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Articolo 720 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Immobili non divisibili

Dispositivo dell'art. 720 Codice Civile

Se nell'eredità vi sono immobili(1) non comodamente divisibili(2)(3) [560 c.c.], o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia [722, 846 c.c.] o dell'igiene, e la divisione dell'intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto [2646 c.c.; 748, 788 c.p.c.].

Note

(1) Benché la norma parli solo di beni immobili, si ritiene che l'art. 720 del c.c. si possa applicare anche ai mobili e alle aziende.
(2) Per "non comodamente divisibili" si intende quei beni la cui divisione comporterebbe problemi tecnici di dispendiosa soluzione, o la menomazione della funzionalità o del valore economico, considerata anche la destinazione e l'utilizzo del bene.
(3) Oltre ai beni relativamente divisibili (v. nt. 2), la norma si applica anche ai beni assolutamente indivisibili, ossia quelli che, se divisi, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinati (es. muro divisorio e scala comune).

Ratio Legis

Qualora la divisione non sia attuabile senza recare pregiudizio alla funzionalità dei beni o al loro valore economico, si ritiene preferibile sacrificare il diritto dei singoli eredi di ricevere una porzione di tutti i beni del patrimonio ereditario in proporzione alla propria quota (v. art. 718 del c.c.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

348 L'art. 267 del testo precedente, che avrebbe dovuto dettare le norme relative al trattamento degl'immobili non divisibili, considerava, in realtà, due ipotesi ben differenti: quella che nell'eredità fossero compresi immobili non comodamente divisibili; e l'altra, che, per pagare i debiti ereditari, i condividenti concordassero nella vendita d'immobili. All'una e all'altra si applicava la disposizione, dettata nell'articolo 266 per la vendita di mobili, che prescriveva di procedere all'incanto o, secondo i casi, a vendita fra i condividenti senza pubblicità. Nel primo e nell'ultimo comma dell'art. 274, poi, si contemplava l'ipotesi di fabbricati o fondi rustici, considerati non divisibili perché il loro frazionamento sarebbe riuscito pregiudizievole alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene: in questo caso era disposto che tali beni dovessero preferibilmente esser compresi per intero nella quota di uno dei condividenti o attribuiti congiuntamente a più condividenti, se insieme ne avessero richiesta l'attribuzione. In mancanza, si sarebbe proceduto a vendita secondo l'art. 267. Riesaminata in sede di coordinamento la materia, mi è sembrato opportuno darle una sistemazione più armonica, raggruppando insieme le ipotesi identiche o affini e unificandone, dove era diverso, il regolamento. Ho, pertanto, fuse nell'art. 719 del c.c. le disposizioni concernenti la vendita degli immobili e dei mobili fatte per pagare i debiti dell'eredità e disciplinato in un solo articolo, estendendo la norma dell'art. 274, gl'immobili non divisibili, sia che la non divisibilità derivi da difficoltà del frazionamento, sia che essa derivi dall'esigenza di non recar pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene.
350 E' stato proposto di prevedere, in genere, la possibilità di attribuire a uno o più coeredi, congiuntamente, un immobile il cui valore corrisponda all'ammontare complessivo delle loro quote. Una disposizione del genere, contenuta nel progetto della Commissione Reale, era stata considerata superflua nella redazione del progetto definitivo, perché si era ritenuto che fosse implicitamente contenuta nella disposizione dell'ultimo comma dell'art. 264 del progetto stesso, che consentiva l'attribuzione a un coerede di un immobile indivisibile per ragioni di pubblica economia e d'igiene, anche se superasse la quota spettante al detto coerede. Senonché ho rilevato che la situazione prevista dall'art. 264 del progetto era giustificata dalla necessità obbiettiva, affermata nel primo comma dell'articolo stesso, di evitare il frazionamento degli immobili con pregiudizio della pubblica economia. Ciò mi ha portato a considerare che l'attribuzione a più coeredi di un immobile, il cui valore corrisponda all'ammontare complessivo delle loro quote, può essere utile solo se sia giustificata dalla necessità di non frazionare l'immobile stesso; ma se tale esigenza non sussiste può esservi il pericolo di privare gli altri coeredi delle loro quote in natura, senza apprezzabile vantaggio degli interessi generali. La norma mi è sembrata pertanto pericolosa, come disposizione di carattere generale, mentre mi è sembrato utile enunziarla espressamente a proposito degli immobili indivisibili. In tali sensi perciò ho modificato, come ho già detto, l'art. 720 del c.c..

Massime relative all'art. 720 Codice Civile

Cass. civ. n. 1647/2023

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue l'inapplicabilità della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi e, quindi, dell'art. 599 c.p.c. (norma che impone al creditore di dare avviso dell'esecuzione forzata ai comproprietari).

Cass. civ. n. 36736/2022

Nell'ambito della normativa di cui all'art. 720 c.c., l'espressa e specifica istanza del condividente interessato assurge ad imprescindibile presupposto dell'attribuzione, dovendosi escludere che i poteri discrezionali attribuiti al giudice della divisione dalla citata norma si estendano fino all'inclusione d'ufficio dell'immobile indivisibile nella porzione di un condividente che non ne abbia fatto esplicita richiesta, pur se titolare della maggior quota; analogamente, accertata la non comoda divisibilità di uno o più immobili ereditari, l'inclusione di essi nelle porzioni di più coeredi non può avere luogo se costoro non ne abbiano richiesta congiuntamente l'attribuzione, essendo in linea di principio vietato il c.d. raggruppamento parziale delle porzioni, cioè la divisione in lotti nell'interno dei quali si stabilisca comunione fra gruppi di condividenti, allorché non vi sia il consenso di costoro.

Cass. civ. n. 18641/2022

In tema di scioglimento della comunione legale, in caso di attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che non era assegnatario dello stesso quale casa coniugale, né affidatario della prole, si realizza una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell'intero, sicché, posto che continua a sussistere il diritto di godimento in capo all'altro coniuge, il coniuge non assegnatario diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all'assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso, con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

In tema di scioglimento della comunione legale, l'attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che ne era già assegnatario, comportando la concentrazione, in capo a quest'ultimo, del diritto personale di godimento scaturito dall'assegnazione giudiziale e di quello dominicale sull'intero immobile, che permane privo di vincoli, configura una causa automatica di estinzione del primo, che, pertanto, non potrà avere alcuna incidenza sulla valutazione economica del bene in comunione a fini divisori, o sulla determinazione del conguaglio dovuto al coniuge comproprietario non assegnatario, dovendosi conferire all'immobile un valore economico pieno, corrispondente a quello venale di mercato; né, a tal fine, rileva che nell'immobile stesso continuino a vivere i figli minori, o non ancora autosufficienti, affidati al coniuge divenutone proprietario esclusivo, rientrando tale aspetto nell'ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole, da regolamentare nella sede propria, anche con la eventuale modificazione dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 35210/2021

Il comproprietario che sia risultato assegnatario del bene a seguito del giudizio di primo grado e che, tuttavia, non ne tragga diretto godimento, per non essergli quello rilasciato dal condividente che ne ha abbia la concreta disponibilità, ha diritto a conseguire da quest'ultimo i frutti del bene medesimo, maturati dopo la sentenza di primo grado, considerando che il protrarsi del giudizio in sede di impugnazione - e, con esso, della privazione del godimento del bene, in considerazione della natura costitutiva della sentenza di scioglimento della comunione che, per il prodursi dei suoi effetti, presuppone, anche relativamente al diritto al rilascio del bene, il passaggio in giudicato - non può pregiudicare il diritto dell'avente diritto di pretendere le rendite che gli sono dovute.

Cass. civ. n. 21612/2021

In tema di divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario, l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., non solo nel caso di mera "non divisibilità" dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi - secondo un accertamento riservato all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa - non siano "comodamente" divisibili e, cioè, allorché sia elevata la misura dei conguagli dovuti tra le quote da attribuire ovvero quando quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero ovvero. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in presenza di due immobili aventi una notevole differenza di valore, li ha assegnati ad uno solo dei condividenti sul presupposto che una divisione che avesse previsto due quote formate, ognuna, da uno dei beni avrebbe comportato il versamento di un conguaglio tale da assorbire in modo significativo una delle due quote, vanificando in tal modo l'obiettivo dell'effettiva divisione in natura).

Cass. civ. n. 11844/2021

In tema di giudizio divisorio, non costituiscono eccezione alla comoda divisibilità di un immobile la necessità di conseguire specifici titoli autorizzativi per attuare la divisione, né l'esigenza di eseguire, all'uopo, lavori, i quali attengono, piuttosto, all'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, di cui può essere investito il giudice. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO PERUGIA, 04/07/2019)
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Cass. civ. n. 3512/2019

Nel giudizio di divisione ereditaria, la comunione su un bene immobile non comodamente divisibile ex art. 720 c.c., esistente tra medesimi soggetti ma in virtù di titoli diversi, dando luogo alla formazione di autonome masse, impone la diversificazione delle operazioni divisionali che, secondo un criterio logico-cronologico, devono essere compute partendo dallo scioglimento della comunione più risalente per poi procedere via via allo scioglimento di quelle successive, senza che la valutazione delle richieste concorrenti di attribuzione sia influenzata dall'esito delle precedenti attribuzioni che hanno posto termine allo stato di indivisione su autonome comunioni. (Nella specie, il giudice d'appello aveva invece attribuito a una condividente la proprietà esclusiva di un bene immobile comune non divisibile, tenendo conto, ai fini dell'individuazione del maggior quotista sul predetto bene, della precedente assegnazione ad altro condividente della proprietà piena di un diverso bene immobile comune proveniente da titolo diverso). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 10/01/2014).

Cass. civ. n. 3497/2019

Nel giudizio di divisione, l'istanza di attribuzione di un bene immobile indivisibile ex art. 720 c.c. costituisce una modalità attuativa della divisione, risolventesi nella mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, sicché, non essendo domanda ma eccezione, può essere formulata o essere oggetto di rinuncia anche in grado d'appello. (Nella specie, il giudice d'appello aveva invece ritenuto inammissibile la domanda di vendita proposta in secondo grado, in quanto quella di assegnazione avanzata in prime cure e accolta dal giudice non era stata fatta oggetto di impugnazione ed era perciò passata in giudicato).

Cass. civ. n. 20961/2018

L'art. 720 c.c. non obbliga il giudice ad attenersi necessariamente al criterio della quota maggiore, nel caso in cui uno o più immobili non siano comodamente divisibili, riconoscendogli la legge il potere discrezionale di derogare al criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della maggior quota. Tale discrezionalità non subisce alcuna limitazione nemmeno quando la scelta vada effettuata tra il singolo titolare della quota maggiore e, congiuntamente, gli altri titolari delle quote inferiori, che sommate tuttavia superano la prima; in tal caso, pur trovando preferibilmente applicazione il principio del "favor divisionis" (poiché la richiesta avanzata dal titolare della quota maggiore determinerebbe l'immediato scioglimento della comunione), vengono fatte salve le ragioni di opportunità, che devono essere esplicitate dal giudice di merito, quando ritenga di procedere all'assegnazione congiunta del bene.

Cass. civ. n. 25888/2016

In tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., non solo nel caso di mera "non divisibilità" dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano "comodamente" divisibili e, cioè, allorché, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, malgrado la naturale ed agevole divisibilità di un bene immobile, costituito da due locali con ingressi indipendenti, ne aveva dichiarato la non comoda divisibilità, per la stretta connessione economica e funzionale dei locali medesimi, l’uno, adibito a deposito, strumentale all’altro, utilizzato come negozio).

Cass. civ. n. 20250/2016

Nell'ipotesi di non comoda divisibilità dei beni immobili compresi nell'eredita, è consentito che venga assegnato ad alcuni coeredi, che ne facciano unitamente domanda, un cespite comodamente separabile dagli altri e rientrante nella quota congiunta dei coeredi predetti, ancorché gli altri coeredi si oppongano, in quanto, come risulta dai principi in tema di comunione e dal combinato disposto degli artt. 718 e 720 c.c., l'attribuzione a più coeredi di un unico cespite "pro indiviso" è possibile se vi sia la richiesta congiunta dei coeredi interessati, che sono soltanto coloro i quali rimarranno in comunione nei confronti del cespite di cui è stata domandata la attribuzione.

Cass. civ. n. 6931/2016

Il principio dell'universalità della divisione ereditaria non è assoluto ed inderogabile, potendosi anche procedere ad una divisione solo parziale se un accordo in tal senso intervenga tra le parti ovvero quando costituisca oggetto di una domanda giudiziale senza che alcuna delle altre parti ne estenda la portata, chiedendo di trasformare in porzioni concrete le quote dei singoli comproprietari, con divisione dell'intero asse.

In materia di divisione giudiziale, la somma dovuta dal condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile a titolo di conguaglio in favore di quello non assegnatario ha natura di debito di valore, sicché, sorgendo all'atto dell'assegnazione del bene, va rivalutata, anche d'ufficio, al momento della decisione della causa di divisione, senza che, peraltro, da ciò ne derivi l'alterazione del "petitum" della controversia, poiché la rivalutazione incide esclusivamente sulla concreta quantificazione della quota in termini monetari.

Cass. civ. n. 5603/2016

In tema di divisione ereditaria, il giudice, ai sensi dell'art. 720 c.c., può attribuire, per l'intero, un bene non comodamente divisibile, non solo nella porzione del coerede con quota maggiore, ma anche nelle porzioni di più coeredi che tendano a rimanere in comunione, come titolari della maggioranza delle quote.

Cass. civ. n. 10216/2015

In tema di divisione, quando nella comunione ereditaria sia compreso un immobile non comodamente divisibile e vi siano coeredi titolari di quote identiche, la scelta tra coloro che ne richiedano l'attribuzione è rimessa, ai sensi dell'art. 720 cod. civ., al giudice sulla base di ragioni di opportunità e convenienza, mentre il rimedio residuale della vendita all'incanto trova applicazione solo ove non sia ravvisabile alcun criterio oggettivo di preferenza, senza che, peraltro, l'individuazione del condividente cui assegnare il bene possa dipendere dalla maggiore offerta, che uno di essi faccia, rispetto al prezzo di stima, non caratterizzandosi il procedimento divisionale come una gara tra i coeredi.

Cass. civ. n. 8259/2015

In tema di divisione ereditaria, mentre il pagamento del conguaglio in danaro, di cui all'art. 728 cod. civ., è previsto per compensare l'ineguaglianza in natura delle quote e, dunque, prescinde dal consenso del coerede al quale sia imposto, il conguaglio stabilito dall'art. 720 cod. civ., in quanto destinato a facilitare la divisione di immobili non comodamente divisibili e tale, perciò, da alterare la proporzionale distribuzione dei beni tra i condividenti, impone, invece, il consenso degli stessi.

Cass. civ. n. 12779/2013

In tema di divisione ereditaria, in caso di immobile non comodamente divisibile, l'addebito dell'eccedenza, ai sensi dell'art. 720 cod. civ., a carico del condividente assegnatario dell'intero bene ed a favore di quello non assegnatario (o assegnatario di un bene di valore inferiore alla propria quota di partecipazione alla divisione), prescinde dalla domanda delle parti, in quanto attiene alle concrete modalità di attuazione del progetto divisionale devolute alla competenza del giudice, perseguendo la sentenza di scioglimento della comunione il mero effetto di perequare il valore delle rispettive quote.

Cass. civ. n. 14577/2012

In materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un'eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall'irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall'impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell'usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.(Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso, assumendo che il mutamento di tipologia di un immobile da destinazione unifamiliare a bifamiliare non ne mutasse la destinazione urbanistica, e quindi non incidesse sulla comoda divisibilità dello stesso).

Cass. civ. n. 9845/2012

In materia di divisione giudiziale, la somma dovuta a conguaglio dal condividente assegnatario a quello non assegnatario ha natura di debito di valore, che sorge, dopo lo scioglimento della comunione, all'atto dell'assegnazione a uno soltanto dell'intero bene non comodamente divisibile; da tale momento, quindi, sulla somma relativa sono dovuti gli interessi corrispettivi.

