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Articolo 476 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Accettazione tacita

Dispositivo dell'art. 476 Codice Civile

(1)(2)L'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede [460, 477, 478, 527, 2648].

Note

(1) Si definisce tacita l'accettazione che avviene a seguito di atti che presuppongono la concreta ed effettiva volontà di accettare l'eredità pur in assenza di una dichiarazione esplicita in tal senso.
L'onere di dimostrare che un determinato atto implica accettazione tacita spetta a chi lo afferma.
(2) Costituiscono esempi di accettazione tacita i seguenti atti: il pagamento da parte del chiamato dei debiti ereditari con denaro dell'eredità, il compimento di atti di disposizione di beni ereditari, la presentazione della domanda giudiziale di divisione ereditaria e le volture catastali dei beni appartenenti al de cuius. Si vedano, inoltre, gli artt. 477 e 478 del c.c..
Al contrario non rientrano tra gli atti a cui si può attribuire tale valore quelli conservativi, di vigilanza e di ordinaria amministrazione di cui all'art. 460 del c.c. (es. la denuncia di successione e il pagamento della relativa imposta).

Ratio Legis

Considerati i rilevanti effetti che produce l'assunzione della qualità di erede, è necessario disciplinare in maniera specifica quali siano gli atti e le dichiarazioni del chiamato da cui consegue l'accettazione dell'eredità.

Brocardi

Facta concludentia
Pro herede gestio
Rebus ipsis ac factis
Semel heres, semper heres

Spiegazione dell'art. 476 Codice Civile

L’accettazione tacita o per facta concludentia di eredità si determina ogniqualvolta il chiamato all'eredità, titolare di una delazione attuale, compia un atto che presupponga necessariamente la sua volontà di accettare.
Discussa in dottrina la natura giuridica di questa modalità di accettazione.
  1. La teoria negoziale riconosce all'istituto in esame la natura di negozio di attuazione (caratterizzato dal fatto che la volontà viene manifestata mediante un determinato comportamento). Assume rilievo quindi non solo la volontà di compiere il determinato atto ma anche la volontà di accettare l’eredità attraverso il compimento del suddetto atto.
  1. La prevalente teoria dell’atto non negoziale riconduce l’effetto dell’accettazione ad una mera conseguenza che si determina per legge. Ciò che rileva è la sola volontà del soggetto di compiere l’atto mentre l’accettazione dell’eredità è una conseguenza prevista dalla legge.
Presupposti affinché operi l’accettazione tacita sono:
  • la consapevolezza da parte del soggetto agente di essere titolare di una delazione attuale;
  • il compimento di un atto che l’autore non avrebbe diritto di compiere se non in qualità di erede. Al riguardo è necessario valutare se l’atto rientri o meno nel perimetro degli atti conservativi previsti ai sensi dell’art. 460 del codice civile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 476 Codice Civile

Cass. civ. n. 25646/2022

L'efficacia probatoria dell'atto di notorietà, fino a querela di falso, riguarda soltanto l'attestazione dell'ufficiale rogante di avere ricevuto le dichiarazioni in esso contenute dai soggetti indicati, previa loro identificazione. Viceversa, per quanto riguarda il contenuto delle dichiarazioni, all'atto di notorietà viene attribuita un'efficacia meramente indiziaria. Ne consegue che non può riconnettersi validità ed efficacia di confessione stragiudiziale di accettazione dell'eredità all'atto di notorietà, ricevuto da notaio ai fini della successione, nel quale gli attestanti abbiano dichiarato che i chiamati si erano immessi nel possesso dei beni.

Cass. civ. n. 10655/2022

L'accettazione dell'eredità in forma tacita avviene ove il chiamato all'eredità compia un atto che necessariamente presupponga la volontà di accettare la medesima e che egli non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede, il che ben può concretizzarsi non solo attraverso la domanda di divisione giudiziale, ma anche nell'iniziativa assunta dal chiamato per la divisione amichevole dell'asse con istanza proposta anche in sede non contenziosa.

Cass. civ. n. 5569/2021

L'accettazione tacita dell'eredità postula, ex art. 476 c.c., la ricorrenza di due condizioni e, cioè, il compimento di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede. Ne consegue che ricorre un'ipotesi di accettazione tacita nel caso di concessione d'ipoteca su uno dei beni compresi nell'eredità, in quanto atto di disposizione del medesimo, ove posta in essere in assenza di qualsiasi riferimento ad una delle circostanze che potrebbero giustificarne il compimento da parte del chiamato. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 09/07/2019).

Cass. civ. n. 24317/2020

Ritenuto che l'accettazione dell'eredità è il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari, un'eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere un'accettazione tacita dell'eredità (art. 476 cod. civ.), ma della relativa prova l'amministrazione finanziaria è parte processualmente onerata.

Cass. civ. n. 23737/2020

La accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l'altro chiamato all'eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'accettazione tacita, in concrete circostanze, può avvenire anche mediante l'attività indiretta o procuratoria o anche di gestione di altri soggetti incaricati di compiere atti correlati alla volontà del successibile di dare esecuzione alle disposizioni testamentarie.

Ai fini dell'acquisto della qualità di erede non è di per sé sufficiente, neanche nella successione legittima, la delazione dell'eredità che segue l'apertura della successione, essendo necessaria l'accettazione del chiamato mediante una dichiarazione di volontà oppure un comportamento obiettivo di acquiescenza. Al riguardo la accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell'atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell'accettazione, ex art. 460 c.c. Tuttavia l'indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarità di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell'importanza, oltreché della finalità, degli atti di gestione), e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto.

Cass. civ. n. 20878/2020

Per aversi accettazione tacita di eredità non basta che un atto sia compiuto dal chiamato all'eredità con l'implicita volontà di accettarla, ma è altresì necessario che si tratti di atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere, se non nella qualità di erede. Pertanto, poiché il pagamento di un debito del "de cuius", che il chiamato all'eredita effettui con danaro proprio, non è un atto dispositivo e, comunque, suscettibile di menomare la consistenza dell'asse ereditario - tale, cioè, che solo l'erede abbia diritto a compiere - ne consegue che rispetto ad esso difetta il secondo dei suddetti requisiti, richiesti in via cumulativa e non disgiuntiva per l'accettazione tacita. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il pagamento, ad opera di uno dei chiamati all'eredità, di una sanzione pecuniaria elevata nei confronti del "de cuius", per contravvenzione al codice della strada, potesse intendersi alla stregua di un atto di accettazione tacita, trattandosi di atto meramente conservativo e comunque compatibile, in tesi, con un'ipotesi di adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE ROMA, 25/05/2016).

Cass. civ. n. 19833/2019

L'accettazione dell'eredità in forma tacita avviene ove il chiamato all'eredità compia un atto che necessariamente presupponga la volontà di accettare la medesima e che egli non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede; il che ben può concretizzarsi nell'iniziativa assunta dal chiamato per la divisione amichevole dell'asse con istanza proposta anche in sede non contenziosa, che non necessita di un'accettazione degli altri coeredi, dovendosi considerare che quest'ultima è rivolta all'eredità e ancor meglio a tradurre la chiamata ereditaria nella qualità di erede, indipendentemente, e/o a prescindere, da un intervento adesivo degli altri coeredi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 05/02/2014).

Cass. civ. n. 4843/2019

Ai fini dell'accettazione tacita dell'eredità, sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attese la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l'intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione. Infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, il giudice del merito, a cui compete il relativo accertamento, può legittimamente escludere, con riferimento ad essi, il proposito di accettare l'eredità; peraltro, siffatto accertamento non può limitarsi all'esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell'erede potenziale ed all'eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell'eredità. (Rigetta, TRIBUNALE ROMA, 03/02/2015).

Cass. civ. n. 10060/2018

Poiché l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, "id est" con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, essa può legittimamente reputarsi implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che - essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari - non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., ma travalichino il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, e che, quindi, il chiamato non avrebbe diritto di proporle se non presupponendo di voler far propri i diritti successori.

Cass. civ. n. 14499/2018

Poiché l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, ovvero da un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, essa è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che - perché intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità di beni ereditari - non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., sicchè, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto che la ricezione, da parte del chiamato all'eredità, del pagamento dell'indennità per il passaggio coattivo sul fondo servente del "de cuius" comportasse l'accettazione tacita dell'eredità). (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 13/09/2013).

Cass. civ. n. 21348/2014

In tema di successioni "mortis causa", l'accettazione tacita di eredità prevista dall'art. 476 cod. civ. presuppone la volontà, effettiva o presupposta, del chiamato, a differenza dell'ipotesi di cui all'art. 527 cod. civ., che ne prescinde completamente e considera erede puro e semplice colui che sottrae o nasconde i beni ereditari, assolvendo ad una esigenza di garanzia dei creditori del "de cuius", ai quali non può essere opposto un esonero di responsabilità attraverso il beneficio d'inventario o la rinunzia.

Cass. civ. n. 15888/2014

L'accettazione tacita di eredità - pur potendo avvenire attraverso "negotiorum gestio", cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria - può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l'altro chiamato all'eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del "de cuius".

Cass. civ. n. 2743/2014

La riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra accettazione tacita dell'eredità, ai sensi dell'art. 476 cod. civ.

Cass. civ. n. 8529/2013

L'intervento in giudizio operato da un chiamato all'eredità nella qualità di erede legittimo del "de cuius" costituisce accettazione tacita, agli effetti dell'art. 476 c.c., senza che alcuna rilevanza assuma la circostanza della successiva cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti, posto che l'accettazione dell'eredità, a tutela della stabilità degli effetti connessi alla successione "mortis causa", si configura come atto puro ed irrevocabile, e quindi insuscettibile di essere caducato da eventi successivi.

Cass. civ. n. 263/2013

In tema di successioni "mortis causa", costituisce accettazione tacita dell'eredità l'istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal "de cuius", trattandosi di iniziativa che, non rientrando nell'ambito degli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari, consentiti prima dell'accettazione dall'art. 460 c.c., travalica il semplice mantenimento dello stato di fatto esistente al momento dell'apertura della successione, e la cui proposizione dimostra, pertanto, l'avvenuta assunzione della qualità di erede.

Cass. civ. n. 18068/2012

L'esperimento dell'azione di riduzione, implicando accettazione ereditaria tacita, pura e semplice, preclude la successiva accettazione con il beneficio dell'inventario, in quanto l'accettazione beneficiata non è giuridicamente concepibile dopo che l'eredità sia stata già accettata senza beneficio.

Cass. civ. n. 14666/2012

In tema di successioni per causa di morte, un pagamento transattivo del debito del "de cuius" ad opera del chiamato all'eredità, a differenza di un mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un'accettazione tacita dell'eredità, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede.

Cass. civ. n. 10796/2009

L'accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l'accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile.

Cass. civ. n. 12753/1999

L'accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall'esplicazione di un'attività personale dei chiamato tale da integrare gli estremi dell'atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell'accettazione, ex art. 460 c.c. L'indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarità di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell'importanza, oltreché della finalità, degli atti di gestione), e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto.

Cass. civ. n. 2663/1999

La ricerca della volontà di accettare l'eredità attraverso l'accertamento e l'interpretazione degli atti compiuti dal chiamato si risolve in un'indagine di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità, purché il risultato sia congruamente motivato, senza errori di logica o di diritto. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la decisione della Corte di merito che aveva escluso che gli atti — riscossione di canoni, diffide ed atti stragiudiziali — compiuti dal chiamato, che successivamente aveva accettato l'eredità con beneficio d'inventario, denotassero in maniera univoca una effettiva assunzione della qualità di erede, configurandosi, da un lato, come atti di conservazione, in quanto diretti all'affermazione delle ragioni ereditarie di fronte ai terzi, e, dall'altro, come atti di amministrazione sicuramente temporanei, poiché dall'apertura della successione alla dichiarazione di accettazione beneficiata da parte del chiamato erano trascorsi solo sette mesi).

