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Articolo 1103 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Disposizione della quota

Dispositivo dell'art. 1103 Codice Civile

Ciascun partecipante può disporre(1) del suo diritto [1059] e cedere ad altri il godimento della cosa(2) [1102] nei limiti della sua quota [873 cod. nav.].

Per le ipoteche costituite da uno dei partecipanti si osservano le disposizioni contenute nel capo IV del titolo III del libro VI [2825].

Note

(1) Poter disporre significa avere la possibilità di alienare la quota, cioè di cederne il diritto di comproprietà, naturalmente limitatamente alla quota che l'alienante ha nella comunione: dal momento dell'alienazione, titolare del diritto di condominio sarà erga omnes l'acquirente.
(2) Il comproprietario può, in generale, costituire diritti reali di godimento che possano esplicarsi pro quota (ad esempio, diritto di usufrutto e di enfiteusi). La costituzione di un diritto di servitù, invece, potrebbe comportare un atto di disposizione eccedente la quota (v. in tal caso l'art. 1059 del c.c.).

Ratio Legis

La disposizione riguarda il concetto generale della libera disponibilità della quota ideale che spetta a ciascun comunista, che ha, dunque, diritto di trasmettere ad altri la proprietà della quota, oppure costituire diritti reali diversi dalla proprietà sulla cosa comune in capo a terzi.
Egli può anche rinunciare alla propria quota (art. 1104 del c.c.), ma non può disporre integralmente della cosa comune, perché le sue possibilità in tal senso sono limitate alla sola parte del diritto comune che gli compete.
Per disporre per intero della cosa comune, è necessario invece il consenso di tutti i partecipanti alla comunione.

Spiegazione dell'art. 1103 Codice Civile

Atti di disposizione della quota ed effetti

Nella prima parte il nuovo codice ha omesso l'affermazione, contenuta nel vecchio art. 679, che ciascun partecipante ha la piena proprietà della sua quota e dei relativi utili o frutti. Prescindendo dall'imperfetta formulazione, in quanto la comunione non si esaurisce nella comproprietà e lo stesso art. 679 nel prosieguo ricorda la comunione di diritti reali personali, l'omissione si è giustificata con la tendenza a non pregiudicare problemi di costruzione teorica. Si è già rilevato, però, che se l' art. 1100 del c.c. parla di proprietà spettante in comune a più persone e l' art. 1101 del c.c.si riporta alle quote dei partecipanti, non è sostanzialmente mutata la concezione fondamentale della comproprietà o della comunione in genere fra il vecchio ed il nuovo codice.

Del resto, lo stesso articolo in esame non si allontana dal concetto di quota, anche quando si limita a dire che « ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota ».

In forma riassuntiva, non ridondante, si è cosi riprodotto quanto aggiungeva il vecchio codice che il partecipante « può liberamente alienare, cedere od ipotecare tale quota ed anche sostituire altri nel godimento di essa, se non si tratti di diritti personali ».

La disposizione della quota in astratto vale in concreto disposizione rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che al disponente verranno assegnati nella divisione. Stabiliva espressamente in tal senso l' art. 679 del vecchio codice con le parole: « l'effetto dell'alienazione o dell'ipoteca si limita a quella porzione, che verrà a spettare al partecipante nella divisione ». Il nuovo art. 1103 tace al riguardo in generale, ma il principio è conservato nell' art. 2825 del c.c., richiamato con il capoverso dell'articolo in esame, secondo il quale « l'ipoteca costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla comunione produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che a lui verranno assegnati nella divisione ».

La novità secondo il primo capoverso dell' art. 2825 del c.c., si ha, piuttosto, nel fatto che se il creditore, anziché iscrivete ipoteca su tutti i beni comuni o su tutto il bene per la quota che potrà spettare al proprio debitore, avesse ipotecato una data specifica porzione, l'ipoteca su tale porzione si trasferirà sulle altre porzioni o sugli altri beni che fossero assegnati al partecipante in luogo di quello da lui ipotecato, col grado derivante dall'originaria iscrizione e nei limiti di valore del bene in precedenza ipotecato, evitandosi cosi, con le cautele e limitazioni previste nello stesso articolo, che la iscrizione ipotecaria su bene o porzione determinata possa riuscire infruttuosa, in conseguenza della divisione.

Fin qui della disposizione della quota in astratto. L'alienazione del bene comune per la totalità non potrà, invece, seguire con effetto immediato se non con il consenso di tutti i partecipanti (art. 1108, secondo capov.).