Cass. civ. n. 25332/2011

In tema di divisione giudiziale, l'indivisibilità o la disagevole divisibilità di un immobile, integrando un'eccezione al diritto di ciascun partecipante alla comunione di conseguire la sua parte di beni in natura (art. 718 c.c.), può ritenersi legittimamente predicabile solo nell'ipotesi in cui singole unità immobiliari siano considerate indivisibili o non comodamente divisibili; ne deriva che l'indivisibilità non può riguardare blocchi di beni.

Cass. civ. n. 22082/2011

Nell'ipotesi di immobili non comodamente divisibili, l'attribuzione dell'intero immobile in comproprietà ai coniugi, contitolari in regime patrimoniale di comunione legale dei beni della quota maggiore, non è in contrasto con il principio del "favor divisionis" al quale è informato l'art. 720 c.c., tenuto conto della considerazione unitaria del diritto dei coniugi i quali, alla stregua della disciplina normativa contenuta negli artt. 159 e seguenti c.c., non sono titolari di un diritto di quota di cui possono disporre, come avviene nella comunione ordinaria, ma sono solidalmente titolari di un diritto sui beni comuni di cui ciascuno di essi può disporre senza il consenso dell'altro.

Cass. civ. n. 11519/2011

In tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota (trattandosi di bene non comodamente divisibile, attribuito al titolare della quota maggiore ex art. 720 c.c.) e, sin dall'apertura della successione, il citato assegnatario si trovava nel possesso dell'intero bene, avendone percepito i frutti, oltre al diritto al conguaglio dovuto agli altri condividenti (regolato nell'ambito del giudizio di divisione), sorge a favore di questi ultimi altresì il diritto alla corresponsione degli interessi, di natura corrispettiva, sul capitale oggetto di gestione pregressa, da determinarsi nel più complesso rapporto di debito e credito relativo ai frutti - eventualmente maturati e non percepiti - prodotti dai beni costituenti la comunione ereditaria e di cui investire il giudice non già con la citata azione di divisione (che concerne il conguaglio sul capitale a tale titolo attribuito), bensì con autonoma, sia pure contestuale, azione di rendiconto, in considerazione della situazione esclusiva di godimento dei beni in comunione per il periodo precedente di indivisione.

Cass. civ. n. 11641/2010

L'art. 720 c.c., nel disciplinare l'ipotesi in cui l'immobile oggetto di comunione non sia divisibile o comodamente divisibile a prescindere dal fatto che le quote dei condividenti siano o meno eguali, configura la vendita all'incanto come rimedio residuale cui ricorrere quando nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero.

Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione (così esaminando i contrapposti interessi dei condividenti in proposito), e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, a condizione che sia adeguatamente e logicamente motivato.

Cass. civ. n. 10624/2010

In tema di divisione giudiziale immobiliare, il debito da conguaglio che grava sul condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile ha natura di debito di valore, da rivalutarsi, anche d'ufficio, se e nei limiti in cui l'eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; l'esistenza di poteri officiosi del giudice, peraltro, non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l'avvenuta verificazione di tale evento, posto che la rivalutazione non può avvenire tramite criteri automatici.

Cass. civ. n. 22857/2009

In tema di divisione ereditaria, nel caso in cui uno o più immobili non risultino comodamente divisibili, il giudice ha il potere discrezionale di derogare al criterio, indicato nell'art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - in un giudizio di divisione tra fratelli relativo ad un immobile proveniente dall'eredità paterna - aveva assegnato il bene alla sorella titolare di una quota minore, valorizzando il fatto che ella abitava nell'immobile da svariati anni e che non ne possedeva un altro nello stesso luogo, mentre i fratelli vivevano all'estero e uno di loro era proprietario di un altro immobile di sette vani nel medesimo paese).

Cass. civ. n. 14321/2007

In sede di divisione ereditaria, ai fini dell'accertamento della comoda divisibilità degli immobili a norma dell'art. 720 c.c. e della individuazione del titolare della quota maggiore, onde poter applicare il criterio preferenziale previsto da tale articolo, deve aversi riguardo alla situazione economica (consistenza e valore) e giuridica (numero ed entità delle quote) dei beni al momento della divisione e, quindi, alla situazione presa in esame dalla relativa pronuncia giudiziale, e non a quella esistente al momento dell'apertura della successione, dovendosi tener conto, pertanto, anche delle successive vicende negoziali e della eventuale concentrazione delle quote in capo ai coeredi.

Cass. civ. n. 3635/2007

In tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l'art. 718 c.c., il quale riconosce a ciascun coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., non solo nel caso di mera «non divisibilità» dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano «comodamente» divisibili, situazione, questa, che ricorre nei casi in cui, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero. (Nella specie, sulla scorta dell'enunciato principio, la S.C. ha rilevato, sul punto, l'adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata con la quale era stata accertata la non comoda divisibilità dell'immobile controverso, desunta dalla circostanza che le singole potenziali porzioni sarebbero risultate gravate da tre servitù incidenti, come tali, in senso peggiorativo sul loro valore effettivo, nonché della valutazione di eccessività del conguaglio che avrebbe dovuto essere imposto a carico di una quota).

Cass. civ. n. 14540/2004

Il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l'art. 720 c.c. postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l'aspetto economico - funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso.

Cass. civ. n. 11575/2004

In tema di scioglimento di comunione, ai sensi dell'art. 720 c.c., l'applicazione del criterio (preferenziale e non obbligatorio) di comprendere per l'intero, nella quota di uno dei coeredi, l'immobile non comodamente desumibile, postula che l'attribuzione dei beni avvenga a favore del condividente che sia titolare della quota maggiore rispetto a quella degli altri comunisti.

Cass. civ. n. 5679/2004

Ai sensi dell'art. 720 c.c., secondo cui se l'immobile non sia comodamente divisibile ovvero se il frazionamento creerebbe pregiudizio alle ragioni dell'economia pubblica o dell'igiene, l'immobile deve essere preferibilmente ricompreso per intero nella porzione di uno dei condividenti aventi diritto alla quota maggiore, il giudice non ha il potere di scelta fra attribuzione dell'immobile e vendita, essendo la prima certamente obbligatoria quando sia perseguibile, giacché l'avverbio «preferibilmente» non si riferisce all'alternativa fra assegnazione e vendita - che rappresenta la extrema ratio adottabile nella sola ipotesi di indisponibilità di tutti i condividenti ad acquisire l'intero — ma al criterio di scelta del condividente avente diritto alla assegnazione, che deve essere in primis individuato nel titolare della quota maggiore ma con possibilità di una diversa opzione se adeguatamente giustificata.

Cass. civ. n. 2100/2004

Il diritto sul palco in teatro non ha come oggetto, i posti, a sedere o in piedi, che esso contiene, ma lo spazio intero — aperto sulle balconate sovrapposte nelle pareti perimetrali della sala, in cui si svolgono gli spettacoli — dal quale i titolari possono assistere alle rappresentazioni, e tutto il bene forma normalmente oggetto di proprietà superficiaria o di proprietà superficiaria separata, secondo il titolo. E poiché, in ragione della sua peculiare conformazione fisica (la struttura) e delle utilità specifiche che offre (la funzione), tutto il palco, di per sé, non è suscettibile di divisione, in quanto non permette la formazione di un numero di quote uguali a quello dei condividenti, nel caso di comproprietà del palco e di scioglimento della comunione il bene giuridico «palco» deve essere compreso per intero nella quota dei condividenti titolari della quota maggiore, con addebito dell'eccedenza.

Cass. civ. n. 6653/2003

In caso di divisione giudiziale di un immobile mediante assegnazione ad uno dei condividenti tenuto a versare i dovuti conguagli in denaro, gli interessi sulle somme dovute decorrono a far data dalla pronuncia giudiziale — definitiva o provvisoria — di scioglimento della comunione e di assegnazione del bene al condividente stesso — per questo contestualmente dichiarato tenuto alla corresponsione del conguaglio in favore dell'altro —, e non anche dal momento della domanda giudiziale di divisione ovvero da quello della sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 4013/2003

Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, ed a maggior ragione quando le quote siano eguali e non soccorra quindi l'unico criterio indicato dalla legge (di preferire, cioè il condividente «avente diritto alla quota maggiore»), il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione, e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, potendo essere oggetto di controllo in questa sede soltanto la logicità intrinseca e la sufficienza del ragionamento operato dal giudice di merito.

Cass. civ. n. 12998/2001

Il concetto di comoda divisibilità di un immobile cui fa riferimento l'art. 720 c.c., postula che il frazionamento del bene sia attuabile in tante porzioni separate, ciascuna delle quali suscettibile di autonomo godimento da parte di ciascun condividente secondo l'ordinaria normale funzione dell'intero.

Il criterio indicato dall'art. 720 c.c., secondo cui gli immobili non comodamente divisibili compresi nell'eredità devono essere attribuiti preferibilmente per intero ad uno dei coeredi avente diritto alla quota maggiore con addebito dell'eccedenza, integra un criterio di massima da cui il giudice di merito può discostarsi attribuendo l'intero alla pluralità degli altri coeredi che ne abbiano fatto congiuntamente richiesta quando, secondo il suo prudente apprezzamento, ricorrono ragioni di opportunità.

Cass. civ. n. 1245/2001

In tema di divisione, il conguaglio che il condividente, a cui sia attribuito per intero l'immobile, deve corrispondere ad altro coerede, costituisce debito di valore, esprimendo l'equivalente economico della quota spettante di tale bene e pertanto va stabilito con riferimento al valore di questo al momento della decisione della causa di divisione. Tale valore non è però determinabile maggiorando automaticamente il prezzo del bene accertato dal consulente tecnico di ufficio nel corso del giudizio divisorio dell'indice di svalutazione monetaria, intervenuta tra la data dell'accertamento e quella della pronuncia della sentenza, in quanto spesso gli immobili si rivalutano con un ritmo più elevato, o comunque diverso, da quello di svalutazione della moneta secondo gli indici calcolati dall'Istat, sì che il riferimento a tale indice è inidoneo per una rivalutazione equa della somma dovuta a conguaglio.

Cass. civ. n. 1566/1999

L'attribuzione di un bene indivisibile ad un gruppo di comunisti le cui quote, soltanto perciò, superano la maggior quota singola, di cui è titolare il condividente antagonista, viola il principio del favor divisionis, perché in tal modo non si scioglie la comunione, ma la si mantiene, pur se ridotta ai contitolari della quota collettiva, mentre, in presenza di contrapposte domande di assegnazione, deve esser preferito l'aspirante titolare della maggior quota individuale.

Cass. civ. n. 5947/1996

L'accertamento della comoda divisibilità del bene, ai fini dello scioglimento della comunione, va operato a norma dell'art. 720 c.c., tenendo conto dell'aspetto economico, funzionale e materiale e non alla stregua della norma processuale dell'art. 577 c.p.c. che attiene alla semplice divisibilità di beni immobili, costituenti un'astratta e non ancora definitiva unità colturale e contiene, perciò, un minus rispetto alla comoda divisibilità prevista dalla norma sostantiva (art. 846 c.c.).

Cass. civ. n. 4111/1996

La comoda divisibilità di un bene, ai fini dell'eventuale assegnazione in natura delle quote spettanti agli aventi diritto, ricorre solo quando, in relazione alla struttura del bene, sia possibile la formazione di un numero di quote omogenee eguale a quello dei condividenti e non quando le quote omogenee possibili siano inferiori.

Cass. civ. n. 2335/1995

L'art. 720 c.c. prevede la vendita all'incanto degli immobili non divisibili come rimedio residuale cui ricorrere quando nessuno dei coeredi voglia avvalersi della facoltà di domandare l'attribuzione dell'intero con addebito dell'eccedenza. Pertanto, detti immobili debbono essere preferibilmente compresi per intero nella porzione di uno degli aventi diritto alla quota maggiore, secondo il criterio di massima indicato
dall'art. 720 c.c., il quale non impedisce peraltro l'esercizio da parte del giudice della facoltà di procedere all'assegnazione, anche quando le quote dei condividenti siano eguali.

Cass. civ. n. 2163/1995

Nell'ipotesi di non comoda divisibilità dell'immobile comune e di richiesta di assegnazione da parte di più condividenti, ciascuno titolare di una quota di comproprietà pari a quella spettante all'altro, il giudice di merito è tenuto a dare adeguata giustificazione delle ragioni della scelta dell'uno piuttosto che dell'altro aspirante all'assegnazione. Tale obbligo non è assolto allorché, in caso di rinunzia all'assegnazione condizionata, il giudice si limiti a richiamare l'indicazione della parte senza spiegare le ragioni in base alle quali la condizione è stata disattesa. (Nella specie, il condividente aveva dichiarato in via alternativa la propria rinunzia all'assegnazione, subordinandola alla condizione dell'offerta di un maggior conguaglio da parte dell'altro condividente).

Cass. civ. n. 2117/1995

L'unitaria destinazione economica del bene comune non ne esclude la comoda divisibilità, ai sensi dell'art. 720 c.c., nel giudizio di divisione regolato dagli artt. 784 ss. c.p.c., se il bene può essere materialmente ripartito, senza pregiudizio dell'originario valore economico, in parti vantaggiosamente utilizzabili dai singoli condividenti.

Cass. civ. n. 7700/1994

In sede di divisione di una comunione ereditaria, qualora di essa facciano parte più immobili che, seppure isolatamente considerati non possano dividersi in tante frazioni quante sono le quote dei condividenti, ma consentano da soli o insieme con altri beni, di compone la quota di alcuni in modo che porzioni degli altri possano formarsi con i restanti immobili del compendio, non può più farsi questione di indivisibilità o di non comoda divisibilità, dato il realizzarsi del soddisfacimento delle quote con la ripartizione qualitativa e quantitativa dei vari cespiti compresi nella comunione. (Nella specie la Suprema corte ha annullato la sentenza di merito che, in presenza di più immobili, di cui il maggiore materialmente indivisibile, aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta subordinata di un condividente circa l'attribuzione a sé medesimo dell'immobile maggiore, con obbligo di conguaglio a favore degli altri, assegnando l'intero compendio immobiliare ad altro condividente con relativo conguaglio).

Cass. civ. n. 543/1994

La richiesta di attribuzione dell'intero immobile non comodamente divisibile, rientrando nel contenuto della domanda di scioglimento della comunione, non attiene alla disposizione del diritto sostanziale e quindi ben può essere avanzata dal procuratore della parte rappresentata ai sensi dell'art. 84 c.p.c. senza che occorra a tal fine il rilascio da parte di quest'ultima di uno specifico mandato.

Cass. civ. n. 8805/1993

Per il disposto dell'art. 720 c.c. gli immobili non comodamente divisibili compresi nell'eredità devono essere attribuiti preferibilmente per intero ad uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, con addebito dell'eccedenza, o anche nelle porzioni di più coeredi se questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione, mentre se nessuno dei coeredi è a ciò disposto si fa luogo alla vendita all'incanto. Pertanto, non può essere accolta, perché non conforme al dettato normativo, la richiesta di un coerede che, divenuto nel corso del giudizio titolare della quota maggiore, chieda l'attribuzione di altre porzioni dell'immobile residuo e la vendita all'incanto delle rimanenti parti dell'immobile non attribuite.

Cass. civ. n. 8922/1991

In applicazione del principio del favor divisionis, cui è ispirato l'art. 720 c.c., nel caso in cui, in presenza d'una pluralità di richieste di assegnazione, nell'eredità sia compreso un immobile non comodamente divisibile, salvo che vi siano ragioni di opportunità (ravvisabile nell'interesse comune dei condividenti) va accolta la richiesta di attribuzione di detto bene del coerede condividente titolare della quota maggiore, e non quella di attribuzione congiunta del bene degli altri aventi diritto a quote tra loro eguali, atteso che quest'ultima a differenza dell'attribuzione del bene al maggior quotista comporterebbe il protrarsi della comunione, sia pure con riferimento ad un numero di partecipanti minore di quello originario.