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Consulenze legali
relative all'articolo 476 Codice Civile

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Anonimo chiede
lunedì 23/09/2024
“Buongiorno, ho ricevuto in eredità, dopo il decesso di mia madre nel 2021, appartamento, in comproprietà con mio fratello che era stato affidato, di comune accordo, ad una Agenzia immobiliare per la vendita. Nonostante mio rinnovo del mandato alla suddetta, a settembre 2023 mio fratello revoca, di sua iniziativa, il contratto impedendo così la vendita. Successivamente vengo a conoscenza che a gennaio 2023 produce una " rinuncia all' eredità ",in Cancelleria, a favore del figlio( mio nipote) il quale produrrà, sempre a gennaio 2023, "dichiarazione di successione " on line ( di cui riesco a ottenere copia, luglio 2024, dal sito dell' Agenzia delle Entrate). Nel documento mio fratello figura come rappresentato, il figlio come chiamato, io come erede; Al rigo " beneficiari": numero eredi 1/ numero legatari /"accettazione con beneficio d' inventario" ( chi riguarderà? Me oppure loro?). In sostanza qui si tratta dell'appartamento nel quale si sono trasferiti a novembre 2023: mio fratello, la moglie, suo figlio (mio nipote). Non intendono acquistare la mia quota, né darmi indennità di occupazione e, in ultimo, non pagano il condominio. Il nuovo amministratore pretende da me le somme del 2023 ; il 2 agosto lo stesso amministratore mi inoltra mail dove l'assemblea il 24 luglio approva consuntivo 2024 e lavori manutenzione straordinaria, tutto a mia insaputa. QUESITO: Posso Posso oppormi al pagamento (c'è anche lettera di diffida del mio legale in quanto non sono stata avvisata circa questa assemblea, che ha deliberato a mia insaputa, anche se vivo in altra regione; inoltre l'amministratore era stato informato a luglio, in occasione di una sua telefonata, della problematica tra me e questa famiglia, miei parenti). Per questo appartamento io ho sempre pagato IMU, bollette gas e luce, tari (risalenti al 2018 quando mia madre era ancora in vita,2019,2020,2022) e sanzione ,da parte dell'Agenzia delle Entrate, per aver presentato dichiarazione di successione in ritardo (a mia insaputa, in quanto presentata dal coerede!),con i soldi del mio stipendio fino a quando nel 2022 ho chiuso tutte le utenze. QUESITO: non volendo avviare giudizio di divisione, lungo e costoso (sono in procinto di andare in pensione) vorrei rinunciare anch'io, in Cancelleria, se possibile, ma qualcuno mi dice che non posso più perché è stata fatta successione (voltura catastale?) e perché pagando, anche con i miei soldi le utenze a nome di mia madre per 1 anno o poco più, figura che io ho accettato l'eredità. Inoltre io sono stata beneficiaria, insieme a mio fratello, di una piccola polizza vita di mia madre che ho già riscosso a febbraio 2023 e non vorrei perderla. Altrimenti l'alternativa è andare dal notaio e rinunciare alla proprietà della quota dell'appartamento, costo 4000 euro comprensivo di tasse,ecc... Mi avrebbe consigliato la rinuncia abdicativa, con prima accettazione tacita, ma non sono convinta; io avevo chiesto rinuncia liberatoria, ma il notaio non è molto d'accordo. Ho ribadito che non intendo pagare lavori e condominio perché non usufruisco di quell' appartamento occupato interamente dalla famiglia. Attendo fiduciosa un vostro consiglio. Grazie”
Consulenza legale i 30/09/2024
Diversi sono gli aspetti da prendere in considerazione nel caso che si sottopone ad esame.
Preliminarmente si ritiene opportuno affrontare la questione della delibera condominiale, adottata senza la convocazione di uno dei comproprietari dell’immobile ed in forza della quale è stato approvato il consuntivo 2024 nonchè decisa l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria del condominio di cui fa parte l’immobile caduto in successione.

E’ pacifico il principio secondo cui l’avviso di convocazione, per consentire la partecipazione dei condomini all’assemblea, debba essere trasmesso a ogni comproprietario dell’immobile, in quanto tutti i comproprietari hanno il diritto di agire a tutela del bene in comunione, anche attraverso l’impugnazione delle delibere assembleari.
In presenza di una convocazione assembleare non comunicata a tutti gli aventi diritti la delibera è annullabile in base alle previsioni dell’art. 1137 del c.c..
Trattasi di principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 6735/2020, così massimata: “La mancata comunicazione a taluno dei condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporta l'annullabilità della delibera condominiale; ne consegue che la legittimazione a domandare il relativo annullamento spetta, ai sensi degli artt. 1441 e 1324 c.c., unicamente al singolo avente diritto pretermesso, sul quale grava l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali l'omessa comunicazione risulti.”

Peraltro, non può pensarsi di addurre in contrario quanto dettato dall’art. 67 delle disp. att. c.c., nella parte in cui dispone che “qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’art. 1106 del c.c.”; ciò, infatti, deve intendersi nel senso che tutti i comproprietari hanno il diritto di partecipare alla riunione di condominio, ma la loro volontà si considera unica, potendo esprimere un solo voto.
Tuttavia, essendo la delibera annullabile ai sensi dell’art. 1137 c.c., trova applicazione il termine decadenziale previsto da tale norma e fissato perentoriamente in trenta giorni dalla data di comunicazione della delibera agli assenti.
Nel caso in esame si dice che la delibera è stata comunicata dall’amministratore in data 2 agosto 2024 e, pertanto, risulta purtroppo abbondantemente scaduto il termine dei trenta giorni per la sua impugnazione (né può sortire alcun effetto in tal senso la lettera di diffida inoltrata all’amministratore).

Chiarita questa prima questione, si può adesso passare all’esame della seconda problematica, ovvero quella relativa alla possibilità di effettuare una rinunzia all’eredità.
La risposta, purtroppo, anche in questo caso è negativa, in quanto da ciò che viene riferito nel quesito si ritiene che siano stati posti in essere diversi atti dai quali poter desumere una volontà di accettazione tacita dell’eredità.
Infatti, a prescindere dalla presentazione della dichiarazione di successione, atto fiscalmente dovuto e che come tale non può configurarsi quale ipotesi di accettazione tacita, si fa riferimento alla voltura catastale nonché al pagamento, seppure con denaro proprio dell’IMU, imposta quest’ultima che presuppone l’intestazione anche catastale dell’immobile oggetto di successione.

E’ pacifica in giurisprudenza la tesi secondo cui la voltura catastale degli eventuali beni immobili presenti nel patrimonio ereditario integra a pieno titolo un’ipotesi di accettazione tacita ex art. 476 del c.c., poiché questa assume rilievo non solo dal punto di vista tributario, ma anche sotto il profilo civile, ai fini dell’accertamento della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi.
In tal senso si vuole qui richiamare, tra le tante, Cass. civ. Sez. III ordinanza n. 12259 del 14.04.2022, così massimata:
A differenza della mera denuncia di successione, che ha valore esclusivamente fiscale, la voltura catastale ha invece rilievo sia agli effetti civili che a quelli catastali ed è atto idoneo ad integrare un’accettazione tacita dell’eredità. Pertanto, deve considerarsi erede colui che ha effettuato la voltura al Catasto dei beni del de cuius a proprio favore”.

Quanto appena detto, invece, potrebbe non valere per il pagamento delle utenze, soprattutto se non si è mai entrati nel possesso dell’immobile e se detto pagamento viene effettuato con risorse economiche personali e non con denaro ereditario, potendo ciò configurarsi come atto di amministrazione del patrimonio ereditario con finalità conservativa ex art. 460 del c.c..
Ad ogni modo, poiché si è dell’idea che siano stati posti in essere atti di accettazione tacita dell’eredità, purtroppo non sarà più possibile rinunziare alla stessa, non essendo ammissibile una revoca dell’accettazione, al contrario di quanto previsto per la revoca della rinunzia (secondo le condizioni dettate dall’art. 525 del c.c..
In ogni caso si tiene a precisare che un’eventuale rinunzia all’eredità, allorchè consentita, non avrebbe avuto alcuna influenza sulle somme conseguite quale beneficiari di una polizza vita stipulata dalla de cuius, trattandosi di somme che il beneficiario consegue iure proprio e non iure successionis (ovvero di somme che non cadono in successione).

Stando così le cose, dunque, non rimane che avvalersi di quel particolare negozio giuridico consigliato dal notaio a cui ci si è rivolti, ovvero la c.d. “rinunzia abdicativa e liberatoria”, la quale trova fondamento nel disposto di cui all’art. 1104 c.c.
Alla stipula di tale atto negoziale sarà chiamato ad intervenire solo il rinunziante alla presenza di due testimoni, manifestando la volontà di rinunziare, puramente e semplicemente, con effetto abdicativo, alla quota di comproprietà sull’immobile che nelle premesse dell’atto andrà descritto.
Dal momento di tale rinuncia ci si libererà dall’obbligo di contribuire a tutte le spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, così come previsto appunto dal citato art. 1104 c.c., nonché dall’obbligo di pagamento di tutte le imposte, tasse e tributi inerenti alla piena proprietà della quota di proprietà a cui si è rinunciato.
Inoltre, per effetto della rinuncia così effettuata, ed in virtù del principio di elasticità del dominio, la piena proprietà della quota del rinunciante si accrescerà automaticamente all’altro o agli altri comproprietari, i quali, si precisa, non dovranno partecipare all’atto.

Indubbiamente, la liberazione da ogni obbligo non può che valere per il futuro, mentre si continuerà ad essere obbligati per tutte quelle obbligazioni sorte anteriormente alla rinunzia (è probabilmente a ciò che il notaio intende riferirsi quando nel quesito si dice che il professionista non è molto d’accordo sulla rinunzia liberatoria).


N. S. chiede
martedì 23/04/2024
“Buonasera, mi ricollego alla consulenza già effettuata Q202436756.

scriviamo la presente per chiedere ultime delucidazioni in merito alla consulenza Q202436756 circa la successione di nostra madre e nostra nonna.
Con le Vostre informazioni abbiamo appurato purtroppo che i terreni/fabbricati sono stati volturati a favore di nostra madre, pertanto come da Voi sostenuto tutto questo configura accettazione tacita d'eredità.
Ora però siamo venuti a sapere di un'altra possibilità per accedere ai soldi del libretto postale di nostra madre, senza accettare l'eredità: e si tratta di fare richiesta presso Poste Italiane di avere accesso al libretto attraverso il rimborso per le spese funerarie.
A tal proposito ora ci sorgono delle domande per capire meglio nello specifico come muoverci:

1. Per sbloccare i soldi presenti sul libretto esiste un limite di tempo entro il quale presentare richiesta? Se sì, a quanto ammonta? Potrebbe, questo periodo, corrispondere all'anno di scadenza per presentare successione? Essendo lei deceduta il 22 agosto 2023 potrebbe essere il 22 agosto 2024 il termine ultimo?

2. Quale procedura dobbiamo seguire? Esiste un documento/modulo da compilare?

3. Dobbiamo presentare fattura delle spese all'istituto di credito?

4. I soldi che possiamo sbloccare eventualmente, corrisponderebbero alla cifra spesa del funerale o, così facendo possiamo sbloccare tutti i soldi presenti sul libretto anche se fossero maggiori rispetto a quanto speso per il funerale?

Vi ringraziamo per la cortesia, restando in attesa

Distinti saluti”
Consulenza legale i 30/04/2024
Il problema del pagamento delle spese funerarie e degli effetti che da tale atto ne possono conseguire è stato in diverse occasioni affrontato dalla giurisprudenza sia di legittimità che di merito, la quale ha assunto al riguardo un atteggiamento ondivago.
Il criterio generale che la giurisprudenza ha deciso i seguire è quello di qualificare tali spese come pesi ereditari, al cui soddisfacimento occorre provvedere immediatamente dopo l’apertura della successione, quando ancora non si ha certezza di chi saranno gli eredi, in quanto tutti i potenziali eredi si trovano nella posizione di semplici chiamati all’eredità.

