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Articolo 734 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Divisione fatta dal testatore

Dispositivo dell'art. 734 Codice Civile

Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile(1) [556 c.c.] .

Se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore(2).

Note

(1) Si parla in proposito di assegno divisionale qualificato che, a differenza del c.d. assegno divisionale semplice di cui all'articolo precedente, impedisce il formarsi della comunione ereditaria.
Tramite esso il de cuius individua, sin dal momento dell'apertura della successione, quali siano i beni costituenti la quota di ciascun coerede.
(2) I beni non ricompresi dal testatore nella formazione delle quote si devolvono in base alle norme sulla successione legittima (v. art. 565 del c.c.).
Si parla in proposito di divisione oggettivamente parziale.

Ratio Legis

Il testatore gode della più ampia autonomia in ordine alla disposizione dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte.
Da un punto di vista quantitativo è libero di determinare l'entità delle singole quote, da quello qualitativo gli è consentito comporre materialmente le quote destinate a ciascun coerede.

Brocardi

Divisio inter liberos

Spiegazione dell'art. 734 Codice Civile

Il vecchio codice del 1865, attribuiva al padre, alla madre ed agli altri ascendenti il diritto di dividere i beni tra i figli e discendenti (art. #1044#), sia per atto tra vivi, che con testamento (art. #1045#). L’attuale codice ha soppresso la figura della divisione per atto inter vivos ed ha attribuito ad ogni testatore il diritto di operare la divisione. La frase “comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile” non esclude ciò, sia perché rappresenta una possibilità e non una condizione, sia perché esiste una riserva a favore degli ascendenti legittimi e del coniuge, onde può procedere alla divisione, per esempio, il discendente verso gli ascendenti.
Dal testo dell’art. 734 può ritenersi implicitamente sanzionata quella che era la communis opinio sotto la vigenza del codice del 1865, cioè che i divisionari acquistassero qualità di eredi, nella divisione fatta per testamento, che è l’unica ammessa.
Per l’art. 734, come per l’art. #1044# del codice precedente, nei beni divisi può essere compresa la parte non disponibile. Essa significa che il legittimario non può rifiutare l’assegnazione fatta dal testatore per pretendere la sua legittima in natura.
La divisione del testatore (formula che va sostituita all’altra “divisione di ascendente”, prima in uso) può comprendere tutto o parte dei beni ereditari: se ne comprende soltanto una parte, gli altri beni si dividono in conformità di legge. Fin qui il testo è conforme all’art. #1046# del codice del 1865, sotto la cui vigenza era, però, discussa la portata di quest'ultima locuzione, tanto che autorevole dottrina riteneva che essa si riferisse alla sola divisione per atto tra vivi, mentre, in quella per testamento, l’ulteriore divisione sarebbe poi avvenuta in proporzione alle quote assegnate ai discendenti.

L'attuale codice, che ha mantenuto la sola divisione per testamento, dopo aver riprodotto l’art. #1046#, con apposita aggiunta fa salva una diversa volontà del testatore. L’aggiunta è così giustificata dalla R. R. n. 126: “se (il testatore) ha determinato le quote astratte in base alle quali ha proceduto alla distribuzione dei beni, o se comunque risulta che la sua volontà era nel senso di attribuire tutto il suo patrimonio agli eredi istituiti, è chiaro che i principi della successione ab intestato non possono trovare applicazione alcuna”. Pertanto, di fronte ad una divisione di testatore che non comprenda tutti i beni, occorrerà indagare se il testatore ha voluto distribuire tutto il suo patrimonio e quindi anche i beni accidentalmente non compresi nella divisione, fra gli eredi istituiti, nelle porzioni da lui esplicitamente o implicitamente stabilite, estendendo così ai beni non compresi gli effetti della divisione, ovvero se egli abbia deliberatamente limitato le proprie disposizioni a parte dei suoi beni. L’indagine dovrà farsi sulla base del testamento, non essendo consentito ricorrere ad elementi estranei se non per chiarire, confermare ed illustrare il risultato dell’indagine testamentaria.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