Cass. civ. n. 8223/1990

In tema di divisione l'attribuzione di una porzione pro indiviso a più condividenti postula, a norma dell'art. 720 c.c., la indivisibilità dell'oggetto, per cui ove la porzione stessa consti invece di una molteplicità di beni che consenta, con l'attribuzione di uno o più di essi, il soddisfacimento della quota spettante ad altro condividente qualificato da una quota maggiore, si deve dare la preferenza a quest'ultima soluzione, in quanto idonea a realizzare, almeno nei confronti di uno dei partecipanti, lo scioglimento della comunione.

Cass. civ. n. 8201/1990

Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nei criteri di opportunità che debbono ispirare la scelta e nell'obbligo di indicarne i motivi.

Cass. civ. n. 7835/1990

In tema di divisione ereditaria, per l'accertamento della comoda (o meno) divisibilità degli immobili, ai sensi dell'art. 720 c.c., deve aversi riguardo al numero delle quote che spettano agli originari chiamati (di primo grado: una quota per ogni grado; di secondo grado: una quota per ogni stirpe) che abbiano accettato, senza che abbia rilievo il fatto che ad uno dei condividenti sia succeduta al momento della divisione una pluralità di soggetti, trovando il relativo diritto riconoscimento solo successivamente con riguardo alla ulteriore divisione della quota spettante al loro dante causa.

Cass. civ. n. 7716/1990

In tema di divisione, la norma dell'art. 720 c.c. — il quale stabilisce che i beni comuni non comodamente divisibili debbano essere compresi per intero, con addebito dell'eventuale eccedenza, nella porzione di uno dei partecipanti avente diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più partecipanti, se questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione, — non pone una disciplina inderogabile bensì un trattamento preferenziale, per la cui concessione è sufficiente il mero riscontro delle condizioni richieste dalla legge, per contro potendosi diversamente provvedere solo a condizione che l'assegnazione del bene al condividente titolare della quota minore sia giustificata da motivi riguardanti l'interesse comune delle parti.

Cass. civ. n. 2989/1990

Ad escludere la comoda divisibilità di un bene immobile, non è sufficiente un qualsiasi deprezzamento, anche se di lieve entità, delle porzioni rispetto al valore del bene indiviso (come quello indotto, di norma, dall'essere, le porzioni, parte di un'unità originariamente indivisa), ma è necessario che la riduzione di valore delle porzioni — che può (e deve) risultare solo dal rapporto tra l'ampiezza della normale ed ordinaria utilizzazione del bene indiviso e quella consentita dalle porzioni da attribuire ai partecipanti alla comunione — sia sensibile ed apprezzabile.

Cass. civ. n. 6105/1987

L'art. 720 c.c. per il quale, in caso di divisione, gli immobili indivisibili devono essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, pone non una disciplina inderogabile, ma solo un criterio di preferenza, sicché, quando vi sia una pluralità di richieste di assegnazione di un immobile indivisibile, il giudice ha la facoltà di attribuire per intero il cespite all'uno anziché all'altro condividente ovvero di comprenderlo nella porzione del titolare della quota maggiore o nella porzione di più condividenti, nell'esercizio di un potere discrezionale, assoggettato al solo limite della indicazione delle ragioni della scelta.

Cass. civ. n. 4233/1987

In tema di divisione, deve intendersi per «comoda divisibilità» di un bene non tanto la mera possibilità di una sua materiale ripartizione tra gli aventi diritto, quanto la sua concreta attitudine ad una ripartizione da cui derivi a ciascun partecipante, o gruppo di partecipanti, un bene il quale, perdendo il minimo possibile dell'originario valore indotto dall'essere elemento di una entità unitaria, non abbia neppure a subire particolari limitazioni funzionali o condizionamenti. La relativa indagine, pertanto, deve essere effettuata in concreto, con riguardo alla possibilità di attribuire a ciascun condividente un'entità autonoma e funzionale, ed evitando, per contro, che rimanga in qualche modo pregiudicato l'originario valore del cespite, ovvero che ai partecipanti vengano assegnate porzioni inidonee alla funzione economica dell'intero. (Alla stregua del surriportato principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito secondo cui il frazionamento di un cespite costituito da un'azienda agraria avrebbe determinato «una notevole riduzione della produttività dei singoli lotti», ciascuno della superficie di circa un ettaro e taluni con difficoltà di approvvigionamento idrico).

Cass. civ. n. 2806/1987

In tema di scioglimento delle comunioni e formazione delle porzioni dei condividenti con riguardo all'indivisibilità di un fondo (ai fini della sua attribuzione unitaria o della vendita ex art. 720 c.c.) non assumono rilievo le esigenze della programmazione del territorio in ragione del possibile contrasto del frazionamento del fondo con futuri programmi edilizi, atteso che l'amministrazione non è in alcun modo condizionata o vincolata dalle situazioni di dominio dei suoli preveduti o prevedibili dagli strumenti urbanistici.

Cass. civ. n. 1874/1985

Allorquando nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e la divisione non può eseguirsi senza il loro frazionamento, essi devono essere preferibilmente compresi per intero nella porzione di uno dei condividenti avente diritto alla maggiore quota, anche se questi sia divenuto maggior quotista a seguito dell'acquisto della quota di altro coerede. Infatti, tale ipotesi, pur non essendo contemplata dalla norma dell'art. 720 c.c., è assimilabile a quella dell'attribuzione dell'immobile a più coeredi che ne abbiano fatto richiesta, ipotesi quest'ultima che è, invece, espressamente prevista dall'indicata norma con la quale si è inteso conferire rilevanza alla manifestazione volitiva dei condividenti in ordine alla formazione della quota maggiore per agevolare le operazioni divisionali ed evitare la vendita all'incanto.

Cass. civ. n. 1528/1985

L'assegnazione degli immobili non comodamente divisibili con deroga dei normali sistemi, rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, come risulta dall'art. 720 c.c. il quale, nello stabilire che gli immobili debbono essere compresi, per intero con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore (da determinare tenendo anche conto dei rapporti di debito e di credito tra i condividenti), non pone una disciplina inderogabile, ma afferma che ciò deve avere luogo preferibilmente, con la conseguenza che il giudice può assegnare il bene al titolare della quota minore, purché indichi le ragioni idonee a escludere l'automatica applicazione del criterio della maggior quota. Tuttavia, i motivi che possono indurre all'assegnazione del bene al condividente titolare della quota minore, devono riguardare l'interesse comune delle parti e non possono, quindi, essere determinati da ragioni estranee a tale interesse.

Cass. civ. n. 6890/1983

La comoda divisibilità di un immobile, a norma dell'art. 720 c.c., postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento non gravate, almeno di norma, da pesi, servitù e limitazioni comunque gravose, e che possono formarsi senza dovere fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi, e, sotto l'aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote, rapportato proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene.

Cass. civ. n. 320/1982

In tema di divisione ereditaria, l'art. 720 c.c. prevede la vendita all'incanto degli immobili non divisibili come ultima ratio, cui ricorrere quando nessuno dei condividenti possa o voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero, con i conseguenti addebiti, e detta il criterio dell'attribuzione dei beni suindicati per quota maggiore non come tassativo, ma in linea di massima. Consegue che la vendita all'incanto dei beni in questione postula che non ne sia stata richiesta l'attribuzione da alcuno dei condividenti senza che, ove tale domanda sia stata proposta solo da uno di questi ultimi, abbia ragione di essere un giudizio sull'entità della relativa quota rispetto alle altre, non potendo più avere luogo quel giudizio comparativo implicato dall'art. 720 citato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 720 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L.S. chiede
domenica 14/01/2024
“Buona sera,
vorrei porre al vostro parere le seguenti domande.
Siamo 4 fratelli e a seguito della morte dei nostri genitori siamo divenuti, in conseguenza della successione di morte, intestatari, ognuno di una quota del 25%, di tutti i beni immobili dei nostri genitori. A un certo punto un nostro fratello ha interrotto tutti i dialoghi con i restanti tre fratelli, impedendo la successiva divisione dei bini immobili, i quali consistono in tre abitazione ed un terreno, con valori diversi e il cui totale, a seguito di valutazioni firmate da tecnici, è quantificabile fra 150.000 e 200.000 euri. Da premettere che i tre fratelli che dialogano hanno espresso ognuno un'indicazione di avere un bene diverso dall'altro fratello. A seguito di altre consulenze legali, abbiamo avuto indicazioni di rivolgerci ad un Giudice per giungere ad una divisione legale dei beni. Questa strada giudiziale ha sicuramente una soluzione che potrebbe anche non assegnare a noi tre fratelli quel bene vorremo avere, oltre che dei costi considerevoli e dei tempi lunghi.
In considerazione di quanto innanzi, vi chiedo se noi tre fratelli che continuiamo un dialogo possiamo cedere/vendere ognuno all'altro fratello la propria quota del 25%, in modi che ognuno dei tre abbia una quota del 75% di quel bene che vorrebbe avere. Resta inteso che, a seguito di quanto innanzi, un bene rimarrà ancora intestato a tutti e quattro i fratelli .
Inoltre, qualora la risposta al precedente quesito sia affermativa, vorrei sapere quali diritto/doveri ha e quali possibili rivalse ci può chiedere quel quarto fratello, proprietario ancora della restante quota del 25% dei tre beni oggetto della cessione.
Grazie

Consulenza legale i 18/01/2024
La vicenda, purtroppo, non può risolversi così semplicisticamente come è stato proposto nel quesito per le ragioni che adesso si andranno ad illustrare.
L’apertura della successione determina in capo a coloro che decidono di accettare l’eredità una situazione di comunione c.d. incidentale di tipo germanico, così definita perchè si costituisce a prescindere da una manifestazione di volontà delle parti ed ha ad oggetto tutto il patrimonio del de cuius.
Ora, principio generale in materia di comunione è quello sancito dall’art. 1103 del c.c., secondo cui “ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”, principio della cui applicazione si discute però in tema di comunione ereditaria.
Ci si chiede, infatti, se in questo tipo di comunione, la quale, come si è detto, si configura come un’ipotesi di comunione universale avente ad oggetto l’intero compendio ereditario, il singolo coerede possa disporre sia della sua quota ereditaria (c.d. quotona) che della sua quota sul bene singolo facente parte del compendio ereditario (c.d. quotina).
Ebbene, sulla possibilità di disporre dell’intera quota (quotona) non sembrano sussistere dubbi, in tal senso tra l’altro dovendosi argomentare dalla previsione dell’art. 732 del c.c., dalla cui lettura si desume che il diritto alla quota ereditaria è disponibile, anche se con il limite della prelazione in favore degli altri coeredi.

Con riferimento, invece, alla possibilità di disporre di quella che è stata definita “quotina”, in senso nettamente contrario si è espressa la Corte di Cassazione SS.UU. con sentenza n. 5068/2016 (a cui ha aderito la giurisprudenza prevalente), nella quale la S.C., partendo dal presupposto incontestato che sia la quota sul singolo bene che la quota sull’intera eredità non entrano a far parte del patrimonio attuale del coerede prima della divisione (in quanto sottoposti alla condizione sospensiva dell’attribuzione del bene in sede divisionale), giunge alla conclusione che solo a seguito della divisione, contrattuale o giudiziale che sia, avviene il c.d. “apporzionamento”, per effetto del quale la quota ideale, spettante a tutti i condividenti, si converte in titolarità esclusiva su una porzione dei beni in comunione.

In considerazione di ciò la S.C è giunta alla conclusione che se il coerede volesse alienare ad un terzo estraneo alla comunione (ma ciò vale anche per l’alienazione in favore di un altro dei coeredi) la quota indivisa sul singolo bene facente parte della più ampia massa, il negozio dovrebbe ricondursi alla vendita di cosa altrui, e pertanto non può che configurarsi come vendita obbligatoria, senza immediata efficacia traslativa, sottoposta alla condizione sospensiva della effettiva assegnazione di quel bene in sede di divisione.
Se poi il comunista volesse non vendere ma cedere gratuitamente ad altro soggetto (sia esso un estraneo che un altro coerede) la quota indivisa sul singolo bene ereditario, si arriverebbe alla drastica conseguenza di dover considerare quella donazione come nulla, in quanto donazione di bene altrui, ma donato esplicitamente come proprio, in violazione del divieto di cui all’art. 771 del c.c. di donazione di bene futuro.

In effetti, sia dalla sentenza delle SS.UU. sopra menzionata che dalla lettura di successive pronunce della medesima S.C. su tale tema (cfr. Cass. n. 21050/2017, Cass. 76/2018, Cass. ordinanza n. 4428/2018, Cass. ordinanza n. 4831/2019) se ne può dedurre che alienazione e donazione della quotina da parte di un coerede sono certamente ammissibili, a condizione però che l’efficacia dei suddetti atti venga espressamente subordinata alla condizione sospensiva dell’esito divisionale.
Ciò comporta che l’atto, finchè non si verificherà la condizione (ossia la divisione), non potrà avere immediata efficacia traslativa, ma sarà destinato a produrre effetti meramente obbligatori.

A conferma di quanto appena detto, si vuole qui riportare la massima di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. II civile, n. 4831 del 19.02.2019:
La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come "universitas" e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della "res" alienata”.

Volendo, dunque, trarre le conclusioni di quanto fin qui detto, può affermarsi che l’operazione a cui si è pensato di fare ricorso è in linea teorica sicuramente ammissibile, ma non è in grado purtroppo di raggiungere l’effetto desiderato, in quanto la sua efficacia rimarrebbe pur sempre condizionata a quella divisione consensuale, per la quale difetta il consenso del quarto coerede.

Si vuole qui proporre, invece, un’altra soluzione, prospettabile sin da subito al quarto fratello e che potrebbe indurlo a non insistere nella sua presa di posizione, con conseguente e necessaria instaurazione di un giudizio per divisione giudiziale.
L’art. 720 c.c. dispone che se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, questi devono essere preferibilmente compresi nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione.
Ebbene, proprio tale parte della norma consentirebbe, in sede di divisione giudiziale, ai tre fratelli, tra i quali vi è accordo, di chiedere l’attribuzione per interno dei tre immobili a cui gli stessi sono interessati, lasciando al quarto fratello il rimanente immobile.
Di tale possibilità se ne trova conferma anche nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel caso in cui più coeredi chiedano l'attribuzione del bene, con eventuale addebito dell’eccedenza alla porzione dell’istante, la scelta costituisce un potere-dovere del giudice ( Cass. n. 1407/197), essendo consentita l'attribuzione per l'intero non solo nella porzione del coerede con quota maggiore, ma anche nelle porzioni di più coeredi che tendano a rimanere in comunione come titolari della maggioranza delle quote (cfr. Cass. 5603/2016; Cass.. 2296/1996).
In questo modo si viene sostanzialmente ad instaurare tra i coeredi che hanno avanzato richiesta di assegnazione ex art. 720 c.c. una comunione ordinaria (fr. Cass. 1323/1978).
A seguito di una tale istanza, che consentirebbe di non dover fare ricorso alla vendita giudiziale dei beni, il giudice ha sì il potere discrezionale di derogare dal criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, ma per fare ciò deve necessariamente assolvere all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata (cfr. Cass 22663/2015).


