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Articolo 614 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Violazione di domicilio

Dispositivo dell'art. 614 Codice Penale

Chiunque s'introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita(1) di chi ha il diritto di escluderlo(2), ovvero vi s'introduce clandestinamente o con l'inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni [615](3).

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno(4).

La pena è da due a sei anni se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato(5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d'ufficio quando il fatto è commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato o se il fatto è commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per età o per infermità(5).

Note

(1) La dottrina appare divisa in merito al c.d. dissenso presunto che inerisce ai casi in cui un soggetto si introduca o si trattenga nell'altrui dimora per un fine illecito con il consenso del titolare dello ius excludendi, ignaro di tale fine (si pensi ad esempio al soggetto che approfitti dei rapporti di amicizia per realizzare una violenza sessuale (v. 609bis). Sebbene alcuni autori ne attribuiscono rilevanza, la dottrina maggioritaria ritiene che la norma in esame possa configurarsi solo in presenza di un dissenso reale, sia esso espresso o tacito.
(2) Lo ius excludendi ovvero il diritto di escludere altri dalla propria abitazione o dimora etc. spetta al soggetto che legittimamente ed attualmente vi abiti o vi dimori, quindi in misura uguale tanto al marito quanto alla moglie, con la conseguenza che il dissenso dell'uno è in grado di neutralizzare il consenso dell'altro, mentre spetta al legale rappresentante nel caso delle persone giuridiche, o in sua vece dai funzionari, dagli impiegati e dal personale incaricato della sorveglianza.
(3) Il trattamento sanzionatorio è stato modificato dall’art. 3, comma 24, della l. 15 luglio 2009, n. 94
(4) Il trattenersi esclude che lo ius excludendi possa essere espresso tacitamente, quindi richiede un pregresso ingresso legittimo, diversamente infatti si applicherebbe la fattispecie di cui al comma primo.
(5) Comma modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La ratio di tale disposizione si coglie nella considerazione che i luoghi di dimora non sono intesi solo nella loro materialità, ma anche come proiezione spaziale della persona, la cui libertà individuale si estrinseca nell'interesse alla tranquillità e sicurezza dei luoghi in cui si svolge la propria vita privata.

Brocardi

Invito domino

Spiegazione dell'art. 614 Codice Penale

La norma è posta a tutela della pace e della libertà domestica, come risultato della duplice facoltà di ammissione o di esclusione dalla propria sfera privata, per salvaguardare il proprio spazio individuale. Viene dunque tutelato il rapporto persona-ambiente, ossia l'esplicarsi della persona in una sfera spaziale che ne renda possibile la piena realizzazione.

Soggetto passivo del reato può essere qualsiasi persona titolare dello jus excludendi, in forza di qualsiasi legittimo titolo di godimento o situazione di fatto protetta dall'ordinamento giuridico.

In caso di più conviventi, è necessario il consenso di tutti, motivo per il quale si ritiene sussistente il reato nei confronti dell'amante di uno dei due coniugi che si introduca nell'abitazione contro il dissenso (implicito) dell'altro coniuge.

La condotta penalmente rilevante consiste alternativamente nella introduzione nell'abitazione altrui, in altro luogo di privata dimora o nella appartenenze di essa, oppure nel trattenimento nei predetti luoghi in seguito alla manifestazione contraria del titolare dello jus excludendi.

La volontà di escludere il soggetto agente può essere manifestata espressamente in ordine ad entrambe le condotte e, solamente per quanto riguarda l'introduzione, anche tacitamente.

La figura del dissenso presunto è infatti ammessa allorquando l'introduzione nel domicilio altrui, a prescindere dalle ipotesi di clandestinità e violenza, avvenga per un fine illecito, essendo in tal caso presumibile il dissenso.

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, si ritiene sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di introdursi o trattenersi nei luoghi di privata dimora contro la volontà del titolare dello jus excludendi.

Il reato in esame viene assorbito nel caso di furto in abitazione ex art. 624 bis, quando l'agente si introduce nell'abitazione altrui al fine di commettere un furto.

///SPIEGAZIONE ESTESA

La norma in esame punisce il privato cittadino che, volontariamente, si introduca o si trattenga nell’abitazione altrui, in un altro luogo di privata dimora, o nelle loro appartenenze, contro il divieto, espresso o tacito, di chi abbia il diritto di escluderlo, oppure in modo clandestino o con l’inganno.

