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Articolo 752 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi

Dispositivo dell'art. 752 Codice Civile

(1)I coeredi contribuiscono tra loro [1295, 1315, 1318, 1319, 1546 c.c.] al pagamento dei debiti e pesi ereditari(2) [754, 755, 756 c.c.] in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto(3) [662, 663 c.c.].

Note

(1) La norma si riferisce ai rapporti interni tra coeredi, mentre i rapporti con i creditori sono disciplinati dall'art. 754 del c.c..
(2) Sono pesi ereditari i debiti che sorgono a capo degli eredi in dipendenza della successione, quali: le spese funerarie, le spese giudiziarie, d'inventario, di amministrazione e di divisione, gli oneri imposti al chiamato (v. art. 647 del c.c.), l'assegno vitalizio spettante ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione (v. art. 580 del c.c.), la retribuzione dell'esecutore testamentario (v. art. 711 del c.c.), le spese fatte dall'esecutore testamentario per l'esercizio del suo ufficio (v. art. 712 del c.c.) e il risarcimento del danno da illecito commesso mediante testamento, il legato obbligatorio.
(3) I coeredi all'unanimità possono derogare alla disposizione in commento, in sede di divisione contrattuale o in sede di accettazione della divisione giudiziale.

Brocardi

Nomina hereditaria ipso iure dividuntur

Spiegazione dell'art. 752 Codice Civile

II passivo che grava l’eredità va ripartito in proporzione delle rispettive quote. Questa ripartizione è vincolante per il creditore, salvo il caso di solidarietà o indivisibilità. Il testatore può variare tale proporzione, il che si traduce in un aumento o in una diminuzione delle quote; ma questo diverso reparto non ha effetto nei rapporti del creditore che altrimenti potrebbe essere agevolmente frodato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 752 Codice Civile

Cass. civ. n. 18977/2022

Nel caso in cui il coerede, intimato sulla base di titolo esecutivo formatosi nei confronti del "de cuius", deduca, in sede di opposizione all'esecuzione, la sua qualità di coobbligato "pro quota", evidenziando la presenza di altri coeredi, il precetto intimatogli per l'intero ammontare del credito è invalido per eccessività della somma intimata, dal momento che, essendo esclusa qualsivoglia relazione di solidarietà dei coeredi in ordine al pagamento dei debiti ereditari, il creditore è tenuto ad agire esecutivamente nei loro confronti in proporzione alle singole quote ereditarie.

Cass. civ. n. 18331/2022

In tema di espropriazione presso terzi, il pignoramento di un credito ereditario da parte di un coerede nei confronti di altro coerede comporta che, ove il procedente non abbia espressamente limitato l'oggetto del pignoramento alla sola quota di spettanza del proprio debitore, il terzo pignorato è tenuto a versare l'intero importo del credito, dal momento che, a differenza dei debiti ereditari (che si dividono automaticamente "pro quota" ex art. 752 c.c.), i crediti ereditari ricadono nella comunione e possono, pertanto, essere fatti valere per l'intero da ciascuno dei coeredi, restando affidata la successiva ripartizione fra gli stessi al giudizio di divisione.

Cass. civ. n. 17938/2020

Le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 c.c., sicchè colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso da parte dei coeredi, purchè essi non abbiano manifestato una volontà contraria alla sua attività gestoria. Il mancato dissenso, tuttavia, non giustifica anche il rimborso di spese incongrue ed eccessive, non potendosi ritenere che il coerede abbia l'onere di manifestare una volontà contraria anche sul "quantum", con la conseguenza che il giudice del merito, nella quantificazione delle spese da rimborsare a chi le ha anticipate, è tenuto a verificare quale sia la somma congrua alla luce delle tariffe praticate da altre agenzie per lo stesso servizio. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE NAPOLI NORD, 21/07/2016).

Cass. civ. n. 4199/2016

L'azione per il pagamento di un debito ereditario non determina, laddove al "de cuius" succeda una pluralità di eredi, una situazione di litisconsorzio necessario fra costoro, non versandosi in ipotesi di rapporto unico ed inscindibile, giacché ciascun erede è tenuto a soddisfare i debiti ereditari "pro quota". (Cassa con rinvio, App. Milano, 18/01/2011).

Cass. civ. n. 1994/2016

Le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 c.c., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto ad ottenerne il rimborso da parte di costoro, sempre che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la loro volontà. (Rigetta, Trib. Lecce, 11/04/2011).

Cass. civ. n. 1902/2015

L'accordo col quale il soggetto istituito erede universale riconosce, in via di transazione, la titolarità di determinati beni ereditari a colui che, non avendo la qualità di legittimario pretermesso, pretende diritti sull'eredità in forza di un testamento anteriore (poi revocato), non determina il riconoscimento della qualità di coerede in capo al destinatario dell'attribuzione patrimoniale, non potendo il chiamato disporre della delazione, sicché solo l'erede istituito è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, non configurandosi in tal caso una vendita di eredità (soggetta a forma scritta "ad substantiam") e, conseguentemente, una responsabilità solidale dell'acquirente ex art. 1546 c.c..

Cass. civ. n. 8900/2013

La disciplina di ripartizione dei debiti e pesi ereditari tra i coeredi in proporzione delle loro quote, salvo che il testatore abbia diversamente disposto, ai sensi dell'art. 752 c.c., opera per i debiti e pesi presenti nel patrimonio del "de cuius" al momento della morte, nonché per quelli sorti in immediata conseguenza della successione ereditaria, e non anche per i debiti (quale, nella specie, l'obbligo risarcitorio per il mancato rilascio di un immobile concesso in comodato al "de cuius" e richiesto in restituzione dal comodante per la prima volta agli eredi) venuti occasionalmente ad esistenza dopo la morte di quello a causa della condotta degli eredi, i quali non adempiano ad obbligazioni che pur traggono i propri presupposti remoti da atti o fatti riconducibili alla sfera patrimoniale del defunto.

Cass. civ. n. 14629/2012

Gli artt. 752 e 754 c.c. regolando, rispettivamente, la ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ed il pagamento di tali debiti da parte dei coeredi, disciplinano i rapporti tra coeredi, da un lato, e creditori del "de cuius", dall'altro, tra i quali ultimi non rientra il coerede che vanti un credito nei confronti del "de cuius"; né a tale credito consegue un diritto al prelevamento, ai sensi dell'art. 725 c.c., riguardando piuttosto, quest'ultima norma, in combinato con l'art. 724, secondo comma, c.c., la definizione dei rapporti obbligatori tra coeredi in dipendenza della situazione di comunione. Nondimeno, il medesimo credito del coerede verso il "de cuius", e quindi verso la massa, può essere fatto valere, per ragioni di economia processuale, nello stesso giudizio di scioglimento della comunione ereditaria mediante imputazione alle quote degli altri coeredi, trattandosi di rapporto obbligatorio avente comunque la sua collocazione e la sua tutela nell'ambito della vicenda successoria, la quale ha dato luogo alla comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 26170/2009

Nel caso di divisione ereditaria, ove vi siano più coeredi debitori di conguagli in denaro, e più coeredi creditori di conguagli, non sussiste solidarietà passiva tra i condividenti tenuti al pagamento in favore dei coeredi creditori, senza però che si debba pervenire a statuire reciproche obbligazioni proporzionali all'ammontare del debito e del credito di ciascuno, potendo ciascun creditore di conguaglio, nei limiti dei proprio credito, soddisfarsi interamente nei confronti di uno solo dei debitori, nei limiti del conguaglio da questi dovuto.

Cass. civ. n. 24792/2008

In tema di debiti ereditari, sia l'art. 752 cod. civ., che concerne i rapporti tra coeredi, sia l'art. 754 cod. civ., in base al quale i creditori possono pretendere nei confronti di ciascun erede l'adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria, sono, anche tacitamente, derogabili dagli eredi e non impediscono che un solo coerede assuma l'obbligo di adempiere l'intero debito.

Cass. civ. n. 20338/2007

Il fatto che, ai sensi dell'art. 752 c.c., i coeredi «contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle quote ereditarie...» e che, ai sensi dell'art. 754 c.c., ciascuno è tenuto verso i creditori in proporzione della sua quota, comporta solo che, a seguito della successione, ciascuno dei debitori «non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte» a norma dell'art. 1314 c.c., e non significa anche che sussistono originariamente tanti autonomi rapporti quanti sono gli eredi, giacché il debito di ognuno (“pro quota”) ha comunque la sua fonte nell'obbligazione del de cuius la quale determina l'unicità genetica del rapporto obbligatorio. Ne consegue che l'art. 11 c.p.c. (che pone una regola derogatoria a quella di cui all'art. 10, comma secondo, c.p.c. e che sarebbe inutile se non fosse ritenuto applicabile alle obbligazioni divisibili, essendone esclusa la riferibilità alle obbligazioni solidali ed indivisibili) trova applicazione nel caso in cui a più eredi sia richiesto, con domande proposte sin dall'inizio nello stesso processo, l'adempimento pro quota dell'unica obbligazione del de cuius essendo irrilevante che, a seguito della successione, i rapporti obbligatori tra il creditore e ciascuno degli eredi siano ormai autonomi e restando il valore della causa determinato, dunque, dalla somma delle quote di cui il creditore abbia chiesto il pagamento.

Cass. civ. n. 5092/2006

I debiti per interessi maturati successivamente all'apertura della successione in relazione ad un debito del de cuius sono debiti ereditari che gravano su ciascuno dei coeredi in proporzione alla propria quota ereditaria e non in proporzione alla quota di partecipazione alla comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 13953/2005

In tema di ripartizione dei debiti ereditari, l'art. 752 c.c. concerne solamente i rapporti tra coeredi, e non è pertanto invocabile dai creditori del de cuius per i quali trova viceversa applicazione l'art. 754 c.c., in base al quale essi possono pretendere nei confronti di ciascun coerede l'adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria, norma che, nel fare eccezione alla regola della solidarietà passiva di cui all'art. 1294 c.c., è peraltro, ai sensi degli artt. 1295 e 1394 c.c., anche tacitamente derogabile dagli eredi, e in ogni caso non impedisce l'adempimento del terzo con efficacia estintiva dell'obbligazione.

Cass. civ. n. 28/2002

Le spese per le onoranze funebri sono da comprendere tra i pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza dell'apertura della successione e, pur dovendo essere distinti dai debiti ereditari — ossia dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o per testamento — gravano sugli eredi per effetto dell'acquisto dell'eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, che è composto sia dai debiti del defunto sia dai debiti dell'eredità; ne consegue che colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenere il rimborso dagli eredi, sempre che non si tratti di spese eccessive sostenute contro la volontà espressa dai medesimi.