L. Z. chiede
domenica 17/09/2023
“Premesso che in un procedimento di divisione (comunione ordinaria) ex art. 789 cpc, i cui criteri sono già stati decisi in CDA e Cassazione, sono rimaste due masse consistenti entrambi in un bene indivisibile. Non essendo stata proposta dal giudice un'assegnazione dell'uno o l'altro bene per intero con eventuale conguaglio, forse perché sono due masse, il giudice ha deciso di andare all'asta ed è stato permesso ai comproprietari di partecipare ai due lotti dell'asta (primo e secondo immobile). Ho tentato di bloccare l'asta di uno dei beni (l'altra è stata per ora sospesa) perché ho ritenuto che la partecipazione di uno dei due fratelli la rendeva illecita, cioè deve essere esclusa la partecipazione dei comproprietari.
Chiedo se quest'ultima tesi sia quella che rispetta il 720 cc e se il giudice, su volontà di almeno uno dei comproprietari possa decidere l'assegnazione dei beni per l'intero verificando quantomeno le preferenze dei due per l'uno o l'altro bene.”
Consulenza legale i 21/09/2023
Deve, purtroppo, rispondersi negativamente a ciò che si chiede nel quesito, ovvero alla domanda se il giudice possa, su istanza di almeno uno dei comproprietari, decidere l’assegnazione dei beni per l’intero, tenendo conto delle preferenze espresse per l’uno o l’altro bene.
Si tenga presente, infatti, che la divisione che interessa le parti in causa è una divisione di tipo giudiziale (più precisamente una divisione ereditaria, almeno per come risulta dagli atti processuali trasmessi, diversamente da ciò che viene detto nel quesito, ove si parla di “comunione ordinaria”); in genere la ragione principale per cui si ricorre alla divisione giudiziale è proprio l’assenza di accordo tra i condividenti in ordine alle modalità di scioglimento della comunione (sia essa ordinaria che ereditaria), accordo che, ove sussistente, consentirebbe ovviamente di giungere ad una divisione di tipo consensuale (con tempi e costi certamente molto più contenuti).

Trattandosi di divisione giudiziale, il giudice non ha alcun potere né dovere di indagare su quella che può essere la comune intenzione delle parti né può prospettare loro una soluzione per addivenire ad un accordo divisorio.
Del resto, sembra il caso anche di sottolineare che, ai sensi del comma 1 dell’art. 5 del D.lgs. 28 del 2010, la materia di cui ci si occupa (divisione ereditaria) rientra tra quelle per le quali è prevista la mediazione obbligatoria (costituendo condizione di procedibilità della domanda giudiziale), il che comporta che già le parti hanno avuto ampia possibilità di raggiungere un accordo dinanzi all’organismo di mediazione.

Per quanto concerne la concreta applicazione dell’art. 720 c.c., norma in forza della quale il giudice ha disposto la messa all’asta dei beni oggetto di divisione, sembra che di essa sia stata fatta corretta applicazione, tenuto conto che, come si desume dal suo stesso tenore letterale, alla vendita all’asta deve necessariamente farsi ricorso tutte le volte in cui non sussistano le condizioni per l’assegnazione del bene o dei beni per intero ad uno dei condividenti, con addebito dell’eccedenza.
In effetti, principio generale in materia di divisione è quello sancito dall’art. 718 del c.c., norma che riconosce a ciascun condividente il diritto potestativo di ottenere una porzione in natura dei beni in comunione; tale diritto, tuttavia, non può farsi consistere nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie dei mobili, immobili e crediti (così Cass. n. 15105/2000; Cass. n. 3288/1999; Cass. n. 2086/1992) e può in concreto essere realizzato attraverso una pluralità di risultati che saranno rimessi alla valutazione di opportunità del giudice.

Ogni condividente potrà pertanto pretendere che il giudice applichi in materia più rigorosa possibile le regole divisorie stabilite dagli artt.718-731 c.c, ma non potrà mai considerarsi titolare di un diritto predeterminato avente ad oggetto uno specifico bene, ovvero l'attribuzione di una determinata somma.
Spetta, infatti, al giudice del merito accertare, nell'ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, se il diritto preminente che ciascun coerede o condividente in genere vanta in sede di divisione ex art. 718 c.c. possa essere meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari, oppure attraverso l'assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio ( C. 15105/2000; C. 3288/1999).
A tale riguardo può richiamarsi quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. II civ. con sentenza n. 7059 del 15/05/2022, ove si legge quanto segue:
La stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità”.

Evidentemente nel caso di specie, in assenza di un accordo tra le parti nonché di una formale richiesta avanzata nei tempi opportuni anche da una sola di esse, il giudice, con scelta si ripete insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto opportuno non disporre la divisione delle due masse mediante assegnazione di un immobile a ciascun condividente con conguaglio ed ha preferito disporre la messa all’asta degli stessi, come previsto dall’ultima parte dell’art. 720 c.c.

Incensurabile si ritiene che sia anche quella parte del provvedimento del giudice ove si autorizza la partecipazione all’asta degli stessi condividenti, e ciò per le seguenti ragioni:
a) l’art. 721 del c.c. attribuisce all’autorità giudiziaria il potere di determinare i patti e le condizioni della vendita, in assenza di accordo dei condividenti;
b) sebbene l’art. 788 del c.p.c., disciplinante la vendita degli immobili nell’ambito del procedimento per scioglimento di comunioni, disponga che a tale vendita si applicano gli artt. 570 e ss. dello stesso c.p.c., tale richiamo deve intendersi fatto nei limiti della compatibilità.
Sembra evidente, infatti, che quando l’art. 571 del c.p.c. dispone che “Ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile…”, tale parte della disposizione non possa trovare applicazione nel giudizio di divisione, non potendo in alcun modo la figura del condividente assimilarsi a quella del debitore.
Infatti, come rilevato sia in dottrina che in giurisprudenza, la ratio di tale divieto va individuata da taluni nel pericolo di turbativa della libertà della vendita (la quale verrebbe pregiudicata dalla presenza del debitore, per riguardo del quale alcuni partecipanti potrebbero astenersi dal formulare maggiori offerte), da altri nella mera riprovazione morale della partecipazione dell'esecutato all'acquisto del proprio bene.

In conclusione, si ritiene che il provvedimento giudiziale in forza del quale è stata disposta la vendita all’incanto dei beni da dividere non sia in alcun modo censurabile, risultando rispettoso dei criteri stabiliti dalle norme sia sostanziali che processuali.

P. M. chiede
mercoledì 13/09/2023
“Buongiorno, sono una donna di 44 anni che ha vissuto sempre con il padre invalido. Mio padre aveva due figlie: la sottoscritta e mia sorella. Mia madre è morta nel 2002, all'età di 65 anni per una malattia rara, la sindrome cerebellare paraneoplastica. Io avevo solo 22 anni, mia sorella 25, mio padre 70 anni. In seguito alla morte di mia madre, la successione della casa di famiglia fu ripartita nel modo seguente: 2/3 mio padre,1/6 mia sorella, 1/6 la sottoscritta. In seguito alla morte di mia madre si ammalò anche mio padre, prima di cuore (fu operato urgentemente al Gemelli, dove gli fu impiantato un pace maker), e successivamente di maculopatia degenerativa, diventando ipovedente (occhio destro: 2/10, occhio sinistro 0/10). Inoltrammo subito richiesta di invalidità. In prima istanza, nel 2007, fu dichiarato invalido al 100% da commissione medica. In seconda istanza, nel 2008, tramite ricorso al tribunale, invalido al 100% con diritto all'accompagno. Mia sorella si sposò nel 2009, andò a vivere 120 km da qui, e io rimasi con mio padre e mi presi cura di lui. L'anno successivo purtroppo mi ammalai anche io, fui ricoverata urgentemente per uno pseudotumor orbitario, e mi fu diagnosticata la sindrome di Sjogren, una malattia autoimmune che colpisce tutte le ghiandole esocrine del corpo. Così nel 2012 fui dichiarata invalida anche io, con una percentuale del 46%. Fui iscritta nella lista delle categorie protette. Nel 2016 vinsi un concorso, lavoravo fino a tarda sera, di sabato e domenica. Questo ruolo comportava anche lo spostamento tra Roma e Milano. Mi trovai in seria difficoltà, ero sola e non avevo nessuno che mi potesse aiutare con mio padre. Mio padre si rivolse a mia sorella, chiedendogli aiuto. Lei di risposta mi inviò una diffida con la quale si dichiarava senza soldi e senza reddito, quindi impossibilitata ad aiutare il padre. Mio padre da allora ruppe definitivamente i rapporti con la figlia e la cacciò di casa. Così mi accollai tutte le spese assistenziali di papà e le spese straordinarie dell'appartamento. All'inizio provai ad assumere dei badanti, però mi trovai in seria difficoltà per il lavoro che espletavo e la distanza tra la mia casa di famiglia e la sede di lavoro. Fui costretta a prendere la legge 104/1992 di corsa e il capo del personale fu costretto a spostarmi d'ufficio per la mia situazione familiare. Cosi' fui costretta, con gran dispiacere ad inserirlo in una struttura. Poiché tenevo molto a mio padre, lo inserì in una struttura privata di alto livello (dove mi accollai tutte le spese che questa struttura comportava). Lui si trovò molto bene qui, trovò una compagna, si legò ai figli alla famiglia di questa compagna. Era felice, e mi disse che non voleva più tornare a casa. Ovviamente io andavo a trovarlo spesso, e a volte siamo usciti con la famiglia della sua compagna (ristorante, etc). A dicembre del 2021 è caduto per terra, si è rotto il femore, ed è morto nel 16 gennaio 2022.Mio padre ha lasciato un testamento pubblico davanti a due testimoni, lasciando 2/3 del patrimonio alla sottoscritta, e 1/3 a mia sorella. Nel conto non ci sono titoli nè liquidità. Attualmente, io sono proprietaria della casa per 11/18, e mia sorella per 7/18 (casa era intestata a mio padre e mia madre). Ora io vorrei rilevare l'immobile per intero, liquidando 7/18 a mia sorella. Lei non vuole vendermi la sua quota, perchè pretende che io lo ristrutturi così l'immobile si alza di valore e lei possa lucrare sui miei sacrifici. Sto mettendo soldi da parte per iniziare una causa di divisione giudiziale, ma nel frattempo è sorto un altro problema. Poichè il mio quartiere è molto trafficato, da circa 15 anni tenevo la mia auto in un posto auto scoperto, pagando un affitto mensile. Purtroppo la proprietaria del posto auto scoperto mi ha appena comunicato che vuole vendere, e mi ha chiesto se sono disposta a comprarlo. Io vorrei acquistarlo perchè per me è di assoluta necessità, soprattutto quando torno di sera tardi da sola, ma quello che mi spaventa è che dichiarando il box pertinenziale all'immobile (è situato vicino all'appartamento), faccio il gioco di mia sorella. Nel senso che dovrò comprare l'immobile ad un prezzo maggiorato a causa del box che ho acquistato proprio io. Ora le mie domande sono queste:

1)Alla morte di mio padre noi due sorelle siamo entrate in successione esclusivamente per l'appartamento di famiglia. Se con atto successivo alla successione dell'immobile, io acquisto un posto auto scoperto dichiarandolo di pertinenza dell'immobile, si può valutare l'immobile cointestato alle due sorelle per effetto di successione, separatamente dal box auto pertinente di mia proprietà?

2)Se in causa di divisione giudiziale anche mia sorella chiedesse l'attribuzione dell'immobile, posso rischiare che il giudice proceda a sorteggio, perdendo l'immobile, nonostante io abbia la quota di 11/18 e lei la quota di 7/18?

3)Infine ultima domanda, lei cosa mi consiglia di fare con questo box auto?Avevo pensato di acquistarlo dichiarandolo non pertinenziale, ma così sarei costretta a pagare l'Imu e altre tasse credo. Dichiarandolo pertinenziale rischio di regalare ancora i miei sacrifici a mia sorella?
Spero con tutto il cuore in una sua risposta.”
Consulenza legale i 21/09/2023
Le questioni che si chiede di affrontare sono sostanzialmente due:
a) la prima concerne le modalità di gestione e divisione del bene in comproprietà;
b) la seconda, invece, concerne la possibilità di destinare un garage da acquistare a pertinenza di immobile in comproprietà e gli effetti che tale acquisto può avere sulla successiva divisione dell’immobile.

Per quanto concerne il primo problema, ci si lamenta del fatto che l’altra comproprietaria vorrebbe ristrutturare l’immobile ereditato al fine di far acquisire allo stesso un incremento di valore e così in qualche modo lucrarne in sede di divisione.
A tale riguardo può dirsi che nessuno dei comproprietari può vantare un diritto siffatto, in tal senso dovendosi argomentare dalle norme che il codice civile detta in tema di comunione in generale.
In particolare, dispone l’art. 1108 del c.c. che qualunque innovazione diretta “…al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento…” può essere disposta soltanto con deliberazione della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune.
Diversa è la situazione, invece, nel caso di spese necessarie per la conservazione della cosa, considerato che tali spese possono essere affrontate anche da un solo partecipante senza il consenso degli altri, con diritto al rimborso per colui che le ha sostenute.

Pertanto, finchè permane lo stato di comunione ereditaria, nessuno dei due partecipanti può pretendere l’esecuzione di opere di semplice miglioria sull’immobile senza il consenso dell’altro.
Nel momento in cui, invece, ci si deciderà a sciogliere la comunione, considerato che le parti sono comproprietarie per quote diverse, sarà possibile per colei che detiene la quota maggiore avvalersi del disposto di cui all’art. 720 c.c.
Presupposti per l’applicazione di tale norma sono i seguenti:
a) che oggetto di comunione sia un immobile non comodamente divisibile o il cui frazionamento possa recare pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene;
b) che la divisione non possa realizzarsi senza il suo frazionamento;
c) che anche uno solo dei coeredi sia titolare di una quota maggiore rispetto agli altri.
Ebbene, se sussistono le suddette condizioni, colei che detiene la quota maggiore (ovvero la sorella che è proprietaria per 11/18) avrà tutto il diritto di chiedere al giudice, investito della causa di divisione, che l’immobile le venga assegnato per intero, assumendo su di sé l’obbligo di corrispondere all’altra comproprietaria una somma di denaro pari al valore della sua quota.
Tale norma costituisce una deroga a quanto disposto dall’art. 718 del c.c., il quale sancisce il principio di carattere generale secondo cui ciascun erede ha diritto di chiedere la sua parte in natura dei beni, mobili o immobili, che compongono l’eredità, facendo salve le disposizioni dettate dagli articoli che seguono, tra i quali vi è appunto l’art. 720 c.c.

Occorre precisare, rispondendo tra l’altro a quanto chiesto, che la richiesta di attribuzione del bene proveniente dal coerede titolare della quota maggiore vincola in genere il giudice alla pronuncia di assegnazione con addebito dell’eccedenza alla porzione dell’istante, salva ovviamente la comprovata esistenza di gravi motivi, concernenti l’interesse comune dei condividenti stessi (in tal senso Cass. n. 8629/1988).
In particolare, si legge in giurisprudenza che il giudice ha il potere discrezionale di derogare dal criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata (così Cass. 22663/2015), il che può avvenire, ad esempio, in considerazione dell'interesse personale prevalente dell'assegnatario, privo di un'unità immobiliare da destinare a casa familiare, a differenza del titolare della quota maggiore (così Cass. 24053/2008)
Per quanto attiene alla determinazione del valore di tale immobile, vale il disposto di cui all’art. 726 del c.c., secondo cui la stima deve essere riferita al tempo della divisione e non a quello dell'apertura della successione, tenendo conto di ogni elemento incidente sul valore di mercato del bene (così Cass.n. 6469/1982).

Il tema della stima induce ad affrontare la seconda questione che qui viene posta, ovvero quella descritta all’inizio di questa consulenza sub lettera b).
Il primo aspetto da esaminare concerne la possibilità di acquistare in via esclusiva un box auto destinandolo a pertinenza di un immobile in comproprietà.
Occorre innanzitutto precisare che la nozione di pertinenza trova adeguata formulazione nell’art. 817 del c.c., secondo il quale sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa, purché la destinazione sia opera del proprietario o di chi abbia un diritto reale sul bene principale.