354 Era stato proposto, in relazione all'art. 272 del progetto definitivo, il ripristino della formula già usata nel progetto preliminare, per l'ipotesi in cui il testatore non avesse compreso nella divisione tutti i suoi beni. Ho convenuto che la formula del progetto definitivo, che si limitava ad affermare la validità della divisione parziale compiuta dal testatore, non era sufficiente, dato che non determinava i criteri in base ai quali dovevano essere distribuiti i beni non divisi. Ho però rilevato che neppure la formula proposta era perfettamente adeguata, perché il principio, per il quale i beni non divisi dal testatore sono divisi in conformità alla legge, se volesse significare che si procede a un supplemento di divisione secondo le norme contenute nel titolo IV, direbbe una cosa troppo ovvia e lascerebbe sempre lacunosa la disciplina della fattispecie; se invece volesse significare che quel beni sono divisi senz'altro secondo i criteri della successione ab intestato, direbbe una cosa che può in certi casi rappresentare una violazione della volontà del testatore. Se infatti questi ha determinato le quote astratte e in base ad esse ha proceduto alla distribuzione dei beni, o se comunque risulta che la sua volontà sia nel senso di attribuire tutto il suo patrimonio agli eredi istituiti, è chiaro che i principi della successione ab intestato non possano trovare applicazione alcuna. In base a queste considerazioni ho formulato il secondo comma dell'art. 734 del c.c. in maniera diversa, disponendo che i beni non divisi devono essere attribuiti conformemente alla legge, a meno che risulti che il testatore abbia voluto distribuire tutto il suo patrimonio, e quindi anche i beni accidentalmente non compresi nella divisione, fra gli eredi istituiti, nelle porzioni da lui esplicitamente o implicitamente stabilite. E' chiaro che in tal caso non si fa luogo, in armonia alla regola generale, alla successione legittima, se non quando manchi effettivamente una disposizione del testatore. Non vi era poi bisogno di dire espressamente che, comunque, la divisione, anche se parziale, resta perfettamente valida.

Massime relative all'art. 734 Codice Civile

Cass. civ. n. 24169/2021

L'istituito nella disponibile, qualora riceva con testamento beni di valore inferiore, per porre rimedio al divario fra quota e porzione, non ha un'azione assimilabile a quella di riduzione, che compete ai soli legittimari per la reintegrazione della quota di riserva, ma, nel concorso dei presupposti previsti dall'art. 763 c.c., può esercitare l'azione di rescissione per lesione, ammessa anche nel caso di divisione del testatore.

Cass. civ. n. 17122/2018

In tema di delazione dell'eredità, non vi è luogo alla successione legittima agli effetti dell'art. 457, comma 2, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione "ex re certa", tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'erede testamentario fosse succeduto nella proprietà della cappella realizzata in esecuzione di un onere apposto all'istituzione di erede ed al legato, essendo indifferente chi, tra erede e legatario, l'avesse concretamente realizzata).

Cass. civ. n. 10761/2018

La "divisio inter liberos", regolata dall'art. 734 c.c., ricorre ove il testatore intenda effettuare direttamente la divisione, totale o parziale, del suo patrimonio tra gli eredi attraverso la formazione delle quote e l'individuazione dei beni destinati a far parte di ciascuna di esse, impedendo così il sorgere della comunione ereditaria, con la conseguenza che la decisione del giudice ha carattere meramente dichiarativo, dovendosi prendere atto di un effetto ricollegato alla volontà del "de cuius" che si produce automaticamente al momento dell'apertura della successione; ricorre, invece, la fattispecie di cui all'art. 733 c.c. quando il testatore non divide, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione con efficacia obbligatoria per gli eredi. Soltanto in quest'ultimo caso, permanendo lo stato di indivisione, è configurabile la domanda di rendiconto dei frutti proposta dal condividente, estromesso "medio tempore" dalla fruizione dei beni comuni, nei confronti di quello che si trovi nel godimento esclusivo degli stessi; al contrario, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 734 c.c., poiché il coerede è divenuto proprietario unico dei beni assegnatigli dal testatore fin dall'apertura della successione, la pretesa al versamento dei frutti non rientra nell'ambito del rendiconto, atteso che è sganciata dalla domanda di divisione, correlandosi al comportamento privo di giustificazione di colui che, rispetto ai detti beni, è, a tutti gli effetti, un terzo.

