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Articolo 2953 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi

Dispositivo dell'art. 2953 Codice Civile

I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni(1).

Note

(1) Da tale disposizione consegue che, se il titolare del diritto ha proposto azione nel termine di prescrizione breve previsto ex lege ed è intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato in virtù dell'art. 324 c.p.c., l'azione diretta all'esecuzione del giudicato medesimo (actio iudicati) è soggetta al termine ordinario decennale di prescrizione ex art. 2953. Il legislatore stabilisce inoltre che la suddetta conversione in tema di prescrizione riguardi anche l'ipotesi di una condanna generica al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale (v. nota art. 2947).

Ratio Legis

La norma in commento si giustifica sulla base dell'autonomia del titolo negoziale che, una volta formatosi, non permette più modificazioni del proprio regime prescrizionale.

Brocardi

Actio iudicati

Spiegazione dell'art. 2953 Codice Civile

Prescrizione del giudicato
Per questo articolo; introdotto in sede di coordinamento dei libri del codice civile, alla prescrizione più breve di dieci anni si sostituisce quella decennale quando riguardo ai diritti che a quella sono soggetti sia intervenuta una sentenza passata in giudicato. È evidente la ratio della norma, la quale, in definitiva, ci può servire da conferma del principio altrove affermato, che cioè il giudicato è colpito non dalla prescrizione relativa al diritto cui esso si riferisce, ma dalla prescrizione sua propria che non può non essere se non quella generale ordinaria, di dieci anni (art. 2946).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2953 Codice Civile

Cass. civ. n. 25028/2020

Ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare di somme iscritte a ruolo, l'eventuale notifica della cartella di pagamento (ovvero di altro atto di riscossione coattiva) da parte dell'agente della riscossione nei confronti della società "in bonis" successivamente fallita, non produce effetto novativo della natura del credito, il quale resta assoggettato alla sua specifica disciplina anche in ordine al regime prescrizionale, sicché qualora sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, non si rende applicabile il termine decennale di cui all'art. 2953 c.c., salvo che in presenza di un accertamento divenuto definitivo per il passaggio in giudicato di una sentenza. (Rigetta, TRIBUNALE BARI, 19/02/2018).

Cass. civ. n. 33797/2019

Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti - in ogni modo denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi a entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie ovvero di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.

Cass. civ. n. 33039/2019

La prescrizione decennale da "actio iudicati" ex art. 2953 c.c. decorre dal passaggio in giudicato della sentenza e, se appellata, dalla declaratoria giudiziale che rende definitiva la decisione, effetto questo che, rispetto al giudizio di ottemperanza ex art. 70 d.lgs. n. 546 del 1992, si produce anche con riguardo ad una pronuncia di rito, in quanto idonea a chiudere il processo in senso sfavorevole a una parte, fondando la definitività della pretesa avanzata dall'altra. (Rigetta, COMM.TRIB.REG. PALERMO, 05/02/2014).

Cass. civ. n. 2003/2017

La sentenza passata in giudicato, per poter determinare la conversione del termine di prescrizione, deve essere "di condanna", come esplicitamente sancito dall'art. 2953 c.c., e cioè consistere in un provvedimento giudiziale definitivo che imponga, a chi vi è obbligato, l'esecuzione della prestazione dovuta per il soddisfacimento del diritto altrui fatto valere, con conseguente esclusione, dall'ambito di applicabilità della norma, delle sentenze di mero accertamento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia impugnata, che aveva ritenuto inidonea, ai fini di tale conversione rispetto alle conseguenti differenze retributive, una sentenza che si era limitata ad attestare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato).

Cass. civ. n. 23397/2016

Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti - in ogni modo denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo

Cass. civ. n. 16730/2016

In caso di notifica di cartella esattoriale fondata su una sentenza passata in giudicato relativa ad un atto impositivo, non sono applicabili i termini di decadenza e/o prescrizione che scandiscono i tempi dell'azione amministrativa/tributaria, ma soltanto il termine di prescrizione generale previsto dall'art. 2953 c.c., perché il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, derivandone l'inapplicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, che concerne la messa in esecuzione dell'atto amministrativo e presidia l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l'interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all'iniziativa unilaterale dell'ufficio.

Cass. civ. n. 21623/2015

La riscossione di un credito tributario fondato su una sentenza passata in giudicato (nella specie, avente ad oggetto la revoca del beneficio dell'agevolazione prevista in materia d'imposta di registro per l'acquisto della prima casa) non soggiace più ai termini di decadenza previsti per l'esecuzione degli atti amministrativi, ma al termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c., in quanto il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha valutato la legittimità.