Come si desume agevolmente dalla stessa definizione civilistica, il rapporto pertinenziale consta di un elemento oggettivo e di un elemento soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, per aversi pertinenzialità dal punto di vista logico occorre l’autonomia dei due beni (quello principale e quello accessorio) e quindi è indispensabile la pluralità.
Per quanto attiene ai profili soggettivi, si ritiene che l’indicazione fornita dal codice circa la relazione con la cosa principale, allorché stabilisce che la destinazione debba provenire dal suo proprietario o da chi su di esso vanti un diritto reale, circoscriva la cerchia dei legittimati al proprietario, all’enfiteuta, all’usufruttuario, all’usuario, all’abitatore, escludendosi che autore di essa possa essere il creditore ipotecario così come il titolare della servitù.

La circostanza, poi, che l’art. 817 c.c. utilizzi il plurale (“pertinenze”) per le cose accessorie ed il singolare (“un’altra cosa”) per la cosa principale, ha fatto sorgere il dubbio sulla configurabilità del rapporto pertinenziale allorchè una cosa acceda ad una pluralità di cose principali, così come in un caso come quello di specie, ovvero allorchè il bene principale appartenga in comproprietà a più soggetti e quello accessorio soltanto ad uno di essi.
Ebbene, sia la dottrina che la giurisprudenza ritengono ammissibile ed utile configurare il rapporto pertinenziale tra una cosa principale e più cose principali appartenenti ad una pluralità di soggetti (in buona sostanza, si ritiene plausibile che possa aversi pertinenzialità anche qualora il bene accessorio appartenga a Tizio e Caio, ciascuno dei quali, nel contempo, sia titolare di un distinto bene principale).
Nel diverso caso in cui, invece, sia il bene principale ad appartenere a Tizio e Caio, mentre il bene accessorio appartenga solo a Tizio, si ritiene che il nesso pertinenziale debba configurarsi come unilaterale, sicchè le vicende dei due beni possano considerarsi correlate soltanto allorchè a negoziare sia Tizio, titolare nel contempo sia del bene principale che di quello accessorio.

Da quanto fin qui osservato se ne deve far conseguire che l’acquisto del box auto da parte di una sola delle comproprietarie e la sua destinazione a pertinenza dell’immobile ereditario, oltre a doversi ritenere giuridicamente ammissibile, non può in alcun modo costituire elemento di cui tener conto ai fini della valutazione dell’immobile in sede di divisione, in quanto il rapporto di pertinenzialità che viene ad instaurarsi è soltanto unilaterale, ovvero a beneficio del solo comproprietario acquirente, non potendo essere invocato a proprio favore dalla sorella rimasta estranea a tale acquisto.

G. P. chiede
lunedì 27/03/2023 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,

in una causa di divisione ereditaria ci sono tre eredi (Tizio, Caio, Sempronio: quota 1/3 cad.) e due proprietà immobiliari (A valore 300; B valore 150).
La massa ha dunque un valore totale di 450 e ogni singola quota un valore di 150.
Tutti e 3 gli eredi richiedono l'assegnazione dell'immobile B, Tizio e Caio (attori) si presentano insieme e la richiedono congiuntamente.
Il giudice, appurato che nessuno è interessato all'immobile A, decide per la vendita all'incanto di quest'ultimo.

Domande:
1. il giudice è obbligato a formare 3 diverse porzioni della massa ereditaria da assegnare singolarmente ai 3 eredi oppure avrebbe l'autorità, per evitare la vendita all'incanto, di imporre l'assegnazione congiunta del bene di maggior valore (A) ai due eredi che si presentano insieme e che oltretutto già richiedono l'assegnazione congiunta (benché richiedano la proprietà B anziché A)? Aggiungo che gli stessi attori nell'atto di citazione richiedono espressamente di "…accertare e dichiarare il diritto allo scioglimento della comunione FRA GLI ATTORI E IL CONVENUTO" e non dunque lo scioglimento della comunione TRA TUTTI GLI EREDI, manifestando in più occasioni di volere mantenere le loro quote in comune.

2. può il giudice porre all'incanto solo una parte della massa ereditaria (solo immobile A, mentre B rimarrebbe da assegnare) o in realtà dovrebbe essere eventualmente posta all'incanto l'intera massa?

3. nel caso il giudice volesse procedere con la vendita dell'immobile A, essendoci in realtà già un compratore interessato ad acquistarla al valore della perizia CTU, potrebbe essere scongiurata la vendita all'incanto?”
Consulenza legale i 02/04/2023
Le norme che il codice civile detta in tema di divisione ereditaria sono abbastanza esplicite nel chiarire i dubbi che con il quesito in esame vengono avanzati.
Con la prima domanda si chiede se il giudice possa, di sua autonoma iniziativa, imporre l’assegnazione congiunta dell’immobile A (quello di maggior valore) a due degli eredi, in considerazione tra l’altro del fatto che entrambi rivestono la posizione di attori e che in corso di giudizio hanno manifestato l’intenzione di vedersi assegnato, pure congiuntamente, l’immobile B (quello di minor valore).
La risposta è negativa, trovandosi riscontro in tal senso in quanto disposto dall’art. 720 c.c.
In particolare, si legge in tale norma che, qualora nell’eredità vi siano immobili non comodamente divisibili (si suppone che sia tale l’immobile A) e la divisione dell’intera sostanza non possa effettuarsi senza il loro frazionamento, questi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione del coerede avente diritto alla quota maggiore.
Va a questo riguardo precisato che l’individuazione del condividente avente diritto alla quota maggiore si effettua con riferimento al momento della divisione e, quindi, della relativa pronuncia giudiziale, e non al momento dell’apertura della successione o della proposizione della domanda di divisione (così Cass. n. 14321/2007 e CCass. N. 7588/1995).
Nel caso in esame si dice che i coeredi hanno tutti diritto ad una eguale quota di 150, il che esclude che possa farsi applicazione di tale parte della norma.

La medesima norma prosegue disponendo che l’immobile non divisibile deve preferibilmente essere compreso per intero, con addebito dell’eccedenza, nelle porzioni di più coeredi (i quali raggiungerebbero così la maggioranza delle quote), a condizione, però, che questi ne richiedano congiuntamente l’attribuzione.
Risulta abbastanza evidente, anche dalla lettura del solo testo della norma, che l’inclusione di uno o più immobili non comodamente divisibili nelle porzioni di più coeredi non possa aver luogo se costoro non ne abbiano richiesta congiuntamente l’attribuzione, essendo in linea di principio vietato il c.d. raggruppamento parziale delle porzioni, salvo diverso accordo tra le parti (in tal senso di è espressa di recente la Corte di Cassazione, Sezione VI civ., con ordinanza n. 36736 del 15.12.2022).

Con la seconda domanda si chiede se il giudice possa decidere di porre all’incanto solo una parte della massa ereditaria (ovvero l’immobile A), mentre rimarrebbe da assegnare l’immobile B.
Anche a questa domanda, purtroppo, deve essere data risposta negativa.
Vale, innanzitutto, quanto poco sopra considerato, ovvero la circostanza che in sede di divisione ereditaria, a meno che le parti non facciano constare al giudice la sussistenza di uno specifico accordo tra di loro, risulta in linea di principio vietato il c.d. raggruppamento parziale delle porzioni, principio che di fatto verrebbe violato allorchè il giudice si decidesse a disporre la vendita all’incanto del solo immobile A, nulla disponendo sulla attribuzione della proprietà dell’immobile B.
In buona sostanza, verrebbe in questo modo violato il principio del favor divisionis, poiché di fatto non si scioglie la comunione, ma la si mantiene, pur se ridotta ad un solo immobile.
Semmai, versandosi in un caso di eguaglianza delle quote e potendo essere avanzate più istanze di assegnazione relativamente all’immobile B, al giudice va riconosciuto un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnare quel bene, potere che trova un temperamento esclusivamente nell’obbligo di indicare i motivi in forza dei quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all’uno piuttosto che all’altro degli aspiranti all’assegnazione (in tal senso si sono espressi Cass. n. 4013/2003 e Cass. n. 3646/2007).

L’ultima domanda, infine, attiene alla possibilità per i condividenti di evitare la vendita all’incanto proponendo loro stessi un compratore per il valore stimato con la CTU.
La risposta in questo caso è positiva, in tal senso potendosi argomentare dall’art. 721 del c.c..
Dalla lettura di tale norma, infatti, si ricava che sono i coeredi a stabilire, di comune accordo, le modalità di vendita degli immobili, quali ad esempio, la trattativa privata od il pubblico incanto.
Solo in assenza di unanime accordo tra i condividenti, la vendita dovrà essere eseguita al pubblico incanto, secondo le direttive stabilite dal giudice, anche attraverso il notaio delegato ex art. 786 del c.p.c. (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. civ. Sez. III n. 15144/2000).
In questo caso, essendovi l’accordo tra tutti i coeredi, si tratterebbe di manifestare al giudice la volontà di procedere alla vendita dell’immobile mediante trattativa privata, determinando il prezzo in misura pari al valore stimato in perizia.

M. B. chiede
mercoledì 08/02/2023 - Veneto
“Buona sera. La mia domanda riguarda un mio dubbio per un problema di successione che io con gli altri due fratelli dobbiamo concludere. Io ho vissuto nella casa dei genitori, accudendo entrambi fino alla loro morte, e non sono sposata. Ora nella successione vorrei far valere un mio diritto a restare in questa casa. Purtroppo la casa non è facile da dividere in tre parti. Infatti i fratelli vorrebbero vendere e dividere in parti uguali il ricavato. Io cerco di resistere per poter restare nella casa dove vivo da 40 anni. Ho offerto di acquistare io la parte dei fratelli, ma il più vecchio è troppo esoso e richiede una somma non ragionevole con le stime del mercato. Come posso agire per non svendere la casa dei genitori e trovarmi costretta ad andare via dalla casa che considero ancora mia, almeno in parte. I fratelli hanno una loro abitazione, con la rispettiva famiglia. La casa si compone di un laboratorio al piano stradale, sotto di un appartamento della stessa dimensione, circa 200mq. Al livello dei campi circostanti si trova il deposito/magazzino, grande sempre come l'appartamento e laboratorio, ma bassi di 2 mt. Sono in totale tre piani. Non sono facilmente divisibili per tre! Posso far valere la mia richiesta di restare nella casa dove abito? Che agevolazioni sono previste per il mio caso? Grazie in anticipo per la risposta.”
Consulenza legale i 14/02/2023
Purtroppo, il diritto che si vorrebbe far valere di continuare ad abitare nella casa familiare viene riconosciuto soltanto al coniuge superstite del defunto.
In tal senso si esprime l’art. 540 del c.c., dalla cui stessa rubrica risulta che al solo coniuge superstite sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e sui mobili che la corredano.
Escluso, dunque, che si possa avanzare una pretesa di tale tipo, non resta che doversi riportare alle norme sulla divisione ereditaria per cercare di trovare una soluzione al problema che si pone.
Intanto, costituisce principio di carattere generale quello espresso al primo comma dell’art. 713 del c.c., ove viene riconosciuto ai coeredi il diritto di pretendere in qualsiasi momento lo scioglimento della comunione.

Ora, fin quando gli immobili costituenti il patrimonio ereditario siano comodamente divisibili non si pone alcun problema, in quanto si potranno formare tante quote quanti sono gli eredi ovvero soddisfare coloro che non sono interessati alla quota in natura con conguagli in denaro.
I presupposti per accertare la comoda divisibilità di un immobile consistono, dal punto di vista strutturale, nella impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive e non richiedenti opere complesse e di notevole costo; dal punto di vista economico e funzionale nella circostanza che la divisione non incida sulla originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (in tal senso, da ultimo, ordinanza 24158/2017).

I problemi si pongono, come sta accadendo nel caso in esame, allorchè il patrimonio ereditario risulti composto da un solo bene immobile, il quale oltretutto non sia facilmente divisibile, o meglio allorchè un suo frazionamento determini la perdita per il bene della sua stessa destinazione urbanistica ed economica.
Il legislatore ha voluto disciplinare una situazione di questo tipo con una specifica norma del codice, ossia l’art. 720 c.c., disponendo che se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento (è proprio questo il caso di un unico immobile costituente il compendio ereditario), tali immobili devono essere preferibilmente compresi per intero nella porzione di uno dei coeredi avente diritto alla quota maggiore, il quale a sua volta sarà tenuto a versare un conguaglio in denaro in favore degli altri coeredi.

Come può notarsi, la norma riconosce un diritto di preferenza all’attribuzione in via esclusiva del bene soltanto in caso di quote diseguali, assegnando il diritto all’attribuzione in via esclusiva del bene soltanto in favore di colui che detiene la quota maggioritaria.
L’ultima parte della medesima norma, invece, nel prendere in considerazione il caso in cui non vi sia un erede avente diritto ad una maggiore quota ereditaria, attribuisce il medesimo diritto di preferenza anche a più coeredi congiuntamente tra loro, i quali, nel farne esercizio, passeranno da una situazione di comunione ereditaria ad una situazione di comunione ordinaria (così Cass. civ. Sez. II sent. n. 8599 del 06.05.2004).
In assenza di ogni tipo di accordo, invece, non resterà che dover procedere alla vendita all’incanto dell’immobile, secondo quanto disposto dall’ultima parte dell’art. 720 c.c., con tutte le conseguenze che, purtroppo, si temono, ovvero di ricavarne una somma sicuramente inferiore al reale valore di mercato del bene.

Pertanto, in considerazione di quanto detto sopra, due sono le soluzioni prospettabili per cercare di soddisfare le esigenze di chi pone il quesito:

a) raggiungere un accordo con uno dei fratelli (quello più giovane e che sembra più ragionevole), al fine di chiedere l’attribuzione per intero del bene nella quota di entrambi e corrispondendo al terzo fratello (quello più anziano) un conguaglio in denaro (secondo il valore determinato con perizia che si andrà a far redigere da un tecnico scelto di comune accordo tra le parti).
I due fratelli, rimasti in comunione ordinaria, potranno regolare come meglio credono la situazione di comproprietà, stante la descritta ed apparente maggiore disponibilità alle trattative di entrambi.

b) procedere ad una divisione dell’immobile in forza della quale alla sorella, senza famiglia e che da circa quaranta anni vive nell’immobile, assegnare il diritto di usufrutto, mentre la nuda proprietà resterebbe agli altri due fratelli.

Queste sono due semplici soluzioni che potrebbero in qualche modo soddisfare gli interessi di tutti i coeredi, evitando soprattutto di giungere ad una vendita forzata, sicuramente meno proficua sotto il profilo economico, in quanto è certo che ci si troverebbe a privarsi di un immobile ad un prezzo decisamente inferiore al suo reale valore di mercato (aspetto questo che il fratello più anziano non dovrebbe sottovalutare).
Ovviamente, non può escludersi che una più approfondita analisi degli interessi di tutte le parti coinvolte nella vicenda potrebbe portare a trovare anche delle soluzioni alternative a quelle qui prospettate, capaci di soddisfare meglio gli interessi di tutti i condividenti.

G. B. chiede
domenica 08/01/2023 - Lombardia
“Mio padre, attualmente in vita, è proprietario al 100% della villa che apparteneva alla mia defunta nonna.

Sono attualmente in vita anche mia madre e il mio unico fratello.

Potrei in futuro trovarmi in una di queste situazioni, a seconda dell'ordine di decesso:
- la casa viene ereditata per 1/3 ciascuno da me, mia madre, mio fratello
- la casa viene ereditata per 1/2 ciascuno da me e mio fratello
- la casa viene ereditata per 1/2 ciascuno da me e mia madre

In tutti i casi si porrebbe il problema che, non essendo d'accordo sull'impiego dell'immobile, questo rimanesse inutilizzato..sinceramente uno spreco.

Volevo capire, in caso di comproprietá, se una delle parti possa forzare le altre a cedere ad essa in cambio di equo corrispettivo le proprie quote di proprietà, o se ci fossero altri meccanismi per gestire queste situazioni.

Per capirci io vorrei vendere o affittare l'immobile, mio fratello vorrebbe abitarci ma non è disposto a comprarmi la mia parte, e voglio capire se ho legalmente un modo per uscire da questo empasse.