Cass. civ. n. 14063/2000

L'art. 752 c.c. prevede che i coeredi contribuiscano fra loro al pagamento dei debiti ereditari, in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia disposto diversamente. Ne deriva che in mancanza di un patto con cui il de cuius abbia stipulato l'obbligazione solidale dei propri eredi a favore del creditore, gli eredi sono tenuti al pagamento dei debiti personalmente in proporzione delle rispettive quote.

Cass. civ. n. 562/2000

Il debito ereditario di cui all'art. 752 c.c. è quello esistente in capo al de cuius al momento della sua morte - che si trasmette, insieme con il suo patrimonio, ai suoi successori, ex lege o per testamento, ripartendosi automaticamente tra di loro - e ricomprende sia la somma capitale, sia gli interessi, il cui maturarsi giorno per giorno non trova un limite temporale nella morte del debitore. Ne consegue che, essendo ciascun coerede tenuto al pagamento del debito ereditario in proporzione della propria quota (nomina haereditaria ipso iure dividuntur), anche gli interessi maturati dopo la morte del de cuius gravano sugli eredi fino a che il debito non venga estinto da ciascuno di essi per la propria quota.

Cass. civ. n. 4155/1989

Gli eredi del condebitore solidale rispondono del debito del de cuius in proporzione delle rispettive quote senza vincolo di solidarietà.

Cass. civ. n. 3789/1982

Con riguardo a debito ereditario, la pronuncia di condanna generica «in solido» a carico degli eredi non trova ostacolo nel principio fissato dall'art. 752 c.c., sulla ripartizione del debito medesimo fra gli eredi in proporzione delle quote, in quanto la concreta determinazione dell'obbligo di ciascuno, secondo tale principio, resta demandata al giudice che provvede alla liquidazione del quantum.

Cass. civ. n. 1479/1977

Gli eredi dell'originario debitore sono obbligati a soddisfare i debiti ereditari esclusivamente pro quota, e cioè in proporzione delle rispettive quote ereditarie; essi, pertanto, non possono essere condannati al pagamento solidale di tali debiti.

Cass. civ. n. 2050/1976

Poiché ciascun erede è tenuto a soddisfare il debito ereditario esclusivamente in proporzione della quota attiva in cui succede, al fine della determinazione dell'entità di detto obbligo, quando si tratti di institutio ex re certa, è necessario accertare il valore dei beni attribuiti all'erede medesimo, e porlo in relazione al valore dell'intero patrimonio ereditario.

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Consulenze legali
relative all'articolo 752 Codice Civile

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Anonimo chiede
sabato 06/07/2024
“Nostro padre è mancato il 21 agosto 2021. C'era un testamento aperto nell'ottobre 2021 dove ognuno di noi ha ereditato un immobile e entrambi gli immobili sono ubicati nel comune dove è stata aperta la successione e dove nostro padre aveva domicilio e residenza. La successione è stata fatta da un notaio nell'aprile 2022. I debiti ereditari pre morte sono stati saldati da noi eredi. Un erede continua ad avere la residenza nello stesso comune dove è stata aperta la successione, mentre io ho avuto la residenza e domicilio nello stesso comune dove è stata aperta la successione fino ad ottobre 2021, da novembre 2021 ho la residenza in un altro comune. Il comune dove è stata aperta la successione ci richiede pagamento TARI 2021 con scadenza prima rata 30 novembre 2021 e IMU seconda rata scadenza 16 dicembre 2021 imputandoli come debiti ereditari del de cuius. Ognuno di noi ha pagato le proprie tasse IMU e TARI post morte come proprietario di quello che ha ereditato. Dopo la morte di nostro padre IMU e TARI continuano ad essere debiti ereditari? Noi abbiamo comunque già pagato”
Consulenza legale i 11/07/2024
L’art. 752 c.c. prevede che i coeredi contribuiscano al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia disposto diversamente (nel qual caso la disposizione testamentaria viene ad assumere natura di legato a carico degli eredi onerati ed a favore di quelli che ne sono esonerati).
Tale disposizione regola il rapporto tra i coeredi e non quello con i creditori del defunto, a cui invece fa riferimento il successivo art. 754 del c.c.

Sotto il profilo della corretta individuazione dei “debiti e pesi ereditari”, va detto che in linea generale si devono intendere come tali quelli già esistenti nel patrimonio del defunto prima della sua morte (coincidente con la data di apertura della successione), a cui vanno aggiunte anche le spese funerarie e le eventuali spese notarili per l’accettazione con beneficio di inventario.

Lo stesso principio vale anche per i debiti di natura fiscale, quali sono quelli derivanti da omesso versamento di IMU e TARI, in relazione ai quali sugli eredi grava l’obbligo di provvedere al loro soddisfacimento:
  1. in nome del defunto fino alla data di apertura della successione (ovvero la data del decesso);
  2. in nome proprio dalla data di apertura della successione.
Occorre prestare attenzione al fatto che il pagamento in nome proprio va effettuato non dalla data di presentazione della dichiarazione di successione (che può avvenire nei dodici mesi successivi), bensì a partire dal giorno del subentro nella proprietà che, secondo quanto si ricava dall’art. 459 c.c. deve farsi risalire, a seguito dell’accettazione, al momento di apertura della successione.

Pertanto, rispondendo a quanto viene chiesto, si suggerisce di recarsi presso l’Ufficio tributi del Comune di competenza e richiedere una rettifica dell’avviso di pagamento TARI, scindendo il periodo antecedente alla morte del de cuius (il cui pagamento deve essere effettuato in nome e per conto del deceduto, compilando il relativo Modello F24, in cui si dovranno indicare i dati anagrafici del deceduto e compilare il campo “coobbligato”), da quello successivo a tale data (da effettuare nella qualità di erede, riportando negli appositi spazi della sezione “Contribuente” del Modello F24 i dati identificativi della persona per la quale viene effettuato il versamento, in ragione della quota di ciascuno).

Infine, con specifico riferimento alla TARI, si ritiene possa essere utile ricordare che, oltre alle ipotesi di riduzioni obbligatorie e facoltative, vi sono anche dei casi in cui la Tari non va pagata e tra questi vi rientra il caso dell’immobile disabitato (condizione in cui spesso si vengono a trovare gli immobili ereditati).
Tuttavia, per dimostrare che una casa è disabitata è necessario che la stessa non abbia le utenze, cioè i contatori di luce, acqua e gas allacciati alla fornitura, e che non vi siano neppure gli arredi essenziali per poterci abitare (il letto, le sedie, ecc.).


G.P. chiede
giovedì 30/09/2021 - Sardegna
“Il Sig. (P.M.) è deceduto lasciando testamento che in una parte riporta testualmente; " Preciso inoltre che presso la Banca di Credito Sardo di Sant'Antioco ho aperto un libretto di risparmio e dispongo che il denaro ivi contenuto sia utilizzato per il mio funerale". Si specifica che il libretto risulta essere cointestato con la nipote (C.C.) che, alla morte del nonno, ha prelevato il 50% della somma giacente, lasciando all’unica erede universale riconosciuta, la figlia (P.M.N) il restante importo del 50% con l’onere di pagamento delle spese del funerale e la chiusura del Conto medesimo. La consulenza richiesta è riferita alla decisione attuata dalla nipote. Si chiede, pertanto, può quest’ultima prelevare il 50% della somma disponibile o, contrariamente, per effetto della disposizione del testatore, si sarebbe dovuto procedere al pagamento delle spese funerarie e, quindi, successivamente all'acquisizione della somma spettante per la presunta contitolarità del Conto? Secondo quanto disposto dagli articoli 1854 e 1298 del codice civile, la cointestazione del conto corrente fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto ed i cointestatari acquistano la qualità di creditori o di debitori solidali del conto sia nei confronti con i terzi sia nei rapporti interni. Pertanto è mia opinione che per le qualità assunte dai contitolari esisteva l'obbligo del sopravvissuto di onorare il debito programmato dal deceduto per effetto della solidalità indicata nelle norme ed in virtù del disposto testamentario. Mi auguro d’essere stato semplice e comprensibile nell’esposizione. In attesa del vostro professionale riscontro, ringrazio e cordialmente saluto.”
Consulenza legale i 06/10/2021
Il caso che si sottopone all’esame è molto frequente nella prassi quotidiana e si verifica in particolare nei rapporti tra coniugi, in quanto è molto più probabile che a concludere con l’istituto di credito un contratto di deposito a risparmio cointestato siano membri di uno stesso nucleo familiare.
La giurisprudenza, infatti, si è spesso trovata ad affrontare il problema di quale sia la sorte delle somme risultanti dal saldo attivo di un conto cointestato tra il de cuius ed il coniuge superstite, al fine di stabilire in che misura tali somme debbano essere divise tra gli eredi, siano essi legittimi che testamentari.

Corretto è il riferimento normativo fatto nel quesito all’art. 1854 del c.c., norma dalla quale è dato desumere che nel momento in cui i titolari del conto sono più di uno, si presume che ciascuno di questi abbia la titolarità di una quota pari a quella degli altri (la giacenza, dunque, si divide in parti uguali ed è per questo che si parla di solidarietà).
Ovviamente, questo è il principio generale sancito dal legislatore, ma non vi è alcuna norma che vieta alle parti del rapporto contrattuale di stabilire quote diverse e magari accordarsi per una ripartizione per quote non uguali (accordo, però, che avrà efficacia puramente interna e che non potrà esplicare i suoi effetti nei confronti dell’altra parte del rapporto contrattuale, ossia l’istituto di credito).

In ogni caso, si tenga presente che il principio della solidarietà, sancito dalla norma sopra citata, non può autorizzare l’istituto di credito a rifiutare il prelievo dell’intera giacenza esistente sul conto da parte dell’unico cointestatario superstite, non potendosi addossare alla banca alcuna responsabilità per avergli consentito di utilizzare una parte della giacenza superiore a quella di sua proprietà.
Semmai, un comportamento di tale tipo, potrà assumere rilievo nei rapporti tra il cointestatario superstite e gli eredi dell’altro cointestatario deceduto, sia sotto il profilo penale (in quanto sarebbe configurabile il reato di appropriazione indebita) sia sotto il profilo civilistico (è ben possibile reclamare giudizialmente la restituzione delle somme indebitamente riscosse).