Soggetto attivo può, dunque, essere soltanto una persona privata o che, comunque, agisca come tale, in quanto la violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale costituisce un’autonoma fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 615 del c.p.

La condotta tipica può consistere, alternativamente, negli atti con cui l’agente si introduca nell’altrui abitazione, in un luogo di privata dimora o, comunque, nelle loro appartenenze, oppure nel comportamento con cui esso vi si trattenga, qualora ciò avvenga contro la volontà di chi abbia il diritto di escluderlo, o, ancora, nel caso in cui il soggetto attivo agisca in modo clandestino o con l’inganno.
Si parla di clandestinità nel caso in cui qualcuno entri o si trattenga in un luogo in modo tale da non essere visto dall’avente diritto; si ha, invece, un inganno qualora lo stesso soggetto agisca ricorrendo ad un mezzo fraudolento.
Per quanto riguarda l’introduzione, essa deve avvenire con tutta la persona dell’agente. Non costituisce, quindi, una violazione di domicilio consumata il salire sul tetto della casa altrui oppure il fermarsi sull’uscio.
Il trattenimento consiste, invece, nel rimanere arbitrariamente in un luogo dopo esservi entrati legittimamente, oppure nel rifiutarsi di uscire dallo stesso.

Per integrare la violazione di domicilio, la condotta dell’agente deve, in ogni caso, essere illegittima, ossia non giustificata né dal consenso dell’avente diritto, né dall’esercizio di un diritto o dall’adempimento di un dovere.

Il fatto di reato deve avvenire in un luogo che sia attualmente e legittimamente adibito allo svolgimento della vita domestica, il quale, quindi, non sia abbandonato o disabitato. Il luogo del fatto può, però, essere costituito anche dalla privata dimora in cui una persona svolga un’attività diversa da quella che caratterizza un’abitazione, come nel caso di uno studio professionale o di un negozio; nonché dalle appartenenze di tali luoghi, le quali siano adibite a qualche attività propria della vita domestica, come, ad esempio, nel caso del giardino.

Elemento fondamentale della fattispecie in esame è il dissenso di chi vanti un diritto sul luogo in cui si verifica il fatto delittuoso. Tale dissenso è da intendersi non come semplice mancanza di consenso, bensì come volontà contraria di colui che abiti o dimori nel luogo interessato dalla condotta criminosa, il quale abbia il diritto di vietarvi l’introduzione o la permanenza di estranei.
In particolare, nell’ipotesi in cui il soggetto agente si introduca in un luogo, la volontà del dissenziente si può manifestare in maniera espressa o tacita. La volontà contraria dell’avente diritto si può, tuttavia, presumere qualora l’ingresso del soggetto attivo del reato sia clandestino o fraudolento, almeno fino a che non sia fornita la prova contraria in ordine all’esistenza del consenso o alla legittimità della condotta.
Qualora, invece, la condotta delittuosa si sostanzi nel trattenersi in un certo luogo, la volontà contraria dell’avente diritto deve essere espressa nel caso in cui il trattenimento avvenga in modo palese, mentre può essere presunta se il trattenimento è avvenuto clandestinamente o con l’inganno.

L’evento tipico del delitto in esame coincide con il suo momento consumativo e consiste nell’effettiva introduzione del soggetto agente in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., oppure nel suo rifiuto di uscirne, pur essendo consapevole del dissenso dell’avente diritto.
Il tentativo è possibile, ma soltanto in relazione all'ipotesi delittuosa dell'introduzione in uno dei luoghi indicati dalla norma in esame.

Qualora vi sia contesto d’azione, il reato si considera unico anche nel caso in cui venga commesso sia con un’arbitraria introduzione che con un arbitrario trattenimento.

Ai fini dell’integrazione del reato di violazione di domicilio è sufficiente che sussista, in capo all’agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di introdursi o di trattenersi nell’abitazione altrui o nell’altrui privata dimora, sapendo di agire contro la volontà del titolare del diritto di esclusione. Qualora, poi, l’agente abbia realizzato la propria condotta in modo clandestino o fraudolento, la sua coscienza e volontà devono interessare anche tale elemento.