Grazie mille”
Consulenza legale i 12/01/2023
La situazione che nel quesito viene prospettata è quella dell’apertura, alla morte del padre, della successione legittima, con conseguente applicazione dell’art. 581 del c.c. (se chiamati alla successione saranno il coniuge superstite ed i figli) e dell’art. 566 del c.c. (se alla successione concorreranno solo i figli).
Prima di affrontare il tema specificatamente oggetto del quesito, ossia quello della gestione del bene comune, occorre fare la seguente precisazione:
se l’immobile di cui si discute è quello adibito a residenza familiare, occorre anche tener conto di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 540 del c.c., norma che riserva in favore del coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso sui beni mobili che la corredano.

Ciò posto, il problema della gestione di quel bene comune potrebbe intanto essere evitato se il padre, titolare pieno del diritto di proprietà su quell’immobile, decidesse di disporne per testamento, con attribuzione dell’usufrutto in favore della moglie e del figlio che sembra avere intenzione di utilizzarlo quale propria abitazione e con conseguente attribuzione della nuda proprietà in favore dell’altra figlia.
In questo modo il figlio potrebbe soddisfare la sua esigenza di abitarvi, anche con il consenso dell’altro usufruttuario (la madre), mentre la figlia, una volta cessato l’usufrutto, si ritroverebbe quel bene in piena proprietà e per intero nel suo patrimonio, con possibilità di trasmetterlo anche alle sue generazioni future.
Ovviamente, nel dettare una disposizione testamentaria di questo tipo, occorre valutare se possa esservi il rischio di eventuali lesioni di legittima, valutazione che in questa sede non è possibile effettuare in quanto non si ha cognizione della consistenza del patrimonio del disponente.

Qualora non vi siano i presupposti per avvalersi della soluzione sopra proposta (in particolare ci si riferisce ad una eventuale mancanza di accordo in tal senso), non resta che dover fare ricorso alle norme che il codice civile detta in tema di divisione ereditaria e di comunione in generale per la soluzione di ogni questione che possa sorgere dall’utilizzo di quel bene.
Innanzitutto va detto che, finchè perdurerà lo stato di comunione ereditaria, dovrà farsi applicazione delle norme dettate agli artt. 1100 e ss. c.c.
In particolare, tra queste viene in considerazione l’art. 1102 del c.c., norma che attribuisce a ciascun partecipante alla comunione il diritto di servirsi della cosa comune “purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il diritto.”
Ciò comporta che se le parti si accordano sulle modalità di esercizio dei rispettivi diritti di godimento, non si pongono particolari questioni, in quanto è indifferente che il bene sia utilizzato da tutti i comproprietari o da uno solo di essi.
Al contrario, se uno dei comproprietari inizia a godere in via esclusiva dell’immobile, pur essendovi il dissenso dell’altro, sorgeranno sicuramente dei problemi, in quanto risulterà violato il disposto della norma sopra citata.
Il diritto di godimento dell’altro comproprietario, infatti, risulta leso non solo perché ne viene impedito lo stesso uso, ma anche perché ne risulta impedita una qualsiasi altra forma di godimento del bene, come potrebbe essere quello di concederlo in locazione a terzi o di venderlo (proprio ciò a cui aspira colui che pone il quesito).

Occorre, tuttavia, precisare che l’uso esclusivo da parte di uno solo dei comproprietari costituisce fonte di responsabilità soltanto se l’altro comproprietario non via abbia acconsentito in modo certo ed inequivoco.
Pertanto, nel momento in cui ci si ritiene lesi nel proprio diritto di godimento dell’immobile (ad esempio perché l’altro fratello vi fissa la residenza e vi si trasferisce con la sua famiglia), è indispensabile contestare formalmente l’abuso da parte del comproprietario che goda interamente ed in via esclusiva dell’immobile.
Da quel momento, secondo anche un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (si veda in particolare Cass., Sez. II civ., sent. n. 2423/2015), il comproprietario che occupa il bene comune impedendone agli altri l’utilizzo, sarà tenuto a pagare all’altro o agli altri comproprietari, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, un indennizzo (c.d. indennità di occupazione), generalmente quantificato sulla base del potenziale canone di locazione che, secondo i valori correnti, potrebbe essere percepito per l’immobile in contestazione.

Ovviamente, per avanzare una tale pretesa, occorre che alla richiesta dell’altro comproprietario di far uso dell’immobile comune ne segua il rifiuto da parte di colui che lo ha occupato in via esclusiva, non potendosi in caso contrario vantare tale diritto.
In quest’ultimo caso, allorchè cioè non venga frapposto alcun impedimento a far uso della cosa comune, non resterà altra soluzione che quella di avvalersi del diritto potestativo che l’art. 1111 del c.c. attribuisce a ciascuno dei partecipanti alla comunione, ovvero il diritto di pretendere in qualunque momento che si proceda allo scioglimento della comunione.
In tal caso troveranno applicazione, per effetto dell’espresso richiamo contenuto all’art. 1116 del c.c., le norme che il legislatore detta in tema di divisione ereditaria (artt. 713 e ss. c.c.).

Ora, di regola la divisione va fatta in natura se la cosa può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti.
Nel caso di specie, trattandosi di una villa (si qualifica tale, generalmente, un immobile di una certa consistenza), si potrebbe pensare a frazionarla catastalmente, in modo da ricavarne due immobili di pressoché pari valore, con conseguente attribuzione in via esclusiva di un immobile a ciascun figlio (e conguaglio in denaro al coniuge superstite se presente).
Qualora, invece, il bene, anche per ragioni urbanistiche, non potesse essere frazionato, non rimane altra soluzione che quella di procedere, preferibilmente di comune accordo, alla vendita dello stesso.
Si dice “preferibilmente” perché in assenza di accordo si dovrà necessariamente fare ricorso alla procedura di divisione giudiziale, nel qual caso, se nessuno dei coeredi è disposto ad avere assegnato il bene per intero, con addebito dell’eccedenza (ossia con conseguente diritto dell’altro o degli altri coeredi al conguaglio in denaro), si dovrà fare luogo alla vendita all’incanto (in questo caso il prezzo che si ricaverà dalla vendita non potrà mai eguagliare quello conseguibile da una libera contrattazione).
Quanto appena detto trova fondamento nel chiaro disposto dell’art. 720 c.c., dalla cui lettura si ricava che l’assegnazione in favore di uno solo dei comproprietari può essere solo frutto di una sua libera scelta, ma non essergli imposto (e ciò perfino nel caso in cui uno dei coeredi abbia diritto ad una quota maggiore del bene).

Un ulteriore consiglio che può darsi, per il caso in cui alla morte del padre dovessero rimanere quali eredi superstiti sia la madre che i figli, è quello di pensare, se la villa sarà l’unico immobile in cui succedere, ad una rinuncia all’eredità da parte della madre, poiché in tal modo si avrà un minor frazionamento di quell’immobile (si formeranno solo due quote anziché tre) e si salterà un passaggio di proprietà (con un inevitabile risparmio di imposte e tasse).

Ivo A. chiede
domenica 20/01/2019 - Estero
“Buongiorno , porgo questa domanda.
Quattro eredi sono proprietari di un appartamento , ereditato da una zia.
Le quote sono 1/3 + 1/3 +1/6+1/6.
Abbiamo individuato un compratore che offre una cifra leggermente inferiore al valore ipotetico di mercato dell´appartamento.
Quest'ultimo è abbastanza in cattivo stato e per rimetterlo in ordine al fine di ottenere il prezzo di mercato dovremmo investire dei capitali che nessuno degli eredi vuole investire.
A questo punto 3 eredi (1/3 +1/6+1/6) sono d´accordo per la vendita mentre 1 erede (1/3) è contrario.
Quindi il quesito è : possiamo opporci in qualche modo al veto dell´erede che non vuole vendere?

Consulenza legale i 24/01/2019
La comunione ereditaria è lo stato di contitolarità del patrimonio ereditario che si instaura tra gli eredi che hanno accettato l'eredità.
Essa non è però soggetta a regole particolari, ma alla disciplina della comunione ordinaria, regolata dagli articoli 1100 e seguenti del codice civile.
Ora, all’interno della comunione le decisioni devono essere unanimi ed è irrilevante, a questo proposito, che le quote tra gli eredi siano di diversa ampiezza.

Quando non sia possibile accordarsi in via bonaria non resta, purtroppo, che il ricorso all’Autorità Giudiziaria, il cui intervento tuttavia, si noti bene, non potrà consistere nel costringere l’erede dissenziente a cedere ed acconsentire alla vendita, quanto piuttosto nello sciogliere la comunione e liquidare le quote ereditarie.

La divisione ereditaria, più precisamente, può essere di tre tipi:
  • giudiziale, nel caso non vi sia accordo tra i coeredi;
  • mediante contratto tra i coeredi;
  • per volontà e secondo le indicazioni de testatore (la cosiddetta divisione testamentaria).

Alla divisione giudiziale devono obbligatoriamente essere chiamati tutti i coeredi.
Si procede in questo modo: prima dovrà essere formata la massa ereditaria, cioè dovranno essere individuati con precisione tutti beni facenti parte dell’asse.
Poi si procederà alla valutazione dei beni e del patrimonio ed alla successiva attribuzione delle quote ereditarie secondo la legge (o testamento, se presente).
Infine ci sarà l’assegnazione o l’attribuzione delle quote: si procede con assegnazione, a sorteggio, quando le quote sono uguali; si procede invece con l’attribuzione quando le quote sono diseguali.

Non è sempre agevole, però, procedere alla divisione quando nell'eredità ci sono – come nel caso in esame - beni immobili. Questi infatti potrebbero non risultare facilmente divisibili.
In tal caso, e qualora senza il loro frazionamento non sia possibile procedere alla divisione della massa ereditaria, l'art. 720 c.c. dispone che tali beni "devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione."

Questa norma apre uno spiraglio a favore dei tre coeredi intenzionati a vendere.

Nel quesito non è descritto l’immobile, per cui non si può dire – in base agli elementi che si hanno qui a disposizione – se esso sia o meno “comodamente divisibile” ai sensi della norma.
Per “comoda divisibilità” si intende la possibilità di individuare quote omogenee di numero pari a quello dei condividenti, ovvero – in concreto - dividere il bene in tante porzioni quanti sono i comproprietari.
Ebbene, se l’immobile in oggetto – come par di capire – non è comodamente divisibile, i tre coeredi di cui al quesito – in base alla norma citata (720 c.c.) - potrebbero chiedere al Giudice congiuntamente l’attribuzione dell’immobile, salvo ovviamente pagamento del conguaglio a favore del quarto coerede.
Una volta così ottenuta l’assegnazione del bene essi sarebbero finalmente liberi di metterlo in vendita.

Ci si rende conto che si tratta, evidentemente, di soluzione poco pratica: le tempistiche di un giudizio di divisione (che è un giudizio civile ordinario, la cui durata dipende soprattutto dalla perizia di stima del patrimonio e delle porzioni) sono tali da far presumibilmente sfumare la trattativa con il potenziale acquirente, il quale difficilmente sarà disposto ad attendere così a lungo per perfezionare il negozio, anziché rivolgersi altrove e trovare sul mercato un diverso immobile.
Questo, però, è l’unico modo possibile di procedere.
Oppure, se si vogliono accelerare i tempi, si potrà propendere (ma solo se i coeredi concordano su questa scelta) per una divisione contrattuale, mediante scrittura privata che andrà registrata.

Altra soluzione molto pratica e veloce, che però richiede un sacrificio da parte dei comunisti che intendono vendere, è quella di farsi carico del maggior valore che il condividente che non vuole allenare vorrebbe realizzare dalla vendita della sua quota.

Federico C. chiede
giovedì 27/12/2018 - Emilia-Romagna
“Spett.le Brocardi.it,
vorrei un vostro parere su un immobile gravato da diritto di abitazione.
Circa 15 anni fa mio zio (il fratello di mia madre), dopo lunga malattia, è deceduto.
Alla sua morte si è scoperto aver lasciato testamento, in cui veniva indicata come unica erede la moglie (non hanno mai avuto figli).
La casa coniugale, che rappresentava in sostanza il compendio ereditario e che era intestata per il 100% a lui, è quindi inizialmente passata per intero alla moglie, che gode altresì del diritto di abitazione vita natural durante.
Mio nonno (suo padre) che era ed è ancora in vita, poco dopo la morte di mio zio, ha deciso di impugnare il testamento, reclamando la sua quota legittima. La sua richiesta viene accolta dal tribunale e, con sentenza del 11/2010, mio nonno ottiene 1/4 della proprietà della casa.
Attualmente la casa è quindi intestata per 3/4 a mia zia e per 1/4 a mio nonno. La zia inoltre gode del diritto di abitazione sul 100% della casa.
Valore stimato dell’immobile, circa 500 mila €.
I punti che non mi sono chiari sono 2:
1 Esiste un modo per mio nonno per monetizzare il suo 1/4 di casa? Se si, come dovrebbe muoversi?
Mia zia in passato gli ha già offerto pochi spiccioli (5-10 mila euro), sostenendo che il valore di quel 1/4 di casa è molto basso in quanto gravato da diritto di abitazione… discorso che comprenderei a pieno se fatto da un soggetto terzo, che non può godere dell’immobile.
Se mia zia acquistasse il 1/4 da mio nonno, il diritto di abitazione non può essere motivo di svalutazione, in quanto il diritto di abitazione è proprio di mia zia, che potrà in seguito all’acquisto godere a pieno dell’immobile, compreso venderlo a prezzo pieno.
2 Nel caso invece mio nonno fosse semplicemente interessato al mantenimento della proprietà, eventualmente da lasciare in eredità a mia madre, esiste il rischio che la zia possa usucapire il 1/4 non suo? Se si, cosa si può fare per impedirlo?
Attualmente mio nonno è nudo proprietario e, non credo di sbagliare, non sta pagando neanche l’IMU o altre tasse riguardanti l’immobile, in quanto spettanti a chi ci abita.
Per mio nonno non sono importanti i soldi, ma è prioritario quanto esposto al punto 2, cioè non perdere la proprietà del 1/4 di casa.
Grazie”
Consulenza legale i 07/01/2019
La situazione che si presenta è quella disciplinata dall’art. 544 del c.c., il quale prevede che, nell’ipotesi in cui il de cuius non abbia figli, ma solo coniuge e ascendenti, a questi ultimi è riservato un quarto del patrimonio ereditario.
Essendo poi il patrimonio ereditario costituito soltanto dalla casa familiare, al coniuge compete ex art. 540 del c.c. comma secondo il diritto di abitazione su quella casa.
Fin qui, dunque, la fattispecie descritta risulta perfettamente aderente al testo della legge, anche in virtù degli aggiustamenti intervenuti per effetto della impugnazione del testamento e della sentenza emessa a seguito di tale evento.
Il suocero (nonno) e la nuora (zia) versano al momento in una situazione di comunione ereditaria, per la quale trovano applicazione le norme dettate agli artt. 713 e ss. c.c. in materia di divisione ereditaria.
Tra queste, quelle che qui possono maggiormente interessare sono gli artt. 713 e 732 c.c.

In particolare, il primo comma dell’art. 713 del c.c. attribuisce a ciascuno dei coeredi il diritto di chiedere in qualunque momento la divisione dell’eredità, trattandosi di un diritto c.d. di natura potestativa, ossia al cui esercizio gli altri eredi devono necessariamente soggiacere.
L’art. 732 del c.c., invece, riconosce al coerede il diritto di alienare in qualunque momento ad un estraneo la propria quota o parte di essa, attribuendo per contro agli altri coeredi un diritto di prelazione, ossia il diritto ad essere preferiti nell’acquisto di quella quota (dettando a tal fine delle regole ben precise da seguire prima che si possa perfezionare la vendita con un terzo estraneo).