Cass. civ. n. 4574/2015

In tema di riscossione delle imposte e delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, non si applica il termine di prescrizione di dieci anni di cui all'art. 2953 cod. civ. ove la definitività dell'accertamento derivi non da una sentenza passata in giudicato, ma dalla dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti.

Cass. civ. n. 286/2015

La responsabilità solidale dei danneggianti ex art. 2055 cod. civ., richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, anche se per condotte autonome e per titoli diversi, purché causalmente efficienti nella produzione del danno, in quanto l'unicità del fatto dannoso richiesto dalla norma riguarda il danneggiato e non l'identità delle azioni dei responsabili o delle norme violate, sicché, nell'ipotesi in cui, ai sensi dell'art. 2953 cod. civ., intervenga un giudicato di condanna, la conversione del termine di prescrizione breve del diritto in quello decennale si estende anche ai coobbligati solidali che siano rimasti estranei al giudizio.

Cass. civ. n. 15765/2014

La prescrizione decennale da "actio iudicati", prevista dall'art. 2953 cod. civ., decorre non dal giorno in cui sia possibile l'esecuzione della sentenza né da quello della sua pubblicazione, ma dal momento del suo passaggio in giudicato.

Cass. civ. n. 27674/2013

La sentenza penale, con la quale è stata dichiarata la prescrizione dei reati in materia di evasione di accisa sul consumo di gas metano per uso domestico, destinato, invece, ad autotrazione (e soggetto, quindi, ad un'aliquota di imposta più elevata), da un lato, non incide sul potere impositivo dell'Amministrazione finanziaria, che viene meno solo per effetto di una pronuncia assolutoria e, dall'altro, non concretandosi in un accertamento del credito erariale o in una condanna dell'imputato al pagamento dell'imposta evasa, non comporta nemmeno l'applicabilità del termine di prescrizione decennale, secondo la disciplina dell'"actio iudicati" dettata dall'art. 2953 cod. civ., al posto di quello trentennale previsto dall'art. 19 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739 (applicabile "ratione temporis").

Cass. civ. n. 6967/2013

In materia di prescrizione, la conversione della prescrizione breve in quella decennale per effetto della formazione del titolo giudiziale "ex" art. 2953 c.c. ha il proprio fondamento esclusivo nel titolo medesimo, sicché non incide sui diritti non riconducibili a questo e, dunque, non opera per i diritti maturati in periodi successivi a quelli oggetto del giudicato di condanna (nella specie, per differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro).

Cass. civ. n. 11941/2012

Il diritto di credito dell'Amministrazione finanziaria in relazione a tributi e sanzioni, quando sia stato accertato con sentenza passata in giudicato, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni, anche se per esso la legge preveda specificamente un termine più breve, perché, determinando il giudicato una sorta di novazione giudiziaria generale del rapporto tributario in contestazione, trova applicazione la disciplina dell'"actio iudicati" dettata dall'art. 2953 c.c. (Fattispecie relativa a crediti derivanti da fatto illecito del contribuente in materia di imposte sulla fabbricazione degli oli minerali).

Cass. civ. n. 6077/2010

In tema di tributi doganali, una volta che sia stata respinta, con sentenza passata in giudicato, l'opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento, l'azione dello Stato per la riscossione dei diritti medesimi non si prescrive nel termine di cinque anni, previsto dall'art. 84 del d.p.r. n. 43 del 1973, ma entro quello più lungo di dieci anni, previsto dall'art. 2953 c.c., decorrente dal passaggio in giudicato della decisione di rigetto dell'opposizione, alla quale va riconosciuta la funzione di accertamento dell'esistenza del diritto di credito fatto valere dall'Amministrazione finanziaria con l'ingiunzione.

Cass. civ. n. 25790/2009

Il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c.. che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta "actio iudicati", mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D.L.vo 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario.

Cass. civ. n. 13333/2009

In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l'art. 17, terzo comma, del D.P.R. n. 602 del 1973, applicabile "ratione temporis", nel prevedere che le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all'Intendenza di Finanza, a pena di decadenza, entro 1131 dicembre dell'anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo, non si riferisce soltanto agli avvisi di accertamento non impugnati dal contribuente, ma riguarda anche la riscossione conseguente a decisioni delle commissioni tributarie sull'impugnazione dell'avviso di accertamento divenute definitive, con la conseguente inapplicabilità del termine decennale di prescrizione previsto dall'art. 2946 c.c., riferibile all"'actio indicati".

Cass. civ. n. 5441/2006

Il diritto dell'assicuratore che si surroga nei diritti del proprio assicurato verso il terzo responsabile del danno dal predetto assicurato subito per effetto di un sinistro derivante dalla circolazione stradale, in relazione al quale l'assicuratore ha pagato l'indennità, si prescrive, come quello del danneggiato, non più nel termine biennale a norma dell'art. 2947 secondo comma c.c. bensì ai sensi dell'art. 2953 c.c. nel termine di dieci anni ove, nei confronti del detto responsabile sia stata pronunciata (anche dal giudice penale) sentenza di condanna generica al risarcimento del danno passata in giudicato, la cui data ne segna la decorrenza.