Cass. civ. n. 12830/2013

L'istituto della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato, ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 cod. civ.

Cass. civ. n. 15501/2011

Quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si configura l'ipotesi della cosiddetta divisione regolata (art. 733 cod. civ.), che ricorre se il "de cuius" si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell'apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta "divisio inter liberos" (art. 734 cod. civ.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell'apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali. Ne consegue che l'erede escluso dall'assegnazione del cespite cui si riferisce la controversia nel corso della quale si è verificato il decesso del dante causa versa in una situazione di carenza di legittimazione passiva per estraneità all'oggetto del giudizio.

Cass. civ. n. 18561/2009

In tema di divisione ereditaria, la "divisio inter liberos", regolata dall'art. 734 c.c., ricorre quando la volontà del testatore è quella di effettuare direttamente la divisione dei suoi beni fra gli eredi, distribuendo tra questi le sue sostanze mediante l'assegnazione di singole quote concrete, con effetti reali ed immediati: ricorre, invece, l'ipotesi di cui all'art. 733 c.c. quando il testatore non divide, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione. L'accertamento della ricorrenza in concreto dell'una o dell'altra fattispecie costituisce indagine di fatto sulla volontà del testatore, non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da corretta motivazione. (Nella specie è stata cassata la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 733 c.c. alla clausola testamentaria con la quale veniva espressamente raccomandato ad uno degli eredi, attributario di un gruppo di poderi, di lasciare tali beni "conservati uniti ed intatti finché possibile", senza però indagare sulla possibilità di ricondurre la anzidetta clausola nell'ambito di operatività della "divisio inter liberos", ai sensi dell'art. 734 c.c.).

Cass. civ. n. 862/2007

Nel caso in cui il testatore abbia diviso i propri immobili liquidando in denaro la quota di uno dei condividendi, il conguaglio in denaro cui questi ha diritto costituisce credito di valore, esprimendo l'equivalente economico in termini monetari della sua quota sui beni immobili attribuiti agli altri coeredi.

Cass. civ. n. 10306/1996

Il testatore che proceda direttamente alla divisione, ai sensi dell'art. 723 c.c., può fare ricorso allo strumento del conguaglio in danaro sia per correggere le ineguaglianze in natura delle quote ereditarie che già si presentino all'atto della formazione del piano di ripartizione, sia per assicurare alle quote il loro valore originario rispetto agli eventuali squilibri dovuti alla fluttuazione dei prezzi di mercato o ad altri non prevedibili eventi. Tali conguagli non possono ritenersi assegni divisionali in senso tecnico, ma hanno natura di legati divisionis causa, presupponendo una divisione già fatta. Ne consegue che l'azione di natura personale diretta ad ottenere il conguaglio con specificazione del suo ammontare si prescrive nell'ordinario termine di dieci anni con decorrenza dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Cass. civ. n. 6358/1993

Il secondo comma dell'art. 734 c.c. — il quale prevede che, nel caso di incompletezza della divisione testamentaria, i beni in essa non compresi sono attribuiti secondo le norme della successione legittima, salvo che risulti diversa volontà del testatore — disciplina il solo caso di una lacuna della divisione stessa rispetto alla (completa) vocazione testamentaria e risolve, di conseguenza, soltanto un problema di determinazione dei criteri di divisione, anche nella parte in cui richiama le norme sulla successione legittima ed in cui non è ravvisabile una regola pleonastica rispetto alla disposizione generale contenuta nell'art. 457 c.c., riferibile alla diversa ipotesi di vocazione essa stessa parziale e quindi di concorso fra successione legittima e successione. testamentaria, con la conseguenza che, in tale ipotesi, l'intervenuta divisione testamentaria non esclude, rispetto al relictum indiviso e da dividere, l'ammissibilità della collazione. L'indagine diretta a stabilire se, oltre alla divisione, anche la vocazione testamentaria sia stata parziale va condotta con riguardo alla effettiva volontà del testatore, ricercata in base sia ad elementi risultanti dall'atto globalmente considerato, sia ad elementi che, sebbene ad esso estrinseci, risultino nondimeno idonei allo scopo.