Rispondendo, così, alla prima delle domande poste, può dirsi che il nonno, allo stato attuale, ha due possibilità:
  1. chiedere la divisione: se la nuora si rifiuta di dividere, si dovrà necessariamente fare ricorso alla divisione giudiziale, ossia alla divisione disposta da un giudice, il quale, in casi come questo, non potrà non applicare l’art. 720 del c.c..
Dispone tale norma che, nel caso in cui un immobile non sia comodamente divisibile, esso deve essere preferibilmente compreso per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione del coerede avente diritto alla quota maggiore.
Ciò significa che alla nuora verrà assegnato l’intero bene, ed al suocero (nonno) la medesima sarà tenuta a versare il valore in denaro corrispondente alla quota ceduta.
Ovviamente tale valore non sarà determinato secondo la stima che ne vuol fare la nuora, ma secondo il prezzo corrente di mercato.
Per raggiungere tale risultato il giudice non potrà fare a meno di avvalersi dell’ausilio di un consulente tecnico di ufficio (di solito un ingegnere, architetto o un geometra), il quale nella sua valutazione dovrà tener conto del fatto che si tratta di bene in comunione e che la quota di proprietà è gravata dal diritto di abitazione, il cui valore (determinato sulla base dell’età dell’avente diritto) andrà necessariamente detratto dal valore della piena proprietà.

Purtroppo, le considerazioni espresse nel quesito in ordine alla circostanza che nel caso specifico è la zia medesima in fondo a godere del diritto di abitazione, non possono avere alcun valore, in quanto l’eventuale consulente tecnico dovrà guardare alla situazione giuridica in sé, rappresentata da una quota di proprietà gravata da diritto di abitazione, a prescindere dai soggetti che ne risultano titolari.

  1. manifestare la volontà di alienare la propria quota offrendola in prelazione all’altro erede: si tratta di un’ipotesi più teorica che pratica, in quanto è evidente che difficilmente un terzo estraneo sarà disposto ad acquistare quella quota indivisa di immobile, per di più corrispondente a solo un quarto dell’intero e di cui non può subito disporre per la sussistenza del diritto di abitazione altrui.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, dunque, ciò che si consiglia prima di muoversi verso la soluzione sub a), ossia la divisione (eventualmente giudiziale) dell’immobile (ritenendosi impraticabile la soluzione della vendita), è di rivolgersi ad un tecnico di propria fiducia per avere una stima reale approssimativa di quella quota di proprietà (anche una agenzia immobiliare andrebbe bene a tale scopo).
Qualora ci si dovesse rendere conto che il valore che si potrebbe ricavare da quella divisione sarebbe irrisorio rispetto al valore dell’intero bene, non resterà altra scelta che rimanere nello stato di comunione ereditaria in cui ci si trova, almeno finché non continuerà a sussistere il diritto di abitazione.

Tale situazione, infatti, non potrà ingenerare alcuna pretesa da parte della zia di voler usucapire l’intero bene, in quanto il possesso che ha di quell’immobile è un possesso qualificato dalla sussistenza in suo favore del diritto di abitazione.
In questo senso può richiamarsi il disposto dell’art. 1164 c.c. secondo cui, se su un bene si ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui (tale è il diritto di abitazione), non è possibile usucapire la proprietà della cosa stessa, almeno fin quando non muta il titolo di quel possesso.
Viene, dunque, sancito il c.d. divieto di usucapire contro il proprio titolo, ritenendosi a tal fine necessario il mutamento di animus e corpus possidendi (ciò che dà luogo a quella che viene definita interversio possessionis).

Il mutamento del possesso non può farsi discendere da un semplice atto di volizione interna (cioè non può dipendere solo dalla volontà di chi intende usucapire), ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed ha iniziato ad esercitarlo nomine proprio.
Con particolare riferimento all’usucapione da parte del coerede o del condomino, è stato affermato che sarà necessario il compimento di atti dai quali risulti un comportamento che sia un'univoca espressione dell'intenzione di possedere in via esclusiva ovvero uti dominus (o animo domini) e non più uti condominus, senza che intervengano opposizioni durante il tempo utile al compimento dell'usucapione.
E ancora, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5310 del 1984, ha disposto espressamente che l'esercizio del diritto di abitazione non può condurre all'usucapione, senza che muti il titolo del possesso, ai sensi proprio dell'art. 1164.

Per le suesposte ragioni, dunque, può concludersi dicendo che non si corre alcun rischio che la zia possa usucapire l’intera proprietà di quella casa di abitazione, avendone un possesso qualificato dalla sussistenza del diritto di abitazione ex art. 540 c.c.

Giusy F. chiede
mercoledì 13/04/2011 - Sicilia
“Ho un problema riguardante una successione ereditaria.
E' venuto a mancare lo zio di una mia amica, il quale non era sposato e, dunque, non aveva figli.
In qualità di nipote, insieme ad altri suoi cugini, la mia amica rientra tra gli eredi del patrimonio dello zio.
Il mio quesito è, però, il seguente: tra i beni dell'asse ereditario, vi sono alcuni oggetti di valore di proprietà della suddetta nipote, che sono rimasti per anni a disposizione dello zio presso la sua abitazione.E' possibile che lei se ne riappropri prima della divisione dell'intero patrimonio tra gli altri eredi, per evitare che vengano assegnati ad altri, poiché si tratta di beni di sua esclusiva proprietà?
RingraziandoVi anticipatamente, attendo una Vs. pronta risposta.”
Jessica chiede
mercoledì 26/01/2011

“Dopo la morte di mio padre ho ereditato il 50% di un appartamento, nel quale lui risiedeva con la convivente.
Quest'ultima oltre ad essere l'intestataria del restante 50%dell'immobile ha la residenza nel suddetto appartamento e si rifiuta di darmi le chiavi per poter usufruire della mia parte di immobile.
Io vorrei venderle la mia quota ma lei vuole abitarci senza acquistarla. Come posso muovermi? Ho diritto ad un affitto fino a che lei ne usufruisce totalmente?”

Consulenza legale i 28/01/2011

Nel caso di specie, la figlia del de cuius ha diritto a chiedere la divisione dell'immobile ex art. 713 del c.c., esercitando apposita azione giudiziale.
Poiché l'immobile descritto non è facilmente divisibile, le possibili soluzioni saranno: uno dei comproprietari ne assume la titolarità per intero, con l'obbligo di versare all'altro un conguaglio in denaro; oppure, il bene dovrà essere venduto all'incanto per ripartire il ricavato tra i due coeredi.


Carlo F. chiede
sabato 11/12/2010

“Otto anni fa ho acquistato, unitamente ad un cognato, un appezzamento di terreno con piantagione di olivi. Ora vorremmo dividere il bene: quali sono le soluzioni?”

Consulenza legale i 31/12/2010

Dalla lettura dell' art. 1112 del c.c., rubricato "cose non soggette a divisione", l'appezzamento di terreno non sembrerebbe doversi considerare come bene indivisibile. Infatti, affinché possa applicarsi l'art. 1112 c.c. la cosa comune deve essere utile non in sè stessa, ma in relazione ad altre cose (ad es. l'atrio o il cortile che serve a due appartamenti propri di ciascuno dei compartecipi) oppure la cosa comune deve fornire utilità personali per i soli comunisti, mentre se attribuita ad un terzo estraneo non avrebbe più valore (ad es. il registro familiare...).

Da quanto detto risulta applicabile l'art. 1111 del c.c. rubricato "Scioglimento della comunione", il quale prevede che "ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione; l'autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l'immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri".

Lo scioglimento della comunione che ciascun partecipante può domandare al giudice altro non è se non la divisione giudiziale. La comunione, però, può cessare anche per cause diverse dalla divisione: così avviene nell'ipotesi di usucapione del diritto esclusivo ad opera di uno dei partecipanti o di un estraneo, ovvero nell'ipotesi di vendita separata delle quote ad un partecipante della comunione o di rinuncia al diritto di uno dei partecipanti, quando, come in questo caso, si tratti di comunione tra due soggetti. A ciò si aggiunga la possibilità di addivenire alla divisione in via consensuale.


MAURA chiede
giovedì 21/10/2010

“Quali caratteristiche deve possedere un bene immobile per essere definito indivisibile?”

Consulenza legale i 01/11/2010

Si dicono indivisibili i beni che, se divisi in più parti, perdono in tutto o in parte la loro utilità.

Si veda in proposito Cass. civ. Sez. II, 30-07-2004, n. 14540
Il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l'art. 720 c.c. postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l'aspetto economico funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso.


Una conseguenza ricollegabile alla distinzione tra beni divisibili ed indivisibili: se uno stesso bene divisibile appartiene a più persone, e queste intendono sciogliere la comunione, possono prendersi ciascuna una parte di esso; mentre se oggetto della comunione è un bene indivisibile, questo andrà ad uno dei comproprietari, con obbligo di versare agli altri un conguaglio in denaro; oppure - altra ipotesi - sarà venduto per ripartire il ricavato fra gli aventi diritto.


G. C. chiede
venerdì 30/09/2022 - Sicilia
“Buonasera,
sono cointestatario per 1/5 di un immobile caduto in successione e oggetto di divisione ereditaria. Attualmente il giudizio è pendente presso la Corte di Appello di Napoli dopo la Sentenza con rinvio della Cassazione.
L’immobile attualmente è occupato da mia sorella, la quale non pagando i canoni di locazione ha estinto la sua quota maturando ulteriori debiti nei confronti dei coeredi. Desidero acquistare tre quote dei miei fratelli. Vorrei sapere se acquistando le quote è legittimo chiedere il rilascio dell’immobile nelle more del pronunciamento del giudizio di Appello. Faccio presente che l’immobile servirebbe a mia figlia per motivi di studio. Nel primo giudizio di Appello mi era stato assegnato l’immobile. La Suprema Corte pur ritenendo legittima la mia richiesta ha rimandato il procedimento alla Corte di Appello per una riformulazione delle quote escludendo mia sorella.”
Consulenza legale i 06/10/2022
Il primo aspetto della vicenda descritta sul quale occorre soffermarsi è quello relativo alla parte in cui si dice:
“L’immobile attualmente è occupato da mia sorella, la quale non pagando i canoni di locazione ha estinto la sua quota maturando ulteriori debiti nei confronti dei coeredi.”
In realtà non è così automatico che l’occupazione in via esclusiva dell’immobile da parte di uno dei comproprietari determini il maturare di un diritto di credito nei confronti dell’occupante e, ancor di più, che lo stesso possa configurarsi come un debito da portare in detrazione al valore della quota ereditaria spettante a quest’ultimo.
Infatti, principio generale valevole nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali, è quello secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art. 1102 c.c.).
Ciò deve intendersi nel senso che è consentito al comproprietario l’utilizzazione ed il godimento della cosa comune anche in modo particolare e più intenso, ovvero nella sua interezza (in solidum), essendo posto solo il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Così, da ultimo, Cass., Sez. II, 12 marzo 2019, n. 7019).

Essendo l’utilizzo esclusivo della cosa comune ricompreso tra le facoltà spettanti al comproprietario, ne deriva che non potrà riconoscersi agli altri comproprietari una indennità per il solo fatto dell’occupazione dell’intero bene ad opera di uno soltanto di essi, in quanto tale occupazione si presume legittima, trovando comunque titolo giustificativo nella comproprietà che investe tutta la cosa comune.
Di contro, è solo la mancanza di un titolo giustificativo che fa sorgere, in capo al comproprietario di un bene fruttifero che ne abbia goduto per l’intero, l’obbligo di corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune, i frutti civili, che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere a terzi secondo i correnti prezzi di mercato, possono essere individuati, in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione, nei canoni di locazione percepibili per il cespite (in tal senso si vedano Cass., Sez. II, 6 aprile 2011, n. 7881 e Cass., Sez. II, 19 marzo 2019, n. 7681.)

Ora, nessuna questione può sorgere se le parti si accordano sulle modalità di esercizio dei rispettivi diritti di godimento, in quanto la circostanza che il bene sia utilizzato da tutti i comproprietari oppure solo da uno o alcuni di essi non è altro che il riflesso di un’intesa tra le stesse.
La situazione è ben diversa, invece, se uno dei comproprietari inizia a godere in via esclusiva dell’immobile pur essendovi il dissenso degli altri.
Infatti, come sostenuto in diverse occasioni dalla stessa giurisprudenza di legittimità, l’uso esclusivo è fonte di responsabilità sole se gli altri comproprietari non abbiano acconsentito in modo certo ed inequivoco ad esso (deve quindi sussistere, in concreto, un loro interesse all’esercizio del diritto di godimento).
Il comproprietario che si ritenga leso nel suo diritto di godimento sarà, pertanto, tenuto a contestare formalmente l’abuso da parte dell’altro comproprietario che goda interamente ed in via esclusiva dell’immobile, potendo solo da tale momento vantare il diritto a ricevere un’indennità di occupazione (così Cass. Civ., sent. n. 2423/2015, nella quale espressamente si legge che l’indennità di occupazione è dovuta, ma soltanto se l’uso della cosa comune sia espressamente richiesto dai contitolari di fatto esclusi dal possesso).
Se alla richiesta segue il rifiuto del comproprietario che ha occupato la cosa comune, allora i contitolari estromessi potranno chiedere il pagamento dell’indennità di occupazione la quale va commisurata al valore di mercato e, per la precisazione, al potenziale canone di locazione che, secondo i valori correnti, potrebbe essere percepito per l’immobile in contestazione (così Cass. civ. Sez. II, sentenza n. 20394/13).

A sua volta, il diritto di credito che i comproprietari dissenzienti verrebbero a maturare nei confronti di colui o colei che occupa in via esclusiva l’immobile non può di certo andare a ridurre automaticamente il valore della quota ereditaria spettante a quest’ultimo.
L’unico modo per raggiungere legittimamente tale risultato potrebbe essere quello di fare ricorso alle fattispecie negoziali previste dagli artt. 477 e 478 c.c., norme che disciplinano la vendita, cessione o rinunzia ai diritti di successione verso corrispettivo, arricchendo tali fattispecie con la previsione di una compensazione volontaria (il corrispettivo a cui avrebbe diritto il cedente potrebbe compensarsi con la somma di cui lo stesso è debitore nei confronti dei cessionari per occupazione dell’immobile).
Si tratta, però, di un meccanismo negoziale che si fonda esclusivamente sul raggiungimento di un accordo tra le parti interessate, accordo che si dubita possa qui concretizzarsi.

Per quanto concerne l’altro aspetto della vicenda che si chiede di analizzare, ossia l’intenzione di acquistare le quote degli altri tre fratelli con la precipua finalità di chiedere il rilascio dell’immobile nella sua interezza, da quanto viene riferito nel quesito si intuisce che allo stato attuale delle cose anche la sorella partecipa alla comunione ereditaria dell’immobile in oggetto in misura pari ad un quinto.
Ciò comporta che tutto quanto detto sopra deve di riflesso valere per ciascuno dei comproprietari, a prescindere che si tratti di comproprietario avente diritto ad una maggiore o minore quota dell’intero.
Pertanto, solo con il consenso della sorella sarebbe possibile conseguire il diritto di utilizzare in via esclusiva l’immobile, mentre in assenza di tale presupposto sarebbe illegittimo qualunque atto volto ad impedirne il pari uso, seppure limitato alla consistenza della propria quota.

L’acquisto delle quote degli altri tre fratelli, può semmai risultare vantaggioso al fine di far valere, in sede di divisione, il disposto di cui all’art. 720 del c.c., norma che, nell’ipotesi di immobili non comodamente divisibili, attribuisce a colui che è titolare della quota maggiore il diritto di ottenerne l’attribuzione per intero con addebito dell’eccedenza, ossia liquidando agli altri comproprietari il valore della loro quota.


