Nel caso in esame, alcuni chiamati all’eredità di un contribuente deceduto ricevevano dall’agenzia delle Entrate un avviso di rettifica relativo all’omesso versamento di IVA, nonché all’omessa contabilizzazione di corrispettivi da parte del de cuius. I chiamati si rivolgevano così alla commissione Tributaria con ricorsi distinti, che venivano poi riuniti in un unico ricorso, il quale veniva rigettato dalla CTR di primo grado. Per impugnare la sentenza, i chiamati all’eredità adivano la Commissione Tributaria di secondo grado, producendo, durante il giudizio, l'intervenuta rinuncia all'eredità con atto notarile datato 29 luglio 1985. Nell’accogliere l’appello, la Commissione Tributaria di secondo grado stabiliva che chi rinuncia all’eredità è da ritenersi come se non fosse stato mai chiamato. Detta sentenza, impugnata dall’Amministrazione finanziaria, trovava conferma nella decisione della Commissione Tributaria Centrale, secondo la quale la rinuncia fatta davanti a un notaio in forma pubblica era del tutto legittima ed operante.
A questo punto, l’agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione, sollevando i seguenti due motivi:
- in primo luogo, eccepiva la violazione e la falsa applicazione dell'art. 521 del c.c., primo comma, in combinato disposto con l'art. 476 del c.c., dal momento che i chiamati all’eredità, ricorrendo all’impugnazione dell'atto impositivo che era stato loro notificato in merito ad un’obbligazione sorta in capo all’erede, avevano in modo implicito espresso la volontà di accettare l'eredità, stante il fatto che non avevano ammesso di non essere eredi, bensì solo censurato nel merito l'accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria;
- in secondo luogo, lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 525 del c.c., relativamente all'art. 476 del c.c., asserendo che la Commissione tributaria centrale non aveva preso in considerazione la denuncia di successione presentata dagli eredi il giorno 16 agosto 1985, in cui era espressamente menzionata l’obbligazione tributaria in questione.
Il tribunale Supremo, accogliendo il primo motivo di ricorso e dichiarando assorbito il secondo, cassava la sentenza e rinviava alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione. In particolare, gli Ermellini stabilivano che “qualora i chiamati all'eredità abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius o si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non si configurano, di per sé, “ipotesi di accettazione tacita dell'eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l'eredità”.
Per la Suprema Corte, si parla invece di accettazione tacita dell’eredità nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, i chiamati all’eredità abbiano deciso di impugnare un atto di accertamento ad essi notificato in quanto eredi dell'originario debitore, non contestando l'assunzione di detta qualità e dunque il difetto di titolarità passiva della pretesa, bensì “censurando nel merito l'accertamento compiuto dall'Amministrazione finanziaria”. Tale condotta degli eredi, infatti, eccede rispetto agli atti meramente conservativi del patrimonio del defunto.
Infine, per i Giudici di legittimità, nel caso in esame, era irrilevante la successiva rinuncia all’eredità, dal momento che, nonostante l’art. 521 del c.c. stabilisca che la stessa ha efficacia retroattiva sull’assunzione di responsabilità per i debiti rientranti nel compendio ereditario, l'atto di rinuncia all'eredità è intervenuto successivamente all'impugnazione degli avvisi di accertamento, ed è, di conseguenza, "privo di effetti, per essere i chiamati all'eredità decaduti dal relativo diritto in quanto già accettanti in dipendenza del comportamento dagli stessi tenuto".