Spesso, nella prassi corrente, accade così che a sopportare tali spese siano gli stessi chiamati all’eredità, o anche uno solo di essi, per poi suddividere quelle spese con tutti gli altri eredi, o meglio con coloro che dichiareranno di voler accettare l’eredità, ai quali potrà essere chiesto il rimborso.
In tal senso si è espressa la stessa Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. sent. n. 28/2002), la quale ha colto l’occasione per precisare che non ci si può sentire liberi di affrontare qualunque tipo di spesa, anche particolarmente onerosa, per avere diritto alla restituzione (il che significa che se il de cuius lascia una disponibilità di 100, non si può pensare di consumare l’intero importo per le sole spese funerarie, soprattutto nel caso in cui il patrimonio del defunto sia gravato da altri debiti ereditari).

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito, ed in particolare vogliono qui riportarsi le seguenti massime:
Tribunale di Sassari, sentenza n. 3 del 02.01.2023
Le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 del c.c., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso da parte dei coeredi, purché essi non abbiano manifestato una volontà contraria alla sua attività gestoria. Il mancato dissenso, tuttavia, non giustifica anche il rimborso di spese incongrue ed eccessive, non potendosi ritenere che il coerede abbia l'onere di manifestare una volontà contraria anche sul "quantum", con la conseguenza che il giudice del merito, nella quantificazione delle spese da rimborsare a chi le ha anticipate, è tenuto a verificare quale sia la somma congrua alla luce delle tariffe praticate da altre agenzie per lo stesso servizio”.
Tribunale di Pordenone, sentenza n. 40 del 17.01.2018
Le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 c.c., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto ad ottenerne il rimborso da parte di costoro, sempre che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la loro volontà”.
Tribunale di Varese, 31.10.2011
Il pagamento delle spese funerarie da parte di un membro della famiglia costituisce l'espressione di un dovere morale e familiare, da non potere, dunque, ricondurre tout court all'adempimento di un peso ereditario. Si tratta, pertanto, di un atto che non può costituire accettazione tacita dell'eredità per gli effetti degli artt. 474, 476 c.c.”

Solo in quest’ultimo provvedimento, in verità, si legge che non può escludersi a priori che le spese in oggetto possano essere sostenute sulla base di un titolo diverso da quello trasmesso jure successionis, affermandosi che il loro pagamento non deve farsi rientrare, automaticamente ed univocamente, nell’ambito degli atti che il disponente “non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.

In particolare, viene affermato che, laddove le spese funerarie siano sostenute da uno stretto congiunto, “…si può configurare una liberalità indiretta in cui l’obbligazione è naturale, trovando linfa nei doveri morali e familiari che non si estinguono con la morte del parente e che trovano copertura costituzionale essendo, infatti, la pietà per i defunti, un valore etico-giuridico presidiato anche dalla normativa penale…”.
Da ciò se ne deduce che “…il pagamento delle spese funerarie è un onere per l’erede ma non è un diritto riservato all’erede…”, precisandosi nel prosieguo del provvedimento che “…sarebbe sempre necessario un accertamento sull’effettiva volontà di accettare, accertamento da concludersi in senso negativo (mancanza di accettazione tacita) dove l’atto intervenga dopo la rituale rinuncia all’eredità, in assenza di comportamento di tipo fraudolento e valutata la natura dell’atto stesso posto in essere…”.

Ebbene, la conclusione a cui si ritiene di dover giungere, a seguito dell’analisi dei provvedimenti sopra riportati, è quella di evitare di provvedere al pagamento delle spese funerarie utilizzando denaro del defunto, in quanto si tratterebbe pur sempre di compiere un atto i cui effetti potrebbero costituire oggetto di contestazione e necessaria valutazione da parte di un giudice.
Peraltro, anche l’unica sentenza, quella del Tribunale di Varese, che, nell’escludere la sussistenza di un atto di accettazione tacita, afferma che si tratta di adempiere ad un dovere di solidarietà sociale e non di soddisfare un peso ereditario, richiama il concetto di liberalità indiretta eseguita a fronte di una obbligazione naturale, con ciò lasciando intendere che il pagamento sia stato effettuato con denaro del chiamato all’eredità.

Anche sotto il profilo pratico si ritiene che l’utilizzo di somme prelevate dal conto del defunto possa rivelarsi molto rischioso, in quanto per fare ciò le banche in genere richiedono lo sblocco del conto, facendo produrre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio uso successione (con sottoscrizione autenticata), nella quale dovranno essere indicati coloro che all’apertura della successione si trovano nella posizione di eredi legittimi.
Sarà poi in detta qualità che potrà essere pagata la fattura per le spese funerarie, ma a quel punto si ritiene che potrà risultare estremamente complicato dare prova di quella che sia stata l’effettiva volontà, se soltanto quella di pagare il conto dell’agenzia funebre o anche quella di accettare l’eredità.


G. M. chiede
mercoledì 03/04/2024
“Mia cognata, moglie di mio fratello, prima di morire nel 2006 ha redatto e sottoscritto su di un foglio di carta le sue volontà lasciando alcuni beni mobili facenti parte dell'arredo dell'appartamento che in comunione col marito, aveva donato alla figlia della sorella, nel 2004, beni che ha ben indicato e a chi andavano precisando che tutto il resto che componeva l'intero arredamento dell'appartamento sarebbe dovuto andare alla sorella, ma solo dopo la morte del marito mio fratello che è venuto a mancare il 18 gennaio scorso e cioè dopo la morte della sorella avvenuta nel 2022, faccio presente che mio fratello non ha firmato, ora la nipote asserisce che in forza di quel foglio tutto il resto dell'arredamento dell'appartamento ( parliamo di oggetti, mobili di 2 camere da letto matrimoniali, quadri, servizi, argenteria attrezzi da giardino ecc.).
Per quanto esposto chiedo gentilmente innanzitutto se mia cognata poteva indicare come successore la sorella visto che destinava il tutto a mio fratello, se il documento è ancora valido considerando che non è stato mai registrato e se la nipote può avere diritto alla legittima. Grazie.”
Consulenza legale i 09/04/2024
Per rispondere a ciò che viene chiesto si rende necessario tentare di ricostruire schematicamente i vari momenti della vicenda successoria descritta nel quesito, attribuendo anche dei nomi ai soggetti coinvolti.

  1. Tizia (cognata), moglie di Tizio (fratello), redige nel 2006 testamento, disponendo tra l’altro che:
  • alcuni beni mobili, specificatamente indicati e descritti nella scheda testamentaria, sarebbero dovuti essere assegnati al momento della sua morte a Caia (soggetto non nominato nel quesito);
  • il resto dell’arredamento sarebbe dovuto andare a Sempronia (sorella di Tizia), ma dopo la morte del coniuge Tizio.
  1. Nel corso del 2022 muore Sempronia, sorella di Tizia.
  2. Il 18 gennaio 2023 muore Tizio, senza nulla disporre.

Adesso Tizietta, figlia di Sempronia, pretende di poter vantare diritti successori sui beni di arredo dell’appartamento non contemplati nella scheda testamentaria e rimasti a Tizio.

Innanzitutto occorre fare una precisazione:
qualunque pretesa fondata su quella scheda testamentaria (sempre che la stessa abbia i requisiti per assumere valore di testamento olografo) potrà essere fatta valere a condizione che la stessa venga pubblicata con verbale notarile, come richiesto dall’art. 620 c.c.

Ciò posto, le pretese di Tizietta sono da ritenere fondate, per le ragioni che qui di seguito si vanno ad esporre.
La volontà manifestata da Tizia, ovvero di disporre di quei beni per il tempo successivo alla morte del coniuge superstite, risponde appieno a quanto previsto all’art. 540 del c.c., norma che riconosce in favore del coniuge superstite sia il diritto di abitazione della casa familiare che il diritto di uso dei mobili che l’arredano.
Tizio, pertanto, a prescindere dalla volontà manifestata da Tizia, avrebbe avuto ex lege tutto il diritto di continuare a far uso di quei beni fino al momento della sua morte.
Venuto meno tale diritto di uso, a seguito della morte del coniuge superstite, la volontà di Tizia ha potuto prendere efficacia.
A questo punto, però, sorgono dei dubbi sulla sua validità, considerato che Sempronia (sorella di Tizia e legataria di quei beni) è deceduta prima di Tizio.

Ebbene, la soluzione di tali dubbi si può rinvenire negli artt. 467 e ss. c.c., norme che disciplinano il c.d. diritto di rappresentazione in ambito successorio.

Si tratta di quel particolare istituto giuridico in forza del quale i discendenti, c.d. rappresentanti (senza alcuna distinzione) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito, qualora il chiamato (c.d. rappresentato) non possa (ad esempio per premorienza) o non voglia (per rinuncia) accettare l’eredità o il legato (così l’art. 468 del c.c.).
In particolare, sotto il profilo soggettivo, la rappresentazione può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia un figlio ovvero un fratello o una sorella del defunto, mentre deve escludersi se il chiamato sia, rispetto al de cuius, un estraneo ovvero anche un parente diverso da un figlio (rappresentato, ad esempio, non può essere un nipote ex filio del defunto) o da un fratello.
Nel caso in esame nella posizione di rappresentato viene a trovarsi Sempronia, sorella della de cuius Tizia, mentre Tizietta, figlia di Sempronia, si viene a trovare nella posizione di rappresentante e, come tale, ha diritto di conseguire i beni che Tizia aveva legato alla madre.

Alla medesima conclusione deve giungersi anche nel caso in cui non dovesse poter trovare applicazione il menzionato art. 540 c.c. per difetto dei presupposti da tale norma richiesti (ovvero se la casa adibita a residenza familiare non era di proprietà dei defunti, come sembra potersi desumere dalla parte iniziale del quesito, ove è detto che l’appartamento in cui vivevano i coniugi ed in cui si trovavano gli arredi familiari, oggetto di contesa, era stato donato alla figlia della sorella nell’anno 2004).
La disposizione di Tizia, infatti, può essere intesa come volontà di legare l’usufrutto di quei beni al marito e la nuda proprietà alla sorella, alla quale succede la figlia, sempre per rappresentazione.
Quest’ultima, una volta deceduto l’usufruttuario Tizio, ha il diritto di conseguire la piena proprietà di quei beni.


Anonimo chiede
lunedì 23/10/2023
“Buongiorno avvocato,
Espongo il mio caso. A seguito della scomparsa di mia nonna, avvenuta nel mese di agosto 2022, ho ereditato la nuda proprietà di un terreno edificabile e una porzione di un immobile, mentre mia mamma è l’usufruttuaria. Altri immobili sono stati ereditati dai miei zii.
La dichiarazione di successione è stata presentata nel mese di luglio di quest’anno.
Si verifica, però, che il terreno edificabile non ha nessun valore commerciale sia perché allo stato attuale non vi è mercato sia perché le imposte sono abbastanza gravosi e scoraggiano ad un eventuale potenziale acquirente sia perché le incombenze, previste nel corso degli anni, non sono di poco conto.
Considerata la situazione ho deciso di rinunciare a tutta l’eredità, nel caso si potesse ancora attuare.
Devo dire anche che anche mia mamma è dello stesso parere e se fosse il caso, anche lei rinuncerebbe a tutto il patrimonio ereditato.
La mia domanda: “Allo stato attuale è ancora possibile rinunciare all’eredità”.
Confermo che sono state effettuate le volture e che sono stati effettuati tutti i versamenti riguardante le imposte.
Che io ricordi non ho firmato nessun documento.
Nel caso che potessi rinunciare all'eredità quali sono la procedura e gli oneri da sostenere?
Mia madre credo che ormai non può più rinunciare all'eredità. Mi da conferma?
Grazie in attesa.”
Consulenza legale i 30/10/2023
Un elemento di cui si deve necessariamente tenere conto ai fini della soluzione del problema che qui si prospetta è dato da quanto viene precisato nell’ultima parte del quesito, ove viene riferito che non soltanto è stata effettuata la denuncia di successione e sono state pagate le relative imposte, ma si è anche provveduto ad eseguire le conseguenti volture catastali.