Fatta da uno solo dei partecipanti, l'alienazione varrà per l'intero se l'altro compartecipe acceda al contratto anche per la sua parte oppure il bene nella divisione sia assegnato per intero al compartecipe alienante.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

518 Nel regolare l'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante, l'art. 1102 del c.c. prevede l'ipotesi che questi intenda eseguire opere per il miglior godimento di essa e gli dà facoltà di eseguirle a proprie spese, purché non ne alterino la destinazione e non ne pregiudichino l'uso, da parte degli altri partecipanti. In tal modo, seguendo il largo indirizzo tracciato dalla giurisprudenza, si consente al singolo partecipante di trarre dalla cosa la migliore utilizzazione possibile, entro i limiti inderogabilmente fissati dalla legge. Nello stesso articolo (secondo comma) è regolata l'usucapione nei rapporti tra i partecipanti. Non occorre che il partecipante faccia opposizione contro il diritto degli altri partecipanti, ma basta che egli compia atti idonei, nella loro univocità, a rivelare il mutamento del titolo del suo possesso, Disciplinando poi il diritto di disposizione della quota (art. 1103 del c.c.), alla formula dell'art. 679 del codice del 1865, che affermava avere ciascun partecipante la piena proprietà della sua quota e dei relativi utili e frutti, ho sostituito una formula che non pregiudica problemi di costruzione teorica.

Massime relative all'art. 1103 Codice Civile

Cass. civ. n. 25097/2022

La vendita di una parte determinata della cosa comune da parte del singolo comunista non ha immediata efficacia traslativa, ma è tuttavia fattispecie negoziale perfetta, con efficacia meramente obbligatoria, che di per sé non pregiudica la posizione degli altri comproprietari, i quali non sono litisconsorti necessari nel giudizio nel quale l'acquirente abbia invocato, sebbene in maniera infondata, l'efficacia immediata del contratto.

Cass. civ. n. 6293/2015

Il retratto successorio, previsto in tema di comunione ereditaria al fine di impedire l'intromissione di estranei nello stato di contitolarità determinato dall'apertura della successione "mortis causa", non si applica nella situazione di comunione ordinaria conseguente alla congiunta attribuzione di un bene ad alcuni coeredi in sede di divisione, non potendo, peraltro, operare in tal caso l'art. 732 cod. civ. in virtù del rinvio di cui all'art. 1116 cod. civ., in quanto per la comunione ordinaria vige il principio di libera disposizione della quota, ai sensi dell'art. 1103 cod. civ.

Cass. civ. n. 26051/2014

Nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l'intera massa, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato all'assegnazione in sede di divisione della quota all'erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicché il compratore subentra, "pro quota", nella comproprietà del bene comune.

Cass. civ. n. 8092/2011

Qualora un bene oggetto di proprietà condominiale subisca - in base ad apposita delibera assembleare - un mutamento di destinazione tale da farne cessare la qualità condominiale, al medesimo non si applicheranno più le norme concernenti la disciplina dei beni comuni del condominio, bensì quelle della comunione ordinaria, in base alle quali ciascun partecipante può cedere ad altri il suo diritto di comproprietà; ne consegue che, ove la vendita di quel bene sia stata stipulata soltanto da uno o più ma non da tutti i comproprietari, si determina non la nullità bensì l'inefficacia relativa del negozio, che non può, pertanto, essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma solo dalla parte acquirente, che è l'unica titolare dell'interesse a che il bene indiviso sia venduto per l'intero e che può anche scegliere di riconoscere validità al contratto di trasferimento di singole quote di proprietà.

Cass. civ. n. 165/2005

L'art 1105 c.c. regola esclusivamente il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza, ma non preclude la locazione di quota ideale di bene comune, che è consentita dalla disposizione di cui all'art. 1103 del c.c., in forza del quale gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano il singolo titolare, potendo inoltre il conduttore cui sia stato concesso il godimento della cosa comune nei limiti di una quota detenere il bene insieme agli altri condomini possessori. Pertanto, contro il conduttore che abbia assunto in locazione da uno dei comproprietari una quota ideale (nella specie del 50 per cento), trovandosi già conduttore, in forza di precedente diverso contratto di locazione stipulato con altro comproprietario, della quota pari al residuo 50 per cento del bene, può essere intrapresa dal locatore della seconda quota un'azione nascente dal contratto di locazione, senza necessità di richiedere e ottenere il consenso del comproprietario primo locatore.

Cass. civ. n. 4965/2004

In materia di proprietà, il principio generale che regola il regime giuridico della comunione pro indiviso è quello della libera disponibilità della quota ideale, sicché è ben possibile che ciascun comunista autonomamente venda o prometta di vendere la sua quota, valido essendo il contratto anche nell'ipotesi in cui il bene sia dalle parti considerato un unicum inscindibile, risultando in tal caso l'alienazione meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte alla stipula dell'atto (Nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C., nel rigettare la doglianza della ricorrente concernente la mancata declaratoria da parte del giudice del merito della nullità del negozio, ha ritenuto nel caso corretta la qualificazione da questi operata, in termini di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui a formazione progressiva, del contratto originariamente sottoscritto da una sola delle comproprietarie e recante la dichiarazione, inserita in epoca successiva, di consenso anche dell'altra comproprietaria).