Cass. civ. n. 8154/2003

Nel caso in cui il giudizio penale si sia concluso con una sentenza che contiene anche la condanna generica al risarcimento dei danni a carico del responsabile civile ed in favore del danneggiato costituitosi parte civile, la successiva azione volta alla quantificazione del danno è soggetta al termine decennale di prescrizione, ex art. 2953 c.c., con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile, in quanto la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l'accertamento dell'obbligo risarcitorio, strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantum.

Cass. civ. n. 17825/2002

L'obbligazione risarcitoria scaturente dall'illecito aquiliano, normalmente soggetta alla prescrizione breve ex art. 2947 c.c., per effetto di una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, emessa anche a seguito di procedimento penale in favore del danneggiato costituitosi parte civile, diventa soggetta alla prescrizione decennale ex iudicato, ai sensi dell'art. 2953 c.c.

Cass. civ. n. 4966/2001

L'obbligazione risarcitoria scaturente dall'illecito aquiliano, normalmente soggetta alla prescrizione breve ex art. 2947 c.c., per effetto della pronuncia di una condanna generica al risarcimento del danno diventa soggetta alla prescrizione decennale ex iudicato, ai sensi dell'art. 2953 c.c.

Cass. civ. n. 3727/2000

La sentenza di condanna generica passata in giudicato — attesa la sua natura di vera e propria statuizione autoritativa che impone all'obbligato di adempiere ad una prestazione, anche se la determinazione di tale adempimento è rimandata — determina, nei confronti di coloro che hanno promosso il giudizio concluso con la condanna generica, l'assoggettamento dell'azione diretta alla liquidazione al termine (decennale) di cui all'art. 2953 c.c.

Cass. civ. n. 33544/1999

In tutti i casi in cui la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, una volta formatosi il giudicato proprio perché non ha più giuridico rilievo il titolo originario del credito riconosciuto, i relativi diritti si prescrivono con il decorso di dieci anni; al suddetto termine prescrizionale, in ragione della sua autonomia, non sono applicabili le norme sulla sospensione riguardanti il termine prescrizionale del diritto originario. (Fattispecie relativa alla mancata applicabilità al credito nascente dal giudicato della sospensione ope legis della prescrizione stabilita per i crediti contributivi dell'Inps e dell'Inail dall'art. 2, comma diciannovesimo, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638).

Cass. civ. n. 5762/1999

Il generico riferimento dell'art. 2953 c.c. al «diritto» per il quale sia stabilito un termine di prescrizione breve, come oggetto della conversione di tale termine in quello ordinario decennale, da detta norma disposto a seguito dell'intervento di sentenza di condanna passata in giudicato, consente di ritenere che la conversione scaturente da un giudicato di condanna formatosi nei confronti di un coobbligato solidale operi anche nei riguardi degli altri coobbligati solidali rimasti estranei al giudizio.

Cass. civ. n. 5710/1999

Poiché la ratio dell'art. 2953 c.c. si fonda sull'autonomia del titolo giudiziale che, formatosi, vive di vita propria e autonoma, non è possibile operare modificazioni al regime prescrizionale a diritti non riconducibili al titolo giudiziale; pertanto non è applicabile la prescrizione decennale ma quella breve annuale (vigente per il diritto alla sorte capitale ex art. 6 legge 11 gennaio 1943, n. 138) ove si richieda la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla indennità di maternità che era stata riconosciuta con un precedente giudicato.

Cass. civ. n. 6757/1996

Il principio per cui in ipotesi di condanna generica al risarcimento del danno — la quale pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata costituisce una statuizione autoritativa contenente l'accertamento dell'obbligo in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantum — l'azione diretta alla determinazione del danno resta assoggettata alla prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c. con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile ha carattere generale e trova applicazione anche nelle ipotesi in cui la sentenza di condanna generica sia emessa nel corso di procedimento penale, in favore del danneggiato costituitosi parte civile.

Cass. civ. n. 5121/1990

Il termine di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c. (cosiddetto actio iudicati) si riferisce alle sole sentenze di condanna e quindi non è applicabile alle sentenze di risoluzione dei contratti, che sono, invece, dichiarative o costitutive, a seconda che ricorrano le ipotesi di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c. ovvero quelle di cui agli artt. 1453 e 1467, con la conseguenza che ai diritti oggetto del contratto dichiarato risolto si applica il regime prescrizionale proprio di essi e, trattandosi del diritto di proprietà, il regime dell'imprescrittibilità, tranne che si sia verificata l'usucapione in favore di terzi. (Nella specie trattavasi di risoluzione di un contratto oneroso di rendita vitalizia mediante alienazione di un immobile).