Cass. civ. n. 6110/1981

In ipotesi di divisione fatta dal testatore ai sensi dell'art. 734 c.c., lo stabilire se il testatore abbia inteso chiamare i coeredi in quote uguali o diverse è questione da risolvere attraverso la ricerca della volontà effettiva del de cuius, e non già sulla base del valore delle porzioni in concreto formate ed assegnate a ciascuno dei coeredi, ben potendo il diverso valore di talune di dette porzioni, rispetto alle altre, dipendere, non dalla volontà del testatore di chiamare il destinatario di tale porzione in quota di entità diversa da quella degli altri coeredi, ma dal personale criterio di valutazione adottato dal testatore stesso.

Cass. civ. n. 5955/1981

L'ipotesi del testatore che proceda alla divisione dei suoi beni tra gli eredi, differendo però l'attuazione della medesima alla morte del coniuge superstite, designato usufruttuario di tutto il relictums, non è riconducibile nell'ambito della divisio inter liberos, di cui all'art. 734 c.c., postulante, per la sua configurazione, la mancanza di un precedente stato di comunione tra coeredi, per essere questi ultimi successori, non in quote astratte, bensì in quote concrete e determinate dallo stesso testatore con un atto avente nel contempo, effetti dispositivi e reali.

Cass. civ. n. 326/1970

Avendo il testatore il potere che gli deriva dall'art. 734 c.c. di dividere i suoi beni tra gli eredi nel modo che egli ritenga più opportuno al fine di prevenire tra loro le occasioni di liti, col solo limite del rispetto del diritto dei legittimari, è da ritenere che entro tale limite sia consentito al medesimo testatore di comporre e di integrare le singole quote concrete dell'asse ereditario includendo nell'una di esse più beni, immobili o mobili, che nell'altra, senza la osservanza delle norme di cui agli artt. 728, 741 e 751 c.c. che sono stabilite in ipotesi di divisione, comportante la necessità di conguaglio in senso tecnico-giuridico e di operazioni preliminari alla divisione, assolutamente diversa dalla divisio inter liberos di cui al citato art. 734 c.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 734 Codice Civile

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Anonimo chiede
mercoledì 30/10/2024
“Al decesso di mia mamma ho scoperto che aveva fatto testamento olografo per definire il lascito alle sue uniche eredi: io e mia sorella
Premetto che mia mamma e mia sorella sono testimoni di Geova io e mio padre, defunto nel 2007, no. Ciò comporta che alla morte di mio papà non sono più potuta entrare in casa di mia mamma e non mi sono potuta opporre al suo trasferimento in RSA deciso da mia sorella e i dirigenti della sua confessione nel 2014 pur avendo dichiarato che volevo tenere mia mamma con me. Mia mamma è deceduta nel 2018 lasciando testamento olografo in cui con mia grande sorpresa lasciava a me il suo appartamento e a mia sorella il conto in banca. Mia sorella aveva già la delega sul conto di mia mamma che era cospicuo ( circa 350mila €) e che aveva già depredato ampiamente (ho i movimenti degli ultimi 10 mesi prima del decesso e sono spariti 48000 € solo in quel periodo) Ora vuole vendere l'appartamento ricevuto da me in cui vivo dal 2020 per avere ulteriormente denaro. Mi serve un aiuto. Grazie.”
Consulenza legale i 07/11/2024
La volontà manifestata dalla defunta nel suo testamento si ritiene che possa qualificarsi o come una vera e propria divisione fatta dalla testatrice (art. 734 c.c.) ovvero come istitutio ex re certa (sarebbe necessario leggere il testamento per stabilire in concreto quale delle due ipotesi ricorra).
Tuttavia, ciò che conta è che, in entrambi i casi, dalla stessa scheda testamentaria ne discende una attribuzione diretta dei beni in favore degli istituiti.
In particolare, nel caso di divisione fatta dal testatore, il de cuius direttamente con il suo testamento forma le porzioni e individua i beni che fanno parte di ogni porzione, comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile e così impedendo il costituirsi della comunione ereditaria.
Sembra evidente che se il testatore nel fare le porzioni dovesse ledere la quota di riserva spettante ad alcuno dei legittimari, questi potrà sempre agire con l’azione di riduzione secondo quanto espressamente disposto dal secondo comma dell’art. 735 del c.c..
Si afferma che la divisione del testatore non è una vera e propria divisione, in quanto in nessun momento si realizza una comunione ereditaria, la quale viene appunto impedita dal testatore prima che, con l’apertura della successione, possa sorgere.