Il delitto in esame è, di norma, punibile a querela di parte. Esso tuttavia, ai sensi del comma 4, è procedibile d’ufficio nelle ipotesi aggravate in cui il fatto sia commesso con violenza sulle cose o alle persone, oppure in cui il colpevole sia palesemente armato, ossia quando esso, in un momento dell’esecuzione del delitto, abbia un’arma in vista.
La violenza rileva come circostanza aggravante soltanto ove sia servita all’agente per introdursi o per trattenersi in uno dei luoghi indicati dalla legge, non, invece, qualora venga usata per commettere un altro reato.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’intervento estende la procedibilità a querela del delitto di violazione di domicilio all’ipotesi, oggi procedibile d’ufficio, in cui il fatto sia aggravato per essere stato commesso con violenza sulle cose.
Si tratta, nella prassi, di un’ipotesi che spesso ricorre, essendo configurabile, come riconosce la giurisprudenza quando – come nel caso del danneggiamento di una serratura, di una porta o di una finestra – la violenza sulle cose rappresenta il mezzo per introdursi (o trattenersi) nel domicilio altrui.


La condotta presenta indubbiamente una minore offensività e disvalore rispetto a quelle realizzate con violenza alla persona o con armi; il che rende ragionevole limitare a queste ultime il regime di procedibilità d’ufficio. Mancando una condotta violenta diretta verso la persona, anche attraverso l’intimidazione connessa all’uso di armi, è ragionevole rimettere la procedibilità all’iniziativa della persona offesa.


Si procede peraltro d’ufficio se il fatto è commesso, con violenza sulle cose, contro una persona incapace per età o per infermità. Va precisato che la proposta modifica del regime di procedibilità non fa venir meno la possibilità di effettuare l’arresto facoltativo in flagranza, previsto anche per le ipotesi procedibili a querela dall’art. 381, co. 2, lett. f-bis) c.p.p.

Massime relative all'art. 614 Codice Penale

Cass. pen. n. 8120/2023

In tema di violazione di domicilio aggravato da violenza sulle cose, divenuto procedibile a querela a seguito delle modifiche di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, l'intervenuto decesso della persona offesa, non in conseguenza del reato commesso in suo danno, esclude l'applicabilità della disciplina transitoria di cui all'art. 85 del citato d.lgs., come modificato dall'art. 5-bis d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, nonché la decorrenza del termine per l'esercizio postumo del diritto di querela, da intendersi estintosi con la morte del suo titolare, nel caso in cui la persona offesa non abbia manifestato, in alcun modo, la volontà che si procedesse nei confronti dell'imputato.

Cass. pen. n. 44627/2021

In tema di violazione di domicilio, ai fini dell'applicabilità della scriminante putativa di cui all'art. 47 cod. pen., non si può ritenere automaticamente sussistente, in virtù di una relazione sentimentale conflittuale, il consenso preventivo e indiscriminato all'ingresso nella abitazione del titolare dello "ius excludendi".

Cass. pen. n. 14878/2021

In tema di violazione di domicilio, non costituisce luogo di privata dimora l'"open space" o stanza collettiva, in quanto luogo di lavoro accessibile ad un numero indeterminato di persone anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto. (In motivazione la Corte ha precisato che non rappresenta estensione di un domicilio privato la sala riunioni fruibile da diverse società aventi gli uffici nel medesimo stabile).

Cass. pen. n. 7592/2021

Ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, la fonte dello "ius excludendi" può essere costituita anche da un provvedimento giudiziario. (Fattispecie in cui il divieto di accedere al domicilio violato derivava da un provvedimento del tribunale per i minorenni che, a tutela dei figli minori, vietava temporaneamente al padre l'accesso alla abitazione familiare).

Cass. pen. n. 31276/2020

In tema di violazione di domicilio, ai fini della titolarità dello "ius excludendi alios" vanno distinte le relazioni di convivenza e di coabitazione, la prima caratterizzata da legami affettivi stabili e da impegni reciproci di assistenza morale e materiale, in virtu` dei quali il consenso espresso da uno dei conviventi sottintende quello tacito degli altri, la seconda da ragioni di mera opportunità e convenienza, in cui, accanto alla condivisione di spazi comuni, per i quali si applica il medesimo criterio, ciascuno dei coabitanti dispone di uno spazio esclusivo, per l'accesso al quale è necessario il consenso espresso dell'avente diritto. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da censure la pronuncia che aveva ravvisato il reato di violazione di domicilio aggravata, di cui all'art. 614, commi 1 e 4, cod. pen., nella irruzione nella camera da letto della vittima, posta in essere da un ospite del fratello con la stessa coabitante, al fine di esporla ad atti lesivi della dignità e del decoro, videoregistrati e, poi, divulgati in "chat"). (Rigetta, TRIB. LIBERTA' CATANZARO, 23/12/2019)