P. M. chiede
martedì 31/05/2022 - Lazio
“Gentile avvocato,
sono una donna di 43 anni che ha sempre vissuto con il padre invalido. Mio padre ha lasciato un testamento pubblico in base al quale io sono diventata proprietaria di 2/3 dell'immobile di famiglia e mia sorella 1/3 dell'immobile di famiglia. Mia sorella non vuole nè vendermi la sua quota, nè vendere l'appartamento, in quanto è sposata, senza figli, non ha mai lavorato e vive in affitto. Vuole che io rimanga il "custode" dell'immobile nell'eventualità abbia bisogno di tornare a casa, senza pagare nessuna spesa. Mi sono rivolta a delle società immobiliari per poter vendere la mia quota. Volevo sapere se per vendere la mia quota di 2/3 è necessario l'atto di accettazione tacita dell'eredità da parte di mia sorella.”
Consulenza legale i 06/06/2022
La situazione in cui ci si trova è presa in considerazione e tutelata dal codice civile sotto diversi profili.
Innanzitutto occorre precisare che per alienare la propria quota di quell’immobile non occorre che l’altro chiamato abbia accettato l’eredità, seppure tacitamente, in quanto tale vendita deve intendersi limitata esclusivamente alla quota di cui è titolare l’alienante, rimanendone esclusa la rimanente quota.
Occorre, invece, prestare particolare attenzione a quanto disposto dall’art. 732 c.c., norma che riconosce in favore dell’altro coerede, rimasto escluso dalla vendita, il diritto di prelazione e riscatto nei confronti di eventuali terzi acquirenti.
La prelazione, infatti, comporta il diritto in capo a ciascun coerede di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un estraneo alla comunione ereditaria nel caso in cui uno dei coeredi intenda alienare la propria quota.

Per tale ragione, prima di procedere a tale trasferimento, si rende necessario adempiere a quanto disposto dal detto art. 732, ovvero notificare all’altro coerede (non necessariamente a mezzo di ufficiale giudiziario, purchè con modalità idonee a documentare esattamente il giorno della ricezione) la proposta di alienazione, la quale equivale ad ogni effetto a proposta contrattuale in favore del coerede estraneo alla vendita.
A quest’ultimo viene così concesso, a pena di decadenza, uno spatium deliberandi di due mesi dalla notifica o trasmissione di quella proposta di alienazione, entro cui dovrà decidere se esercitare o meno il diritto di prelazione.
In assenza di denuntiatio il trasferimento immobiliare in favore del terzo estraneo alla comunione non può considerarsi inefficace, ma soggetto al potere di riscatto o retratto degli altri coeredi.

Pertanto, alla domanda che viene posta va data risposta positiva (ossia è possibile alienare ad un estraneo la propria quota di eredità sull’immobile), ma avendo cura di rispettare le formalità prescritte dall’art. 732 c.c.
Deve anche precisarsi che quanto fin qui detto vale soltanto per il caso in cui la comunione ereditaria sia costituita esclusivamente da quell’appartamento, in quanto si presume che l’alienazione della quota di cui si è titolari su quell’immobile debba intendersi come porzione ideale dell’universum ius defunti.
Al contrario, se nell’eredità sono compresi altri beni, mobili ed immobili, la vendita della propria quota di quell’appartamento sarà in grado di produrre esclusivamente effetti obbligatori, dovendosi intendere subordinata alla condizione della assegnazione di quel bene (o della sua quota parte) al coerede alienante in sede di divisione ereditaria (cfr. Cass. ord. N. 4831/2019, n. 4428/2018, n. 76/2018, n. 21050/2017).

Al di là della ammissibilità di una vendita della quota di propria pertinenza su quell’immobile, il codice civile si preoccupa in altri modi di tutelare la posizione di colui che si viene a trovare in uno stato di comunione forzosa (è tale la situazione che si genera a seguito dell’apertura di una successione, considerato che ci si trova in comunione con gli altri coeredi a prescindere dalla propria volontà).
In particolare ci si intende riferire a quanto disposto dall’art. 713 del c.c., norma che riconosce a ciascun coerede di domandare in qualunque momento lo scioglimento della comunione ereditaria.
Si tratta di un diritto definito di natura potestativa ed imprescrittibile, il quale tuttavia postula la qualità di erede e, pertanto, l’accettazione di eredità.
Nel caso di specie sembrerebbe difettare, stando a quanto viene detto nel quesito, quest’ultima condizione (ossia l’accettazione, anche in forma tacita, dell’eredità da parte della sorella), ma alla mancanza di tale elemento è facile sopperire avvalendosi di quanto disposto dall’ art. 481 del c.c., norma che disciplina la cd. actio interrogatoria.
Quest’ultima norma, infatti, prevede che chiunque ne abbia interesse possa rivolgersi all’autorità giudiziaria (Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione), chiedendo che venga fissato un termine all’altro o agli altri eredi, entro cui dichiarare formalmente se accettare o rinunciare all’eredità, trascorso inutilmente il quale si perde il diritto di accettare.

Ciò comporta che, se la sorella dovesse entro quel termine accettare l’eredità, sarebbe costretta a soggiacere al diritto potestativo dell’altro coerede di sciogliere la comunione ereditaria, mentre se dovesse rinunciare o non manifestare alcuna volontà, fatto salvo il diritto di rappresentazione, per quella quota ereditaria finirebbe per aprirsi la successione legittima, con conseguente attribuzione in favore dell’altra sorella (cioè colei che pone il quesito), trattandosi dell’unico erede per legge.
Non può, infatti, trovare applicazione l’istituto giuridico del diritto di accrescimento, il quale presuppone, nel caso di successione testamentaria, che più eredi siano stati istituiti nello stesso testamento e che l'istituzione nella quota avvenga senza determinazione di parti o, se vi è determinazione, che questa sia fatta in parti uguali (in questo caso si è di fronte a quote diverse).
E’ più corretto, invece, inquadrare la fattispecie nell’ipotesi di c.d. espansione della quota ex art. 522 del c.c., norma per effetto della quale la parte della sorella che rinunzia va ad accrescere quella dell’altra sorella (cioè di colei che pone il quesito), la quale a quel punto sarà libera di alienare l’immobile nella sua interezza.

Nel caso in cui, poi, dovesse giungersi allo scioglimento della comunione ereditaria (in forza di divisione consensuale o giudiziale), altra norma di cui si può invocare l’applicazione è l’art. 720 del c.c., il quale dispone che se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e se la divisione non può effettuarsi senza il loro frazionamento, gli stessi devono essere preferibilmente compresi per intero nella porzione del coerede che ha diritto alla quota maggiore, il quale a sua volta sarà tenuto a soddisfare in denaro la quota del coerede non assegnatario.

P. M. chiede
mercoledì 04/05/2022 - Lazio
“Gentile avvocato,
sono una donna di 43 anni che ha vissuto sempre con il padre invalido nella casa di famiglia. Il 16 gennaio di questo anno mio padre è venuto a mancare. Ha lasciato un testamento in base al quale io sono proprietaria del 66,6 % della casa e mia sorella del 33,3%(legittima).Ho fatto valutare l'appartamento di famiglia e il valore stimato è di 138000 euro. Vorrei acquistare l'immobile per intero liquidando la quota di mia sorella (33%), che ammonterebbe a 45000 euro. Mia sorella si rifiuta di vendermi la quota al valore di mercato, e ha chiesto 100000 euro, cioè più del doppio. Ovviamente io mi sono opposta, replicando che il valore di mercato è 138000 euro. Mi ha risposto " sono fatti tuoi", e si rifiuta di pagare le spese straordinarie dell'appartamento perchè ci vivo io. Pongo delle domande:
1)Può bloccarmi in questo modo chiedendo una cifra al di sopra del valore di mercato?
2)C'è un modo per obbligarla a vendermi la sua quota al giusto valore di mercato?
3)Può tenersi la sua quota facendo quello che vuole e scaricando tutte le spese sulla mia persona perchè ci abito e intanto usufruendone in brevi periodi?
4)Eventualmente,si può affidare la procura ad un legale che tratti con lei fino alla risoluzione del problema, io non voglio più avere a che fare con lei..Sarebbe capace anche di "boicottare" una eventuale cessione di quota.

Spero in una vostra risposta e poter uscire da questo incubo”
Consulenza legale i 11/05/2022
Le ragioni dell'atteggiamento che l'altra comproprietaria ha assunto si ritiene siano abbastanza evidenti, avendo questa ricevuto dal padre defunto soltanto la quota che la legge riserva in suo favore.
Indubbiamente la scelta del testatore non può che essere stata dettata da ciò che in vita ha ricevuto da ciascuna delle figlie, in termini sia di affetto che di cure ed assistenza, aspetto di cui, tuttavia, non sembra voler tenere conto l'altra sorella.

Ora, tralasciando queste considerazioni di carattere prettamente sociale e familiare, si tratta adesso di capire in che modo è possibile sciogliere la comunione forzosa che si è venuta a creare e, soprattutto, di comprendere se, nel frattempo, l'agire della sorella può ritenersi o meno legittimo.

La prima domanda a cui viene chiesto di rispondere è se l'altra comproprietaria può bloccare l'acquisto dell'intero chiedendo una cifra al di sopra del valore di mercato.
La risposta, purtroppo, è positiva, in quanto, in forza del principio di carattere generale della libertà di iniziativa economica privata, principio su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico ed in cui si intende ricompresa anche l’autonoma contrattuale delle parti, ciascuno è libero di vendere a chicchessia i propri beni ed al prezzo che ritiene più opportuno (ovviamente sarà l'altra parte, poi, a decidere se accettare o meno le condizioni di vendita che gli vengono proposte).
In forza di tale principio deve anche rispondersi negativamente alla seconda delle domande poste, ossia se esiste un modo per obbligare l’altra comproprietaria a vendere la sua quota al giusto valore di mercato.

Ciò, di certo, non significa che si devono continuare a sopportare gli atteggiamenti prevaricatori della sorella, la quale mostra totale disinteresse per la gestione di quell’immobile comune, né vuol dire che non vi è soluzione per uscire da tale situazione di comunione.
Per risolvere problemi di questo tipo, infatti, il codice civile prevede norme e strumenti ben precisi, che adesso si cercherà di illustrare.
Innanzitutto, per ciò che concerne il profilo della gestione della cosa comune e delle modalità di ripartizione delle spese che la stessa richiede di affrontare, si ritiene che sia corretto fare applicazione delle norme che il codice civile detta in tema di comodato.
Infatti, in assenza di corrispettivo e di un formale contratto di locazione a cui poter ricondurre la detenzione esclusiva dell’immobile da parte di una sola delle comproprietarie, non può che presumersi la sussistenza tra le medesime parti di un rapporto di comodato, figura contrattuale per la quale non è richiesto il rispetto di alcuna forma scritta (è sufficiente la consegna della cosa) e che viene solitamente impiegata tra amici e parenti per dare in prestito un'abitazione o altro, consentendo ad altri il godimento del bene, in virtù della relazione affettiva intercorrente tra le parti.

L’aspetto negativo della riconduzione a tale figura contrattuale del rapporto sussistente tra le due sorelle comproprietarie deve individuarsi proprio in quella che costituisce l’obbligazione principale posta a carico del comodatario, ossia la restituzione del bene a semplice richiesta del comodante, che potrebbe essere avanzata in qualsiasi momento, non essendo stato pattuito alcun termine per tale restituzione.
In un caso del genere, ritornerebbero a trovare applicazione le norme sulla comunione ordinaria, ed in particolare l’art. 1102 del c.c., per effetto del quale ciascun comproprietario non può impedire il pari uso della cosa comune da parte degli altri partecipanti secondo il loro diritto.

Sotto il profilo delle spese, invece, è ingiustificabile la posizione assunta dall’altra sorella, ossia il suo rifiuto di partecipare alle stesse.
Infatti, in un caso del genere si ritiene corretto fare applicazione di quanto disposto dall’art. 1808 del c.c., in forza del quale devono farsi gravare sul comodatario (ossia sulla sorella che di fatto usufruisce del bene) le spese relative all’uso ed alla gestione ordinaria dell’immobile, mentre graveranno sulla parte comodante tutte le spese straordinarie occorrenti per la conservazione del bene.
Ovviamente, trattandosi di immobile di cui è comproprietaria anche la parte che ne ha la detenzione esclusiva, peraltro in misura maggiore, la suddivisione di tali spese dovrà essere effettuata in proporzione alla quota di cui ciascuna delle sorelle è comproprietaria (ossia in ragione di 2/3 e di 1/3).

Quanto fin qui detto, con cui si intende rispondere alla terza delle domande poste, vale per ciò che concerne il regime di ripartizione delle spese finchè perdura la situazione in cui attualmente ci si trova.
Ritornando, adesso, alla seconda delle domande che vengono formulate, si è detto nella parte iniziale di questa consulenza che, in virtù del principio dell’autonomia contrattuale, il nostro ordinamento non consente, salvo i casi imposti dalla legge, di imporre ad un soggetto di vendere un bene di cui è comproprietario, in via esclusiva o pro quota, né di venderlo ad un prezzo determinato (valore di mercato).

Di contro, sempre il nostro ordinamento giuridico stabilisce un altro principio di carattere generale, ossia quello secondo cui ciascun erede ha il diritto di chiedere in qualunque momento la divisione della cosa comune.
Si tratta di un diritto definito di natura potestativa, ossia all’esercizio del quale gli altri coeredi non possono che soggiacere, ed imprescrittibile.
Ciò che si suggerisce, dunque, per raggiungere l’effetto desiderato, è di manifestare alla sorella la propria volontà di procedere a scioglimento della comunione ereditaria, chiedendo l’attribuzione in via esclusiva dell’immobile ed il soddisfacimento delle ragioni della sorella con un conguaglio in denaro.
A tal fine si potrà fare applicazione di quanto disposto dall’art. 720 del c.c., nella parte in cui è detto che “se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili….essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore…”.

Considerato che, con molta probabilità, una tale richiesta non sarà bonariamente accolta dall’altra sorella coerede o, quantomeno, non si raggiungerà tra i coeredi un accordo circa la misura del conguaglio in denaro, non si potrà fare a meno di fare ricorso ad un divisione giudiziale.
In questo caso, la proposta di fare applicazione dell’art. 720 c.c. (con attribuzione dell’intero immobile alla porzione del coerede che ha diritto alla quota maggiore) dovrà avanzarsi al giudice che si occuperà della divisione, il quale, per ciò che concerne la stima del bene (e, dunque, la determinazione del conguaglio in denaro da versare all’altra sorella) non potrà non fare applicazione di quanto disposto dall’art. 726 del c.c., ossia attenersi a quello che è il valore venale dei singoli oggetti.
Va al riguardo precisato che la stima dei beni, cioè la riduzione del valore di un bene in danaro, deve essere riferita al tempo della divisione ( cfr. Cass. civ. 27.11.1982 n. 6469) e non a quello dell'apertura della successione e che il termine "valore venale" richiama inequivocabilmente il valore di mercato dei beni stessi con riferimento alla loro natura, ubicazione e consistenza.
Per tale stima l’autorità giudiziaria sarà indispensabile fare ricorso all’ausilio di un CTU (consulente tecnico di ufficio), il quale a sua volta dovrà necessariamente attenersi a criteri obiettivi e non soggettivi, come pretenderebbe di imporre la sorella.

Ovviamente tutte le operazioni sopra suggerite potranno essere condotte da un legale di propria fiducia, a cui dovrà sostanzialmente conferirsi mandato per procedere allo scioglimento della comunione ereditaria (si raccomanda vivamente di pretendere un preventivo scritto e ben dettagliato per tutte le attività da svolgere; meglio, se possibile, chiederne più di uno, rivolgendosi a diversi professionisti).
Qualora le parti dovessero accordarsi in via bonaria, senza ricorso all’autorità giudiziaria, il loro accordo dovrà essere formalizzato innanzi ad un notaio, comportando il trasferimento di un diritto reale, per la cui pubblicità (trascrizione nei Registri immobiliari e volture catastali) è richiesto il rispetto della forma dell’atto pubblico o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata ex c.c.art. 2643 del c.c..
Dinanzi al notaio, ovviamente, dovranno comparire le parti personalmente, salvo il conferimento di una procura speciale a qualunque altra persona di propria fiducia (non necessariamente un legale).

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