridicamente privo di ogni titolo per poter reclamare la provvigione, non essendosi venuto a perfezionare l’affare tra le pari da lui messe in contatto.
Infatti, ad una sua eventuale richiesta di pagamento, il prelazionario potrà legittimamente eccepire che il suo acquisto non deriva dalla trattativa condotta per il tramite del mediatore, bensì in forza dell’esercizio di un diritto allo stesso spettante ex lege.

In applicazione dei principi sopra enunciati, fatti propri dalla giurisprudenza che si è in diverse occasioni occupata della questione, l’agente immobiliare ha visto sempre sacrificati i propri interessi.
Pertanto, anche nel caso in esame, rispondendo a quanto viene chiesto, può dirsi che se il coerede, a cui dovrà essere notificata la denuntiatio, dovesse manifestare la volontà di esercitare il proprio diritto di prelazione, l’agente immobiliare nulla potrà pretendere dal prelazionario, avendo soltanto titolo per riscuotere la provvigione dalla parte che a lui si è rivolta (il promittente venditore) ed in misura pari al 50%.

La sentenza sopra segnalata, tuttavia, assume rilievo anche per aver fatto riferimento ad un particolare strumento di cui potrebbe avvalersi il mediatore per tutelare in modo pieno i suoi diritti.
In particolare la S.C. fa osservare che i diritti del mediatore potrebbero comunque essere garantiti allorchè il promittente venditore inserisca, tra le condizioni economiche dell’acquisto da notificare al prelazionario, oltre al prezzo con le sue modalità di pagamento, anche l’obbligo in capo alla parte acquirente di corrispondere all’agenzia immobiliare, nominata con i suoi estremi nella denuntiatio, una somma pari ad un determinata percentuale (solitamente si tratta del 3%) sul prezzo di compravendita, quale provvigione mediatoria.
Ovviamente si tratta di un’escamotage a cui potrebbero fare ricorso i mediatori e che ha trovato l’avallo da parte della Cassazione nella sentenza citata, ma ciò non esclude che in giurisprudenza possa svilupparsi un diverso e contrario orientamento, volto a negare al mediatore il diritto a riscuotere la provvigione da parte del prelazionario perché trattasi di soggetto con cui non è stato mai instaurato alcun rapporto giuridico.

In ogni caso, ritornando al caso in esame, è bene precisare che se nella denuntiatio notificata non è stata inserita alcuna clausola di questo tipo, il mediatore nulla potrà pretendere dal coerede nel momento in cui deciderà di avvalersi del diritto di prelazione.

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