Ebbene, di tale problematica si è in diverse occasioni occupata la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ed è proprio agli orientamenti che al riguardo si sono formati che occorre fare riferimento per rispondere a ciò che viene chiesto.
La norma che va presa in considerazione nell’affrontare tale problematica è l’art. 476 c.c., rubricato “Accettazione tacita”, dalla cui lettura si evince che determina in ogni caso accettazione di eredità, a prescindere da una espressa manifestazione di volontà, il compimento da parte del chiamato di un atto che il medesimo non avrebbe il diritto di compiere se non quale erede.
Come può notarsi, la norma usa un’espressione molto generica, il che ha reso difficile individuare sul piano concreto quali sono quegli atti dal cui compimento deve farsi discendere l’acquisto automatico dell’eredità.
Il legislatore, infatti, si è limitato a prevedere espressamente solo alcune fattispecie di accettazione tacita dell’eredità, tra le quali è possibile annoverare la donazione, la vendita e la cessione dei diritti di successione che sia effettuata dal chiamato all’eredità, nonché la rinunzia ai diritti di successione qualora avvenga verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati all’eredità.
Accanto a tali figure, che possono definirsi “tipiche”, invece, la giurisprudenza si è a lungo interrogata su quali ulteriori atti possano comportare per il chiamato accettazione tacita dell’eredità in virtù di quanto disposto all’art. 476 c.c.

Ebbene, l’esame della casistica giurisprudenziale sviluppatasi al riguardo consente di poter affermare che secondo un ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, il compimento di un atto di natura fiscale, come la denuncia di successione, non costituisce di per sé un elemento sufficiente a provare che il chiamato abbia tacitamente accettato l’eredità, argomentando dalla considerazione secondo cui gli atti di natura meramente fiscale vengono generalmente posti in essere al fine di ottemperare agli obblighi di legge che impongono il pagamento di imposte.
Pertanto, tali atti, allorchè non siano accompagnati da ulteriori atti che presuppongano inequivocabilmente la volontà del chiamato di accettare l’eredità, non sono di per sè idonei a dar luogo ad accettazione tacita.

Analogo ragionamento, invece, non può valere per quegli atti che abbiano al contempo una duplice natura fiscale e civile.
Tale ipotesi ricorre nel caso della voltura catastale, ovvero quell’atto con cui si comunica all’Agenzia delle Entrate il trasferimento della titolarità di un diritto reale su un determinato bene immobile; infatti, in caso di successione ereditaria, la voltura catastale rileva non soltanto ai fini del pagamento dell’imposta, ma anche per l’aggiornamento della situazione patrimoniale, in quanto consente di accertare il passaggio di proprietà e, in generale, il trasferimento di un diritto reale su uno o più immobili rientranti nell’asse ereditario.
Da ciò se ne fa conseguire che la voltura catastale è elemento sufficiente per integrare una fattispecie di accettazione tacita di eredità, ma solo per quel chiamato che abbia effettivamente eseguito la voltura.
Più precisamente, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione in diverse occasioni (cfr. Cass. n. 1438/2020; Cass. n. 22317/2014; Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 5226/2002 e Cass. n. 7075/1999), il compimento della voltura catastale da parte di uno dei successibili non importa automatica accettazione anche per gli altri chiamati che non abbiano effettuato la voltura, salvo che sussista una loro delega o successiva ratifica ovvero sussistano elementi dai quali poterne desumere la volontà di accettare l’eredità.

Quanto appena riportato, dunque, consentirebbe al nipote, cui è stata lasciata la nuda proprietà degli immobili, di manifestare la volontà di rinunciare, tenuto conto che, come riferito nel quesito, il medesimo non ha curato personalmente la voltura catastale e, soprattutto, non ha apposto alcuna firma per consentire a tale adempimento.
La medesima facoltà, invece, va esclusa per la figlia della de cuius, alla quale è stato lasciato l’usufrutto di quei medesimi immobili, dovendosi presumere che la stessa abbia già conseguito il possesso di tali beni.

Occorre, tuttavia, precisare che si dice volutamente “consentirebbe” in quanto la giurisprudenza ha ritenuto possibile che l’accettazione tacita avvenga anche mediante l’attività indiretta o procuratoria o di gestione di terzi incaricati di compiere atti correlati alla volontà di dare esecuzione alle volontà testamentaria (in tal senso si è pronunciata Cass. n. 11813/1992, con riferimento ad un caso di iscrizione catastale eseguita dal notaio per conto degli eredi).
Con ciò vuol dirsi che se, nel caso in esame, le volture catastali sono state eseguite dal notaio a cui ci si è rivolti per la pubblicazione del testamento (sembra indubbio che la successione di cui si discute sia regolata dalla volontà della de cuius), non occorreva in realtà il conferimento di alcun incarico formale per adempiere a tale formalità.

Ad ogni modo, ciò non preclude al nipote di manifestare adesso la sua volontà di rinunzia, malgrado l’intervenuta voltura al catasto, tenuto conto che in ogni caso l’onere di contestare e provare l’accettazione tacita grava su chi dovesse eventualmente sostenere che la stessa si sia verificata (cos’ Cass. n. 2403/1988).
Va anche precisato che la ricerca della sussistenza dell’accettazione tacita è una questione di mero fatto, non censurabile in Cassazione (cfr. Cass. n. 12753/1999; Cass. n. 2663/1999).

M. M. chiede
mercoledì 21/12/2022 - Lombardia
“ACCETTAZIONE TACITA DI EREDITA'
Buongiorno,
muore la madre (vedova da più di 40 anni) in data 25/02/2021 che lascia agli unici due figli eredi l'immobile di proprietà e il soldi del conto corrente.
Viene fatta tempestivamente la successione comprensiva di domanda per volture catastali in data 02/04/2021: dalla nuova visura catastale si evince infatti che i figli sono diventati gli unici proprietari infatti iniziano anche a pagare a nome loro le imposte comunali (imu/tasi) come seconda casa in qualità appunto di proprietari e subentrano anche nel credito di imposta di una ristrutturazione in essere della defunta recuperando nel modello 730 le ultime rate del credito.
Si trovano oggi a vendere l'immobile e in fase di atto notarile viene detto ai figli che sono OBBLIGATI a fare l'accettazione tacita di eredità. Non sapendo di cosa si tratta accettano visto che gli è stato detto che si tratta di un obbligo. La cosa assurda è che i figli venditori si sono trovati "costretti" (per non rimandare l'atto) a dorver pagare l'atto di compravendita e di mutuo dell'acquirente perchè il giorno dell'atto quest'ultimo ha detto che non aveva i soldi per pagare il notaio e i figli avendo fretta di vendere per motivi personali hanno accettato.
Documentandomi vedo che tra l'altro questa accettazione tacita di eredità può NON essere fatta se c'è accordo tra le parti quindi i figli e l'acquirente avrebbero potuto accordarsi in tal senso risparmiando 500 € (soprattutto dopo che i figli venditori hanno pagato insieme all'agenzia immobiliare al 50% gli atti notarili di chi acquistava).
Leggo inoltre che può essere considerata accettazione tacita di eredità il compimento di una voltura catastale (cosa che in questo caso era già stata fatta da tempo).
Mi chiedo quindi: perchè hanno parlato ai figli di OBBLIGO? Ma soprattuto da come leggo questa accettazione tacita serve a tutelare l'acquirente e vista la situazione in cui si sono trovati i figli pagando di tasca loro più di 2.000€ di atto notarile al posto dell'acquirente che non aveva soldi avrebbero per lo meno potuto risparmiare 500€ con un accordo tra le parti. Chiedo un vostro parere in merito e ringrazio.”
Consulenza legale i 28/12/2022
Il quesito che viene posto attiene ad una problematica che spesso fa sorgere dei dubbi anche in coloro che hanno una certa dimestichezza con il diritto.
Si cercherà, pertanto, di chiarire come funziona tale questione e quali norme si pongono a fondamento della richiesta avanzata dal notaio.
Occorre innanzitutto precisare che, per essere effettivamente proprietari di un immobile, occorre acquistarlo da un venditore che ne sia il vero proprietario, potendosi considerare tale soltanto colui che abbia alle spalle un ventennio di continuità delle trascrizioni.
Il soggetto preposto al compimento di tale accertamento è proprio il notaio, il quale, se si accorge che c’è una interruzione nella continuità delle trascrizioni, non può procedere alla stipula dell’atto di compravendita che gli viene richiesto, proprio perché il suo compito è quello di garantire le parti che a lui si rivolgono, ed in particolare l’acquirente.

Ora, in effetti, quando si presenta la dichiarazione di successione, l’Agenzia delle entrate, dopo averne verificato la regolarità e dopo aver appurato il pagamento delle imposte dovute, provvede di sua iniziativa alla trascrizione in favore di coloro che nella dichiarazione di successione sono stati indicati come eredi o legatari.
Tuttavia, tralasciando il caso, che si può definire patologico, in cui tale trascrizione non venga effettuata, è opinione largamente pacifica quella secondo cui la dichiarazione di successione ha valore puramente fiscale (tant’è che, si dice, la stessa non determina accettazione tacita dell’eredità).
Nella dichiarazione di successione, in buona sostanza, manca l’elemento della volontà di accettare l’eredità, e pertanto la sua pubblicità non può essere atta a far conseguire l’effetto civilistico della continuità delle trascrizioni richiesto dall’art. 2650 del c.c..

In tal senso si è negli ultimi anni orientato il Consiglio Nazionale del notariato, il quale ha emesso un documento vincolante per i notai e che dispone quanto segue:
Il notaio richiesto di stipulare un atto, avente per oggetto immobili di provenienza successoria, che comporti accettazione tacita di eredità, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 476 c.c. (qualora non trova già trascritta una precedente accettazione espressa o tacita) è tenuto anche a curare la trascrizione dell’intervenuta accettazione di eredità in ottemperanza al disposto dell’art. 2648 del c.c.”.

E’ stato ulteriormente ed espressamente precisato che per l’adempimento a cui è tenuto il notaio non può essere considerata equivalente la trascrizione della denuncia di successione, avendo questa, come si è prima accennato, finalità meramente fiscali, come peraltro risulta dal comma 2 dell’art. 5 del D.lgs. n. 347/1990, nella parte in cui è detto che “è prevista limitatamente agli effetti fiscali stabiliti dal presente Testo unico e non costituisce trascrizione degli acquisti a causa di morte degli immobili e dei diritti reali immobiliari compresi nella successione”.
A tale disposto normativo deve anche aggiungersi un orientamento ormai costante della giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “la circostanza che gli eredi del terzo abbiano trascritto a proprio favore la denuncia di successione ed ottenuto le volture catastali a proprio nome, non costituendo tali operazioni fatti idonei a determinare il trasferimento della proprietà, non rappresentano titolo idoneo per il trasferimento del diritto di proprietà sul bene oggetto della dichiarazione di successione”.

Tale principio è stato peraltro confermato dall’Amministrazione finanziaria dapprima con Circolare n. 37/1991 e successivamente con la Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 52/2009, ove viene appunto precisato che la trascrizione della dichiarazione di successione non costituisce titolo pubblicitario degli acquisti a causa di morte né elemento di continuità delle trascrizioni.

Pertanto, la richiesta del notaio di trascrivere l’atto di accettazione tacita di eredità trova il suo fondamento, oltre che nella prassi, anche in ben precise norme di legge, quali appunto gli artt. 2648, 2650, 2660 e 2671 c.c., oltre che nell’art. 5 del D.lgs. n. 347/1990.
La ragione principale per cui si rende necessaria tale formalità è la tutela dell’acquirente e dell’eventuale banca mutuante dal rischio che chi vende possa essere un erede apparente.
Infatti, è ben possibile che chi vende sia erede solo apparentemente, con la conseguenza che l’acquirente potrebbe vedersi costretto a subire l’azione di petizione di eredità da parte dell’erede vero ed essere così tenuto a restituirgli il bene (rischio che viene evitato se si esegue la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità in favore dell’erede apparente e sempre che l’acquirente dell’immobile sia in buona fede).