Ebbene, proprio su questo specifico tema è di recente intervenuta la Corte di Cassazione, Sezione seconda civile, con l’ordinanza n. 7862/2021, sostenendo che in caso di conti cointestati con firma disgiunta, qualora una delle persone contitolari morisse, l’altra avrebbe il diritto di chiedere l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio, liberando la banca verso gli eredi del contitolare deceduto.
Ciò significa che gli eredi del cointestatario deceduto non potranno in alcun modo rivalersi nei confronti dell’istituto di credito, ma, come detto prima, potranno soltanto agire nei confronti del cointestatario superstite, che ha prelevato l’intera somma, compresa quella destinata agli eredi.

Diverso, invece, è il caso di un rapporto di conto corrente a firma congiunta, nel qual caso qualunque operazione, anche quella di basso importo, deve essere necessariamente autorizzata da tutti i cointestatari, e dunque anche dagli eredi del cointestatario deceduto.
Da quanto riferito nel quesito, si ritiene che non ci si possa che trovare dinanzi ad un caso di cointestazione a firma disgiunta, il che comporta che l’operato della nipote deve ritenersi pienamente legittimo e conforme a legge, avendo prelevato dal conto una somma pari al 50%, ossia in percentuale esattamente pari a quella prevista dal legislatore.

Per quanto concerne la volontà del testatore di prelevare le somme necessarie per la sepoltura dal saldo attivo di quel conto, deve farsi rilevare che non è corretta la tesi che si vorrebbe portare avanti, e ciò per le seguenti ragioni.
A differenza dei debiti ereditari, assunti in vita dal de cuius e preesistenti alla sua morte, le spese funerarie vanno fatte rientrare tra i c.d. pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza ed a seguito dell’apertura della successione.
Tali spese, infatti, vengono assunte da un soggetto diverso dal defunto, che può essere uno degli eredi, come anche un chiamato all’eredità che non intende accettarla o un terzo, il quale, a sua volta, avrà diritto ad ottenerne il rimborso da parte di coloro che per accettazione, espressa o tacita, assumeranno la qualità di eredi.
Pertanto, poiché il momento in cui sorge la relativa obbligazione è successivo a quello di apertura della successione (e non antecedente), è corretto ritenere che tali spese debbano essere detratte dal 50% del saldo attivo del conto cointestato a quella data, e non dall’intero saldo attivo, per poi dividere al 50% la somma al netto di esse.


ARTUR P. chiede
lunedì 22/03/2021 - Trentino-Alto Adige
“Gentile Avvocato,
due anni fa è deceduto mio padre senza di lasciare testamento, mentre mia madre è deceduta circa un anno fa.
Nonostante per mio padre deve essere applicata la successione legale, mentre mia madre nelle disposizioni testamentarie ha nominato mio fratello e me quali suoi eredi universali, al 50%, una delle due banche altoatesine in gioco non vuole liquidarmi la mia quota di contanti e per fare ciò pretende la firma di mio fratello. Il problema potrebbe essere di poco conto in condizioni normali, ma purtroppo mio fratello e coerede mi boicotta in questo e fa dipendere la sua firma presso la banca dalla vendita della metà dell'immobile facente parte dell'asse ereditario da parte mia a lui ad un prezzo notevolmente più basso rispetto il valore di mercato. Praticamente in sinergia con la banca mio fratello e coerede vuole estorcere da me la vendita della mia quota dell'immobile ad un presso irrisorio.
I MIEI QUESITI SAREBBERO I SEGUENTI:
==========================
1) PUO LA BANCA FARE DIPENDERE LA LIQUIDAZIONE DELLA MIA QUOTA DI DANARO DALLA FIRMA DI MIO FRATELLO NONOSTANTE IO ABBIA CONSEGNATO PRESENTATO TUTTA LA DOKUMENTAZIONE NECESSARIA COME LA DICH. DI SUCCESSIONE, CERTIFICATI DI MORTE ECC...?
2) Si TRATTA DI UNA PRASSI DI CERTE BANCHE, OPPURE VI E' UNA DISPOSIZIONE DI LEGGE CHE PERMETTE ALLA BANCA DI NEGARMI LA MIA QUOTA DEI CONTANTI IN ASSENZA DELLA FIRMA DEL COEREDE?
3) QUALE RIMEDIO MI CONSIGLIA PER FARE IN MODO CHE PURE LA SECONDA BANCA (PERCHE' LA PRIMA, CON LA STESSA DOKUMENTAZIONE, HA GIA' PROVVEDUTO A LIQUIDARMI LA MIA QUOTA DI CONTANTI) SIA CHIAMATA A LIQUIDARMI LA MIA QUOTA DI CONTANTI?

Ringraziando, porgo
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 27/03/2021

La valutazione che viene richiesta concerne la sussistenza di un diritto del coerede ad ottenere la liquidazione della propria quota dei crediti ereditari, anche in difetto del consenso degli altri coeredi; si chiede, dunque, di valutare la legittimità del comportamento della banca che abbia negato la corresponsione al medesimo coerede della quota di sua spettanza della giacenza attiva sul conto corrente intestato al de cuius, nonostante risulti formalizzata la dichiarazione di successione e accettata l’eredità.

Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, stabilendo, in tema di litisconsorzio necessario tra gli eredi del creditore nell’azione per il pagamento delle somme dovuto al loro dante causa, che: “In conclusione, si deve affermare il principio secondo cui i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria; ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere l’intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi. La partecipazione al giudizio di costoro può essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito” (Cass. Civ., SSUU, sentenza 24657/2007).

Dalla citata decisione si desume che ciascun coerede ha il potere di agire nei confronti del debitore del de cuius per la riscossione dell'intero credito ovvero di una parte che sia proporzionale alla propria quota di eredità.

In tal senso si è più recentemente pronunciata la Cassazione, statuendo che “ciascun coerede può domandare il pagamento del credito ereditario in misura integrale o proporzionale alla quota di sua spettanza senza che il debitore possa opporsi adducendo il mancato consenso degli altri coeredi, i quali non sono neppure litisconsorti necessari nel conseguente giudizio di adempimento poiché i contrasti sorti tra gli stessi devono trovare soluzione nell'ambito dell'eventuale e distinta procedura di divisione” (Cass. Civ., ordinanza 27417/2017).

Il comportamento della banca che ha negato di corrispondere la quota spettante al coerede è, dunque, illegittimo, e probabilmente è il frutto di una prassi diffusa tra gli istituti di credito per evitare contestazioni da parte degli altri eredi (che sarebbero, comunque, infondate). Lo strumento giuridico per poter far valere il credito (la quota spettante) potrebbe essere il ricorso per decreto ingiuntivo ex art. 633 e ss. c.c..


Mario Z. chiede
sabato 13/06/2020 - Friuli-Venezia
“Buongiorno,

io e mio padre eravamo soci in una società semplice agricola, che non ha proprietà immobiliari. Mio padre ha fatto fare dei lavori di riqualificazione energetica, di manutenzione straordinaria ed altre migliorie alla propria casa di proprietà, facendo fatturare e pagare le relative spese alla società, di cui era amministratore. Ora mio padre è deceduto ed a breve verrà ricostituita la pluralità dei soci con un nuovo socio. La proprietà immobiliare di mio padre ha come eredi me e mia sorella, che non partecipa alla società. La mia domanda è questa: può la società chiedere agli eredi la restituzione delle somme pagate per le spese di cui sopra? Grazie”
Consulenza legale i 18/06/2020
L’utilizzo di cassa della società semplice da parte del vecchio socio, poi defunto, per spese personali comporta l’insorgenza di un credito della suddetta società verso il de cuius e, dopo l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, il trasferimento di detto debito in capo agli eredi ex art. 752 del c.c.

Il suddetto credito della società risulterà dalle sue scritture contabili e, dunque, potrà essere certamente esigibile dalla medesima società nei confronti degli eredi del socio defunto.

Giovanni M. chiede
mercoledì 13/05/2020 - Lazio
“Riferimento vostra risposta del 4 maggio scorso, contraddistinta dal codice di consulenza Q202025365.
Premessa
La questione riguarda sempre le spese funebri di S. Teresa sostenute, a suo tempo, per intero da M. Pasquale e, successivamente, le spese funebri di M. Pasquale (sostenute, a suo tempo, esclusivamente dai tre fratelli germani Maria Giuseppa, Pietrino e Giovanni).
E’ già stato da voi efficacemente chiarito il distinto metodo di suddivisione per entrambe le spese sostenute.
Ora si tratta di entrare nel merito delle spese, con questo secondo quesito che si espone di seguito sinteticamente nella sua duplice articolazione.
1) Le spese funerarie di S. Teresa, deceduta il 30 giugno 1997, ossia 23 anni fa, ammontano a Lire 1.800.000, per difetto.
E’ lecito chiedere la rivalutazione monetaria – con i relativi interessi – delle spese allora sostenute, ossia 23 anni fa?
In caso affermativo esiste una tabella pertinente per effettuare tale calcolo?
Oppure è lecito fare soltanto la riconversione Lire/Euro?
2) Le spese funerarie di M. Pasquale, deceduto il 5 giugno 2004, ossia 16 anni fa, ammontano a
Euro 743,55.
E’ lecito chiedere la rivalutazione monetaria – con i relativi interessi – delle spese allora sostenute, ossia 16 anni fa?
In caso affermativo esiste una tabella pertinente per effettuare tale calcolo?”
Consulenza legale i 20/05/2020
Nella precedente consulenza si faceva osservare che le spese funebri costituiscono a tutti gli effetti debiti ereditari, dei quali sono tenuti a rispondere gli eredi (o meglio coloro che dichiareranno di accettare l’eredità) in proporzione alle rispettive quote (così art. 752 c.c.).
E’ stato anche detto che molto spesso succede che soltanto uno o alcuni degli eredi sostengono nell’immediato tali spese, per poi le stesse essere ripartite tra tutti gli altri eredi, nei confronti dei quali colui o coloro che le hanno sostenute vantano un diritto di ripetizione (c.d. diritto di rivalsa).
Trattasi, però, di un diritto che non è imprescrittibile, ma soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale stabilito dall’art. 2946 del c.c. e che comincia a decorrere dal giorno in cui la spesa è stata sostenuta ovvero dal momento in cui il medesimo diritto è sorto e può farsi valere.

Pertanto, nel caso di specie è pur vero che le spese funerarie di S. Teresa sono state sostenute 23 anni fa, ma il termine di prescrizione non può farsi decorrere da quel momento, bensì dal successivo momento in cui le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela hanno ottenuto il riconoscimento giudiziale della loro posizione di eredi della zia S. Teresa.