Cass. pen. n. 22043/2020

La pronunzia assolutoria per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. passata in giudicato non preclude la celebrazione del giudizio per il reato di cui all'art. 614 cod. pen. quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nell'intrusione nell'abitazione della vittima, anche in ulteriori comportamenti invasivi determinanti uno o più degli eventi tipici dello "stalking", non sussistendo identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di "bis in idem", secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016.

Cass. pen. n. 30742/2019

Ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, l'occupazione non coperta da valido titolo non esclude in capo all'occupante l'esercizio dello "ius excludendi", quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto con il titolare del diritto sull'immobile consentono di ritenere quel luogo come l'effettivo domicilio dell'occupante medesimo. (Fattispecie nella quale l'occupante non aveva liberato l'immobile su richiesta del proprietario il quale, dopo avere acconsentito per un certo periodo all'uso del medesimo quale abitazione dell'occupante, vi si era introdotto, gettando in strada i suoi oggetti e aveva chiuso con un lucchetto il cancello d'ingresso).

Cass. pen. n. 30726/2019

Integra il reato di violazione di domicilio la condotta del coniuge separato che, non avendovi più stabile dimora, si introduca nella casa familiare contro la volontà del coniuge assegnatario.

Cass. pen. n. 10498/2018

Ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.), non possono essere considerati luoghi di privata dimora quelli normalmente destinati ad attività di lavoro, di studio e di svago, ai quali chiunque possa accedere senza necessità di preventivo consenso da parte dell'avente diritto, nulla rilevando che in essi possano anche svolgersi occasionalmente atti della vita privata, ferma restando, tuttavia, l'operatività della tutela penale con riguardo alle parti di detti luoghi (quali, ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi), che abbiano eventualmente assunto le caratteristiche proprie dell'abitazione in quanto destinate anche allo svolgimento di atti della vita privata in modo riservato e con preclusione dell'accesso da parte di estranei. (Nella specie, in applicazione di tali principii, è stata esclusa la sussistenza del reato di violazione di domicilio in un caso in cui la condotta posta in essere dagli imputati era consistita nell'ingresso arbitrario, a scopo dimostrativo, nei locali di un istituto privato di istruzione).

Cass. pen. n. 9084/2018

Ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 614 cod. pen. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni. Ne consegue che se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell'altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 2 stesso codice e il reato è procedibile a querela (Nella fattispecie la Corte ha escluso la sussistenza dell'aggravante con riferimento alla condotta del ricorrente che, dopo essersi introdotto nell'abitazione dell'ex coniuge, strattonava la donna, le strappava dalle mani il telefono cellulare e colpiva con dei calci la porta di ingresso, rilevando che dette azioni erano espressive di uno scatto d'ira ovvero del tentativo di impossessarsi del telefono con cui la donna intendeva chiamare le forze dell'ordine).

Cass. pen. n. 52749/2017

Non è configurabile il reato di violazione di domicilio nella condotta del locatario che, pur avendo subìto un provvedimento di sfratto emesso dal giudice civile, si introduce nell'immobile prima che il locatore venga reimmesso effettivamente nel possesso, spontaneamente o in seguito ad un procedimento di esecuzione forzata per rilascio. (In motivazione, la Corte ha chiarito che, in tal caso, non risulta ancora attuale e, pertanto, meritevole di tutela, il diritto del proprietario-locatore di svolgere nell'immobile attività della propria vita privata).

Cass. pen. n. 5592/2015

In tema di violazione di domicilio, la legittimazione a sporgere querela spetta sia al proprietario che al soggetto avente la materiale disponibilità dell'immobile.

Cass. pen. n. 11746/2012

Nel delitto di violazione di domicilio, l'aggravante della violenza sulle persone presuppone che la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca la fase esecutiva del reato e, pertanto, ricorre anche quando essa non sia usata inizialmente per l'illecita introduzione, ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell'avente diritto.