S. G. chiede
domenica 13/02/2022 - Lombardia
“Ho 6 fratelli, i nostri genitori sono entrambi deceduti;
Nella successione qualcuno dei miei fratelli ha firmato e accettato l’eredità per me contro la mia volontà.
Oggi Equitalia mi sta alle calcagna perché, giustamente pretende la mia parte dell’eredità .
A questo punto vorrei impugnare l’eredità e punire chi ha firmato o anche tutti e 6 sia civilmente che penalmente.
Grazie

Consulenza legale i 09/03/2022
Non si deve confondere l’accettazione dell’eredità con la presentazione della dichiarazione di successione.
Quella inviata a questa Redazione, infatti, è soltanto una dichiarazione di successione, la quale costituisce un atto di natura meramente fiscale, richiesto alla morte di un individuo al fine di poter calcolare e pagare le eventuali imposte previste sul suo patrimonio ereditario.
Si tratta, dunque, di un adempimento fiscale, che tutti gli aventi diritto all’eredità possono compiere, anche se non ancora effettivamente eredi, e che ha lo scopo di evitare eventuali sanzioni causate dal mancato pagamento delle imposte.
Generalmente sono obbligati a tale adempimento tutti coloro che si vengono a trovare nella posizione di chiamati all’eredità, ma di fatto alla presentazione della stessa può provvedere anche uno solo di essi.
Ciò non determina un’accettazione tacita dell’eredità e, perciò, non implica che l’avente diritto diventi automaticamente erede agli occhi della legge; in tal senso si è peraltro espressa in diverse occasioni la giurisprudenza di legittimità, ed a tal proposito possono citarsi le sentenze della Suprema Corte di Cassazione n. 8053/2017 e n. 22017/2016.

La circostanza, dunque, che la figlia Domenica, che si è fatta carico di presentare la dichiarazione di successione, abbia indicato nel “Quadro A”, relativo agli eredi e legatari, il nominativo di tutti i figli, compreso quello di colui che pone il quesito, non può di certo valere per ciò solo a far assumere agli stessi la posizione di eredi.
Infatti, l’accettazione o la rinunzia all’eredità sono atti giuridici ben diversi, di cui si occupano gli artt. 470 e ss. c.c., e che vanno posti in essere entro il termine di dieci anni dall’apertura della successione.

Tuttavia, se l’erede si trova nel possesso dei beni ereditari e non vuole decadere dal diritto di rinunciare o di avvalersi del beneficio di inventario, deve, entro 40 giorni dal decesso, fare l’inventario di detti beni e, nei successivi 3 mesi, fare la dichiarazione di accettazione o rinuncia all’eredità (si veda in tal senso l’art. 485 del c.c.).
Ora, il reale rischio che nel caso di specie si corre è quello di aver compiuto uno di quegli atti che il legislatore individua come integranti un’ipotesi di accettazione tacita di eredità, disciplinata all’art. 476 c.c.
Non qualunque atto compiuto dal chiamato comporta l'acquisto dell'eredità, perché la norma appena citata richiede la presenza di due presupposti, e precisamente che il chiamato effettui un atto che:
1) presuppone necessariamente la sua volontà di accettare;
2) non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

Per quanto concerne il primo presupposto, la giurisprudenza ha di regola ritenuto idoneo anche un atto di sola gestione (non meramente conservativa) se incompatibile con la volontà di rinunciare e tale da incidere sulla consistenza del patrimonio ereditario (cfr. Cass. n. 1021/1976).
A titolo meramente esemplificativo, sono stati individuati quali casi di accettazione tacita il conferimento di una procura per la vendita di beni ereditari (cfr. Cass. n. 20699/2017), la domanda di divisione dell’eredità (così Cass. n. 22288/2013), la riscossione di un assegno rilasciato al de cuius (cfr. Cass. n. 12327/1999), ovvero la riscossione dei canoni di locazione di un immobile ereditario (cfr. Cass. n. 2743/2014).
Anche il pagamento transattivo di un debito del de cuius ad opera del chiamato all'eredità, a differenza di un mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un'accettazione tacita dell'eredità, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede.
Al contrario, non integrano la fattispecie di accettazione tacita il pagamento delle spese funerarie, così come il pagamento di un debito del de cuius, posto in essere da un chiamato all'eredità, potendo essere compiuto anche per altre ragioni, tenuto conto che l’art. 1180 del c.c. ammette l'adempimento dell'obbligo del terzo.

Da quanto fin qui detto, dunque, la conclusione che se ne deve trarre è che se colui che pone il quesito non ha di fatto mai avuto possesso dei beni ereditari né ha mai goduto e fatte proprie le rendite derivanti dalla riscossione dei canoni di locazione degli immobili ereditari (in misura proporzionale alla propria quota ed a prescindere da chi abbia stipulato i relativi contratti di locazione), non essendo ancora trascorsi dieci anni dall’apertura della successione (avvenuta in data 14.11.2014), si ha tutto il diritto di porre in essere un atto di rinuncia all’eredità.
Si tenga presente che la dichiarazione di rinuncia deve essere resa ad un notaio o al cancelliere del Tribunale nel cui circondario si è aperta la successione ed è soggetta a registrazione in termine fisso con applicazione dell’imposta fissa di registro di euro 200.
Una volta posta in essere tale dichiarazione di rinuncia, occorrerà portare la stessa a conoscenza dei creditori che hanno intimato il pagamento di debiti ereditari, al fine di essere esonerati dall’adempimento degli stessi.

Qualora, malgrado l’intervenuta rinuncia all’eredità, il creditore o i creditori procedenti dovessero contestare la sussistenza di uno o più atti di accettazione tacita dell’eredità, si tenga presente che, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, l'onere di provare l'accettazione tacita grava su chi sostiene che si sia verificata (ossia sugli stessi creditori, cfr. Cass. n. 2403/1988), mentre non si applicano i limiti alla prova per testimoni ex art. 2721 del c.c., trattandosi di dover provare un fatto (così Cass. n. 454/1973).

Ulteriore precisazione che si ritiene opportuno fare è che, sulla scorta di quanto riferito da chi pone il quesito e dei documenti trasmessi, non possono di certo individuarsi i presupposti di falsità lamentati.

LORENZO M. chiede
martedì 16/11/2021 - Abruzzo
“LA VENDITA DI UN' AUTOVETTURA CON L' ART. 2688 DELCODICE CIVILE (DISCONTINUITA' NELLE TRASCRIZIONI) DA PARTE DI UN EREDE IN FAVORE DI UN ALTRO EREDE, PUO' ESSERE ASSIMILATA AD UN' ACCETTAZIONE TACITA DI EREDITA' ?”
Consulenza legale i 22/11/2021
Da un punto di vista prettamente civilistico, tutti i veicoli fanno parte di una particolare categoria di beni che è quella dei c.d. beni mobili registrati, i quali, come sicuramente sarà ben noto, si collocano a metà strada tra i semplici beni mobili (per i quali vale il principio del possesso vale titolo) ed i beni immobili (per i quali, invece, è obbligatoria la trascrizione nei registri immobiliari).
Proprio in considerazione di questa loro particolare natura giuridica, la vendita di un veicolo può realizzarsi, al pari di ogni altro bene mobile, anche verbalmente, nel senso che la proprietà dello stesso si acquista con lo scambio del bene (auto, moto, camper) contro il pagamento di un corrispettivo, ma al fine di dare pubblicità a tutte le vicende giuridiche che li riguardano (quali acquisti, vendite, ma anche furto, vincoli giudiziari, ipoteche e fermi amministrativi), il legislatore ha imposto per questi stessi beni la trascrizione della proprietà nel pubblico registro automobilistico (PRA), gestito dall’ACI.

E’ soltanto dall’espletamento di questa formalità che ne consegue la certezza della data di avvenuta vendita; qualora, pertanto, taluno abbia regolarmente acquistato il bene, ma non abbia trascritto tale suo acquisto al PRA, sarà senza alcun dubbio proprietario di quel bene, ma non ne sarà intestatario al PRA.
In tale sua qualità di proprietario, pertanto, gli sarà sicuramente consentito di disporre del bene, anche alienandolo ad un’altra persona, quale può essere un terzo estraneo o altra componente del proprio gruppo familiare.
In tale ipotesi, però, non essendo stata data pubblicità al suo titolo di acquisto (che, come detto prima, può anche essersi realizzato verbalmente), la vendita non potrà che essere effettuata in deroga a quanto prescritto dall’art. 2688 del c.c., ossia interrompendo la continuità delle trascrizioni al PRA; ciò comporta che un eventuale successivo compratore del veicolo troverà l'annotazione che non c'è stata sempre la continuità nei passaggi di proprietà tra proprietari e quindi potrebbe verificarsi l'ipotetica rivalsa da parte di un soggetto che si dichiara reale proprietario.

Condizione essenziale per poter trascrivere una vendita al PRA ex art. 2688 c.c. è il possesso dell’originale del certificato di proprietà ovvero, per i veicoli più datati, del c.d. foglio complementare.
Il possesso di tali documenti può già valere quale eventuale prova che il bene, seppure formalmente intestato al de cuius¸ fosse nella disponibilità del chiamato all’eredità che adesso ha intenzione di vendere (del resto, nella prassi quotidiana non sono infrequenti i casi di veicoli intestati al genitore e di fatto utilizzati dal figlio o viceversa).
Inoltre, va anche precisato che, trattandosi di una vendita particolare, in cui chi vende si assume la responsabilità di dichiararsi proprietario non intestatario del veicolo, la dichiarazione di vendita non potrà essere redatta sul certificato di proprietà (come regolarmente avviene per le vendite di auto usate), ma deve esser redatta su un atto a parte, ossia una scrittura privata autenticata ed in bollo.
Infatti, nella dichiarazione di vendita deve essere espressamente indicato che la vendita viene effettuata da proprietario non intestatario e che la trascrizione avverrà in deroga dell'art. 2688 C.C.
Si tenga presente che la trascrizione ex art 2688 c.c. è soggetta al raddoppio della I.P.T. (Imposta Provinciale di Trascrizione), che rappresenta il pagamento di almeno una imposta "saltata".

Come si è precisato sin dall’inizio, sotto il profilo giuridico la vendita così effettuata è perfettamente valida, ma poiché viene registrato che vi è stata una interruzione nella continuità delle trascrizioni tra proprietari, chi compra deve valutare la possibilità che si presenti un terzo soggetto, il quale reclami la sua proprietà, chiedendo l'annullamento della vendita.
Per tale ragione, chi compra può conseguire la certezza giuridica del suo acquisto solo dal momento in cui decorreranno i tempi prescritti per l’usucapione dall’art. 1162 del c.c., ossia trascorsi tre anni dalla data della trascrizione effettuata ex art. 2688 c.c.

Poiché, come si è detto prima, il chiamato all’eredità effettua la vendita dichiarandosi proprietario non intestatario, non si sta formalmente disponendo di un bene del compendio ereditario, il che comporta che tale atto non può configurarsi quale ipotesi di accettazione tacita dell’eredità del de cuius, con conseguente impossibilità di una sua successiva rinuncia.
A ciò si aggiunga la seguente ulteriore considerazione: secondo quanto espressamente disposto dall’art. 12, comma 1, lettera l del Testo unico successioni e donazioni, non sono compresi nell’attivo ereditario “i veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico” (tant’è che questi beni non devono essere inseriti nella dichiarazione di successione), il che rafforza la tesi secondo cui l’atto che si ha intenzione di compiere non può configurare un’ipotesi di accettazione tacita di eredità.