Cass. civ. n. 12870/2000

Qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la proprietà di una quota pro indiviso del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virtù del pregresso titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all'assunta nuova qualità di proprietario, mentre il rapporto di locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualità di conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d'uso del bene secondo le pregresse pattuizioni. Ne deriva altresì che il comproprietario locatore può validamente esperire l'azione di risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell'art. 1103 c.c.

Cass. civ. n. 5443/1999

La quota di comproprietà di una res (che, a mente dell'art. 1103 c.c. può essere oggetto di autonoma disposizione da parte del titolare) è un bene giuridico dotato di una propria individualità, sicché, in caso di vendita per intero della res communis, non è tenuto a rispondere della evizione relativa ad una quota il comproprietario titolare dell'altra quota.

Cass. civ. n. 8259/1993

Con riguardo alla promessa di vendita da parte di un coerede della propria quota ideale di comproprietà di un bene ereditario indiviso (e non, quindi di una quota materiale concretamente individuata del bene medesimo), che costituisca l'unico bene dell'eredità, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato alla condizione sospensiva dell'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede promittente, essendo quest'ultimo, al momento della conclusione del contratto, proprietario esclusivo della quota promessa in vendita e potendo di questa liberamente disporre ai sensi dell'art. 1103 c.c., immettendo così il promissario acquirente nella comproprietà del bene.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1103 Codice Civile

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C. K. chiede
venerdì 29/03/2024
“Vivo in Germania. Io e mia sorella abbiamo ereditato dai miei genitori una casa in Italia con tre appartamenti. Abbiamo un altro fratello che è schizofrenico. Mia sorella vive con la sua famiglia in uno degli appartamenti di questa casa, che ora le appartiene. Mio fratello viveva nel secondo appartamento con mia madre, che ora appartiene a me, ma in cui vive ancora mio fratello (senza contratto di locazione). Il terzo appartamento appartiene a me e a mia sorella congiuntamente, mentre mio fratello è proprietario di un diritto di superficie. Domande: posso costringere mio fratello a lasciare il mio appartamento per trasferirsi nel terzo? Può mio fratello affittare l'appartamento di sua proprietà e rimanere nell'appartamento di mia proprietà? Può mia sorella fare questo?”
Consulenza legale i 07/04/2024
Sulla base di ciò che si legge nel quesito e di quanto si è potuto comprendere, la situazione proprietaria dei tre appartamenti, pervenuti per successione ereditaria, è la seguente:
  1. appartamento 1: di proprietà della sorella A, ove questa vive con la sua famiglia;
  2. appartamento 2: di proprietà del fratello B, ma occupato dall’altro fratello C, senza alcun tipo di contratto;
  3. appartamento 3: in comproprietà tra A e B, con diritto di superficie in favore di C.
Quest’ultimo sembra essere titolare del diritto di proprietà su altro appartamento, come risulta da quanto viene riferito nella parte conclusiva del quesito, ove è detto “Può mio fratello affittare l’appartamento di sua proprietà…”.

Ciò che si chiede, innanzitutto, è se B ha il diritto di ottenere, anche coattivamente, la liberazione dell’appartamento 2, di cui è proprietario esclusivo, attualmente occupato dal fratello C.
La risposta è senza alcun dubbio positiva.
Il problema, però, sta nel fatto che risultando tale immobile occupato dal fratello C senza alcun titolo legale, si dovrà purtroppo avviare nei suoi confronti una causa per occupazione senza titolo.
Si dice “purtroppo” in quanto si tratta di un giudizio ordinario a tutti gli effetti, ben diverso dallo sfratto per morosità o finita locazione e che, come tale, può avere una durata maggiore e comportare ovviamente anche la necessità di dover sostenere maggiori costi.
In questo caso, assolti gli oneri probatori richiesti dalla legge ed ottenuta una sentenza con la quale l’occupante C viene condannato a rilasciare l’immobile, libero da persone e cose, in favore del proprietario ed entro la data stabilita dal giudice, se a quella data non dovesse esservi alcun rilascio spontaneo, occorrerà avviare un procedimento esecutivo di rilascio, rivolgendosi, sempre a mezzo di un legale di fiducia, all’ufficio esecuzioni del competente Tribunale, il quale incaricherà un ufficiale giudiziario per recarsi sui luoghi ed eseguire la sentenza, immettendo il legittimo proprietario nel possesso dell’immobile.