Cass. pen. n. 27542/2010

Ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 614 c.p. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni. Ne consegue che se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell'altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 2 stesso codice e il reato è procedibile a querela.

Cass. pen. n. 11780/2010

La condotta di colui che penetra nell'abitazione altrui dopo aver infranto il vetro della finestra di un balcone integra il delitto di violazione di domicilio aggravato dalla violenza sulle cose, nel quale rimane assorbito quello di danneggiamento.

Cass. pen. n. 35166/2005

Integra il reato di violazione di domicilio, ai sensi dell'art. all'art. 614, comma primo, c.p., che equipara l'introduzione invito domino a quella realizzata clandestinamente o con inganno, la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, si ritiene implicita la contraria volontà del titolare dello ius excludendi e nessun rilievo svolge la mancanza di clandestinità nell'agente, il quale frequenti o si ritenga autorizzato a frequentare l'abitazione del soggetto passivo; mentre ricorre l'ipotesi di cui all'art. 614, comma secondo, c.p. — che sanziona chi si trattiene nel domicilio altrui contro l'espressa volontà del titolare — nel caso in cui dette intenzioni diventino illecite solo in un momento successivo all'introduzione nell'abitazione altrui.

Cass. pen. n. 43426/2004

L'abitacolo di un'autovettura non può essere considerato privata dimora, in quanto sfornito dei requisiti minimi indispensabili per potersi risiedere in modo stabile per un apprezzabile lasso di tempo, né tanto meno appartenenza di privata dimora, in quanto non collegato in un rapporto funzionale di accessorietà o di servizio con la stessa.

Cass. pen. n. 21062/2004

La violazione del domicilio (art. 614 c.p.) presuppone la sua esistenza reale ed attuale, con l'esercizio di tutte le attività domestiche che godono della tutela della legge penale. L'attualità dell'uso, cui è collegato il diritto alla tutela della libertà individuale, sotto il profilo della libertà domestica, non implica la sua continuità e, pertanto, non viene meno in ragione dell'assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell'avente diritto, la quale, qualora non sia accompagnata da indici rivelatori di un diverso divisamento, non comporta affatto, di per se sola, la volontà di non tornare ad accedere all'abitazione e meno che mai quella di abbandonare definitivamente il domicilio. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto che integrasse il reato di cui all'art. 614 c.p. la condotta dell'imputato che si era introdotto all'interno di una abitazione, contro la volontà del titolare, effettuando opere di demolizione di un muro seguite dall'apertura di una porta, comunicante con il proprio adiacente studio professionale, il tutto in assenza del proprietario per ricovero ospedaliero dovuto a grave malattia, conclusasi con il decesso).

Cass. pen. n. 31982/2003

Ai fini della configurazione del delitto di violazione di domicilio, per “abitazione” si intende il luogo adibito ad uso domestico di una o più persone; non è tale — difettando del requisito dell'attualità dell'uso domestico — l'appartamento non ancora abitato dal proprietario, tanto più se esso contiene mobili ed effetti personali di pertinenza del soggetto imputato.

Cass. pen. n. 8996/2000

L'assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di ragion fattasi si verifica solo quando l'esercizio del preteso diritto si concreta nel semplice ingresso e nella sola permanenza invito domino nella altrui abitazione (o negli altri luoghi indicati dall'art. 614 c.p.), mentre quando l'agente si introduce nei luoghi predetti contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, al fine di asportare cose che egli ritiene aver diritto di prendere, perché di sua proprietà, e la introduzione sia avvenuta con violenza sulle cose o sulle persone, egli infrange sia le disposizioni concernenti la inviolabilità del domicilio, sia quelle che vietano la tutela arbitraria delle proprie ragioni.

Cass. pen. n. 2170/2000

In tema di violazione di domicilio, perché possa ritenersi sussistente la aggravante della violenza sulle cose (che comporta la procedibilità di ufficio), occorre, non solo che l'azione sia esercitata direttamente sulla “res”, ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l'aspetto e/o la funzione. (Nella fattispecie, relativa a delitto tentato, la Corte ha ritenuto insussistente la aggravante nel comportamento dell'imputato, che, secondo quanto dichiarato da un teste, stava “maneggiando” sulla porta dell'appartamento nel quale aveva intenzione di introdursi).