Cass. civ. n. 2799/1988

Il passaggio in giudicato della sentenza, che, riconoscendo la pari responsabilità dei conducenti di due veicoli coinvolti in un incidente stradale, abbia accolto la domanda di risarcimento proposta dal terzo danneggiato nei confronti di uno solo di detti conducenti, condannando questo, in forza della previsione di solidarietà di cui al primo comma dell'art. 2055 c.c., a risarcire per l'intero il danno subito dal terzo, comporta che fazione della società assicuratrice del danneggiante condannato all'integrale risarcimento, volta a conseguire in via di regresso la metà di quanto erogato al danneggiato ai sensi della sentenza stessa, soggiace non alla prescrizione biennale prevista dal secondo comma dell'art. 2947 c.c., ma alla prescrizione decennale ai sensi dell'art. 2953 dello stesso codice.

Cass. civ. n. 2465/1981

In materia di risarcimento di danni dipendenti dalla circolazione stradale, qualora la sentenza penale divenuta irrevocabile abbia pronunciato anche condanna generica dell'imputato al risarcimento in favore del danneggiato, l'azione diretta alla liquidazione del quantum è soggetta non alla prescrizione biennale prevista dall'art. 2947 c.c., bensì a quella decennale prevista dall'art. 2953 dello stesso codice, in quanto detta pronuncia, pur mancando dell'attitudine all'esecuzione forzata, contiene tuttavia la statuizione della responsabilità del debitore, rispetto alla quale la successiva sentenza di liquidazione non ha altra funzione se non di determinare la prestazione sostitutiva dovuta per riparare al pregiudizio economico subito dal danneggiato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2953 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. G. chiede
martedì 28/05/2024
“ho ricevuto un atto di precetto da un avvocato, mi chiede il pagamento delle spese legali di controparte per sentenza passata in giudicato, possono rientrare nella prescrizione breve dei 3 anni? Preciso che la richiesta non era sulla prescrizione della parcella del mio avvocato che ho pagato, ma dell' avvocato di controparte che ha emesso atto di precetto il 27/05/2024 per le spese di cui alla sentenza del 2019, grazie”
Consulenza legale i 03/06/2024
Proprio perché la sentenza - come viene riferito nel quesito - è passata in giudicato, si applica il disposto dell'art. 2953 c.c. (rubricato, cioè intitolato, "Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi").
Tale norma stabilisce, infatti, che "i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni".
Quindi l'eventuale prescrizione breve, per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, "si trasforma", per così dire, in una ordinaria prescrizione decennale.
Ne deriva che la cosiddetta actio iudicati, ovvero - nel nostro caso - l'azione per ottenere il pagamento delle spese legali portate dalla sentenza, non può ritenersi prescritta.

Anonimo chiede
domenica 15/10/2023
“Sono creditore nei confronti di una terza parte, credito stabilito da apposita sentenza del tribunale. La sentenza infatti condannava il convenuto (agenzia di pubblicità) per avere percepito dal sottoscritto un importo per una campagna di pubblicità ma mai realizzata nonostante precise diffide. La sentenza, aveva condannato il convenuto al pagamento della cifra da me allora corrisposta unitamente agli interessi, di cui all'art. 5 del D.L.vo 231/02.
Volevo domandare se possiamo ipotizzare per tale debito una prescrizione di 10 anni, e come si concilia il fatto che l'art. 2948 co 1 numero 4, dispone la prescrizione di cinque anni per gli interessi.
Sono anche questi interessi stabiliti dal giudice dunque, soggetti alla prescrizione di 5 anni, ed in quel caso, dovrei ogni 5 anni inviare una raccomandata per chiedere il pagamento e interrompere la prescrizione, mentre per il sottostante importo basta una volta ogni dieci anni?”
Consulenza legale i 23/10/2023
In materia di prescrizione, nel caso in cui sia intervenuta una sentenza, deve tenersi presente il disposto dell’art. 2953 c.c.
Tale norma stabilisce, infatti, che, se viene pronunciata sentenza definitiva di condanna riguardante diritti per cui la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, essi si prescrivono, appunto, in dieci anni (si parla di prescrizione dell’actio iudicati).
Devono ricorrere, però, i seguenti presupposti:
  1. la sentenza deve essere una sentenza di condanna (quindi non di accertamento né costitutiva);
  2. la sentenza deve essere passata in giudicato.
Riguardo al dies a quo, cioè al termine dal quale computare la prescrizione, la giurisprudenza ha precisato che “la prescrizione decennale da "actio iudicati" ex art. 2953 c.c. decorre dal passaggio in giudicato della sentenza e, se appellata, dalla declaratoria giudiziale che rende definitiva la decisione” (Cass. Civ., Sez. V, sentenza 16/12/2019, n. 33039).