Per quanto concerne, invece, le spese funebri sostenute in morte di M. Pasquale dai tre fratelli germani Maria Giuseppa, Pietrino e Giovanni, è stato spiegato nella precedente consulenza (a cui si rimanda) che queste non possono farsi gravare sulle nipoti (Anna, Laura e Antonia Angela), rimaste estranee all’eredità, ma su tutti coloro che hanno acquisito la posizione di eredi legittimi dello stesso M. Pasquale, tra i quali figurano anche i fratelli unilaterali Francesco, Salvatore e Paolo (ai quali ultimi compete, ex art. 570 del c.c., la metà della quota che conseguono i germani).

Anche per tali spese vale quanto sopra detto in ordine al termine di prescrizione, ossia che si ha un termine massimo di dieci anni per far valere il diritto di rivalsa; essendo trascorsi 16 anni dalla morte di M. Pasquale, deceduto in data 5 giugno 2004, tale diritto si è abbondantemente prescritto e, pertanto, non si è più legittimati a ripetere la relativa quota da parte di coloro che non hanno partecipato a quelle spese.

Per le spese funerarie di S. Teresa il termine decennale comincia a decorrere da quando è stato riconosciuto giudizialmente il diritto delle nipoti di concorrere alla successione, e dunque, anche in questo caso, può farsi valere soltanto se non sono decorsi dieci anni da quel momento.
Se si è ancora in termini, si avrà diritto a ripetere dalle nipoti una quota complessiva pari ad un terzo di quelle spese; quindi, operando una conversione in euro della somma allora spesa di Lire 1.800.000, si avrà una spesa complessiva, arrotondata per eccesso, di euro 930,00.
La quota (1/3) che andrà a gravare sulle nipoti risulterà pari ad euro 310,00 (da dividere in tre quote eguali).

Per quanto concerne il calcolo di interessi e rivalutazione monetaria, occorre precisare che il debito in oggetto ha natura di debito di valuta, trattandosi di debito in cui la prestazione pecuniaria è determinata nel suo ammontare sin da subito in maniera chiara (essendo riferita ad una somma di denaro ben determinata), ed in quanto tale esso non è soggetto a rivalutazione monetaria (applicabile, invece, ai debiti di valore, cioè quei debiti in cui la prestazione pecuniaria non è liquida né agevolmente liquidabile).
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione già con sentenza n. 4637 del 1987, in cui è detto che la rivalutazione monetaria può essere prospettata solo ed esclusivamente per i debiti di valore, in quanto solo questi sono assoggettati alle oscillazioni dell’indice dei prezzi al consumo dal momento in cui l’obbligazione sorge al momento in cui la stessa viene monetizzata (ne è tipico esempio il debito derivante da risarcimento danni).

Sotto il profilo normativo quanto sopra detto trova il suo fondamento nel c.d. principio nominalistico espresso all’art. 1227 del c.c., ossia quel principio in forza del quale l’obbligazione pecuniaria si esegue con il versamento del corrispondente importo nominale e non del suo valore concreto ed effettivo.

Sotto il diverso profilo degli interessi, invece, il diritto a pretenderli sorge soltanto dal momento in cui ne sia stata avanzata formale richiesta, facendo pervenire all’indirizzo di ciascuno dei debitori un atto stragiudiziale di costituzione in mora.
In tal senso può citarsi la recentissima sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cass. n. 15895 del 13 giugno 2019, in cui si precisa che l’obbligo di corresponsione degli interessi si può fare decorrere, oltre che da una domanda giudiziale, anche da un atto stragiudiziale con valore di costituzione in mora.

Sarà, dunque, necessario richiedere formalmente la ripetizione di quella somma mediante notifica di un atto di costituzione in mora, di modo che, se le nipoti dovessero non adempiere spontaneamente, si potrà agire giudizialmente per ottenere contro le stesse una ingiunzione di pagamento, con diritto ad ottenere anche la corresponsione degli interessi dal momento dello stesso atto di costituzione in mora (il tasso applicabile sarà quello legale).

Ritornando, infine, alla suddivisione delle spese funebri sostenute per la morte di M. Pasquale, dalle quali restano escluse le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela (perché estranee a quella successione), qualora i fratelli unilaterali, che non vi hanno contribuito, volessero spontaneamente adempiere, la quota che a loro potrà essere richiesta sarà pari ad euro 82,61 pro capite (corrispondente alla metà di quella gravante sui fratelli germani).
Anche per tali somme vale quanto detto prima in ordine ad interessi e rivalutazione monetaria.


Claudio M. chiede
martedì 28/04/2020 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
vorrei sapere chi e in quale percentuale deve pagare gli oneri notarili e le spese funerarie e di sepoltura in presenza di testamento pubblico registrato presso notaio ove gli eredi sono:
Un Erede unico universale (Nipote) + 9 Legatari (rimanenti nipoti).
Gli attivi in eredità sono: un immobile + liquidi e titoli in banca.
Non vi sono passività.
I legatari come da disposizione testamentaria devono ricevere dall'erede universale i liquidi e i titoli in banca divisi in parti uguali.
Nel testamento non viene menzionato chi paga le spese (notaio, funerale e sepoltura).
Il de cujus è un parente vedovo senza figli che all'atto del decesso della moglie ha liquidato come da legge vigente all'epoca gli eredi .
Vi prego di rispondere con chiarezza esplicitando chiaramente l'informazione richiesta.
Grazie, saluti.”
Consulenza legale i 05/05/2020
La norma che in materia di successione si occupa dei debiti e pesi ereditari è l’art. 752 c.c., il quale prevede che siano i coeredi a contribuire tra loro al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle rispettive quote e salvo diversa volontà del testatore.

Quando si parla di debiti e pesi ereditari, il riferimento non deve essere inteso come limitato ai debiti e pesi già esistenti nel patrimonio del defunto, ma vi si debbono anche ricomprendere le spese funerarie e le spese notarili successive all’apertura della successione (quali quelle per la pubblicazione del testamento o per l’eventuale accettazione con beneficio di inventario), con la conseguenza che, se taluno diverso dagli eredi ha anticipato tali spese, avrà diritto di ottenerne il rimborso dagli eredi, sempre che non si tratti di spese eccessive sostenute contro la volontà espressa dai medesimi (in tal senso si sono espressi Corte di Cass. Sent. N. 28/2002; Cass. N. 1994/2016; Tribunale di Udine sent. 12.10.2016; Tribunale di Firenze sent. 04.02.2016).

In particolare, secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1994/2016, le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi ex art. 752 c.c. (conforme Cass. civ. Sez. II, 03/01/2002, n. 28).

Stesso discorso vale per le spese notarili relative alla pubblicazione del testamento, in tal senso dovendosi peraltro argomentare dagli artt. 662 e 672 c.c.
Secondo il disposto dell’art. 662 del c.c., infatti, salvo diversa volontà del testatore, l’onere della prestazione del legato grava su tutti gli eredi, mentre l'art. 672 c.c. pone a carico dell’onerato (ossia dell’erede o degli eredi pro quota) le spese per la prestazione del legato.
Quest’ultima norma, a sua volta, va posta in stretta correlazione anche con l’art. 1196 del c.c., dettato in tema di obbligazioni, il quale pone in generale a carico del debitore (da identificarsi in questo caso con l’onerato) le spese per l’adempimento (sembra evidente che la pubblicazione del testamento costituisca un atto dovuto e imprescindibile per adempiere al legato voluto dal testatore).

Le uniche spese che vanno necessariamente fatte gravare sul legatario sono quelle relative al pagamento dell’imposta di successione, considerato che il tributo concerne il beneficio ricevuto.
In tal senso, oltretutto, può chiaramente argomentarsi dall’art. 5 comma 1 del D.lgs. 346/1990 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), il quale stabilisce che “L'imposta e' dovuta dagli eredi e dai legatari per le successioni, dai donatari per le donazioni e dai beneficiari per le altre liberalità tra vivi”.

Va infine aggiunto che, anche con riferimento a queste ultime spese, si ammette che il testatore, con espressa disposizione, possa porre a carico dell'erede l'importo da erogare al fisco riguardo al legato.

Giovanni M. chiede
domenica 26/04/2020 - Lazio
“Premesso che, dopo la morte della signora A. Antonia, vedova S. Angelo, il patrimonio è stato ereditato in parti uguali dai suoi tre figli:
1) S. Giuseppe, quota di 1/3;
2) S. Vittorio, quota di 1/3;
3) S. Teresa, quota di 1/3.

Dopo la morte di S. Vittorio, celibe e senza figli, la sua quota parte di 1/3 del patrimonio originario è stata ereditata in parti uguali dai suoi fratelli S. Giuseppe e S. Teresa.

Di conseguenza, le singole quote ereditarie dei fratelli S. Giuseppe e S. Teresa sono passate da 1/3 al 50% del patrimonio originario.

Dopo la morte di S. Giuseppe, la sua quota del 50% del patrimonio originario è stata ereditata in parti uguali dalle sue tre figlie:
1) S. Anna;
2) S. Laura;
3) S. Antonia Angela.

Dopo la morte di S. Teresa, la sua quota del 50% del patrimonio originario è stata ereditata dal coniuge M. Pasquale.

Dopo la morte di M. Pasquale, la quota del 50% del patrimonio originario, pertinente alla moglie S. Teresa, è stata ereditata come di seguito esposto:
25% alle eredi di S. Giuseppe (le figlie Anna, Laura e Antonia Angela);
25% agli eredi di M. Pasquale (i fratelli germani, Maria Giuseppa, Pietrino e Giovanni e i fratelli unilaterali, Francesco, Salvatore e Paolo).

Di conseguenza, le quote ereditarie del patrimonio originario sono state così ripartite:
• 75% in parti uguali tra le eredi di S. Giuseppe, le figlie Anna (25%), Laura (25%) e Antonia Angela (25%);
• 25% in parti differenti tra gli eredi di M. Pasquale, i fratelli germani, Maria Giuseppa (5,56%), Pietrino (5,56%) e Giovanni (5,56%) e i fratelli unilaterali, Francesco (2,78%), Salvatore (2,78%) e Paolo (2,78%).

