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Articolo 1106 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Regolamento della comunione e nomina di amministratore

Dispositivo dell'art. 1106 Codice Civile

Con la maggioranza calcolata nel modo indicato dall'articolo precedente, può essere formato un regolamento(1) per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune.

Nello stesso modo l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore(2).

Note

(1) La norma fa riferimento al regolamento approvato a maggioranza.
Si parla, invece, di regolamento contrattuale quando sia stato predisposto dall'unico proprietario, che abbia poi alienato singole quote di comunione, e sia stato espressamente accettato nei singoli atti d'acquisto degli acquirenti.
(2) L'amministratore della comunione è un mandatario.
La sua posizione giuridica si ricava dalla sostanza della delega, atto con cui viene conferito l'incarico da parte dei comunisti; se i poteri dell'amministratore superano quelli di ordinaria amministrazione, la revoca può avvenire solo con un voto a maggioranza qualificata (art. 1108 del c.c.) da parte dei partecipanti alla comunione. In tema di revoca si ritengono applicabili gli artt. 1723-1725 c.c..

Ratio Legis

Il regolamento della comunione ha valore normativo, in quanto formato da una molteplicità di disposizioni che spiegano la loro efficacia tra i comunisti, aventi i caratteri di generalità ed astrattezza peculiari delle norme giuridiche.
In base ad una interpretazione, il regolamento avrebbe, invece, solo carattere contrattuale e l'art. 1107, quarto comma, c.c., si configurerebbe quale ipotesi eccezionale di efficacia del contratto anche verso terzi.

Spiegazione dell'art. 1106 Codice Civile

Nomina di amministratore. Regolamento per l'ordinaria amministrazione

La giurisprudenza, secondo il vecchio codice, era oscillante sulla questione se la maggioranza dei compartecipi potesse delegare una o più persone per l'amministrazione della cosa comune. Secondo alcune sentenze, la maggioranza non poteva nominare un amministratore, perché in tal modo sarebbero stati annullati il diritto degli altri condomini di amministrare direttamente e l'uso stesso del partecipante, secondo altre tale potere era da riconoscere alla maggioranza, purchè tutti i partecipanti fossero stati invitati alla riunione. Ugualmente divisa era la dottrina: si riteneva necessaria l'unanimità dei consensi dei partecipanti.

Ora il capoverso dell'art. 1106 risolve in modo espresso la questione, stabilendo che con la maggioranza, per così dire ordinaria, di cui all' art. 1105 del c.c., cioè quella calcolata secondo il valore delle quote, l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti o anche ad un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore, soluzione questa ispirata al sano principio della prevalenza della volontà dei più in una materia che investe soltanto l'amministratore della cosa comune.

Indipendentemente dalla nomina di un amministratore, la maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle quote, può altresì formare un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

520 I poteri della maggioranza sono disciplinati dagli articoli 1105, 1106 e 1108. La maggioranza non solo delibera sugli atti di ordinaria amministrazione, ma può anche disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purché non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa. Dal conferimento di tale potere alla maggioranza l'istituto deriva elasticità di disciplina: a differenza delle modificazioni che può apportare il singolo partecipante, le quali trovano un limite nel rispetto della destinazione della cosa, le innovazioni deliberate dalla maggioranza, salvo il concorso delle condizioni dianzi indicate, possono importare anche un mutamento di destinazione. Per gli atti compresi nell'ambito della prima categoria, e cioè per gli atti non eccedenti l'ordinaria amministrazione, basta la semplice maggioranza, calcolata secondo il valore delle quote; per le innovazioni si richiede, invece una maggioranza qualificata, che rappresenti cioè almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune. Tale maggioranza qualificata è pure richiesta per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, i quali possono essere disposti sempre che non risultino pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei partecipanti. E' necessario però il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni ultranovennali. Si fa eccezione soltanto per l'ipoteca costituita a garanzia di mutui destinati al miglioramento o alla ricostruzione della cosa comune, ammettendosi, in considerazione della speciale finalità, che essa sia consentita dall'anzidetta maggioranza qualificata. Per evitare eventuali abusi, si esige per la validità delle deliberazioni della maggioranza che tutti i partecipanti siano previamente informati dell'oggetto della deliberazione (art. 1105 del c.c., terzo comma). Nell'art. 1109 del c.c. vengono determinati i casi in cui le deliberazioni della maggioranza possono essere impugnate dinanzi all'autorità giudiziaria da ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente. Per l'impugnazione è però stabilito un breve termine (trenta giorni), il quale, per coloro che sono intervenuti all'adunanza, decorre dalla data della deliberazione e, per gli assenti, dal giorno in cui la deliberazione fu loro comunicata. L'impugnazione non ha effetto sospensivo, ma l'autorità giudiziaria può sospendere l'esecuzione del provvedimento deliberato. Prevedendo il caso che non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza, o che la deliberazione adottata non sia eseguita, l'art. 1105, ultimo comma, consente a ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria, la quale provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore. Ho ritenuto inopportuno stabilire per queste ipotesi che sia proposta istanza in sede contenziosa, poiché è profondamente diversa la portata dei provvedimenti che l'autorità giudiziaria è chiamata ad emettere nei casi previsti dall'articolo 1109 e in quelli previsti dall'ultimo comma dell'art. 1105. Nei primi vi è una deliberazione di maggioranza (positiva o negativa) impugnabile dalla minoranza dissenziente, onde sorge una controversia che non può altrimenti essere decisa che nelle forme contenziose; nei secondi si ha invece inerzia nell'amministrazione per non essersi presi o attuati i provvedimenti necessari per la conservazione della cosa comune e s'invoca l'autorità giudiziaria perché supplisca a tale inerzia: il provvedimento che il giudice emette ha carattere essenzialmente amministrativo. In conformità del sistema largamente attuato in tema di condomini edilizi, è conferito alla maggioranza anche il potere di stabilire un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune, nonché il potere di delegare l'amministrazione a uno dei partecipanti o anche a un estraneo (art. 1106 del c.c.). I partecipanti dissenzienti possono, nel termine di trenta giorni, reclamare all'autorità giudiziaria contro la deliberazione che approva il regolamento della comunione. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui la deliberazione fu loro comunicata. Trascorso il termine senza che alcun reclamo sia stato proposto, il regolamento acquista efficacia, oltre che per i partecipanti, per i loro eredi e aventi causa (art. 1107 del c.c.).