Per concludere si vuole fare un’ultima notazione: l’ art. 476 c.c. richiede, perché possa configurarsi una accettazione tacita di eredità, che il chiamato all’eredità ponga in essere un atto che sia idoneo a presupporre la sua volontà di accettare, e che si tratti di un atto che possa essere compiuto soltanto da un erede.
Ebbene, nel caso di specie si ritiene che difetti proprio questo secondo presupposto, che viene definito oggettivo, in quanto la vendita di quel veicolo intestato al de cuius potrebbe in realtà essere compiuta da chiunque, chiamato all’eredità o meno, si trovi in possesso del Certificato di proprietà o del foglio complementare (in astratto, il defunto avrebbe anche potuto lasciare in vita quell’auto con i relativi documenti ad un rivenditore di auto usate, il quale potrebbe approfittarsi dell’evento morte per effettuarne la vendita da non intestatario, senza di certo così conseguire la posizione di erede del defunto).


A.L. chiede
giovedì 03/06/2021 - Campania
“Mio padre fece testamento olografo con beni immobili. Il testamento fu pubblicato e successivamente venne fatta la dichiarazione di successione ed anche le volture fabbricato e terreni. In questo caso si puo' fare accettazione eredità tacita? Le volture catastali dimostrano che è stata accettata tacitamente l'eredità? Grazie per una Vostra risposta. Con i migliori saluti.

Consulenza legale i 09/06/2021
Dell’accettazione tacita di eredità il legislatore si occupa all’art. 476 c.c., dalla cui lettura si evince che non qualunque atto compiuto dal chiamato comporta l'acquisto dell'eredità.
Infatti, due sono i presupposti richiesti da tale norma affinchè possa configurarsi una accettazione tacita di eredità, e precisamente che il chiamato effettui un atto che:
  1. presuppone necessariamente la sua volontà di accettare;
  2. non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

Per quanto concerne il primo presupposto, secondo la tesi prevalente in giurisprudenza non occorre una effettiva e concreta volontà del chiamato all’accettazione dell’eredità, seppure in forma tacita, essendo sufficiente che tale volontà possa presupporsi necessariamente, ossia basta valutare se un determinato atto sia tale da implicare, per sua natura ed in base alla comune esperienza, la volontà di accettare (così Cass. n. 8123/1987, Cass. n. 13738/2005, Cass. n. 16507/2006).

Con riferimento al secondo presupposto, è discusso se esso debba considerarsi autonomo rispetto al primo ovvero se ne costituisca una sua precisazione.
La giurisprudenza è dell’idea che entrambi i presupposti debbano concorrere cumulativamente, affermando che l'idoneità dell'atto a presupporre la volontà di accettare possa essere certa solo se si tratta di un atto che può essere compiuto esclusivamente da un erede (così Cass. n. 2403/1988).

In ogni caso, per stabilire con esattezza quali atti possono considerarsi propri di colui che assume la posizione di erede occorre anche fare riferimento all’art. 460 del c.c., norma che delimita la posizione del chiamato.
Qualunque atto priva di espressa autorizzazione giudiziaria e che sorpassi i confini di tale norma, rientra tra gli atti che possono essere compiuti solo quale erede e che, quindi, presuppongono necessariamente la volontà di accettare ex art. 476 c.c.

Sulla base della considerazioni che precedono, la giurisprudenza in diverse occasioni è giunta alla conclusione che è da considerare accettazione tacita di eredità il comportamento del chiamato all’eredità che ponga in essere non solo atti di natura puramente fiscale, come la denuncia di successione (ritenuta solo un elemento indiziario liberamente valutabile, così come il pagamento della relativa imposta), ma anche atti di natura fiscale e civile, come appunto la voltura catastale, la quale assume rilievo non solo sotto il profilo tributario ma anche sotto quello civile per l'accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi (così Tribunale di Milano 29.11.2017, Tribunale di Monza 31.10.2019, Cass. n. 5226/2005, Cass. n. 10796/2009, Cass. n. 1438/2020).

In particolare, nella recentissima sentenza n. 1438/2020 la Corte di Cassazione afferma quanto segue: “L'accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l'accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile”.

In conclusione, dunque, può affermarsi, senza alcun dubbio, che le volture catastali eseguite dimostrano che è stata accettata tacitamente l’eredità.


Gianfranco A. chiede
domenica 10/01/2021 - Sardegna
“Dai miei genitori ho ereditato un appartamento con i miei fratelli ormai deceduti.
Successivamente alla morte di mio fratello, avvenuta circa dodici anni fa, i suoi due figli, che non hanno mai fatto l'atto di successione per la relativa quota dell'appartamento in cui ho abitato da bambino, vorrebbero far valere il loro diritto di successori della casa e metterla in vendita all'asta per ricavarne la loro parte.
Ho letto che tale diritto di successione dopo dieci anni è decaduto: ho interpretato bene la legge oppure i miei nipoti possono pagare ora la quota di successione e divenire comproprietari dell'appartamento e metterlo in vendita contro la mia volontà?
Nel caso il loro diritto di successione non sia effettivamente più valido, cosa posso fare per impedire loro di divenire i successori della quota di mio fratello?”
Consulenza legale i 14/01/2021
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive, ex art. 480 del c.c., in dieci anni decorrenti dal giorno dell’apertura della successione.
Tuttavia, la circostanza che non sia stata presentata nei termini prescritti dalla legge la denuncia di successione, ha efficacia soltanto ai fini fiscali, mentre non può assumere alcuna valenza ai fini della prescrizione del diritto di accettare l’eredità, il quale può anche essere esercitato, ex art. 476 c.c., mediante il compimento di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che il chiamato all’eredità non avrebbe il diritto di fare se non nella sua qualità di erede.

Inoltre, il titolo in forza del quale ci si pone nella condizione di conseguire la titolarità dei beni caduti in successione e di disporre degli stessi non è certamente costituito dall’avvenuta presentazione della denuncia di successione e dal pagamento delle relative imposte, bensì dalla posizione di chiamato all’eredità che si assume al momento dell’apertura della successione, sia per legge (nel caso di successione legittima) che per testamento (nel caso di successione testamentaria).

Una chiara ed esplicita conferma di quanto appena detto si trova, da ultimo, nella ordinanza della Cassazione civile n. 4843 del 19.02.2019 (cfr. anche Cass. civ. Sez. II n. 22017 del 31.10.2016), nella quale è detto che ai fini dell’accettazione tacita di un’eredità, sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attesa la loro finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali appunto la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua successiva trascrizione.

Infatti, trattandosi di adempimenti di contenuto prevalentemente fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, il giudice del merito, a cui ci si dovrebbe rivolgere per accertare l’acquisto o meno della posizione di erede, può legittimamente escludere con riferimento al compimento di questi soli atti il proposito, in chi li ha posti in essere, di accettare l’eredità, dovendo al contrario estendere il suo accertamento al complessivo comportamento del potenziale erede ed all’eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell’eredità.

Pertanto, per poter asserire, anche dinanzi all’autorità giudiziaria, che i figli del fratello premorto non possano legittimamente vantare alcun diritto sull’appartamento di cui si discute, occorrerebbe avere piena certezza del fatto che gli stessi non abbiano in questi anni posto in essere alcun atto che importi accettazione tacita dell’eredità del padre defunto, atti che non debbono necessariamente riguardare il diritto di comproprietà su quell’immobile, ma che possono anche essere indirizzati verso altri beni facenti parte dell’asse ereditario.

Per quanto concerne l’istituto giuridico della accettazione tacita di eredità, a cui fa riferimento l'art. 476 c.c., si ritiene opportuno precisare che non qualunque atto compiuto dal chiamato comporta l’acquisto dell’eredità, in quanto la norma richiede la presenza di due presupposti, ossia che il chiamato ponga in essere un atto che:
  1. presuppone necessariamente la volontà di accettare e che
  2. non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

In diverse occasioni la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza o meno di una accettazione tacita, ponendo in evidenza l’importanza che assume la valutazione della volontà del chiamato che pone in essere un comportamento incompatibile con la volontà di rinunciare o significativo della volontà di accettare.
In conseguenza di ciò, è stato affermato che è da considerare accettazione tacita di eredità il comportamento del chiamato che non si limiti a porre in essere atti di natura meramente fiscale, come appunto la denuncia di successione, ma anche atti al contempo fiscali e civili, come ad esempio la voltura catastale, la quale non rileva solo dal punto di vista tributario, ma anche sotto il profilo civile per l’accertamento della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi (così Cass. 1438/2020; Cass. 10796/2009; Cass. 6574/2005; Cass. 5226/2002).
Determina accettazione tacita anche la proposizione di una domanda giudiziale che presupponga la qualità ereditaria e che di per sé manifesti la volontà di accettare, la domanda di divisione, il conferimento di una procura per la vendita di beni ereditari, la riscossione di un assegno rilasciato al de cuius, la riscossione dei canoni di locazione di un immobile ereditario.

Non costituisce, invece, accettazione tacita il pagamento delle spese funerarie (Tribunale di Varese 31.10.2011).

Pertanto, alla luce della breve casistica sopra riportata, prima di contestare l’assunzione della qualità di erede da parte dei figli del fratello, per intervenuta prescrizione del diritto di accettare l’eredità, ciò che si consiglia è di verificare se gli stessi abbiano, nel corso di questi anni, posto in essere qualche atto incompatibile con la loro volontà di rinunziare all’eredità.
Qualora ci si renda conto che in effetti possano essere stati compiuti atti che manifestano detta volontà, è ben possibile che gli stessi adesso decidano di regolarizzare quella successione dal punto di vista fiscale, presentando fuori termine la dichiarazione di successione e pagando le imposte omesse, comprensive di eventuali sanzioni ed interessi legati al ritardo.



Giacomo G. chiede
venerdì 20/11/2020 - Sicilia
“Sono il genero del Sig. T.C. deceduto in data 30/10/2020, dal 01/07/2020 sono residente in un immobile di proprietà di mia moglie usufruttuario mio suocero intestatario dell'utenza ENEL, con addebito delle bollette sul proprio conto corrente.
In data 17/11/2020 abbiamo comunicato alla banca il decesso di mio suocero e pertanto il conto è stato bloccato.
In data 19/11/2020 è pervenuta una bolletta ENEL con scadenza 26/11/2020 che ovviamente non sarà pagata in quanto il Rid sul conto di mio suocero è bloccato.
In data 19/11/2020 ho chiesto la voltura dell'utenza intestandola allo scrivente, considerato che mia moglie e gli altri eredi faranno la rinuncia all'eredità, mi chiedo se pagando la bolletta in questione dal mio conto corrente con denaro proprio è accettazione tacita dell'eredità sia di mia moglie che mia?
Inoltre nel luglio 2020 per conto di mio suocero ho fatto la sanatoria tassa rifiuti ultimi 5 anni, relativa all'immobile di cui sopra, rateizzando l'importo in 12 rate intestate a mio suocero, alla data odierna ho pagato con mod. f.24 semplificato dal mio conto corrente 4 rate, devo continuare a pagarle o anche in questo caso è accettazione tacita dell'eredità sia di mia moglie che mia?
Grazie
Distinti Saluti”
Consulenza legale i 26/11/2020
Gli atti per i quali si teme che possa configurarsi un’accettazione tacita di eredità sembrano sostanzialmente ricondursi ai seguenti:
  1. la voltura dell’utenza relativa all’energia elettrica, già intestata al de cuius nella sua qualità di usufruttuario dell’immobile;
  2. il pagamento delle rate relative ad un debito per tassa rifiuti.

Nulla viene detto circa l’esistenza di un eventuale testamento, il che lascia presupporre che il de cuius sia deceduto ab intestato e che, pertanto, alla sua morte si sia aperta la successione legittima, per effetto della quale, secondo il disposto degli artt. 565 e ss. c.c., chiamati all’eredità sono i figli in parti eguali tra loro.