Quesiti:
Le eredi di S. Giuseppe (le figlie Anna, Laura e Antonia Angela), hanno legittimamente rivendicato l’acquisizione del 25% della quota del patrimonio originario pertinente alla de cuius Stocchino Teresa, sorella del proprio padre.
Ai sensi dell’art. 752 del codice civile, le spese relative al funerale del de cuius S. Teresa e del de cuius M. Pasquale sono giuridicamente qualificabili come debiti dell’asse ereditario.
Di conseguenza, sarebbe ragionevole ipotizzare che tali spese dovrebbero essere suddivise in quote parti, in ragione delle quote ereditarie acquisite da ognuno.
In altri termini:
1) E’ ragionevole ipotizzare che le spese per i funerali della de cuius S. Teresa (sostenute a suo tempo esclusivamente dal coniuge M. Pasquale) debbano essere ripartite anche tra le sorelle S. Anna, Laura e Antonia Angela – ramo ereditario S. Giuseppe – che hanno acquisito il 25% della quota del patrimonio originario pertinente alla suddetta sorella del proprio padre?
2) E’ ragionevole ipotizzare che le spese per i funerali del de cuius M. Pasquale (sostenute a suo tempo esclusivamente dai tre fratelli germani Maria Giuseppa, Pietrino e Giovanni) debbano essere ripartite anche tra le sorelle S. Anna, Laura e Antonia Angela – ramo ereditario S. Giuseppe – che hanno acquisito il 25% della quota del patrimonio originario pertinente alla citata sorella del proprio padre?”
Consulenza legale i 02/05/2020
I quesiti che si sottopongono all’attenzione attengono alla corretta modalità di suddivisione delle spese funebri tra:

  1. coloro i quali rivestono la posizione di fratelli (germani ed unilaterali) del de cuius M.Pasquale e affini della di lui moglie S. Teresa;
  2. coloro i quali rivestono la posizione di parenti in linea collaterale di terzo grado (ossia nipoti) di S. Teresa e affini in terzo grado di M. Pasquale.

Come è stato correttamente osservato nel quesito, le spese funebri costituiscono a tutti gli effetti debiti ereditari, al cui soddisfacimento occorre provvedere immediatamente dopo l’apertura della successione, quando ancora non si ha certezza di chi saranno gli eredi, in quanto tutti i potenziali eredi si trovano nella posizione di semplici chiamati all’eredità.
Infatti, nella pratica accade molto spesso che a sopportare le stesse siano i chiamati all’eredità, o anche uno solo di essi, per poi essere tali spese ripartite con tutti gli altri eredi, o meglio con coloro che dichiareranno di voler accettare l’eredità.
Per quanto concerne i criteri di suddivisione, trova applicazione l’art. 752 c.c., citato nel quesito, secondo cui i coeredi sono tenuti al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie (salvo diversa volontà del testatore).

Si pone, dunque, il problema di stabilire quali sono nel caso di specie le quote ereditarie di cui sono titolari i soggetti sopra individuati, tenuto conto del rapporto di parentela e affinità che intercorre tra gli stessi ed i defunti.
Nel quesito viene detto che le eredi di S. Giuseppe (le figlie Anna, Laura e Antonia Angela) “hanno legittimamente rivendicato l’acquisizione del 25% della quota del patrimonio originario pertinente alla de cuius S. Teresa, sorella del proprio padre”.

Con ciò si presume che alla morte di S. Teresa si sia aperta la successione legittima e che il coniuge della stessa abbia in un primo momento acquisito l’intero patrimonio ereditario.
Successivamente, le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela, hanno rivendicato la quota a loro spettante in rappresentazione del proprio padre S. Giuseppe, e ciò conformemente a quanto disposto dall’art. 582 del c.c., norma che, nell’ipotesi appunto di successione legittima, prevede che il coniuge superstite concorre all’eredità con ascendenti, fratelli e sorelle.
In particolare, in questi casi al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre la restante parte, pari ad un terzo, va a fratelli e sorelle in parti eguali.

Una cosa va a questo punto sottolineata: il rispetto di tali quote non riguarda soltanto i beni in origine di A. Antonia, nella quota pervenuta a S. Teresa (in misura pari a 90/180 a seguito della morte di S. Vittorio, cioè il 50%), ma vale per l’intero patrimonio ereditario di S.Teresa.
Pertanto, alle spese funebri di S.Teresa gli eredi sopra individuati dovranno partecipare nelle seguenti misure:
  • le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela per un terzo;
  • il coniuge Mereu Paquale per due terzi.

Le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela, invece, non hanno alcun diritto di concorrere alla successione dello zio M. Pasquale (loro affine in linea collaterale di terzo grado), in quanto l’istituto giuridico della rappresentazione, che ha consentito loro di succedere alla zia S. Teresa, si applica soltanto se rappresentati sono i figli o i fratelli e le sorelle del de cuius, ma non si estende agli affini, ossia ai figli o ai fratelli ed alle sorelle del coniuge del de cuius.
Non potendo assumere la posizione di eredi dello zio M. Pasquale, sulle medesime non potrà conseguentemente farsi gravare alcun onere di sopportare le spese funebri sostenute per la sepoltura del medesimo.
Queste spese, invece, dovranno essere sostenute esclusivamente dai suoi eredi legittimi, ossia i fratelli germani Maria Giuseppa, Pietrino e Giovanni ed i fratelli unilaterali Francesco, Salvatore e Paolo.
Tra questi la suddivisione verrà effettuata secondo il disposto dell’art. 570 del c.c., norma che attribuisce agli unilaterali la metà della quota che conseguono i germani.

Del resto, come viene giustamente detto nello stesso quesito, le eredi di S. Giuseppe hanno legittimamente rivendicato la quota del patrimonio originario di pertinenza della sorella del proprio padre S.Teresa.

Ricapitolando, se vuole farsi un esempio numerico, supponiamo che le spese funebri di S.Teresa, sostenute per intero da M. Pasquale, ammontino ad euro 3000,00.
Poiché 1/3 del patrimonio di S.Teresa sarebbe dovuto andare alle nipoti, figlie del fratello premorto S. Giuseppe, M. Pasquale avrebbe dovuto sopportare quelle spese in ragione di 2/3 (cioè per euro 2000,00) e le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela per il restante terzo (ossia per euro 1000,00).
Solo in tale misura gli eredi di M. Pasquale possono ripetere dalle nipoti le spese funebri di S. Teresa.

Qualora, poi, si voglia aver chiarito specificatamente in che misura il patrimonio di A. Antonia sia finito in mano alle nipoti Anna, Laura e Antonia Angela, queste sono le quote che si ritengono corrette:
Patrimonio di A. Antonia: 180/180, così diviso fra i tre figli ex art. 566cc:
  1. S. Vittorio: 60/180
  2. S. Giuseppe: 60/180
  3. S. Teresa: 60/180.

Muore S. Vittorio, celibe, senza figli e senza ascendenti e la sua quota va agli altri due fratelli, ai quali l’eredità di A. Antonia finisce per appartenere in ragione di ½ indiviso ciascuno, ossia:
  1. S. Giuseppe: 90/180
  2. S. Teresa: 90/180.

Muore S. Giuseppe, e la sua quota di patrimonio di A. Antonia viene divisa tra le tre figlie in parti eguali, ossia:
  1. S. Anna: 30/180
  2. S. Laura: 30/180
  3. S. Antonio Angela: 30/180

Muore S. Teresa, ed il suo patrimonio ereditario, in cui si trova anche la quota di patrimonio di A. Antonia, viene acquisita per intero dal coniuge M. Pasquale.
In realtà, però, chiamati a succedere per legge erano anche le nipoti in rappresentazione del fratello S. Giuseppe, e così, ex art. 582 c.c., al coniuge M. Pasquale dovevano andare 2/3 ed alle nipoti 1/3 indiviso.
Per cui, seguendo il calcolo fatto fin qui, si avrà
  1. M. Pasquale: 60/180
  2. S. Anna: 10/180 + 30/180 ((dal padre S. Giuseppe)
  3. S. Laura: 10/180 + 30/180 (dal padre S. Giuseppe)
  4. S. Antonia Angela:: 10/180. + 30/180 (dal padre S. Giuseppe).

Le nipoti Anna, Laura e Antonia Angela hanno alla fine conseguito 40/180 ciascuno del patrimonio di A. Antonia, ma solo 10/180 ciascuno in morte di S. Teresa, ed è soltanto su questa quota che devono contribuire alle spese funebri di quest’ultima, in quanto 30/180 lo hanno conseguito in morte del padre (alle cui spese funebri hanno sicuramente provveduto personalmente).



Chiara D. B. chiede
martedì 25/02/2020 - Veneto
“in qualità di erede posso richiedere all'amministratore di condominio i debiti in sospeso all'atto della morte di mia made anche se non ho ereditato il l'immobile. L'amministratore può rifiutarsi?
grazie chiara”
Consulenza legale i 01/03/2020
Per rispondere al quesito è opportuno prendere le mosse dalla analisi dell’art. 752 del c.c. alla lettura integrale del quale si rimanda.

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’art 752 del c.c. opera per tutti i debiti e i pesi esistenti nel patrimonio del defunto al giorno della morte (Cass.Civ., Sez. II, 11.04.2013 n. 8900).
Applicando questo importante principio al caso proposto, tutti gli eredi rispondono, in proporzione delle loro quote, degli oneri condominiali non ancora saldati dalla defunta al giorno della morte.
La situazione muta per gli oneri condominiali sorti successivamente, in quanto per quelli risponde solo l’erede che è diventato effettivo proprietario dell’appartamento a seguito della successione.
Visto che l’autrice del quesito, come abbiamo visto, è giuridicamente condebitrice, unitamente agli altri eredi, di tutte le spese condominiali non pagate dalla de cuius al giorno della morte, l’amministratore non può rifiutarsi di comunicarle l’ammontare dei debiti condominiali rimasti impagati e riconducibili alla defunta madre; anzi, esso rappresenta un suo preciso dovere professionale a tutela degli interessi della intera compagine condominiale.

Marco C. N. chiede
giovedì 20/09/2018 - Lazio
“Io ho ricevuto, in qualità di erede di mia madre, n. 2 ingiunzioni di pagamento, dal Comune di C. relativi agli anni dal 2010 al 2012, concernenti la "tassa rifiuti solidi urbani" e "tributi coattivi" per un immobile sito in detto comune.
Atteso che in questi anni mia madre, già invalida e poi deceduta a novembre 2012, era seguita da mia sorella dal punto di vista amministrativo.
Si evidenzia che gli unici eredi legittimi sono il sottoscritto e la suindicata sorella e che i rapporti tra noi si sono interrotti alla morte di mia madre. In questo caso non posso verificare se i suddetti pagamenti sono stati effettuati e nel caso negativo dette somme sono obbligato a pagarle. Le suddette ingiunzioni di pagamento fanno riferimento a precedenti avvisi di accertamenti da me mai ricevuti.
Chiedo:
A) essendo due eredi le somme, ritengo, debbano essere divise per due. Come posso richiedere formalmente il 50% delle somme che mi vengono richieste e quali atti legali devo intraprendere in caso di probabile rifiuto?

B) come posso richiedere formalmente a mia sorella copie dei pagamenti eventualmente da lei effettuati?