Massime relative all'art. 1106 Codice Civile

Cass. civ. n. 4209/2014

L'amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere non gli sia stato attribuito nella delega di cui al secondo comma dell'art. 1106 cod. civ., non essendo applicabile analogicamente - per la presenza della disposizione citata, che prevede la determinazione dei poteri delegati - la regola contenuta nel primo comma dell'art. 1131 cod. civ., la quale attribuisce all'amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro terzi.

Cass. civ. n. 3705/2011

In tema di condominio negli edifici, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva.

Cass. civ. n. 13632/2010

In tema di comunione, il regolamento avente ad oggetto l'ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune non ha natura contrattuale, costituendo espressione delle attribuzioni dell'assemblea, e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha, invece, natura di contratto plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento che esorbiti dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all'assemblea, contenendo disposizioni che incidano sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscano obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinino criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali.

Cass. civ. n. 2170/1995

L'amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere non gli sia stato attribuito nella delega di cui al secondo comma dell'art. 1106 c.c., non essendo applicabile analogicamente — per la presenza della disposizione citata, che prevede la determinazione dei poteri delegati — la regola contenuta nel primo comma dell'art. 1131 c.c., la quale attribuisce all'amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro terzi.

Cass. civ. n. 31/1977

Anche nella comunione pro indiviso è consentito ai partecipanti di delegare ad un soggetto l'amministrazione dei beni comuni e la rappresentanza, anche processuale, della comunione nei confronti dei terzi. In tal caso, l'amministratore acquisisce il potere di svolgere le stesse attività di amministrazione che, nell'interesse ed a tutela dei suddetti beni, spettano per legge ai singoli compartecipi.

Cass. civ. n. 1507/1974

In forza del secondo comma dell'art. 1106 c.c. i partecipanti alla comunione possono deliberare, con la maggioranza indicata dal primo comma (e cioè calcolata secondo il valore delle quote) della medesima disposizione, la delegazione dell'amministrazione della cosa comune a uno di loro o ad un terzo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1106 Codice Civile

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Marco D. chiede
lunedì 12/09/2016 - Lazio
“In una villa con 4 appartamenti e 4 proprietari non riusciamo a metterci d'accordo su nulla. Le parti condominiali sono poche ma non c'è la volontà di collaborare. A questo punto considerando l'inerzia degli altri proprietari che ogni tentativo di conciliare soluzioni condivise tra tutti è fallito, non resta che formalizzare un verbale di assemblea e mettere a votazione quanto inserito nell'Ordine del giorno. Per fare questo però non devo correre il rischio di farmi impugnare la delibera per vizi di forma, quindi vorrei sapere da voi quale sia il modo per convocare una assemblea per mettere a verbale le decisioni prese (esistono i millesimi per determinare le maggioranze). Devo come ordine del giorno inserire la costituzione del condomino oppure l'entità è già esistente di fatto?”
Consulenza legale i 14/09/2016
Il caso proposto trova integrale soluzione nella normativa dettata dal codice civile in materia di comunione in generale e di condominio negli edifici.
Innanzitutto occorre prendere le mosse dal tema della natura giuridica del condominio, in relazione al quale si ritiene preferibile la tesi secondo cui il condominio va qualificato come un ente di gestione della cosa comune, non dotato di propria soggettività, che agisce in rappresentanza e nell’interesse dei condomini, senza interferire nei loro autonomi diritti.
E’ da escludere dunque che il condominio abbia personalità giuridica così come va criticato l’impiego del termine “ente”, ritenendosi più corretto parlare, in considerazione del fatto che i vari proprietari rimangono persone distinte, di “amministrazione delle cose o servizi comuni ai proprietari di piani ed appartamenti di uno stesso edificio”.