B. P. chiede
lunedì 19/06/2023
“Il giudice ha condannato le parti soccombenti (tra cui mia moglie) al pagamento in solido , ai propri genitori,
del compenso professionale all’ avvocato della parte attorea vincitrice (sorella) , con attribuzione ai sensi dell’ art. 93 c.p.c. .

Quesito:
Dies quo da cui il professionista può fare valere il diritto al proprio compenso e quindi i termini di prescrizione del credito
(la decorrenza è dalla data del deposito e pubblicazione della sentenza di merito oppure da quando la sentenza è passata in giudicato?)
Consulenza legale i 19/06/2023
Com’è noto, l’art. 2953 c.c. stabilisce che, quando la legge prevede per un diritto un termine più prescrizione più breve di quello, ordinario, decennale, se rispetto a quel diritto interviene una sentenza di condanna passata in giudicato, il termine di prescrizione diventa di dieci anni.
Ora, riguardo al dies a quo, cioè al momento da cui inizia a calcolarsi la prescrizione del diritto, nel caso della cosiddetta actio iudicati (cioè l’azione per far valere un diritto oggetto di sentenza passata in giudicato), la giurisprudenza ha affermato chiaramente anche in tempi recenti che il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza e, se appellata, dalla declaratoria giudiziale che rende definitiva la decisione (così Cass. Civ., Sez. V, Sentenza, 16/12/2019, n. 33039; riguardo all’ipotesi di decreto ingiuntivo, si veda Cass. Civ., Sez. III, Sentenza, 15/02/2023, n. 4676).

Anna C. chiede
lunedì 21/12/2015 - Friuli-Venezia
“Preg.mi, da sentenza del 2005 per azione di riconfino e ripristino stato luoghi risulta indicato un'occupazione, seppur minima, della mia proprietà. Durante il dibattimento l'area, parte di un più ampio mappale, è stata ceduta a terzi (Comune). Nel 2006 è stata precettata la sentenza,sia al convenuto che al terzo, ed iniziato azione del ripristino e dopo ricorsi del terzo nel 2010 si è approdati a Decreto del fare e nel 2013 Ordinanza esecuzione e che oggi è ancora pendente (dopo 4 uscite U.G.). Inizio di quest'anno ho sollecitato Comune per quanto continua ad occupare abusivamente.
Il quesito: vista la lungaggine vi è prescrizione del Titolo Esecutivo? E comunque si può chiedere risarcimento danni per molestia oltre all'occupazione stessa abusiva.”
Consulenza legale i 31/12/2015
Sulla base dei dati forniti si deduce che il titolo esecutivo è costituito da una sentenza di condanna al ripristino dello stato dei luoghi emessa nel 2005, con la quale si è agito per l'esecuzione in forma specifica ex art. 612 ss c.p.c..

Ai sensi dell'art. 2953 del c.c. la sentenza di condanna passata in giudicato comporta che il diritto in essa contemplato per il quale sia stabilita una prescrizione più breve si prescrive in 10 anni. La regola è stata espressamente applicata anche in caso di obblighi di fare (Cass. 17449/2006: nell'ipotesi si trattava di demolizione di opere edilizie realizzate in contrasto alle norme in tema di distanze). Quanto alla formazione del giudicato, esso si ha quando la sentenza non è più soggetta alle impugnazioni ordinarie (regolamento di competenza, appello, ricorso per Cassazione, revocazione ordinaria), ex art. art. 324 del c.p.c.. Pertanto, supponendo che nel caso di specie si sia agito in esecuzione dopo che si è formato il giudicato, dal momento della sua formazione è iniziato a decorrere il termine di prescrizione del diritto di agire in esecuzione.

Nel caso di cui al quesito, peraltro, si sono susseguite una serie di attività da parte del soggetto che ha ottenuto la sentenza di condanna, che potrebbero aver interrotto la prescrizione una volta che questa è iniziata a decorrere. La disposizione di riferimento è l'art. 2943 del c.c. ai sensi del quale "La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo".

Quanto al precetto, la giurisprudenza ritiene che esso abbia un effetto di interruzione solo istantanea della prescrizione, e ciò anche se l'intimato si oppone, a meno che in tal caso il creditore si costituisca formulando una domanda con cui vuole far valere il suo diritto di procedere ad esecuzione, perché in questa ipotesi l'interruzione si realizza ex art. 2943 co. 2 c.c. e la prescrizione decorre nuovamente solo quando intervenga sentenza conclusiva del giudizio (Cass. 7737/2007). In effetti, si ritiene che il precetto non sia atto del processo esecutivo. Il primo atto di esso viene invece individuato, nel caso di esecuzione in forma specifica, nel ricorso che si propone ex art. 612 del c.p.c. al giudice dell'esecuzione. Dal quesito non si evince in modo chiaro il susseguirsi delle vicende ma sembra ricavarsi che sia stato proposto detto ricorso al giudice dell'esecuzione. In questo caso, quindi, il termine di prescrizione sarebbe interrotto.