Consulenza legale i 27/09/2018
Va doverosamente premesso che sarebbe opportuno visionare le ingiunzioni ricevute, per vedere a chi sono esattamente intestate, per quale tipo di tributo sono state emesse, relativamente a quale anno e i dati degli avvisi di accertamento ivi menzionati.

In ogni caso, prima di porsi il problema del soggetto a carico del quale va posto il pagamento, è opportuno valutare se vi sia la possibilità di evitare quest’ultimo, ed in particolare se il diritto del Comune alla riscossione dei crediti in questione si sia prescritto oppure ancora se il procedimento di riscossione risulti in qualche modo viziato.

I tributi locali (come la tassa sui rifiuti, la tassa per l’occupazione del suolo pubblico, la tassa sulla concessione del passo carrabile, i contributi vari) si prescrivono in 5 anni dal giorno in cui è dovuto il tributo, oppure, nel caso in cui ci siano state delle notifiche in relazione al tributo stesso ed agli obblighi di pagamento relativi, dall’ultima notifica ricevuta.
A confermare tale termine breve di prescrizione è stata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4283 del 23/2/2010, la quale ha statuito che le imposte e i tributi locali hanno carattere periodico, e dunque, ex art 2948 del Codice Civile, rientrano nell’applicazione del quarto comma dello stesso articolo.
La richiesta di pagamento al contribuente dev'essere generalmente preceduta dalla notifica di un avviso di accertamento motivato, ad eccezione che nel caso della tassa rifiuti: secondo la Cassazione, infatti, quando il Comune chiede il pagamento di quest'ultima basandosi sulla autoliquidazione fatta dal contribuente – ossia la dichiarazione relativa all’unità immobiliare e al numero di persone che la abitano – può riscuotere l’imposta senza prima un accertamento, ossia delegando direttamente l’Agente della Riscossione (e, quindi, con la notifica della cartella) oppure a mezzo di ingiunzione fiscale (che è l’atto, corrispondente alla cartella, emesso però in autonomia dal Comune).
Diverso è invece il caso in cui il Comune intenda contestare i dati forniti dal contribuente: quando infatti si è in presenza di una dichiarazione omessa o infedele, il recupero dell’imposta sui rifiuti può avvenire solo previo accertamento, al fine di dare al contribuente la possibilità di difendersi e contestare la rideterminazione dell’immobile fatta dall’amministrazione.
Poiché nel quesito è specificato che l’ingiunzione dà conto di precedenti avvisi di accertamento notificati, è probabile che il caso in esame rientri nella fattispecie da ultimo illustrata.

A questo punto, per valutare se le notifiche vi siano state e siano state regolari (perché in assenza di precedenti, valide e tempestive notifiche il termine quinquennale di prescrizione potrebbe anche essere maturato), sarebbe opportuno fare domanda di accesso agli atti del procedimento amministrativo, così da prendere visione ed estrarre copia dei documenti utili a fare chiarezza sul pregresso.
Nell'ingiunzione, infatti, riguardando essa debiti di natura tributaria ed applicandosi così lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000, art. 7) deve essere indicato il responsabile del procedimento e l'ufficio presso il quale si possono richiedere informazioni.
Attenzione, però, che nel caso esistano gli estremi per proporre impugnazione all’ingiunzione di pagamento i tempi sono abbastanza contenuti: sono 60 i giorni per proporre opposizione avanti alla Commissione Tributaria Provinciale. Si consiglia, dunque, sotto questo profilo – rapidamente - di rivolgersi ad un legale (possibilmente competente in diritto amministrativo) per inoltrare una richiesta di informazioni completa e precisa al responsabile del procedimento amministrativo e valutare la possibilità di un’impugnazione per intervenuta prescrizione.

Tornando ora al quesito in oggetto, va detto che l’accesso agli atti consentirebbe forse di trovare risposta alla seconda delle due domande poste: prendendo visione del fascicolo amministrativo, infatti, dovrebbe essere possibile venire a sapere se in quest’ultimo periodo la posizione sia stata interamente o parzialmente sanata.
Diversamente, non c’è alcun modo di costringere la sorella a fornire copia di eventuali disposizioni di pagamento, se non chiedendo un ordine di esibizione al Giudice ma nel corso di una causa civile.

E qui veniamo all’ultima questione, quella relativa all’individuazione del soggetto sul quale ricade l’obbligo di pagamento.
Se, come è scritto nel quesito, gli unici eredi legittimi (ovvero l’eredità si devolve secondo le regole previste dalla legge in assenza di testamento) sono in effetti i due figli, il patrimonio della madre si divide esattamente a metà.
Se i due figli chiamati all’eredità l’hanno accettata entrambi anche i debiti ereditari (come il tributo erariale) ricadranno al 50% sugli eredi, ai sensi dell’art. 752 del c.c..
In questo caso, l’erede che paga per l’intero ha diritto di rivalersi pro quota sull’altro (ovvero può richiedere la restituzione del 50% di spettanza dell’altro erede che è stata anticipata per suo conto).
Nel caso in cui, poi, la sorella dovesse rifiutarsi di pagare, il fratello gravato dall’ingiunzione potrà/dovrà rivolgersi al Giudice, previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione (mediazione se, come ad avviso di chi scrive, la controversia rientra nella macrocategoria delle “successioni ereditarie”, oppure negoziazione assistita, se si qualifica l’azione come una richiesta di pagamento somme di importo, si presume, inferiore ad € 50.000,00).

Nell’ipotesi in cui, infine, al contrario di quella appena ipotizzata, la sorella non dovesse aver accettato l’eredità, il debito, purtroppo, ricadrebbe interamente sull’unico erede, che non avrebbe altra possibilità se non quella di pagare.

Alfonso Z. chiede
martedì 11/09/2018 - Lombardia
“Mio fratello ha ricevuto da mia madre(col mio consenso) due anticipi sull'eredità, che però mia madre ha voluto che fossero chiamati "prestiti". Mio fratello ha quindi rilasciato ricevuta a mia madre per un prestito, dichiarando anche che nel caso di premorte di mia madre avrebbe rimborsato a me il 50% di ogni prestito.
Purtroppo nello scorso mese di Marzo mio fratello è morto, mentre mia madre è tuttora vivente. Mia madre anni fa ha fatto testamento olografo, in cui (secondo sue parole) avrebbe lasciato il 50% a me ed il 50% a mio fratello.
Mio fratello ha lasciato moglie e due figli. All'apertura del testamento come posso far valere le ricevute di mio fratello, tenuto conto che nell'asse ereditario ci sono beni superiori al valore delle due ricevute?
Cordialmente A. Z.”
Consulenza legale i 18/09/2018
Ogni volta in cui viene prestato del denaro tra soggetti privati si conclude un vero e proprio contratto, c.d di mutuo o di prestito, anche se tale accordo avviene oralmente.
Il contratto di mutuo, disciplinato all’art. 1813 cod. civ., è "quel contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità".
Il mutuo non è un contratto che può essere stipulato solo dalle banche, ma anche da qualsiasi altro soggetto privato.
Dalla definizione normativa si evince che per la sua costituzione non sono richieste particolari formalità, essendo sufficiente la consegna della cosa data a mutuo (denaro o bene fungibile). Trattasi, pertanto, di un contratto avente natura reale (i.e.: contratto che si perfezione con la consegna della cosa).
Il prestito può essere gratuito se il mutuatario si impegna a restituire solo la somma iniziale erogata; può essere oneroso se il mutuario, oltre al capitale, è tenuto a restituire anche gli interessi.

Ebbene, anche nel caso in esame è stato concluso, tra sua mamma e suo fratello, un contratto di mutuo, con riconoscimento del debito da parte di suo fratello nei confronti di sua mamma relativamente alle somme ricevute.
Trattandosi di un contratto di mutuo, il debitore è obbligato a restituire la somma che ha ricevuto.
Pertanto, nel caso di specie, suo fratello è tenuto a rimborsare alla mamma le somme dalla stessa ricevute in prestito.
In caso di morte del debitore prima della restituzione di quanto percepito, come avvenuto nel caso di specie, gli eredi del debitore rispondono dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal de cuius in vita laddove abbiano accettato l’eredità senza beneficio di inventario.
Ai sensi dell’art. 752 c.c., infatti, “i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto”.

Alla luce di quanto detto, allo stato, solo sua madre, in qualità di creditrice di suo fratello, sarebbe legittimata a chiedere l’adempimento dell’obbligo di restituzione della somma data in prestito, agendo se necessario anche giudizialmente nei confronti della moglie e dei figli di suo fratello e quest’ultimi, laddove abbiano accettato l’eredità senza beneficio di inventario, ne risponderanno con il proprio patrimonio oltre che con quello ereditario.

Qualora sua madre non avesse alcuna intenzione di chiedere la restituzione delle somme date a prestito agli eredi di suo fratello, non si potrà far altro che attendere l’apertura della sua successione e dare esecuzione alla volontà testamentaria.
A quel punto nel patrimonio ereditario si ritroverà, tra l’altro, il credito vantato nei confronti del fratello premorto, il quale ovviamente in ragione del 50% (ossia per la quota gravante sugli eredi del fratello) si estinguerà per confusione ex art. 1253 c.c. (cioè perché vengono a coincidere nelle stesse persone la posizione di debitore e di creditore), mentre continuerà a permanere in vita per il restante 50%, con diritto ad agire anche esecutivamente per la riscossione di quel credito nei confronti degli altri eredi.
Sul patrimonio ereditario così costituito sarà possibile determinare con esattezza se vi è stata o meno lesione di legittima (la cui quota non può essere inferiore ad un terzo ex art. 537 comma 2 c.c.), anche se sembra un’ipotesi improbabile, considerato che, come viene detto nello stesso quesito, nell'asse ereditario vi sono beni superiori al valore delle due ricevute.
Diversa, invece, sarà la situazione se sua madre disponesse nel testamento un legato di liberazione di debito in favore degli eredi del fratello premorto, legato previsto dall’art. 658 c.c.; a quel punto non sarà più possibile agire contro gli altri eredi per la riscossione delle somme date a prestito e risultanti dalle ricevute, ma quella somma dal cui rimborso si è stati liberati dovrà considerarsi come oggetto di una donazione indiretta ed in quanto tale potrà essere soggetta a riduzione qualora non sia stata rispettata la quota di riserva in suo favore.

Cristina V. chiede
lunedì 15/01/2018 - Emilia-Romagna
“Buongiorno

In qualità di Amministratore di Sostegno, dovendo affrontare le operazioni di trasferimento del beneficiario presso nuova abitazione, pongo il seguente quesito:

Il beneficiario attualmente risiede, in affitto, presso la abitazione bolognese, presso la quale, già risiedeva con la nonna, titolare del contratto di locazione, deceduta nel mese di settembre 2016, in seguito, al cui decesso è stata prevista la nomina dell'Amministratore di Sostegno.

