Questo concetto della
hereditatis petitio può essere accolto sebbene non possa dirsi esente da alcuni rilievi, come ad esempio i seguenti: il primo, che la
petitio hereditatis non ha come scopo soltanto quello di far conseguire a chi la intenta la restituzione dei beni ereditari, e non lo ha sia perché ben può il chiamato rinunciare alla proprietà dei beni e rivendicare solo il titolo, il
purum nomen heredis, e sia perché può anche verificarsi che la restituzione dei beni sia inattuabile, per essere questi stati usucapiti da chi li possedeva; il secondo, che non è esatto qualificare legislativamente
petitio l’azione che l’erede intenta contro il
possessor pro possessore, contro chi, cioè, possieda i beni senza titolo. Se la
petitio hereditatis tende alla tutela del titolo d’erede e se questo manca nel possessore qualunque, è ovvio che si deve parlare non di
petitio hereditatis, ma di
revindicatio che tutela la qualità di proprietario o, più generalmente, quella di titolare di un diritto. Meglio si potrebbe definire la
petitio hereditatis come l’
azione che il chiamato all’eredità intenta contro chi gli contesta il suo diritto a succedere oppure il diritto alle cose costituenti l’oggetto dell’eredità.
Premesso ciò, vediamo la sua regolamentazione giuridica.
La
petitio hereditatis è un'
azione di carattere universale in un duplice senso: primo, perché tende non a tutelare un diritto su di una cosa singola ma a far riconoscere in chi la propone la qualità d’erede, cioè il diritto all'
universum ius defuncti; secondo, perché è esperibile
erga omnes, cioè contro chiunque contesti al chiamato la qualità d’erede (sotto tale punto di vista alcuni la denominano anche reale, il che può accettarsi a condizione, però, che con tale terminologia non si intenda un’azione relativa ad un diritto reale, non essendo tale il diritto ereditario).
Tale azione spetta a colui che, chiamato per legge o per testamento, o
abbia già adito l’eredità, sia puramente e semplicemente, sia col beneficio d’inventario (poiché questo non priva il chiamato della qualità d’erede ma solo limita le sue responsabilità), oppure
intenda accettarla. Essa può venir proposta
non solo dal primo chiamato, ma anche dai successibili invece di lui, dai suoi successori a titolo universale; può spettare anche al successore a titolo particolare, però solo nel caso in cui tenda a rivendicare le cose ereditarie e non il titolo d’erede, poiché questo deve essere stato già acquistato dall’alienante.
Analoga distinzione va fatta per decidere se la
petitio possa essere proposta dai
creditori di un erede inattivo, a norma dell’art.
2900 c.c. che, com’è noto, legittima i creditori ad esercitare i diritti e le azioni del loro debitore allo scopo di conservare il patrimonio di costui, garanzia delle loro ragioni oppure di soddisfarsi addirittura, potendolo, sul risultato dell’azione. La
petitio sarà esercitata dai creditori, al posto del debitore, quando questi avrà già assunto la qualità d’erede per aver adito l’eredità; nell’ipotesi contraria, quell’esercizio, in via surrogatoria, non può essere ammesso perché la rivendica della qualità d’erede è un diritto di contenuto squisitamente personale, sottratto alla surrogatoria dallo stesso art.
2900.
Legittimato passivamente alla
petitio hereditatis è chiunque si trovi nel
possesso, totale o parziale,
o del titolo d’erede o delle cose ereditarie; qualunque sia la causa per cui possiede, tanto, cioè, se possiede
pro herede, pretendendo un diritto all’eredità, quanto se possiede
pro possessore, vale a dire senza titolo d’erede, solo in base al
possideo quia possideo. Ma deve trattarsi sempre di un possessore di beni ereditari, per cui l'azione non sarebbe proponibile contro un possessore in senso generico o possessore improprio, qual è, appunto, un debitore dell'eredità che si rifiuta di pagare il suo debito asserendo d’essere egli l’erede; in questo caso, non solo non si ha un possesso di beni ereditari, richiesto dall'art. 533, ma bisogna escludere che si tratti di un possesso, poiché oggetto di questo non possono essere i diritti d’obbligazione.