Per quanto concerne la voltura del contatore dell’energia elettrica, si precisa che la moglie di colui il quale pone il quesito, nonché figlia del de cuius, è proprietaria dell’immobile sul quale era stato costituito il diritto di usufrutto in favore del padre da poco deceduto.
Al momento della morte dell’usufruttuario, dunque, quel diritto viene a cessare, con la conseguenza che il nudo proprietario ritorna ad essere “pieno proprietario” del bene, potendone disporre per come vuole senza alcun limite.
Pertanto, la voltura dell’utenza elettrica, la quale, peraltro, costituisce un atto dovuto (in quanto non è possibile mantenere in vita un rapporto contrattuale con un soggetto deceduto), nel caso di specie verrebbe richiesta ed effettuata in favore di soggetto che vi ha già la residenza e che è anche coniuge di chi, adesso, risulta essere pieno proprietario dell’immobile.

L’altra questione riguarda il pagamento delle rate dovute a seguito di sanatoria del debito che il de cuius aveva contratto per la tassa sui rifiuti, pagamento che è stato per il momento effettuato dal genero del debitore, attingendo al proprio conto personale.
Proprio su tale specifico tema è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza n. 4320 del 22 febbraio 2018, nella quale viene affermato che il pagamento di un debito del defunto, da parte dell’erede, facendo uso di denaro dell’eredità, configura accettazione tacita dell’eredità stessa.
Nella diversa ipotesi in cui, invece, il pagamento del debito del defunto venga effettuato dall’erede con denaro proprio, poiché integra, sotto il profilo giuridico, adempimento di un debito altrui (fattispecie prevista dall’art. 1180 del c.c.), non comporta e non può qualificarsi come atto di accettazione tacita.

A ciò deve aggiungersi un’ulteriore considerazione: il genero che, in adempimento di un debito del de cuius, ha pagato e sta continuando a pagare il debito in forma rateizzata, non si trova neppure nella posizione di chiamato all’eredità, il che esclude in radice il rischio che tale adempimento possa configurare un atto di accettazione tacita ex art. 476 c.c.

Infine, ad escludere che gli atti di cui si discute possano implicare accettazione tacita, con conseguente preclusione della possibilità di effettuare una successiva rinunzia, vale anche quanto disposto dall’art. 460 del c.c., norma che disciplina i poteri che competono al chiamato prima dell’accettazione.
Dispone il secondo comma di tale norma che, fin quando non si è provveduto alla nomina di un curatore dell’eredità giacente, il chiamato all’eredità è legittimato a compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, necessitando di espressa autorizzazione soltanto per gli atti di alienazione di beni ereditari ed in genere per atti di straordinaria amministrazione, destinati ad incidere sulla consistenza del patrimonio ereditario.

Dell’accettazione tacita di eredità si è occupata in diverse occasioni la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, dal cui esame se ne ricava che possono qualificarsi come ipotesi più frequenti di accettazione tacita i seguenti atti: il conferimento di una procura per la vendita di beni ereditari; la domanda di divisione del patrimonio ereditario; la riscossione di un assegno rilasciato al de cuius; la riscossione dei canoni di locazione di un immobile ereditario; l’istanza di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius.

Non integra, invece, accettazione tacita il pagamento delle spese funerarie, dovendosi questo far rientrare tra quegli atti di amministrazione temporanea che il chiamato all’eredità può compiere ex art. 460 c.c.


Silvana F. chiede
giovedì 04/04/2019 - Liguria
“Buongiorno,
in caso di decesso di un familiare prima che si abbia accettato o rinunciato eredità, il pagamento delle spese funebri vale come accettazione dell'eredità?
Prossimamente verrà effettuata accettazione con beneficio di inventario ma non si può far attendere troppo tempo l'azienda di onoranze funebri per il saldo dei servizi mortuari al familiare defunto. Conviene comunque fare il pagamento dopo che l'atto di accettazione con beneficio di inventario venga fatto?
Mi potete indicare, per favore, i riferimenti legislativi/civilistici da cui deriva la vs risposta.
Grazie mille
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/04/2019
Ai sensi dell’art. 474 del c.c., l'accettazione dell’eredità può essere espressa o tacita.
L’accettazione è espressa quando consiste in una esplicita dichiarazione di accettazione o nell’assunzione del titolo di erede, contenute in un atto pubblico o in una scrittura privata (art. 475 del c.c.).
L’accettazione è, invece, tacita, ex art. 476 del c.c., quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
Va precisato che l’art. 460 del c.c. consente al chiamato all’eredità il compimento, prima dell’accettazione, di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea.

Ad esempio, la giurisprudenza ha ravvisato le caratteristiche di un’accettazione tacita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie finalizzate a rivendicare o difendere la proprietà di beni ereditari, ovvero a richiedere i danni per la mancata disponibilità degli stessi: tali azioni, infatti, non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., per cui il chiamato non avrebbe diritto di proporle se non presupponendo di voler far propri i diritti successori (così Cass. Civ., Sez. II, ordinanza n. 10060/2018).
O, ancora, sono stati considerati accettazione tacita dell’eredità i seguenti comportamenti:
- la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, in quanto atto dispositivo e non meramente conservativo (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 2743/2014);
- l'intervento in giudizio da parte di un chiamato all'eredità nella qualità di erede legittimo del de cuius (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 8529/2013);
- l'istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 263/2013);
- il pagamento di un debito del de cuius ad opera del chiamato all'eredità, eseguito però a titolo di transazione (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 14666/2012).

Quelli che precedono sono solo alcuni degli esempi di accettazione tacita riconosciuti nella casistica giurisprudenziale; più in generale, secondo la giurisprudenza, l’accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall'esplicazione di un'attività personale dei chiamato, tale da integrare gli estremi dell'atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell'accettazione, ex art. 460 c.c. (Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 12753/1999).

Per rispondere alla specifica domanda oggetto del quesito, la natura del pagamento delle spese funerarie e della sua rilevanza agli effetti dell’art. 476 c.c. è stata chiarita in un decreto emesso dal Tribunale di Varese, Ufficio volontaria Giurisdizione, del 31 ottobre 2011.
Ivi si afferma che “il pagamento delle spese funerarie da parte di un membro della famiglia costituisce l'espressione di un dovere morale e familiare, da non potere, dunque, ricondurre tout court all'adempimento di un peso ereditario. Si tratta, pertanto, di un atto che non può costituire accettazione tacita dell'eredità per gli effetti degli artt. 474, 476 c.c.”.

Anonimo chiede
mercoledì 06/09/2017 - Veneto
“Buonasera, la domanda è la seguente:
se dopo avere di fatto effettuato una accettazione tacita della eredità con atti compiuti negli anni, per maggiore tranquillità personale una persona compie (entro i dieci anni dall'apertura della successione) anche la accettazione espressa da un notaio, c'è qualche rischio che si possano creare contrasti e/o problemi di qualsiasi genere o sorta (nullità o altro) tra le due forme di accettazione dell’eredità visto che la legge (art. 474 c.c.) dice che “L’accettazione puo’ essere espressa o tacita “ (e quindi -sembra- non entrambe) e quindi avere problemi con la successione stessa?
Ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 12/09/2017
Non si pone alcun problema di incompatibilità o di altro genere tra un’accettazione tacita di eredità ed una successiva accettazione espressa della medesima eredità.
Anzi, è senz’altro più che comprensibile e giustificato il comportamento di quello, fra i tre eredi, che ha deciso di procedere anche con l’accettazione dal notaio, la quale non fa altro che “confermare” ufficialmente la volontà già espressa in altro modo, spesso meno evidente e riconoscibile.

Il problema, infatti, con l’accettazione tacita, è che si presta a contestazioni: infatti non tutti gli atti e/o i comportamenti che abbiano ad oggetto la gestione – in senso lato - del patrimonio ereditario la implicano.

L’accettazione tacita si verifica quando il chiamato all’eredità compie un atto (cosiddetto “comportamento concludente”) che “(…) presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede” (Cassazione civile, sez. II, 08/06/2015, n. 11823).

Ad esempio, è forse ormai noto che il pagamento delle imposte di successione non costituisce atto di accettazione tacita di eredità, perché si ritiene che si tratti di atto necessitato dagli obblighi impositivi fiscali, ma non necessariamente presuppone la qualità di erede: “La denuncia di successione e il pagamento della relativa imposta (…) non comportano accettazione tacita dell'eredità, trattandosi di adempimenti fiscali che, in quanto diretti a evitare l'applicazione di sanzioni, hanno solo scopo conservativo e rientrano, quindi, tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall'articolo 460 c.c.; implicano, invece, accettazione tacita dell'eredità il ricorso alla Commissione tributaria contro l'avviso di accertamento del maggior valore notificato dall'amministrazione finanziaria e la successiva stipulazione di un concordato per la definizione della controversia perché questi atti, indipendentemente dalle specifiche intenzioni del chiamato all'eredità, non sono meramente conservativi ma tendono alla definitiva soluzione della questione fiscale.” (Cassazione civile, sez. II, 31/10/2016, n. 22017).

Diversamente sono rilevanti, ai fini dell’accettazione tacita, gli atti che per la loro natura e finalità siano incompatibili con la volontà di rinunciare e non siano altrimenti giustificabili.
Ad esempio, ricorrere al Giudice per far valere un diritto di credito del defunto oppure, al contrario, resistere in un giudizio contro quest’ultimo promosso implica accettazione tacita.
Ugualmente quest’ultima è integrata da un atto di disposizione (vendita o donazione) di uno o più beni facenti parte dell’asse ereditario.
Anche la voltura catastale, rilevante non solo a fini fiscali ma altresì civilistici, integra accettazione tacita.
Infine ancora “(…) la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra accettazione tacita dell'eredità ai sensi dell'art. 476 c.c.” (Cassazione sopra citata n. 11823/2015)

Ciò chiarito, nel caso di specie – probabilmente nel dubbio che gli atti già posti in essere potessero risultare “equivoci”, ovvero contestabili dagli altri coeredi o da terzi sotto il profilo della loro efficacia quali forma di accettazione tacita - il terzo erede ha ritenuto opportuno “mettere nero su bianco” la propria volontà.

In merito all’ultima domanda, relativa all’individuazione del momento esatto in cui si possa parlare di intervenuta accettazione espressa, si deve ritenere che esso coincida con la data di sottoscrizione dell’atto notarile e non con la registrazione o con la trascrizione del medesimo.
E’ con l’espressione formale della volontà dell’erede che si verificano, infatti, gli effetti dell’accettazione: la registrazione è imposta a fini meramente fiscali; la trascrizione, invece, ha finalità di pubblicità, vale a dire che per essere “opponibile” ai terzi (ovvero affinché prevalga su qualsiasi successivo atto riguardante l’eredità, anche nei confronti di terzi estranei) l’atto notarile di accettazione deve risultare trascritto nei pubblici registri.