La medesima situazione si realizza nel caso di istitutio ex re certa, disciplinata dal secondo comma dell’art. 588 del c.c., la quale si configura ogni qual volta il testatore, senza predeterminare le quote, assegna beni determinati non già come cose singole, ma come totalità o quota del suo patrimonio.

Sia nel primo che nel secondo caso, al momento stesso dell’apertura della successione si realizza un’attribuzione diretta dei beni, con la conseguenza che il notaio incaricato di ricevere il verbale di pubblicazione del testamento, nel provvedere a tutti gli adempimenti previsti dalla legge a seguito del ricevimento di tale atto, curerà anche la trascrizione nei registri immobiliari e la voltura al catasto degli immobili ivi contemplati.

In altre parole ed in termini pratici, se la de cuius, con il suo testamento, ha voluto assegnare ad una delle figlie l’immobile in cui viveva, quell’immobile, una volta pubblicato il testamento (adempimento che si presume sia stato compiuto, trattandosi di una successione aperta nel 2018), dovrebbe risultare regolarmente intestato alla figlia, il che comporta che soltanto costei, nella qualità di legittima ed esclusiva proprietaria, potrà disporne, decidendo in tutta liberà di continuare ad abitarlo o di metterlo in vendita.
In questo secondo caso, ovviamente, sul prezzo ricavato dalla vendita l’altra sorella non potrà vantare alcun diritto, costituendo il corrispettivo di un bene non suo.


Franco C. chiede
martedì 24/12/2019 - Friuli-Venezia
“Tizio muore. No ascendenti e discendenti. Tizio ha un fratello Caio vivente e due fratelli premorti Sempronio e Mevio.
Lascia testamento olografo e dispone,per legato, che ai tre nipoti (figli di Caio) vada, nell'ordine, rispettivamente il 50%
ad uno, il 12,5% ad un altro e il 12,5% al terzo di una quota di casa di sua proprietà dove conviveva col fratello Caio.
Dispone, altresì, che ai restanti nipoti (1 figlio del fratello premorto Sempronio e due figli di Mevio) vada una quota di terreni ( 50%) in parti uguali. Il restante 50% è di proprietà di Caio
Si chiede: se i figli di Caio rinunciano tutti e tre al legato questo passa al padre Caio fratello del de cuius Tizio?
E se gli altri nipoti legatari figli dei premorti Sempronio e Mevio rinunciano pure, in toto, al legato a chi si devolve il bene immobile sempre a Caio fratello vivente del de cuius? Mi sembra che nei casi specifici non operi l'istituto della rappresentazione per i nipoti in quanto si verifica il dispositivo testamentario direttamente agli stessi.
Ringrazio e porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 02/01/2020
Dispone l’art. 536 del c.c. che le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
Nessuna di tali categorie è presente nel caso di specie, il che lascia Tizio del tutto libero di disporre come vuole del suo patrimonio.

I parenti più stretti di Tizio sono il fratello Caio ed i figli dei fratelli premorti Sempronio e Mevio, soggetti in favore dei quali dovrebbe aprirsi la successione legittima se Tizio non avesse disposto dei suoi beni per testamento.

Tizio, però, vuole che i suoi beni (o meglio la quota dei beni di cui è titolare) vengano attribuiti in un certo modo in favore dei suoi eredi e così divide il suo patrimonio tra i figli di Caio (ancora vivente) ed i figli dei fratelli premorti Sempronio e Mevio.
Per capire cosa succede nel momento in cui i beneficiari delle disposizioni testamentarie dovessero manifestare la volontà di rinunciare, si rende necessario inquadrare correttamente la natura delle disposizioni contenute nel testamento olografo di Tizio.