Cass. pen. n. 3541/1999

L'intercettazione di comunicazioni tra presenti richiede l'indicazione dell'ambiente nel quale l'operazione deve avvenire solo quando si tratti di abitazioni o luoghi privati, secondo l'indicazione di cui all'art. 614 del codice penale. In tal senso i locali di uno stabilimento carcerario o, più ancora, la sala colloqui non sono luoghi di privata dimora.

Cass. pen. n. 2257/1999

In tema di violazione di domicilio, l'art. 14 della Costituzione tutela, contro illegittime intrusioni dall'esterno, la inviolabilità del domicilio, inteso come luogo nel quale si estrinseca, in ambito privato, la vita e la personalità del cittadino. Esorbitano tuttavia dal campo di applicazione del suddetto principio tutti gli aspetti che concernono il bene immobile in quanto tale e dunque l'acquisto e la perdita, legittimi, della proprietà, del possesso o della detenzione, specie quando costituiscono oggetto di interventi della autorità giudiziaria o di quella amministrativa. Pertanto, ogniqualvolta sia venuto legittimamente meno il titolo che giustifica la proprietà, il possesso o la detenzione dell'immobile, non può mai invocarsi il diritto alla inviolabilità del domicilio. (Nella fattispecie, la Corte ha escluso la configurabilità del delitto di violazione di domicilio, dedotta dal ricorrente, persona offesa, con riferimento alla occupazione di urgenza di un suo fondo, disposta dalla pubblica amministrazione nell'ambito di un procedimento di espropriazione).

Cass. pen. n. 12751/1998

In tema di violazione di domicilio, rientra nella nozione di «appartenenza» di privata dimora il pianerottolo condominiale antistante la porta di un'abitazione. Commette pertanto il reato in questione, nella sua forma consumata e non di semplice tentativo, chi si introduca, invito domino, all'interno di un edificio condominiale sul pianerottolo e avanti alla soglia dell'abitazione di uno dei condomini, avente, come gli altri, diritto di escludere l'intruso.

Cass. pen. n. 1831/1998

Ai fini della individuazione delle condizioni e dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, rientrano nel concetto di privata dimora tutti quei luoghi che, oltre all'abitazione, assolvano alla funzione di proteggere la vita privata e che siano perciò destinati al riposo, all'alimentazione, alle occupazioni professionali e all'attività di svago, tra cui va ricompreso l'abitacolo di una autovettura adibita, di regola, ai trasferimenti da e per il luogo di lavoro e di svago. È pertanto legittima l'intercettazione di colloqui tra presenti che si svolgono all'interno di un'autovettura quando esista il fondato sospetto, da intendersi come prognosi da formulare con giudizio ex ante all'atto della emanazione del provvedimento di autorizzazione, giacché in tal caso l'interesse all'inviolabilità del domicilio trova il limite della tutela di interessi generali, anch'essi costituzionalmente garantiti, ravvisabili nell'esigenza di esercitare l'azione penale che, ex art. 112 Cost., è obbligatoria.

Cass. pen. n. 879/1997

Deve ritenersi pienamente configurabile il reato di violazione di domicilio, nel caso di abusiva introduzione (o abusiva permanenza) nei locali dello studio di un libero professionista il quale eserciti compiti che si inseriscono in un'attività procedimentale di rilevanza pubblicistica; ed invero, l'esercizio di tali compiti, da parte del libero professionista, non comporta la perdita della qualità di luogo non aperto indiscriminatamente al pubblico del suo studio professionale e non priva il professionista stesso del diritto di escludere dall'ingresso dei propri locali - o di invitare ad allontanarsene - le persone che ritenga di non ammettere, per qualunque motivo non contrario alla legge.

Cass. pen. n. 864/1996

Nella violazione di domicilio, il diritto di querela spetta non solo al proprietario dell'immobile, ma anche a chi, avendone la disponibilità, subisce, con l'introduzione invito domino di altro soggetto, una lesione del diritto di libertà domestica spettantegli in tale sua qualità.