Non è possibile, invece, proporre al fratello C, ancor più costringendolo, di liberare il proprio appartamento per trasferirsi nell’appartamento 3, in comproprietà tra A e B.
E’ pur vero che, secondo la tesi maggiormente accreditata (si veda tra l’altro Cass. 28.01.2015 n. 1650), il diritto di ciascuno dei contitolari investe il bene nella sua totalità, ma è anche vero che la disciplina legale della comunione ordinaria risponde alla logica secondo cui il diritto di ciascuno dei contitolari incontra un limite nel diritto degli altri compartecipi (art. 1102 del c.c.).
In particolare, per quanto concerne il potere di godimento, ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune a condizione che:
  • non ne alteri la destinazione;
  • non impedisca agli altri contitolari di parimenti utilizzarla.
Sembra evidente che la concessione del godimento in via esclusiva dell’intero bene al fratello C impedirebbe a ciascuno dei comproprietari di utilizzare in qualunque modo l’appartamento, il che comporta che a tanto si può giungere soltanto previo unanime consenso di entrambi i comproprietari.
In tal senso dispone espressamente l’art. 1103 c.c., il quale statuisce che ciascun comproprietario può disporre della propria quota, ma non della quota altrui né dell’intero bene (si veda Cass. 08.10.2014 n. 21286).
Pertanto, per far sì che il fratello C possa lecitamente occupare l’immobile 3 (sempre che ne abbia interesse), occorre ottenere anche il consenso della sorella A.
Una volta ottenuto tale consenso, sarà opportuno sottoscrivere tra i comproprietari e l’utilizzatore dell’immobile un contratto di comodato d’uso gratuito, così da non incorrere nell’inconveniente di cui si è detto prima con riferimento all’appartamento attualmente occupato senza alcun titolo da C (ovvero di dover instaurare un giudizio ordinario di occupazione sine titulo per ottenere la liberazione dell’immobile).


R. P. chiede
lunedì 09/10/2023
“Buongiorno,
questa è una domanda su una eredità. Un mio zio è deceduto quasi un anno fa, lasciando eredi 7 nipoti, di cui 4 fratelli da un lato e 3 sorelle dall'altro. L'eredità consiste in appartamenti, terreni e azioni/liquidi. Tutto è avvenuto in pieno accordo finora, e tra poco dovremmo firmare la dichiarazione di successione.
L'eredità consiste però di numerosi terreni senza alcun valore commerciale, inedificabili e sparsi per l'Italia, a cui io non sono interessato. Io voglio poter cedere la mia quota indivisa di ogni terreno a un fratello (che è disposto a comprarla) dopo la dichiarazione di successione. L'avvocato che ci assiste sostiene che non è possibile, perché ciascuno di noi eredita una quota indivisa dell'intero asse ereditario e non dei singoli cespiti, e comunque la mia quota non è individuata fisicamente. Per poter cedere la mia quota dovremmo fare una divisione fisica.
Le mie domande sono
1) è corretto quello che dice l'avvocato? In una precedente eredità il notaio ci ha detto che potevamo cerdere o donare tra fratelli le quote indivise
2) Se quello che ci dice l'avvocato è corretto, quali sono le mie opzioni per disfarmi dei terreni, anche gratis?
3) Posso rifiutarmi di firmare la dichiarazione di successione finché non si è risolta la questione? O basta che la firmi un solo erede?
Grazie”
Consulenza legale i 15/10/2023
Ciò che asserisce il legale di fiducia è certamente corretto, anche se occorre fare delle precisazioni.
L’apertura della successione determina in capo a coloro che decidono di accettare l’eredità una situazione di comunione c.d. incidentale di tipo germanico, così definita perchè si costituisce a prescindere da una manifestazione di volontà delle parti ed ha ad oggetto tutto il patrimonio del de cuius.
Ne è prova il fatto che, comprendendo l’universalità delle situazioni attive e passive del dante causa, comprende anche i crediti del de cuius, che andranno inclusi nelle porzioni da formare ai fini della divisione ereditaria, a differenza dei debiti, che saranno automaticamente ripartiti tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote.

Ora, principio generale in materia di comunione è quello sancito dall’art. 1103 c.c., secondo cui “ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”, principio della cui applicazione si discute però in tema di comunione ereditaria.
Ci si chiede, infatti, se in questo tipo di comunione, la quale, come si è detto, si configura come un’ipotesi di comunione universale avente ad oggetto l’intero compendio ereditario, il singolo coerede possa disporre sia della sua quota ereditaria (c.d. quotona) che della sua quota sul bene singolo facente parte del compendio ereditario (c.d. quotina).
Ebbene, sulla possibilità di disporre dell’intera quota (quotona) non sembrano sussistere dubbi, in tal senso tra l’altro dovendosi argomentare dalla previsione dell’art. 732 del c.c., dalla cui lettura si desume che il diritto alla quota ereditaria è disponibile, anche se con il limite della prelazione in favore degli altri coeredi.

Con riferimento, invece, alla possibilità di disporre di quella che è stata definita “quotina”, in senso nettamente contrario si è espressa la Corte di Cassazione SS.UU. con sentenza n. 5068/2016 (a cui ha aderito la giurisprudenza prevalente), nella quale la S.C., partendo dal presupposto incontestato che sia la quota sul singolo bene che la quota sull’intera eredità non entrano a far parte del patrimonio attuale del coerede prima della divisione (in quanto sottoposti alla condizione sospensiva dell’attribuzione del bene in sede divisionale), giunge alla conclusione che solo a seguito della divisione, contrattuale o giudiziale che sia, avviene il c.d. “apporzionamento”, per effetto del quale la quota ideale, spettante a tutti i condividenti, si converte in titolarità esclusiva su una porzione dei beni in comunione.