In particolare, gli istituti giuridici potenzialmente interessati sono quelli della institutio ex re certa, del legato e della divisione fatta dal testatore, ognuno dei quali è destinato a produrre effetti diversi nell’ipotesi in cui i beneficiari delle disposizioni testamentarie non possano o non vogliano accettare.

La prima norma da prendere in considerazione è l’art. 588 del c.c., norma che pone la distinzione tra disposizioni a titolo universale ed a titolo particolare e che ricollega alle prime l’acquisto della qualità di erede ed alle seconde l’acquisto della qualità di legatario.
In generale una disposizione si qualifica a titolo universale quando ha per oggetto l’universalità dei beni del de cuius o una parte indeterminata di essi individuata come quota dell’intero patrimonio; si qualifica, invece, a titolo particolare, quando ha per oggetto beni determinati e specificamente individuati.

Per poter stabilire nel caso concreto se una disposizione sia a titolo universale o particolare, è necessario svolgere una duplice indagine, ovvero la prima di carattere oggettivo (riferita al contenuto dell’atto) e la seconda di carattere soggettivo (riferita all’effettiva volontà del testatore).
Nel fare ciò le espressioni usate dal testatore non assumono valore decisivo, il che comporta che, pur se il testatore abbia usato l’espressione “lego” o “nomino erede”, tale attribuzione meramente formale è irrilevante se si pone in contrasto con la reale natura della disposizione.

In presenza della attribuzione di beni determinati, come accaduto nel caso di specie, occorre dunque stabilire quale possa essere stata la reale intenzione del testatore, ossia se assegnare quei beni come beni determinati e singoli (in tal caso si avrà successione a titolo particolare o legato), ovvero lasciarli come quota del suo patrimonio (nel qual caso, invece, si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede, nella forma della institutio ex re certa).

Indicativa della volontà del testatore di attribuire una quota del patrimonio ereditario può essere, ad esempio, l’assegnazione di una classe o di un gruppo di beni (così Cass. N. 6516/1986 e Tribunale di Monza Sez. IV, 09.10.2006).

Diversa sia dal legato che dalla institutio ex re certa è la c.d. divisione fatta dal testatore, fattispecie che lo stesso codice civile disciplina all’art. 734 c.c.
In particolare, mentre nella institutio ex re certa non si ha predeterminazione di quote (le quali potranno essere determinate ex post, verificando il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite ed il valore dell’intero asse), nel caso della divisione fatta dal testatore le quote sono già predeterminate dal testatore.

La differenza tra questi ultimi due istituti non è soltanto teorica, ma anche pratica, in quanto diversi sono gli effetti nell’ipotesi in cui gli istituiti non possano o non vogliano accettare l’eredità.
Infatti, mentre nel caso della divisione fatta dal testatore si aprirà la successione legittima (sia per il caso di rinuncia che per il caso di beni ignorati dal testatore o sopravvenuti), nel caso della institutio ex re certa si parla di una sua forza espansiva.

Ebbene, a prescindere dal rilievo secondo cui l’accertamento della reale volontà del testatore costituisce in ogni caso una questione di fatto, che va esaminata dal giudice di merito attraverso le normali regole ermeneutiche (così Cass. 3304/1981 e Cass. 24163/2013) e che, se congruamente motivato, è incensurabile in Cassazione (cfr. Cass. 3016/2002; Cass. 13835/2007), nel caso di specie si ritiene, stando al contenuto della scheda testamentaria (per come è stato sinteticamente riportato nel quesito), che il testatore abbia voluto porre in essere una vera e propria divisione del suo patrimonio, avendo non solo assegnato i suoi beni in maniera specifica, ma anche determinato le relative quote.
Ciò induce ad escludere che il testatore abbia voluto chiamare i destinatari di tali disposizioni ad una successione a titolo universale, facendo invece propendere per una assegnazione di quei beni come beni determinati e singoli, e dunque a titolo particolare.