Dovendo affrontare a breve il predetto trasloco, con trasferimento del beneficiario presso la nuova abitazione, si chiede, se gli oneri finanziari conseguenti il trasloco stesso, debbano essere intesi a carico del beneficiario, attualmente residente, presso l'appartamento, di cui trattasi, ovvero, se gli stessi debbano, invece, essere sostenuti, come richiesto dal beneficiario, congiuntamente da tutti i coeredi. Nessuno dei quali residente presso l'appartamento in questione.

Le spese di trasloco comprenderanno lo smontaggio di eventuali arredi e materiali attualmente in essere presso l'appartamento stesso, il trasferimento di parte degli stessi presso il nuovo appartamento del beneficiario, il trasporto di materiale inidoneo o non più utilizzabile, presso eventuali centri di raccolta o presso deposito temporaneo per quegli elementi non immediatamente utili o necessari.

All'uopo si precisa che gli eredi legittimari sono, nella fattispecie, le due figlie, oltre al beneficiario stesso, in qualità di ascendente, intervenuto, in seguito a premorienza della terza figlia. In relazione al caso di specie sono già stati definiti a suo tempo, ovvero, nel mese di novembre 2016, i procedimenti inerenti la successione ereditaria (dichiarazione di successione)

Tanto premesso, ringrazio e , porgo cordiali saluti, restando a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti

Consulenza legale i 21/01/2018
Per capire come andrebbero ripartite le spese inerenti lo smaltimento o il trasloco dei beni mobili presenti in un appartamento, occorrerebbe prima sapere a chi appartengono questi beni.

Ad esempio, sarà l’amministrata a decidere se un suo bene deve essere smaltito in quanto non più utilizzabile oppure no e sarà sempre l’amministrata a doversi fare carico delle spese inerenti.
Se invece il bene apparteneva alla de cuius, le spese per lo smaltimento ricadrebbero sugli eredi, tutti, in proporzione alle loro quote.

Ai sensi dell’art. 752 c.c. ciascun coerede deve rispondere dei debiti del de cuius in maniera proporzionale alla quota di eredità a lui pervenuta, e sicuramente le spese per il trasloco a discarica dei mobili rientrano tra i debiti ereditari.

Se i beni appartenevano alla de cuius ma gli altri eredi hanno consentito a che l’amministrata potesse portarli via, appare iniquo richiedere loro il pagamento dello smontaggio e del rimontaggio presso altra abitazione, in quanto potrebbero sempre rifiutarsi di farsene carico e preferire lo smaltimento a spese di tutti gli eredi. Tuttavia, per quanto iniquo, se il trasloco della mobilia della de cuius avesse un costo inferiore rispetto a quello dovuto per lo smaltimento, effettivamente l’amministrata potrebbe giustamente chiedere alle altre eredi di contribuire in proporzione alla loro quota di eredità.
Dunque, andrebbe verificato oggetto per oggetto a chi appartiene, ovvero a chi apparteneva, per comprendere da chi debbano essere sostenute le spese relative.

E’ vero, però, che la ricognizione del diritto di proprietà sui singoli beni non è operazione semplice: eccettuati i beni per i quali le parti saranno d’accordo nel riconoscerne la proprietà, per gli altri oggetti occorrerebbe esperire un procedimento giurisdizionale, che avrebbe dei costi probabilmente di gran lunga superiori al valore dei beni in questione.
Il titolare del diritto di proprietà potrebbe agire in rivendicazione (art. 948 c.c.) per il riconoscimento giudiziale del proprio diritto ed il recupero del bene da altri illegittimamente detenuto. Oppure potrebbe esperire un’azione negatoria(art. 949 c.c.) affinché venga accertata l’inesistenza dei diritti vantati da altri ed accertato il proprio diritto.
Oppure le altre eredi potrebbero esperire una domanda per il riconoscimento del pagamento del dovuto ad esempio per lo smaltimento della mobilia ed in quella sede chiedere al Giudice che venga accertato che detti beni appartenevano alla de cuius.

In definitiva, dunque, non è possibile fornire una risposta generalizzata al quesito formulato, in quanto occorrerebbe prima sapere chi è o chi era il proprietario di questi oggetti.

Michele P. chiede
venerdì 01/12/2017 - Basilicata
“Scrivo per conto di un associato ad associazione non riconosciuta aderente alla Cisl quale servizio sociale gratuito.
Il caso giuridico: i genitori con atto notarile stipulato nel 2002 fanno atto di donazione dei loro beni immobiliari-fabbricato e terreni, ai loro due figli che accettano.
Ambedue sono deceduti nel tempo: prima il padre nel 2006 e poi la madre nel marzo 2016.
In questi giorni ricevono dall’ ufficio legale INPS una richiesta di somme che la madre avrebbe ricevuto in maniera indebita nel 1991, più volte richiesta alla madre de cuius, per indennità di disoccupazione percepita; al chè la restituzione di quella somma di € 1800 viene richiesta ai due figli eredi, con termine perentorio al versamento entro 30 giorni, oppure si invitavano i figli a fare rinuncia ad eredità attiva e passiva come previsto dal codice civile (rinunciando in Tribunale o davanti ad un notaio).
Non ci sono termini di prescrizione, in quanto a dire dell’INPS la madre ha ricevuto nel frattempo diversi inviti a pagare per interrompere la prescrizione, e questo sarebbe documentato.
I figli vorrebbero ricorrere alla rinuncia ai beni in quanto, dopo l'atto di donazione avvenuto in data 2002 - ante decesso quindicennale - non hanno ereditato nulla nè di attivo immobiliare che mobiliare.
I genitori sono morti poveri, vivendo con la sola pensione (anche le spese mortuarie sono state pagate dalla figlia.
Domanda: la rinuncia ai beni se fatta oggi, come a loro suggerito dall’INPS suggerita per ottenere l’estinzione del debito, incide anche sulla donazione del 2002 invalidando tutto, oppure quell'atto è ormai acquisito, consolidato oppure i figli possono ancora essere ancora oggetto di rivalsa da parte dell'Ente?
C'è da dire che la madre gestiva da sola tuti i suoi rapporti ed i figli non ne avevano conoscenza del vero o presunto debito come richiesto dall’ Inps.
!In tal caso, vigendo la cristallizzazione inattaccabile anche in futuro, loro ricorrerebbero in Tribunale alla rinuncia alle attività e passività della de cuius.
Il preposto al Tribunale avrebbe dato questa interpretazione legale sulla non rivalsa per atti gli passati fatti in vita dai genitori, operando la rinuncia dal momento del decesso in avanti.
Sono stato delegato a porvi questo importante quesito e faremo tesoro anche per il futuro dei vostri servizi in quanto competenti, professionali, democraticamente economici per il bene dei cittadini.
Grazie”
Consulenza legale i 13/12/2017
Non sempre ricevere una eredità risulta vantaggioso, in quanto può accadere che insieme al patrimonio del defunto si possano ereditare dei debiti, con il rischio di doverli pagare personalmente.

E’ proprio per questo motivo che la legge, ed in particolare il codice civile, consente di scegliere se accettare o meno l’eredità, lasciando a chi non è nel possesso dei beni ereditari dieci anni di tempo per fare tale scelta; chi, invece, è nel possesso dei beni ereditari (ad esempio i familiari che convivevano con il defunto o chiunque possieda dei beni), ha soltanto tre mesi di tempo per scegliere se accettare o rinunziare all’eredità, dopodiché viene considerato erede contro la sua volontà.

In ogni caso, chi decide di rinunciare all’eredità deve fare una dichiarazione espressa e formale, secondo quanto disposto dall’art. 519 c.c., il quale prevede due alternative:
1. far risultare la rinuncia mediante dichiarazione ricevuta da un notaio;
2. rendere la medesima dichiarazione dinanzi al cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.
Certamente questa seconda forma è quella meno costosa.

Una volta fatta la rinuncia all’eredità, questa agisce retroattivamente, sicché il rinunziante perde ab origine la qualità di erede e si considera come mai chiamato alla successione (art. 521, 1° comma, c.p.c.).

Per effetto di ciò, il rinunciante sarà considerato completamente estraneo all’eredità in ordine alle obbligazioni ed ai debiti contratti o comunque sorti in capo al de cuius, con la conseguente impossibilità di assoggettare il suo patrimonio ad esecuzione forzata.
Dispone infatti l’art. 752 c.c., in materia proprio di pagamento dei debiti ereditari, che al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari sono tenuti soltanto i coeredi, ossia coloro che hanno acquistato la qualità di erede.

Il dubbio che ci si pone nel caso in esame, però, è se tale regola valga anche per quegli eredi che hanno ricevuto in vita donazioni da parte del de cuius; si potrebbe infatti pensare che qualora a rinunciare fossero i donatari, i medesimi debbano comunque essere considerati eredi puri e semplici del proprio debitore, avendo trattenuto i beni appartenuti al de cuius, seppure confluiti nel loro patrimonio a titolo di donazione.

Trattasi, però, di una concezione errata, in quanto i donatari in realtà non potranno essere in alcun modo tenuti a rispondere dei debiti ereditari, né la rinuncia all’eredità del donante potrà intaccare la validità della donazione ricevuta in vita.
Anche qualora la donazione dovesse essere stata fatta in conto di legittima, cioè qualora il donante l’abbia voluto considerare come una anticipazione dell’eredità, dovrà considerarsi pienamente valida ed efficace, comportando un’attribuzione liberale attuale ed irrevocabile, in cui neppure gli effetti potrebbero ritenersi sospesi o differiti al momento della morte del donante.

Neppure i creditori, che decidessero di agire in separazione (cioè di chiedere la separazione dei beni del defunto da quelli degli eredi) potrebbero estendere le loro pretese su quei beni definitivamente usciti dal patrimonio del defunto attraverso atti di donazione, a meno che non sussistessero, all’epoca delle compiute liberalità, i presupposti dell’azione revocatoria.

A nulla poi varrebbe richiamare per sostenere il contrario il disposto dell’art. 521 comma 2 c.c., secondo cui il rinunziante all’eredità può ritenere le donazioni effettuate in suo favore soltanto fino alla concorrenza della porzione disponibile.
Trattasi di norma che si fonda proprio sul principio della irrilevanza della rinuncia all’eredità rispetto alle donazioni ricevute; infatti, poiché le donazioni ricevute non sono invalidate dalla rinuncia, dal momento che il rinunziante all’eredità perde la qualità di erede e viene a trovarsi nella stessa posizione di un estraneo alla successione, la norma in esame dispone che egli può trattenere quanto donatogli soltanto nei limiti della disponibile, con la conseguenza che le donazioni potranno essere assoggettate ad un’eventuale azione di riduzione qualora risulti lesa la quota di riserva di un legittimario (quindi, trattasi di una norma a tutela degli altri legittimari, ma non di colui o coloro che vantano dei crediti nei confronti del de cuius).