In considerazione di ciò la S.C è giunta alla conclusione che se il coerede volesse alienare ad un terzo estraneo alla comunione la quota indivisa sul singolo bene facente parte della più ampia massa, il negozio dovrebbe ricondursi alla vendita di cosa altrui, e pertanto non può che configurarsi come vendita obbligatoria, senza immediata efficacia traslativa, sottoposta alla condizione sospensiva della effettiva assegnazione di quel bene in sede di divisione.
Se poi il comunista volesse non vendere ma donare ad un estraneo la quota indivisa sul singolo immobile, si arriverebbe alla drastica conseguenza di dover considerare quella donazione come nulla, in quanto donazione di bene altrui, ma donato esplicitamente come proprio, in violazione del divieto di cui all’art. 771 c.c. di donazione di bene futuro.
L’unico modo che in sede notarile si suggerisce per evitare tale rischio è quello di far constare dall’atto che la donazione viene effettuata nella consapevolezza di entrambe le parti della efficacia non immediatamente traslativa della stessa e, quindi come bene dichiaratamente altrui, sottoposta alla condizione sospensiva dell’esito divisionale.

Quanto fin qui detto, dunque, non fa altro che confermare appieno ciò che è stato riferito dal legale di fiducia a cui ci si è rivolti.
Tuttavia, sia dalla sentenza delle SS.UU. sopra menzionata che dalla lettura di successive pronunce della medesima S.C. su tale tema (cfr. Cass. n. 21050/2017, Cass. 76/2018, Cass. ordinanza n. 4428/2018, Cass. ordinanza n. 4831/2019) se ne deve dedurre che alienazione e donazione della quotina da parte di un coerede sono certamente ammissibili, a condizione però che l’efficacia dei suddetti atti venga espressamente subordinata alla condizione sospensiva dell’esito divisionale.
Ciò comporta che l’atto, finchè non si verificherà la condizione (ossia la divisione), non potrà avere immediata efficacia traslativa, ma sarà destinato a produrre effetti meramente obbligatori.

A conferma di quanto appena detto, si vuole qui riportare la massima di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. II civile, n. 4831 del 19.02.2019:
La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come "universitas" e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della "res" alienata”.

In conclusione, si può così rispondere alle domande poste:
1. Ciò che dice l’avvocato a cui ci si è rivolti è corretto, salva la facoltà di donare o rinunziare gratuitamente alla quota di comproprietà sugli immobili a cui non si è interessati, ma con efficacia meramente obbligatoria (nel senso che il trasferimento definitivo si produrrà solo dopo la divisione ereditaria).
Evidentemente, quando il notaio ha affermato che tra fratelli è possibile cedere o donare la quota indivisa, non intendeva riferirsi a quella che prima è stata definita “quotina”, ma alla c.d. “quotona”, cioè alla quota di spettanza sull’intero patrimonio ereditario
2. Ci si può disfare dei terreni, anche gratuitamente, con un atto di rinuncia abdicativa unilaterale, il quale può essere redatto sin da subito, ma l’effetto traslativo definitivo si produrrà solo dopo la divisione.
3. La dichiarazione di successione può essere presentata anche da uno solo degli eredi, con indicazione di tuti coloro che sono i chiamati alla successione.
La presentazione di quell’atto assolve soltanto ad un obbligo di natura fiscale e non comporta accettazione tacita di eredità, il che significa che se non si ha intenzione di accettare, è sempre possibile farlo, purchè nel frattempo non vengano posti in essere atti di accettazione tacita dell’eredità.

TULLIO M. chiede
giovedì 20/02/2020 - Trentino-Alto Adige
“Nel caso di un GARAGE IN COMUNIONE PRO INDIVISO fra 14 condomini, uno di essi con rogito regolarmente iscritto al Tavolare (Libro Fondiario nella Regione Trentino Alto Adige) ha "esteso" la propria quota ad altro condomino non comproprietario dello stesso garage, col risultato che gli aventi diritto, da 14, con l'estensione, sono diventati 15.
Da notare che, per regolamento :
• il locale può fisicamente contenere solo 10 autovetture;
• ogni quota, dà diritto a parcheggiare una autovettura;
• le ulteriori 4 (oppure, dopo l'estensione, 5), se sopraggiungono non possono accedere.