Quanto sopra detto vale a significare che il condominio non va costituito, sussistendo il fenomeno del condominio tutte le volte in cui vi sia una coesistenza, accanto alle proprietà individuali di singoli piani o parti di un edificio, di una comunione c.d. forzosa (ossia non suscettibile di scioglimento ex art. 1119 c.c.) che si costituisce ab origine su quegli elementi dell’edificio la cui utilizzazione è necessaria ai fini del godimento di tutte le singole parti di proprietà individuale (parti delle quali il codice civile fa un’elencazione all’art. 1117, anche se trattasi di elenco non tassativo né omogeneo).
Ciò posto, occorre passare ad analizzare le norme che il codice civile detta per l’amministrazione della cosa o delle cose comuni.

Nel caso di specie chiaramente non può trovare applicazione la norma di cui all’art. 1129 c.c., la quale prevede quale obbligatoria la nomina dell’amministratore di condominio allorché il numero dei condomini sia superiore a otto, disponendo che in tali casi, se l’assemblea non vi provvede, la nomina dell’amministratore sarà fatta dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini.

Tuttavia, per effetto del rinvio che il successivo articolo 1139 c.c. fa alle norme sulla comunione in generale, potrà farsi applicazione delle norme di cui agli artt. 1105 e 1106 c.c., in virtù delle quali sarà possibile, con la maggioranza semplice, formare un regolamento per l’ordinaria amministrazione e per il migliore godimento della cosa comune nonché delegare l’amministrazione ad uno o più partecipanti o ad un terzo estraneo alla comunione (così art. 1106 c.c.).
Dette delibere saranno tutte impugnabili entro 30 gg. dalla loro assunzione innanzi l’autorità giudiziaria ex artt. 1107 e 1109 c.c., ricorrendone i presupposti di legge, (quale ad esempio la mancata comunicazione a tutti i partecipanti dell’oggetto della delibera, l’adozione di una delibera gravemente pregiudizievole alla cosa comune o che arrechi pregiudizio per il godimento di alcuno tra i partecipanti).
Si tratta di ipotesi di delibere annullabili, anche per motivi attinenti al merito, ma accanto ad esse possono configurarsi altre ipotesi di delibere nulle, non soggette in quanto tali al termine prescrizionale di impugnativa, qualora:
a) vi sia mancanza del quorum per errore di calcolo;
b) non siano stati convocati tutti i partecipanti;
c) la delibera sia illecita;
d) non vi sia stata un’assemblea regolarmente indetta (in tal caso, tuttavia, la giurisprudenza ritiene la decisione vincolante sul piano contrattuale se presa all’unanimità);
e) la delibera esuli dai poteri dell’assemblea (ad esempio se relativa alla quota del singolo).

In conseguenza di quanto sopra, al fine di poter consacrare in un verbale le modalità di uso delle parti comuni e considerato che il numero dei condomini è inferiore a otto (per cui non vi è obbligo di nomina di un amministratore), ciascuno dei condomini potrà convocare un’assemblea ex art. 1106 c.c. al fine di:
1. adottare un regolamento per l’ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune;
2. delegare l’amministrazione ad uno dei partecipanti, determinando i poteri e gli obblighi dell’amministratore.
Circa le modalità di convocazione dell’assemblea, la quale avrà come ordine del giorno quanto descritto ai precedenti nn. 1 e 2, troverà applicazione la norma di cui all’art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile, la quale dispone che l'avviso di convocazione deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione.
In seconda convocazione l’assemblea non potrà tenersi nel medesimo giorno solare della prima (quindi, quantomeno dovrà essere fissata per il giorno successivo), essendo tuttavia in facoltà dell’amministratore o del condomino che convoca l’assemblea di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi.

Il quorum costitutivo e deliberativo richiesto per la validità dell’assemblea avente il predetto oggetto sarà quello previsto dal più volte citato articolo 1106 c.c. che richiama a sua volta l’art. 1105 c.c., ossia la maggioranza dei partecipanti calcolata secondo il valore delle loro quote, calcolo che sarà agevole realizzare nel caso di specie data l’esistenza delle tabelle millesimali.

Infine, volendo andare un po’ oltre quanto richiesto nel quesito e prevedendo l’ipotesi in cui non si riescano a prendere i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si riesca a formare una maggioranza, potrà trovare applicazione la norma di cui al quarto comma dell’art. 1105 c.c., la quale riconosce a ciascun partecipante il diritto di ricorrere all’autorità giudiziaria, la quale provvederà in camera di consiglio, nel corso della quale potrà anche nominare un amministratore.