Daniele B. chiede
domenica 17/01/2016 - Toscana
“buonasera,
a seguito di una condanna penale è stato stabilito il pagamento di una provvisionale, sono a richiedere se tale provvisionale stabilita dal giudice è soggetta a prescrizione ordinaria o a quali altri termini tutto questo al fine di capire la convenienza di accettare o meno una eredità. Sempre legata al tema successorio ed alla stessa situazione vorrei sapere se l'essere subentrati in una causa civile (riassunzione penso sia il termine) come erede della persona convenuta a seguito della morte di costei si configuri come accettazione di eredità e quindi non sia più possibile rinunciare all'eredità stessa alla luce di questo atto compiuto”
Consulenza legale i 23/01/2016
Con riferimento al primo quesito (individuazione del termine di prescrizione per l'esercizio del diritto al pagamento della cd. provvisionale), occorre delineare, in breve, un quadro dell'istituto della cd. provvisionale.
All'interno del giudizio penale, l’art. 539 del c.p.p., al comma 1, nel disciplinare l'istituto della cd. condanna generica, stabilisce che se le prove acquisite nel processo non consentono la liquidazione del danno, il giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile.
Il medesimo articolo, al comma 2, nel disciplinare l'istituto della cd. provvisionale, statuisce che, su istanza della parte civile, l'imputato ed il responsabile civile possono essere condannati al pagamento di una somma di denaro - appunto, la cd. provvisionale - nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova.
Per quanto riguarda la natura della provvisionale, la giurisprudenza ha evidenziato che, in base al dettato dell'art.278 del c.p.c - analogo al dettato dell'art. 539 c.p.p. - a differenza della condanna generica, la provvisionale "dà luogo ad un vero e proprio provvedimento di condanna, che presuppone la valutazione positiva del giudice di merito circa il raggiungimento della prova di una determinata entità del danno e la cui statuizione, irrevocabile da parte del giudice che l'ha emanata e modificabile solo mediante l'esperimento dei normali mezzi di impugnazione, all'esito di questi, qualora trovi conferma, è suscettibile di passare in cosa giudicata" (cfr. Cass. Civ, sez. III, 10 agosto 2000, n. 10595).
Inoltre, si precisa che, ai sensi dell'art.540 del c.p.p., comma 2, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva.
Tuttavia, ai sensi dell'art.600 del c.p.p., comma 2, il responsabile civile e l'imputato possono proporre, mediante l'impugnazione della sentenza di primo grado al giudice di appello, la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale.
Su richiesta delle stesse parti, il giudice di appello può disporre con ordinanza in camera di consiglio, che sia sospesa l'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale quando ricorrono gravi motivi (art. 600, comma 2, del c.p.p.).
Alla luce del dibattito avutosi sull'istituto in commento, sembrerebbe potersi affermare che la condanna generica con liquidazione di una provvisionale emessa dal giudice penale in favore della parte civile non obblighi quest'ultima ad incardinare un processo civile per la liquidazione del danno ulteriore. La parte civile, infatti, potrebbe ritenersi soddisfatta di quanto riconosciutole nel giudizio penale a titolo di provvisionale.
Infatti, la parte civile - in favore della quale il giudice penale ha disposto il pagamento della cd. provvisionale - solamente laddove interessata a richiedere il riconoscimento di eventuali ulteriori danni discendenti dal fatto illecito del condannato in sede penale, potrebbe adire il giudice civile con apposita domanda.
In questo caso, pertanto, l'esito del giudizio civile assorbirebbe e "supererebbe" la condanna alla provvisionale ed il provvedimento conclusivo di tale giudizio avrebbe natura decisoria e potrebbe essere soggetto alle impugnazioni ordinarie disciplinate dal codice di procedura civile.
Per concludere - oltre a quanto precisato circa la possibilità della sospensione o della revoca della provvisionale in sede di appello ed alla possibilità del superamento della condanna alla provvisionale con sentenza del giudice civile - sembra potersi affermare che l'esercizio del diritto al pagamento della cd. provvisionale si prescriva nel termine ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 del c.c., il quale stabilisce che "i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni".
Con riferimento al secondo quesito (eventuale configurarsi dell'accettazione dell'eredità in caso di successione in una causa in qualità di erede del convenuto), si evidenzia quanto segue.
Ai sensi dell'art. 476 del c.c., l'accettazione dell'eredità può essere, oltre che espressa, tacita, nel caso in cui il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
Il caso sotteso al quesito sembra integrare proprio l'ipotesi dell'accettazione tacita dell'eredità, come confermato dalla giurisprudenza: "l'intervento in giudizio operato da un chiamato all'eredità nella qualità di erede legittimo del de cuius costituisce accettazione tacita dell'eredità ai sensi dell'art. 476 c.c., addirittura senza che alcuna rilevanza assuma la circostanza della successiva cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 8 aprile 2013, n. 8529).
Infatti l'accettazione dell'eredità, a tutela della stabilità degli effetti connessi alla successione "mortis causa", si configura come un atto puro ed irrevocabile ai sensi dell'art. 475 del c.c., e quindi insuscettibile di essere caducato da eventi successivi (cfr. brocardo latino "semel heres semper heres").
Situazione differente, che dalla prospettazione dei fatti non sembra ricorrere nel caso di specie, si avrebbe nel caso in cui il convenuto in riassunzione dimostrasse tempestivamente in giudizio la carenza di legittimazione passiva a causa dell'avvenuta rinuncia all'eredità: "viene a gravare sui convenuti in riassunzione l'onere di dimostrare il contrario e se del caso di chiarire la loro posizione in tempo utile. Ciò vale in particolar modo nel caso in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell'interessato, qual è la rinuncia all'eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell'atto di riassunzione. Alla luce degli enunciati principi di diritto, al contrario, l'odierna ricorrente avrebbe dovuto eccepire e dimostrare nella fase di merito in cui il processo era stato riassunto che il titolo a succedere era venuto a mancare, apparendo tardive le deduzioni svolte al riguardo nel presente giudizio di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 8 ottobre 2014 n. 21227).

P. F. chiede
sabato 13/07/2013 - Veneto
“Buongiorno.
Persona deceduta senza figli e divorziata.
2 fratelli in vita e 10 nipoti figli di 4 fratelli già deceduti.
Vorrei conoscere come viene ripartito il volume ereditario composto da 1 bene immobile, 1 deposito bancario e 1 postale portati in successione.
Vi è stato un prelevamento fatto 1 giorno prima della morte dell'intestataria, portato a termine da un fratello con delega. Tale prelievo deve essere giustificato da chi lo ha eseguito? L'importo era di euro 15.000.
Ringrazio e saluto”
Consulenza legale i 16/07/2013
Il patrimonio della de cuius va diviso per il numero dei fratelli, viventi o meno. Quindi, l'eredità verrà suddivisa in 6 parti uguali: 1/6 a ciascun fratello in vita e 1/6 ai figli di ciascuno dei 4 fratelli premorti, in virtù del diritto di rappresentazione stabilito per legge (artt. 467 e ss. c.c.).

All'ex marito nulla è dovuto, a meno che questi non godesse di un assegno di mantenimento al momento dell'apertura della successione e solo qualora egli versi in stato di bisogno (art. 9 bis della legge n. 898 sul divorzio).

Ciascun erede è titolare di una quota del patrimonio della defunta e per sciogliere tale comunione sarà necessaria l'operazione di divisione del complesso ereditario, da effettuarsi in via amichevole (con l'accordo di tutti gli eredi) o in via giudiziale. Il denaro potrà essere facilmente diviso, mentre, per quanto riguarda l'immobile, visto l'elevato numero di eredi, è probabile che si opterà per la vendita dello stesso e la suddivisione del ricavato: oppure, uno o più eredi potrebbero decidere di chiedere per sé l'immobile, pagando agli altri eredi i relativi conguagli.

Per quanto concerne il prelievo di somma rilevante (€ 15.000) effettuato il giorno precedente alla morte della de cuius, si devono valutare una serie di circostanze, tra le quali:
- la validità della delega rilasciata al fratello dalla defunta (eventuali vizi formali, sussistenza della capacità di intendere e di volere della delegante, etc.);
- esistenza di un titolo in base al quale il fratello era debitore della sorella (es. si tratta di restituzione di un prestito o del pagamento del prezzo di un bene ceduto alla defunta).
Qualora il prelievo fosse stato eseguito senza alcuna giustificazione, sarà possibile per gli eredi esercitare l'azione di petizione dell'eredità nei confronti di colui che ha indebitamente prelevato la somma di denaro (art. 533 del c.c.): tale somma, infatti, esistendo su conto intestato esclusivamente alla signora defunta, fa indubitabilmente parte del suo asse ereditario ed è oggetto della comunione ereditaria.

R. B. chiede
lunedì 01/07/2024
“Buongiorno
vi contatto per avere delle delucidazioni circa un immobile, del defunto zio di mia moglie, deceduto nel mese di settembre 1999.
Il de cujus non è mai stato coniugato e non aveva nessun figlio mentre, sia il fratello che la sorella, anch’essi deceduti, entrambi coniugati e genitori di cinque figli ciascuno.
Come già anticipato lo zio è deceduto nel 1999 ma, soltanto nel mese di agosto 2021, i nipoti, da parte del fratello del de cujus, hanno incaricato un tecnico per avviare le pratiche per la successione. I nipoti da parte della sorella, informati telefonicamente che si stava procedendo alla successione, riferivano di non essere interessati e che gli altri eredi potevano procedere senza di loro.
Il tecnico che si è occupato della procedura si è attivato e, infine escludendo i nipoti da parte della sorella, ha concluso la successione in favore dei soli eredi del fratello.
Il quesito che pongo è il seguente: poteva il tecnico incaricato procedere alla successione, e relativo accatastamento, escludendo una parte degli eredi? E, se così non fosse, quali sono le conseguenze di tale atto?
Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 07/07/2024
Nella vicenda che viene descritta assume particolare rilevanza l’elemento temporale, in quanto dal 1999 (anno di apertura della successione) all’anno 2021 risultano decorsi ben 22 anni.
Ora, come probabilmente è noto, l’art. 480 c.c. fissa in dieci anni il termine per accettare o rinunziare all’eredità, termine che, secondo la tesi prevalente, anche in giurisprudenza, è da considerare di prescrizione e non di decadenza.
Configurando il termine come prescrizione, la costante giurisprudenza (C. 2975/1989) afferma che essa non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (art. 2938 del c.c.), ma deve essere eccepita da chi vi abbia interesse (art. 2939 del c.c.), anche se estraneo all'eredità, quale può essere ad esempio chi abbia nel frattempo posseduto i beni ereditari, senza bisogno che sia maturata l'usucapione (cfr. Cass.n. 9980/2018; Cass. n. 9901/1995).
Da ciò se ne fa discendere che è ben possibile acquistare l'eredità anche con una accettazione tardiva, resa cioè dopo un decennio, se nessuno abbia opposto la prescrizione, e fin quando alcuno la opponga ( Cass. n. 5633/1987).

Pertanto, del tutto legittimo deve ritenersi l’operato di quei nipoti che, malgrado il decorso del termine decennale e nella qualità di chiamati ex lege, hanno deciso di presentare la dichiarazione di successione tardiva, atto che, si precisa, non si configura come accettazione tacita di eredità, essendo volto a soddisfare soltanto interessi di natura fiscale.
Diverso, invece, è il caso del chiamato all’eredità che ponga in essere atti al contempo fiscali e civili, quali la denuncia di successione accompagnata dalla voltura catastale, la quale ultima rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche sotto il profilo civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi.
In tal senso si è espressa di recente la Corte di Cassazione, Sez. III civ., con ordinanza n. 12259/2022, così massimata:
“A differenza della mera denuncia di successione, che ha valore esclusivamente fiscale, la voltura catastale ha invece rilievo sia agli effetti civili che a quelli catastali, ed è atto idoneo ad integrare un'accettazione tacita dell'eredità. Pertanto, deve considerarsi erede colui che ha effettuato la voltura al Catasto dei beni del de cuius a proprio favore”.

Una volta compiuto il suddetto atto di accettazione tacita, i soggetti, divenuti ormai eredi, si trovano nella condizione, se lo desiderano, di alienare a terzi estranei il bene così acquisito al loro patrimonio, con l’unica particolarità che il notaio che andrà a rogare l’eventuale atto di compravendita sarà anche tenuto a verificare e curare la trascrizione della intervenuta accettazione tacita di eredità, in ottemperanza al disposto di cui all’art. 2648 del c.c..
Infatti, l’atto con cui si dispone di un bene di provenienza successoria costituisce il presupposto giuridico per poter procedere alla trascrizione dell’acquisto mortis causa, ma non deve necessariamente trattarsi dell’atto con il quale il soggetto acquista la qualità di erede.

Corretto, peraltro, deve ritenersi il comportamento dei discendenti del fratello del de cuius che, prima di compiere quegli atti comportanti accettazione tacita di eredità, hanno avuto l’accortezza di informare i discendenti della sorella dello stesso de cuius.
A questo punto, i secondi, dopo aver manifestato il loro disinteresse, non saranno più nella condizione di operare allo stesso modo, in quanto vi sono ormai degli eredi che si opporranno ad una loro accettazione, anche tacita, posta in essere dopo il decorso del termine fissato dall’art. 480 c.c.


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