Quanto alla durata dell'interruzione, l'art. 2945 co. 2 c.c. stabilisce che quando essa è prodotta dalla domanda con cui si instaura un giudizio la prescrizione (vale a dire un nuovo periodo di prescrizione, ex art. 2945 co. 1 c.c.) ricomincia a correre dal momento in cui passa in giudicato la sentenza che chiude il giudizio. Nel processo esecutivo, mancando una sentenza conclusiva, la dottrina ritiene che questo momento vada individuato per l'esecuzione in forma specifica nell'esaurimento delle operazioni che le singole procedure prevedono e, nello specifico, nel momento in cui l'atto che chiude la procedura non è più assoggettato ad opposizione agli atti esecutivi (MANDRIOLI, Diritto processuale civile IV, 2007, pag. 15). Pertanto, se nel caso di specie la procedura esecutiva non si è ancora chiusa la prescrizione non è nuovamente iniziata a correre.

Circa la possibilità di configurare un danno per l'occupazione del terreno da parte del comune, se la sentenza di condanna ha accertato l'illegittimità dell'occupazione, il protrarsi di questa si configura come occupazione senza titolo del bene, realizzando un illecito che dovrebbe essere fatto valere in un autonomo giudizio. A riguardo si specifica che in giurisprudenza sussiste un contrasto circa la necessità o meno di provare il danno subito. Alcune sentenze, infatti, lo ritengono in re ipsa, cioè ritengono che l'occupazione abusiva determini per sé sola un danno al titolare del bene, che non dovrebbe provarlo (Cass. 5568/2010, Cass. 827/2006). Altre recenti pronunce hanno invece affermato che esso non sussiste automaticamente e va dimostrato, anche se la prova può essere data anche per presunzioni semplici (Cass. 18494/2015, Cass. 14222/2012). Alla luce di questo contrasto, è comunque consigliabile fornire anche la prova del danno.

Infine, si precisa ciò: se sorgono difficoltà nel corso dell'esecuzione (come sembra evincersi dal quesito) l'ufficiale giudiziario può rivolgersi al giudice perché questi gli conceda le misure necessarie per eliminare tali difficoltà (art. 613 del c.p.c.); se l'ufficiale stesso non lo fa, è opportuno sollecitare l'esercizio di questo potere.

Emilio O. chiede
mercoledì 15/04/2015 - Lombardia
“Buongiorno, ho acquistato un macchinario utensile da azienda privata del valore di 35000 euro (42000 iva compresa), con rate mensili di Eur. 600,00 con fattura. La mia azienda (ditta individuale) ad oggi esiste ancora e il macchinario è risultato da quasi subito poco efficiente, ma io non ho mai contestato l'acquisto.
Rate stabilite a partire esattamente da Luglio 2007, ultima rata a Maggio 2013.
Ad oggi , mi mancano ancora da pagare 16200 Eur (27 rate), dopo varie interruzioni, l'ultima più di un anno fa, dopo di che non sono mai più riuscito a pagare la mia consueta rata sopracitata.
Oggi 15/04/2015 PER LA PRIMA VOLTA DA SEMPRE, ho ricevuto con posta semplice una richiesta di aggiornamento da parte mia riguardo alle rate pagate, e le rate residue da pagare a fine anno 2014 da parte della azienda creditrice, da recapitare sulla loro mail PEC .
Essendo ormai sicuro per motivi gravi personali di non riuscire ancora per molto tempo a pagare le rate, chiedo come mi devo comportare, e se a livello legale sono ancora obbligato a pagare le rate, o se invece è andato tutto in prescrizione.
Distinti saluti”
Consulenza legale i 21/04/2015
Il n. 4 dell'art. 2948 del codice civile stabilisce che gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si prescrivono con il decorso di cinque anni.
L'acquisto di beni con pagamento del prezzo suddiviso in rate viene fatto generalmente rientrare nell'ipotesi sopra citata.

Nel caso di specie, da quando può dirsi decorrente il termine prescrizionale?
Il momento va individuato in quello coincidente con l'ultimo pagamento effettuato dal debitore. Il pagamento delle rate costituisce infatti esecuzione dell'obbligazione e, ai sensi dell'art. 2944 del c.c., configura un riconoscimento del diritto altrui, che interrompe la prescrizione.
Quindi, pur essendo vero che una lettera semplice (come quella giunta in aprile 2015) non ha la forza probatoria di una interruzione della prescrizione, è altresì vero che tale interruzione può essere individuata nell'ultimo pagamento della rata, risalente ad un anno fa.