Da quanto sopra rilevato ne consegue intanto che, trattandosi di attribuzione a titolo particolare, troverà applicazione l’art. 649 del c.c., il quale prevede l’acquisto automatico del legato, senza che occorra manifestare alcuna volontà di accettare, ma salva la facoltà di rinunciare.
Qualora alcuno dei beneficiari di tali disposizioni dovesse rinunciare, essendo stata qui preferita la tesi della inconfigurabilità di una institutio ex re certa (con forza espansiva), si aprirà la successione legittima, il che comporta che eredi saranno in parti eguali il fratello Caio per un terzo ed i figli dei fratelli premorti Sempronio e Mevio per i restanti due terzi (un terzo spetterà al figlio del fratello premorto Sempronio ed un altro terzo indiviso ai due figli di Mevio).
Questo vale per il caso in cui siano i figli di Caio a rinunciare.
Se, invece, a rinunciare sono i figli dei fratelli premorti Sempronio e Mevio, quel 50% della quota dei terreni loro attribuita andrà al solo erede legittimo Caio e, se anche quest’ultimo rinuncia, ai sui figli in parti eguali tra loro per rappresentazione.


Roberta S. chiede
venerdì 03/11/2017 - Veneto
“Alla morte di mio padre si è aperta la successione testamentaria in favore di mia madre e dei 4 figli (maschio e 3 femmine) .Col testamento mio padre lascia alcuni specifici beni a due figlie ...in compensazione a quanto dato agli altri in vita... quindi la legittima a coniuge e figlie e legittima e disponibile al figlio maschio. Precisa quindi - individuandoli - i beni che dovranno costituire le singole quote, come indicate. Conclude dicendo che i conguagli (in favore di coniuge e figlie femmine) dovranno esser versati in denaro. Nell'asse ereditario non vi è che scarsa presenza di denaro.
Mio fratello vuole quindi darci un bene immobile dell'eredità che però non è assolutamente di ns. interesse, pur se corrisponderebbe per valore al complessivo dei conguagli. Noi non accettiamo e vorremmo dare esecuzione esatta al testamento, per cui abbiamo avanzato congiuntamente tale richiesta. Un legale cui ci siamo rivolti dice che i beni legati alle figlie specificatamente non devono esser conteggiati nella legittima delle stesse. Inoltre dice che essendo la divisione fatta da mio padre non c'è comunione da dividere e quindi anche il giudice non può assegnare beni al posto dei conguagli in denaro, e toccherà a mio fratello trasformare i beni assegnatigli ....in conguagli in denaro ! Preciso che il testamento è stato accettato da tutti. Grazie.”
Consulenza legale i 24/11/2017
Il caso prospettato deve essere esaminato alla luce dell’art. 734 cod.civ. che disciplina la “divisione fatta dal testatore”.
Ai sensi del citato articolo, al testatore è consentito, già in sede di testamento, dividere i suoi beni con efficacia reale tra gli eredi con la conseguenza che, al momento dell’apertura della successione, non vi sarà comunione ereditaria in quanto i beni sono stati già direttamente attribuiti in proprietà esclusiva ai singoli eredi

Al testatore è consentito anche prevedere una divisione con conguagli. Il conguaglio in denaro ha la funzione di consentire al testatore di correggere eventuali disuguaglianze tra quote di diritto in cui gli eredi sono istituiti e quote di fatto dei beni attribuiti. Sul punto la Giurisprudenza dispone che “il testatore ove proceda direttamente alla divisione, può fare ricorso allo strumento del conguaglio in denaro sia per correggere le incongruenze in natura delle quote ereditarie che già si presentino all’atto della formazione del piano di ripartizione, sia per assicurare alle quote il loro valore originario rispetto agli eventuali squilibri dovuti alla fluttuazione dei prezzi di mercato o ad altri non prevedibili eventi” (cfr. Cassaz. 22.11.1996, n. 10306).