QUESITI :
1. L'assemblea può regolamentare le facoltà spettanti ai proprietari delle due quote, quella originaria e quella beneficiaria dell'estensione, ad es. imponendo loro una turnazione (ad es. 6 mesi per ciascuno) in modo che una sola autovettura possa essere presente nel garage ?
La Cassazione ha riconosciuto valide delibere che stabilivano turnazione nei casi di quote di un garage e di quote di una villa in comproprietà, non sufficienti a soddisfare tutti contemporaneamente. (Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 14/06/2012) 19-07-2012, n. 12485 --- Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 25/10/2017) 12-12-2017, n. 29747)
2. Il condomino al quale è stata “estesa” la quota può venderla e con quali estensioni di facoltà ?
3. E’ LECITO in generale "estendere" ad altri la comproprietà di una quota in comunione e conferire al destinatario dell'estensione tutte le facoltà col risultato di duplicarle ? O è possibile solo venderla ?
Grazie e cordialmente”
Consulenza legale i 10/03/2020
Il quesito descrive un tipico caso di comunione, istituto disciplinato dagli artt. 1100 e ss. del c.c., in cui un determinato bene, nello specifico l’autorimessa, è oggetto di un diritto di proprietà che spetta in comune a più persone, definiti anche comproprietari.
Ai sensi dell’art. 1101 del c.c. ciascuno dei partecipanti è titolare di una quota: la quota, può considerarsi come una porzione figurativa del diritto in comunione, e aritmeticamente viene rappresentata da una frazione, ovvero una parte di un intero.

Ai sensi dell’art. 1103 del c.c., tra le facoltà di ciascun partecipante vi è quella di poter disporre del diritto in comunione, nei limiti della sua quota. In altri termini, la quota di un diritto è un bene commerciabile che può essere venduto a terzi in tutto o in parte: ad esempio, è ben possibile per Tizio, titolare della quota di 5/10 sulla comproprietà insistente su un determinato bene immobile, vendere i 2/10 a Caio, rimanendo pertanto comproprietario per i rimanenti 3/10.

Il legislatore non vede con favore qualsiasi patto o convenzione che impedisca la circolazione di beni o di quote su di essi, pertanto, in linea di massima, ciascun comproprietario ha diritto di disporre della propria quota, senza limitazioni e per la porzione che ritiene utile. È possibile, ma non pare essere questo il caso, prevedere tra i comproprietari dei patti che limitino la vendibilità delle proprie quote, ma ai sensi dell’art. 1379 del c.c. tali patti possono avere solo effetti tra i singoli comproprietari e non verso eventuali terzi aventi causa, e ad ogni modo devono avere una durata limitata e attuare un apprezzabile interesse di una delle parti.

In merito all’utilizzo concreto della cosa comune, il codice civile prevede all’art. 1102 del c.c., in linea generale, un uso paritetico del bene, permettendo a ciascun partecipante di farne un uso completo nei tempi e nello spazio, fatti salvi, ovviamente, i limiti espressamente previsti dalla norma in esame.
In particolare, ciascun comproprietario
  • non può alterare la destinazione del bene comune
  • e non può impedire agli altri compartecipanti di farne parimenti uso.

Nello specifico, quindi, l’assemblea dei comproprietari, non potrà imporre solo ai due soggetti che hanno reciprocamente acquistato e venduto una quota del diritto di proprietà sulla autorimessa un uso turnario del loro specifico posto auto: questa decisione sarebbe contraria al disposto dell’art.1102 del c.c. che, come principio generale, prevede che ciascun partecipante possa godere della cosa comune.
La giurisprudenza in maniera costante, e le pronunce citate nel quesito ne sono un esempio, ammette invece che l’assemblea dei comunisti possa prevedere, con una decisione presa a maggioranza, un uso turnario del bene comune, quando lo stesso non è in grado di soddisfare contemporaneamente le esigenze di tutti i comproprietari, come nel caso specifico, ma tale modalità di utilizzo deve coinvolgere l’interezza partecipanti.

Mario R. chiede
giovedì 13/04/2017 - Lombardia
“Sono comproprietario di un terreno agricolo, con annesso un locale “C2”, con mia moglie, mio fratello e le sue due figlie secondo le seguenti percentuali di possesso:
- proprietà per 33/108 per il sottoscritto. Il totale della percentuale di possesso proviene per atto di successione legittima alla morte di mio padre e per compravendita della quota ereditaria di mia madre e delle mie sorelle;
- proprietà per 21/108 per mia moglie proveniente dalla compravendita della quota ereditaria di mia madre e delle mie sorelle;
- proprietà per 40/108 per mio fratello. Il totale della percentuale di possesso proviene per atto di successione legittima alla morte di mio padre, per compravendita della quota ereditaria di mia madre e delle mie sorelle e per successione legittima alla morte di sua moglie;
- proprietà per 7/108 per ciascuna delle figlie di mio fratello proveniente per successione legittima alla morte della madre.
Dal momento che, da oltre tre anni risiedo in un Comune distante circa Km 900 e mio fratello non vuole assolutamente vendere né accettare nessuna donazione da parte mia e di mia moglie, Vi chiedo, cortesemente, di conoscere quale procedura possa essere messa in atto sia per il presente e sia per il futuro per poter vendere detto terreno, senza intaccare, possibilmente, i rapporti familiari.
Inoltre, mio fratello ha dato, verbalmente, tutta la gestione del terreno al compagno di mia nipote, di cui nutro poca fiducia.
In attesa di una Vostra, cortese, risposta, invio
Distinti saluti”
Consulenza legale i 19/04/2017
Dalla lettura del quesito sembra potersi intuire che interesse primario di colui che lo pone sia quello di volersi liberare in qualche modo della comproprietà dei beni, pur senza ricevere in cambio alcun corrispettivo.
Ora, per realizzare tale interesse, e tenuto conto che gli altri comproprietari non hanno intenzione di vendere l’immobile né di ricevere in donazione la quota di comproprietà di cui allo stato non sono titolari, non rimane altra via che quella di ricorrere all’istituto giuridico della c.d. rinuncia abdicativa.