Sussiste, quindi, ancora, l'obbligo di versare il prezzo concordato e l'azienda creditrice ha ancora molto tempo per inviare una formale intimazione di pagamento, mediante raccomandata o pec, oppure addirittura per chiedere l'emissione di un decreto ingiuntivo contro il debitore.

Per le ragioni sopra esposte, considerato anche che l'azienda creditrice sembra aver tenuto un atteggiamento tollerante e non aggressivo, è consigliabile - se si sa già che non si potrà onorare interamente il debito a causa di difficoltà finanziare - contattare la controparte (preferibilmente senza lasciare nulla di scritto, per non creare prove contro di sé) e chiedere se si può arrivare ad una soluzione condivisa.
Ad esempio, si potrebbe sondare l'interesse dell'azienda creditrice a vedersi restituire il macchinario; oppure, si potrebbe concordare una riduzione del prezzo, con pagamento immediato del residuo, o delle rate. L'ideale sarebbe affidare questa negoziazione ai rispettivi legali, che potranno difendere al meglio gli interessi di parte.

Molto spesso, soprattutto durante questi periodi di crisi economica diffusa, il creditore preferisce una soluzione immediata (es. un pagamento inferiore, ma fatto subito) piuttosto che attivare una procedura di recupero crediti dagli esiti sempre abbastanza incerti, nonché dagli importanti costi di avvio e dai tempi non proprio brevi.

Se si riuscirà a giungere ad una soluzione condivisa, sarà fondamentale sottoscrivere una transazione (art. 1965 del c.c.), cioè una scrittura privata in cui il creditore attesti di ritenersi soddisfatto e di non avere null'altro a pretendere dal debitore. Solo questo documento potrà far ritenere davvero liberato il debitore.

Marcello D. C. chiede
martedì 20/11/2012 - Lazio
“Gli oneri condominiali mai richiesti dalla proprietà, dal 2001 al 2009 per dimenticanza, possono essere richiesti nel 2012 ? Si prescrivono in 10 o 5 anni ? Grazie”
Consulenza legale i 28/11/2012

Il termine prescrizionale per gli oneri accessori, ovvero per tutte le spese che, per contratto o per legge, fanno carico al conduttore e cioè le spese di manutenzione ordinaria delle parti comuni e degli impianti (ad es. ascensore, autoclave, riscaldamento) è stato oggetto di controversie dottrinali e giurisprudenziali.

Sul tema è bene analizzare l'art 6, ultimo comma della legge 22.12.1973, n. 841 che, derogando alla disposizione dell'art. 2948, n. 3 c.c., la quale prevede la prescrizione quinquennale per i canoni ed ogni altro corrispettivo di locazione, ha stabilito la prescrizione biennale del diritto al rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura dei servizi posti, per contratto a carico del conduttore. Il problema che si è creato è stato quello di verificare che la predetta norma non fosse stata abrogata dall'entrata in vigore della successiva legge 392/1978, con il ripristino del termine prescrizionale di 5 anni previsto dal codice civile.

L'opinione giurisprudenziale prevalente ha sancito la sopravvivenza della norma del '73 che prevede il termine di prescrizione biennale per gli oneri accessori (Cass. civ. sez III n.5795/1993). Una più recente pronuncia ha affermato che il credito per gli oneri accessori ha ad oggetto somme di importo variabile in relazione alla concreta erogazione dei servizi e la relativa spesa è confortata da una specifica documentazione, pertanto la fissazione di un termine prescrizionale più breve è giustificata dall'esigenza di contenere le relative contestazioni in un lasso temporale ragionevolmente più breve (Cass.Civ. 8609/2006). Di conseguenza, il tempo utile entro cui il locatore può richiedere la restituzione delle somme per gli oneri condominiali di competenza del conduttore resta fissato in due anni, sia per le locazioni ad uso abitativo che per le locazioni commerciali.

Per ciò che concerne il quesito proposto, a meno che non sia intervenuto qualche atto interruttivo della prescrizione, il diritto del proprietario di richiedere il pagamento delle spese sostenute per gli oneri condominiali maturati dal 2001 al 2009 si deve considerare prescritto alla luce dell'art.6 della legge 841/1973.