Alla luce di quanto detto, nel caso di specie, non si realizza una comunione ereditaria poiché i beni sono stati già divisi col testamento.
Per quanto riguarda il conguaglio, esso dovrà avvenire in denaro, sia perché la volontà del testatore è vincolante (favor testamenti), sia perché l’ineguaglianza in natura nelle quote ereditarie, si compensa con equivalente in denaro ai sensi dell’art. 728 c.c.
Pertanto, il fratello dovrà procedere alla vendita dell’immobile e compensare le quote delle sorelle con un equivalente in denaro.
Tuttavia, a parere di chi scrive, è opportuno fare una precisazione.
L’obbligo del conguaglio in denaro previsto in capo al fratello, non è detto che sussista nel caso in esame.
I beni specifici attribuiti per testamento alle due figlie, dovranno essere conteggiati nella legittima al fine di valutare eventuali lesioni della stessa. Laddove una delle eredi sia stata lesa nella propria quota di riserva, la stessa avrà diritto ad essere soddisfatta col denaro proveniente dall’asse ereditario.
Le figlie che hanno ricevuto i beni specificamente individuati sono, infatti, interpretando il testamento cosi come riportato nel quesito, da considerarsi “eredi” e non “legatari”.
In particolare la qualità di erede si ricava dalle seguenti affermazioni: “mio padre lascia quindi la legittima a coniuge e figlie” ed ancora “il testamento è stato accettato da tutti“ considerando che l’eredità deve essere accettata dal chiamato, mentre il legato si acquista di diritto, ossia senza la necessità di un formale atto di accettazione.
Ai sensi dell’art. 588, 2° comma, cod.civ., difatti, l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio. Si parla in proposito di istituzione di erede ex re certa.
Anche la Giurisprudenza ha stabilito che in tema di interpretazione del testamento, l’institutio ex re certa configura, ai sensi dell’art. 588 c.c., una successione a titolo universale nel patrimonio del de cuius qualora il testatore, nell’attribuire determinati beni, abbia fatto riferimento alla quota di legittima spettante all’istituito, avendo in tal modo inteso considerare i beni come una frazione rappresentativa dell’intero patrimonio ereditario ( Cass. 18 gennaio 2007, n. 1066).

In conclusione: non vi è comunione ereditaria perché con l’assegnazione di specifici beni, questi passano direttamente in proprietà agli eredi; non vi è un legato a favore delle figlie che hanno ricevuto specifici beni con la conseguenza che, in quanto eredi, i loro beni vanno conteggiati nella legittima; laddove le sorelle siano state lese nella loro quota di riserva, hanno diritto a veder reintegrata la loro quota con il conguaglio in denaro cosi come disposto dal testatore.


Gabriele D. chiede
giovedì 07/10/2010
“Trova applicazione l'art.735 1 co cod.civ. nel caso di istituzioni ex re certa che esauriscano l'intero asse pretermettendo un legittimario? Grazie.”
Consulenza legale i 08/10/2010

Sono essenzialmente tre le teorie che si dividono il campo riguardo l'annosa questione del rapporta tra la divisione del testatore dell'art. 734 c.c. e la institutio ex re certa dell'art. 588 co. 2 c.c.

La prima, propugnata dal Mengoni, sostiene essenzialmente che che tra le due norme in commento si possa inquadrare una sovrapposizione di disciplina e, in particolare, l’art. 588 co. 2 c.c. "qualifica", laddove invece l’art. 734 c.c. "regola".

La seconda, sostenuta in dottrina da MORELLI, sostiene che tra l'art. 588 co. 2 cc. e l'art. 734 c.c. non vi sia alcun punto di contatto potendosi applicare quest'ultimo unicamente nel caso in cui l’istituzione di erede è fatta con predeterminazione di quote.

La terza teoria, sostenuta da CAPOZZI e FORCHIELLI, oltre che dalla della giurisprudenza di legittimità, ritiene che

- l’art. 588 co. 2 c.c. è un mero criterio interpretativo per consentire di discriminare se ci trova di fronte ad una istituzione di erede o di legatario, quando una disposizione ereditaria mal formulata contiene solo l’indicazione di beni determinati ovvero di un complesso di beni – da intendersi, nelle mal espresse volontà del testatore, come quota dell’intero – e non specifichi il titolo dell’istituzione (se erede o legatario).

- l'art. 734 c.c., invece, potrebbe essere applicato sia nel caso di predeterminazione di quote che nel caso di determinazione a posteriori (<-- art. 588 co. 2 c.c.).

La risposta alla domanda, pertanto, dipende da quale delle diverse teorie si decide di sposare. Se fossero la prima o la terza, allora si potrebbe sostenere l'invalidità ai sensi dell'art. 735 c.c. co. 1.


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