Frequenti risultano nella pratica le fattispecie in cui può emergere la volontà rinunziativa di una parte relativa a beni e diritti dei quali non si vuole più sostenere l’onere tributario, ovvero che non sono più di interesse, in quanto di scarso valore e/o praticamente ingestibili (si pensi ad un piccolo fabbricato fatiscente inservibile ovvero proprio alla quota di comproprietà su un piccolo terreno infruttuoso, sito in una località molto distante da quella di residenza).

Trattasi di una fattispecie che, pur in assenza di una disciplina generale contenuta nel codice civile, viene generalmente ricostruita come negozio giuridico unilaterale, mediante il quale l’autore dismette una situazione giuridica di cui è titolare, determinando puramente e semplicemente l’abdicazione della quota senza ulteriori effetti negoziali.
Tra i vari diritti rinunziabili, il diritto di proprietà deve senza dubbio ritenersi suscettibile di rinunzia abdicativa, ed a sostegno di tale tesi sono state addotte le seguenti argomentazioni:
  • il carattere disponibile del diritto in esame;
  • la previsione da parte del legislatore di specifiche ipotesi di rinunzia al diritto di proprietà (artt. 882-1104 c.c.), pur se in queste peculiari fattispecie all’atto di rinunzia viene ricollegato un effetto ulteriore estintivo dell’obbligazione (si parla in questi casi di cd. rinunzia liberatoria);
  • la circostanza che per escludere la rinunziabilità in relazione alle parti comuni dell’edificio il legislatore è dovuto intervenire espressamente (art. 1118 c.c.);
  • la disparità di trattamento che si creerebbe altrimenti rispetto ai beni mobili, dei quali è indiscutibile la possibilità di abbandono;
  • l’espresso riferimento contenuto negli artt. 1350 n. 5 c.c. e 2643 n. 5 c.c.

Non può costituire argomento contrario il fatto che, nelle ipotesi sopra considerate, vi sia una espressa previsione di legge, in quanto può facilmente obiettarsi che essa è risultata necessaria non per consentire la rinunzia al diritto di proprietà, bensì per ricollegarvi un effetto ulteriore e peculiare, quale l’estinzione dell’obbligazione di contribuzione alle spese.
Come detto prima, si tratta di una facoltà che compete unicamente al titolare della situazione giuridica oggetto di dismissione e per la quale non è richiesto il consenso di alcun altro soggetto, e ciò perché la natura puramente abdicativa e non traslativa della rinunzia esclude la necessità di un’accettazione.

Ciò che ci si è chiesti, invece, è se l’atto di rinunzia sia o meno recettizio e, quindi, se debba o meno essere portato a conoscenza del terzo interessato (ossia, nel nostro caso, degli altri comproprietari).
Al riguardo, la dottrina ha espresso posizioni divergenti, sostenendo che il carattere recettizio della rinunzia andrebbe accertato caso per caso, non potendosi fornire una soluzione unitaria.
In particolare, si sostiene che occorre a tal fine operare una distinzione tra rinunzia liberatoria e rinunzia abdicativa, onde affermare:
  1. il carattere recettizio della rinuncia liberatoria, come nel caso della rinunzia alla quota di comproprietà di cui all’art. 1104 c.c., giacché questa produce l’effetto di sottrarre il rinunciante agli obblighi derivanti dalla titolarità del diritto, accollandoli all’altro comunista che, salvo il rifiuto, acquista la proprietà della quota rinunciata per accrescimento. In tale ipotesi, dunque, la necessità che l’atto venga portato a conoscenza degli altri comproprietari, viene ricollegata non alla rinunzia in sé considerata, bensì a quell’effetto ulteriore che caratterizza la rinunzia liberatoria (e che non sussiste in quella abdicativa pura), ossia la liberazione dall’obbligazione di pagamento delle spese anche anteriori.
  2. il carattere non necessariamente recettizio della rinunzia abdicativa (cfr. Cass. 20 aprile 1965, n. 761; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129). Si preferisce parlare di carattere non necessariamente recettizio in quanto, pur se l’assenza dell’effetto liberatorio e della possibilità di rifiuto escludono la necessità della conoscenza altrui ai fini dell’efficacia del negozio, resta comunque fortemente opportuna tale conoscenza in un’ottica di reciproca correttezza.