G. S. chiede
lunedì 14/03/2022 - Sicilia
“Una associazione è debitrice nei confronti di un Ente Nazionale delle somme ricevute a seguito sentenza della Corte di Appello che ha modificato la sentenza del Tribunale
La Corte di Cassazione adita ha dato ragione all'Ente per cui l'associazione è divenuta debitrice dello importo ricevuto. Particolare:
1. l'associazione non ha altri beni
2. Sono trascorsi 5 anni dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione e nonostante la sentenza a lei favorevole non ha richiesto l’importo di cui è divenuta creditrice, somma che l'altro nel tempo è stato parzialmente utilizzata.
Dubbi dei Commissari:
attendere la prescrizione del credito e poi fare il piano di riparto fra gli insinuati oppure restituire quanto rimasto all'Ente indipendentemente dalla sua richiesta.
Grazie”
Consulenza legale i 25/03/2022
Ai sensi dell’art. 2953 del c.c., quale che fosse il diritto fondante la pretesa risarcitoria dell’associazione nei confronti dell’Ente, il termine di prescrizione per il credito da quest’ultimo vantato è decennale e decorre dalla pubblicazione della sentenza di riforma (Cass., sez. lavoro, 11 marzo 2019, ordinanza n. 6942).

Il quesito non chiarisce se si discuta di associazione riconosciuta o non riconosciuta, questione che va preliminarmente affrontata.

Le associazioni non riconosciute hanno un’autonomia patrimoniale imperfetta; ciò significa che, pur esistendo un fondo comune (su cui, in primo luogo, i creditori fanno valere i loro diritti), sono anche responsabili solidalmente e personalmente con i propri beni, coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione medesima, come previsto dall’art. 38 del c.c..
Qualora l’associazione attraverso la liquidazione generale del patrimonio e quindi attraverso anche la devoluzione di beni non riesca a soddisfare i creditori, saranno responsabili personalmente e solidalmente tutti coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa.
I creditori, pertanto, compreso l’Ente Nazionale citato, nell'eventualità in cui non sia possibile soddisfarli per intero, potranno rivalersi sul patrimonio personale degli associati che hanno agito in nome e per conto dell’associazione e che hanno determinato il singolo debito.

Sul punto giova precisare che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per l’associazione è inquadrabile tra le garanzie ex lege assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. 1944 e 1951 (Cass. n. 29733/2011): per l'effetto, la responsabilità dell'associato (fideiussore) viene meno se il creditore non ha proposto la sua azione entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale, ex art. 1957 (Cian, Trabucchi).
La giurisprudenza ha, però, riconosciuto anche dei correttivi a questa rigida disciplina.
In primis, ad esempio, ha affermato che l'efficacia esecutiva del titolo formatosi contro la sola associazione non riconosciuta in un giudizio di cognizione nel quale il creditore non abbia convenuto, in proprio, anche l'eventuale soggetto responsabile in via solidale con questa ai sensi dell'art. 38 del c.c., al fine di ottenere l'accertamento della sua responsabilità solidale e la sua condanna, unitamente a quella dell'ente stesso, non si estende automaticamente al predetto soggetto (Cass. n. 12714/2019); ciò significa che il creditore dell'associazione non riconosciuta, se intende valersi della disposizione di cui all'art. 38 del c.c., può convenire, nel giudizio di cognizione diretto a ottenere il titolo esecutivo, insieme all'associazione, il soggetto che pretende obbligato in solido con la stessa, in proprio, chiedendo accertarsi la sua responsabilità solidale, onde ottenere la condanna sia dell'associazione che del soggetto solidalmente responsabile per la relativa obbligazione, ai sensi dell'art. 38 del c.c. (allegando e provando in giudizio, naturalmente, che sussistono i presupposti per siffatta responsabilità).
Nell’eventualità in cui si discuta di un’associazione non riconosciuta, per valutare l’effettiva responsabilità solidale a norma dell’art. 38 del c.c. si dovrebbero conoscere gli atti di causa, questione ben più complessa e ampia.

Le associazioni riconosciute, al contrario, hanno autonomia patrimoniale perfetta, che comporta la separazione dei patrimoni (dell'ente e degli associati), di modo che il patrimonio del singolo partecipante è insensibile ai debiti dell'ente e il patrimonio dell'ente è parimenti insensibile ai debiti personali del singolo partecipante.
Ne discende che, nel momento in cui viene effettuata la liquidazione del patrimonio dell’associazione, i creditori non possono rivalersi sugli associati, ma dovranno vedere soddisfatti i propri crediti solo con il patrimonio o i beni dell’associazione stessa.

In ogni caso, a prescindere dall'effetto che un'eventuale soddisfazione parziale dei creditori dell'associazione si riverberi sui patrimoni degli associati che in nome e per conto di essa abbiano agito, posto che il credito dell’Ente non è ancora prescritto, questo dovrà essere trattato come qualsiasi altro debito dell’associazione nella redazione del piano di riparto; infatti, la circostanza che l’Ente non abbia dato riscontro non “cancella” il credito vantato.

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