In conclusione, dunque, il donatario che sia anche erede e che decida di rinunciare all’eredità, sotto ogni profilo non potrà essere chiamato a rispondere dei debiti ereditari né la sua rinuncia potrà avere alcuna conseguenza negativa sulla validità della donazione ricevuta in vita dal de cuius.


Anonimo chiede
mercoledì 10/05/2017 - Lombardia
“Buonasera, io sono proprietaria di un immobile in Sicilia al 40% il rimanente di un'altra sorella deceduta, fatta successione con altri 4 eredi quindi la mia quota adesso al 55%. In questo immobile ai tempi dei miei genitori sono stati fatti ampliamenti mai dichiarati per cambio valore catastale. La mia quota del 40% è dovuta 10% avuta in eredita dal papa' e il rimanente 30% ritirato dai fratelli. Adesso questo immobile è in vendita con già gli acquirenti ma al momento dei vari documenti il tecnico venuto a fare i l sopralluogo s' accorge degli ampliamenti effettuati e quindi decide per nuove planimetrie e integrazione successione della sorella defunta nel 2012 e fatta successione nel 2013. La mia domanda è: in che modo vengono ripartite le spese delle nuove planimetrie? in base alle quote di proprietà o in parti uguali? e le spese d'integrazione alla successione? Da precisare che nel 2013 la successione è stata pagata in parti uguali.Grazie”
Consulenza legale i 16/05/2017
Il codice civile non disciplina specificatamente le modalità di ripartizione delle spese a cui si fa riferimento nel quesito.

Ciò comporta la necessità di fare ricorso all’analogia, ossia all’applicazione di norme il cui contenuto possa estendersi a fattispecie non espressamente previste, e tra queste norme, per quel che ci riguarda, si ritiene che di indubbio rilievo sia quella contenuta nell’art. 752 c.c. che, nell’occuparsi proprio di ripartizione di debiti ereditari tra gli eredi, sancisce il principio secondo cui i coeredi contribuiscono al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie.

Trattasi, infatti, di spese (sia quelle per la redazione di nuove planimetrie che quelle dovute per effettuare una integrazione della denuncia di successione) da comprendere tra quelli che il legislatore definisce pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza dell'apertura della successione e che, pur dovendo essere distinti dai debiti ereditari (ossia dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o per testamento) gravano sugli eredi per effetto dell'acquisto dell'eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, composto sia dai debiti del defunto che dai debiti dell'eredità.

Costituisce questo un indirizzo interpretativo consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale sostiene appunto che i pagamenti di somme riconducibili alla divisione o sistemazione in genere del patrimonio ereditario rientrano tra quei pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi ex art. 752 c.c., sicché ai sensi dell' art. 754 c.c. colui che ha anticipato tali spese ha diritto ad ottenerne il rimborso da parte degli altri coeredi, sempre che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la loro volontà (Cass. Civ. Sez.11 sent. del 02/02/2016 n. 1994; Cass. 3 gennaio 2002, n. 28; Cass. 4 agosto 1977, n. 3489; Cass. 23 luglio 1966, n. 2023).

A ciò si aggiunga che, con particolare riferimento all’imposta di successione (tale è quella che viene liquidata in sede di denuncia di successione), ai sensi dell'art. 36 d.lgs 31 ottobre 1990 n. 346 costituisce anch'essa debito della massa ereditaria, al cui pagamento dunque i coeredi sono tenuti in proporzione delle rispettive quote ereditarie.

Detto ciò, pertanto, nell’imminenza della vendita e qualora possa rendersi necessario dar corso ad essa nel minor tempo possibile (magari per scadenza di eventuali termini fissati per la sua stipula), sarà consigliabile intanto richiedere formalmente agli altri eredi di contribuire nelle spese che si rende necessario affrontare, specificando che la contribuzione dovrà essere ragguagliata alla propria quota di eredità.

Qualora poi non si riesca a raggiungere un accordo sulla esatta qualificazione di tali spese (cioè gli altri eredi non concordino sul fatto che si tratta di spese da far rientrare nel concetto di pesi ereditari), si tenga presente che anche uno solo degli eredi potrà decidere di anticiparle, fermo restando il suo diritto di chiederne ed ottenerne successivamente il rimborso da parte degli altri eredi; a tal fine, tuttavia, sarà ovviamente necessario che si tratti di spese debitamente documentate e che, come dispone il summenzionato art. 754 c.c., non si tratti di spese eccessive sostenute contro la volontà espressa degli altri coeredi.

Michele D. B. chiede
sabato 05/03/2016 - Campania
“Egregi avvocati, gradirei conoscere a chi competono le spese di pubblicazione del testamento olografo. In particolare, ho avendone ricevuto in custodia da mia madre, successivamente al suo decesso ho proceduto alla pubblicazione del suo testamento olografo. Tale testamento prevede il lascito ereditario (un appartamento - proprietà al100% - e la meta' di quello adiacente sullo stesso pianerottolo, detenuto da mia madre in quote paritetiche con mio padre - coniuge superstite, ivi residente - è spettato all'unico mio fratello, il quale già dal 2000 vive con la sua famiglia nel primo appartamento - mentre un altro immobile con annesso giardino di pertinenza 100% di proprietà è toccato al sottoscritto, ivi residente dal 1998). Il valore dei due lasciti stimati nel testamento sono sostanzialmente simili. Avendo pagato le spese notarili per la predetta pubblicazione, vorrei sapere se e ai sensi di quale normativa posso rivalermi nei confronti di mio fratello che ha beneficiato del lascito ereditario. Ringrazio anticipatamente per la cortese attenzione.”
Consulenza legale i 10/03/2016
Le spese sostenute per la pubblicazione del testamento olografo presso un notaio comprendono di regola:

- la registrazione del verbale con cui viene effettuata la pubblicazione (imposta di registro);
- marche da bollo;
- tassa archivio;
- onorario del notaio.

Premesso che l'obbligo di pubblicazione grava su chiunque sia - anche solo per caso - venuto in possesso di un testamento, nei confronti del notaio l'onere delle spese relative alla pubblicazione del testamento è posto a carico del richiedente o presentatore ai sensi dell'art. 74 della legge notarile: ciò anche se egli non ne sia in alcun modo beneficiario.
Nel caso in cui manchi un richiedente (es. testamento segreto, art. 621 del c.c.) oppure qualora colui che presenta il testamento olografo si rifiuti di sottoscrivere il verbale e di depositare presso il notaio l'importo delle tasse, degli onorari e delle spese (come prevede l'ultimo comma dell'art. 28 l. not.), l'art 78 l. not. prevede che "Il notaro può rifiutarsi verso chiunque alla spedizione delle copie degli estratti e dei certificati, finché l'accennato pagamento o, rimborso non sia interamente eseguito".

Dal punto di vista sostanziale, invece, le spese per la pubblicazione del testamento (così come, ad esempio, le spese funerarie e di sepoltura), sebbene non vi sia una norma che le qualifichi in maniera espressa, sono ritenute debiti ereditari (vedi A. Cicu, La divisione ereditaria, in Trattato Cicu-Messineo, Milano 1961, p. 477; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano 2002, p. 302), ossia debiti che sorgono a carico degli eredi in dipendenza della successione: ai sensi dell’art. 752 c.c. esse si ripartiscono tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote ereditarie. Pertanto, chi le anticipa, avrà diritto a chiedere a ciascun coerede la rispettiva quota di spettanza.

Maurizio S. chiede
giovedì 27/08/2015 - Umbria
“Oggetto: Eredità titoli di Stato

Come da art. 12 del Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni, per i titoli di stato ereditati non sussiste l’obbligo di includerli nella dichiarazione di successione con il Beneficio di Legge che quindi non andranno a costituire l’attivo ereditario.

Essendo pacifico che in virtù di tale articolo di legge i titoli di stato non saranno tassati in capo all’erede, vorrei sapere quanto segue:

In forze dell’art. 12 del Testo Unico dell’imposta sulle successioni che permette ai titoli di Stato di non costituire attivo ereditario è plausibile considerare, quindi, tali titoli non aggredibili da parte dei creditori (anche fiscali) del defunto proprio perché non costituiscono attivo ereditario?”
Consulenza legale i 01/09/2015
L'art. 12 del T.U. delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni stabilisce che non concorrono a formare l'attivo ereditario, tra gli altri: "h) i titoli del debito pubblico, fra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro ivi compresi i corrispondenti titoli del debito pubblico emessi dagli Stati appartenenti all'Unione europea e dagli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo; i) gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati [...]".

La norma in esame ha un'unica funzione: essa è preposta a stabilire la base imponibile per il calcolo dell'imposta sulle successioni, com'è agevole inferire anche dalla sua collocazione sotto al titolo II "Applicazione dell'imposta di successione", capo II "Base imponibile", sezione I "Attivo ereditario".
L'art. 9 del T.U. dà la definizione di attivo ereditario, ma sempre e solo al fine di applicarvi l'imposta: esso, a fini fiscali, è costituito da tutti i beni e i diritti che formano oggetto della successione, ad esclusione di quelli non soggetti all'imposta a norma degli articoli 2, 3, 12 e 13.

Il codice civile, invece, non fornisce una univoca definizione dell'eredità, che viene normalmente considerata come comprensiva sia delle poste attive che di quelle passive. A fini particolari, come il calcolo della quota dei legittimari e la collazione, si prevedono diverse modalità di calcolo del compendio ereditario.

In generale, però, non è previsto da alcuna norma che elementi patrimoniali attivi del patrimonio del de cuius, come appunti i titoli di Stato (o, meglio, i loro proventi), siano esclusi dall'eredità, e quindi dalle azioni esecutive dei creditori. Nè tale esclusione appare conforme ai principi generali della disciplina successoria, posto che i debiti ereditari non si estinguono con la morte del de cuius ma devono essere onorati dai suoi eredi, appunto attraverso il compendio ereditario.

Dalle norme menzionate e dai principi generali dell'ordinamento si evince in maniera inequivoca che non è possibile far discendere dall'art. 12 del T.U. d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 la conseguenza che i titoli di Stato - esenti dall'imposta di successione - siano esclusi dal novero dei beni aggredibili da parte dei creditori dell'eredità o dell'erede (se il patrimonio di questi si sia confuso con il compendio ereditario).

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