Ovviamente, come si ammette la rinunziabilità del diritto di proprietà, considerata la sua natura disponibile ed alla luce degli argomenti sopra indicati, si ritiene debba ammettersi, sulla base dei medesimi argomenti, anche la rinunziabilità della quota di comproprietà; del resto, non vi sarebbero argomentazioni per spiegare il perché il pieno proprietario possa rinunziare al suo diritto, mentre il proprietario pro quota non possa farlo: si tratta sempre del medesimo diritto, sia pure nel primo caso pieno e senza limiti, mentre nel secondo caso limitato dal concorrente diritto degli altri contitolari.

Trattandosi poi di un atto unilaterale (la dismissione della situazione giuridica non può che provenire dal soggetto cui essa appartiene), si esclude che sia necessaria l’accettazione da parte degli altri comproprietari.
Infatti, l’effetto di accrescimento della quota degli altri condividenti è una conseguenza solo mediata e riflessa della rinunzia, connessa alla natura della comunione, come tale non richiedente un atto di accettazione.
Nell’ottica di quel carattere non necessariamente recettizio della rinunzia abdicativa va detto che, nel caso di rinuncia ad una quota di comproprietà, l’efficacia accrescitiva automatica implicherebbe unicamente la non necessità di accettazione e non già la superfluità della notificazione ai restanti comproprietari. Infatti, la conoscenza da parte di questi ultimi della intervenuta rinunzia, e della conseguenza variazione delle quote, sarebbe necessaria per prendere atto dell’intervenuta modifica e, soprattutto, perché ad essa consegue la liberazione dall’obbligo di contribuzione alla spese comuni in favore del rinunziante (effetto che incide in misura evidentemente negativa nei loro confronti).

Dal punto di vista della sua forma, va precisato che l’atto in questione deve avere forma scritta ed è soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2643, n. 5, c.c.; quanto alle modalità di trascrizione, sembra preferibile la tesi secondo la quale la rinunzia, stante la sua natura abdicativa, debba essere trascritta unicamente contro il rinunziante.

Ovviamente la costruzione giuridica sopra proposta si adatta bene qualora non si abbia alcun interesse a ricavare dei vantaggi dalla dismissione della quota di comproprietà, potendosi in questo modo riuscire a non intaccare i rapporti familiari (l’accrescimento della loro quota sarebbe automatico, senza alcun loro intervento).

Qualora, invece, si voglia conseguire il risultato di cedere la propria quota in cambio di un corrispettivo, di qualunque ammontare esso sia, si tenga conto che, posto il principio generale espresso dall’art. 1111 c.c. secondo cui ciascuno dei partecipanti alla comunione può in qualsiasi momento chiedere lo scioglimento della comunione (anche facendo ricorso all’autorità giudiziaria), per la vendita del bene immobile nella sua interezza sarà necessario il consenso di tutti i contitolari ex art. 1108 c.c. (trattasi di una norma generale, applicabile ad ogni tipo di comunione ordinaria o ereditaria e, quindi, indipendentemente dal titolo con cui si è formata la comunione, salvo che sia stata espressamente derogata, così Cass. 09.10.2012 n. 17216).

Nessun consenso sarà invece necessario per il caso in cui si decida di alienare la sola quota di comproprietà ex art. 1103 c.c., ipotesi questa più difficilmente realizzabile nella pratica, poiché risulta estremamente improbabile che un terzo estraneo decida di condividere con altri un singolo bene.
Per tale ipotesi, comunque, nell’ottica sempre di non intaccare i rapporti familiari, ciò che può consigliarsi è di rivolgere una proposta di alienazione agli altri coeredi rispettando quel diritto di prelazione legale previsto dall’art. 732 c.c. per il caso in cui la quota che si intende alienare sia di provenienza interamente ereditaria, diritto dunque non spettante in questo caso, ove la quota di comproprietà ha in parte provenienza ereditaria ed in parte inter vivos.

Soluzione ancora più rispettosa dei rapporti familiari sarebbe quella di indirizzare la proposta di alienazione al compagno della nipote che attualmente cura la gestione dell’intero immobile, magari avvalendosi, per il caso in cui non abbia la disponibilità immediata dell’intero corrispettivo della vendita (per la cui determinazione ci si potrebbe rivolgere ad un mediatore del luogo), di quelle nuove forme contrattuali recentemente introdotte, quale il cd. run to buy, normato dall'articolo 23 del Decreto Legge n. 133 del 12 Settembre 2014 (Sblocca Italia) convertito in legge n. 164 dell' 11 Novembre 2014.
Tale fattispecie prevede la stipula di un contratto unitario a due fasi, denominato contratto di godimento in funzione della successiva alienazione dell'immobile; trattasi più precisamente di un affitto con riscatto, ossia di un contratto d'affitto che poi si potrà trasformare in una compravendita (quest'ultima non è obbligatoria, ma costituisce solamente un'opzione legata alla locazione).
In sostanza la formula contrattuale si compone di due parti: un contratto di affitto e un preliminare di futura vendita da effettuarsi in un determinato tempo (che in genere è di 3-5 anni, ma che è tutelato dalla legge fino a 10).

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