Va, però, rilevato che, pur ponendosi a fondamento della legittimazione passiva un possesso, non si esclude che la
petitio possa essere proposta contro chi, già possessore, abbia cessato dolosamente di esserlo (
dolo malo desiit possidere) perché costui è tenuto, per l'art.
948, a recuperare le cose a proprie spese o, non potendolo, a risarcire il rivendicante del loro valore; però la
petitio non sarà proponibile contro
qui liti se opulit, poiché essendo, in sostanza, la
petitio hereditatis una
revindicatio, la medesima è ammessa solo contro chi è in effetti possessore e non pure contro chi si finge di esser tale.
L'art. 533 in esame nulla dice circa l’onere della prova e l'autorità competente a conoscere della
petitio hereditatis. Al silenzio della legge può supplirvi il dottrinario. Sul primo punto: anche per la
petitio hereditatis ha vigore il comune principio di diritto probatorio
onus probandi incumbit ei qui dicit; l’attore, quindi, dovrà provare la sua pretesa, cioè i fatti sui quali questa viene fondata. Tra tali fatti sta, innanzitutto, la qualità di erede, quindi il testamento o il grado di parentela che lo legittima a succedere; ma se gli si oppone che, pur successibile, egli è, però, preceduto da un altro di grado prossimiore, spetta a lui rimuovere tale eccezione, perché ove non facesse ciò, verrebbe meno ogni base alla sua pretesa. Oltre la qualità d’erede, desunta dal titolo della vocazione, egli non deve dimostrare nient'altro e, precisamente, non è tenuto a provare né la capacità a testare del
de cuius, né la sua capacità a succedere, né di aver accettato, innanzitutto perché ciò non è richiesto dalla legge e, in secondo luogo, perché
il proporre la petitio è un atto che importa, di per sé stesso, accettazione dell'eredità; questo come regola, poiché nel caso in cui a lui sia stato imposto un termine per l'accettazione, oppure gli si eccepisca il decorso del periodo entro cui poteva accettare, in entrambe tali ipotesi il suo onere probatorio non sarà esaurito se non dopo aver dimostrato l’infondatezza delle eccezioni.
La
competenza è del tribunale che,
ratione loci, è quello non del luogo in cui si trovano i beni, ma del luogo in cui si è aperta la successione (art.
22 c.p.c.); se questa si è aperta fuori della Repubblica, allora competente sarà l’autorità giudiziaria del luogo in cui è posta la maggior parte dei beni ereditari immobili o mobili da dividersi e, in difetto, il tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza. Ma poiché la
petitio può essere fatta valere sia in via principale che in via riconvenzionale o incidentale in un altro giudizio, la competenza in questi ultimi casi sarà dell’autorità giudiziaria presso cui pende la causa principale, sempre che l’autorità adita sia competente, dovendo quella, nella contraria ipotesi, sospendere la causa principale e rinviare le parti innanzi al giudice competente a conoscere della
petitio.
Circa il termine entro cui può proporsi la petitio, è noto come, in passato, si disputasse in dottrina se esso dovesse ammettersi o meno. Al secondo comma è stato espressamente previsto che tale azione è imprescrittibile, in ragione della sua indole, che è universale e tende all’accertamento della qualità di erede, e da questo angolo visuale è analoga ad una questione di stato.
L'usucapione però, mantiene i suoi effetti, ma solo per le singole cose ereditarie. Siffatta conclusione non è contraddetta né dalla necessità che per l’acquisto della qualità d’erede occorra aver accettato, né dal rilievo che al chiamato sia assegnato un termine entro cui decidersi; non contrasta con la prima perché il proporre la petitio hereditatis presuppone la volontà di accettare, ed anzi, è atto che manifesta, in re ipsa, tale volontà; ma non contrasta neppure col secondo, perché si tratta di due concetti diversi: uno, infatti, è la facoltà di far valere il titolo d’erede quando lo si è acquistato, l’altro è la facoltà di acquistare quel titolo; ora l’imprescrittibilità riflette soltanto il primo.