Cass. pen. n. 11277/1994

Ai fini della configurabilità del delitto di violazione di domicilio, la casa da gioco (casinò) gestita in regime privatistico va considerata alla stregua di locale aperto al pubblico per lo svolgimento di attività di natura privata, come bar, negozi ed altri consimili, rispetto ai quali sussiste lo ius excludendi del titolare dell'esercizio, e rientra pertanto nella tutela della norma dell'art. 614 c.p. (Fattispecie nella quale l'imputato si era opposto all'invito di allontanarsi dai locali di accesso al casinò di Saint Vincent rivoltogli dai preposti alla sorveglianza, allo scopo di impedirgli di esercitare l'attività di «prestasoldi» ai giocatori in difficoltà).

Cass. pen. n. 6844/1994

Risponde del reato di violazione di domicilio, chi si introduca o si intrattenga in un esercizio commerciale per minacciare o aggredire o comunque per uno scopo illecito del tutto opposto a quello di usufruire dei servizi offerti dal locale, ritenendosi implicita la contraria volontà del titolare dello ius prohibendi.

Cass. pen. n. 33/1991

Nel caso in cui in ordine al reato di violazione di domicilio risulti contestata anche l'aggravante della violenza alle persone - nella specie gli imputati, oltre a sfondare la porta con l'ascia, percossero anche il titolare dello jus prohibendi - la ritenuta sussistenza della attenuante del danno risarcito, di cui all'art. 62 n. 6 c.p., non può indurre alla applicazione dell'amnistia di cui ai D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 e 12 aprile 1990, n. 75. Infatti, il reato di violazione di domicilio non può considerarsi reato contro il patrimonio, bensì reato contro la libertà individuale della persona e più specificamente contro la inviolabilità del domicilio: nel caso di sussistenza anche dell'aggravante della violenza alle cose, il reato non si trasforma in delitto contro il patrimonio, poiché offeso è sempre il bene giuridico della libertà individuale della persona e il danno al patrimonio è solo una mera ed eventuale conseguenza dell'azione delittuosa e ancor prima solo mezzo per la commissione del delitto, mezzo che non viene ad alterare e a modificare l'obiettività giuridica del reato in questione.

Cass. pen. n. 794/1990

Le appartenenze, di cui al primo comma dell'art. 614 c.p., sono costituite dai luoghi accessori a quelli di privata dimora, destinati al loro servizio od al loro migliore godimento. Vi rientra, pertanto, un box in costruzione su terreno costituente esso stesso, per essere situato nell'ambito di giardino recintato, appartenenza della privata dimora della persona offesa.

Cass. pen. n. 16303/1989

L'assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di ragion fattasi si verifica soltanto quando l'esercizio del preteso diritto si concreta o consiste nel solo ingresso e nella sola permanenza nell'altrui casa, invito domino. Quando invece taluno si sia introdotto nella casa altrui contro la volontà del titolare del diritto di esclusione per asportare cose che egli ritiene di aver diritto di asportare perché di sua proprietà e l'introduzione nella casa altrui sia avvenuta con violenza sulle cose o alle persone, il soggetto agente viola un duplice ordine di disposizioni e cioè quelle concernenti l'inviolabilità del domicilio e quelle che vietano la tutela arbitraria delle proprie ragioni.

Cass. pen. n. 15575/1989

In tema di violazione di domicilio, il solo uso di una pistola - giocattolo — qualora si accerti che il fatto non sia stato commesso anche con violenza sulle cose o alle persone — non è sufficiente ad integrare l'aggravante prevista dall'ultima parte dell'art. 615 c.p., la quale richiede il possesso di un'arma effettiva e non solo apparente. (In applicazione di tale principio nella fattispecie è stata annullata la sentenza del giudice di merito poiché l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela).

Cass. pen. n. 13316/1989

Tra il delitto di atti osceni in luogo aperto al pubblico e quello di violazione di domicilio, e cioè di luogo privato, non sussiste incompatibilità logica, dato che i luoghi aperti o esposti al pubblico sono di norma luoghi privati, tra i quali possono essere annoverati quelli di domicilio; invero, deve considerarsi luogo aperto al pubblico anche un ambiente privato, l'accesso al quale sia escluso alla generalità delle persone, ma consentita a una determinata categoria di aventi diritto. (Fattispecie di atti osceni commessi in una autorimessa condominiale annessa e sottostante ad abitazioni private, di libero accesso solo agli occupanti gli appartamenti).

Cass. pen. n. 5396/1989

La violenza sulle cose, quale circostanza aggravante del reato di violazione di domicilio e sulla base dell'indicazione legislativa contenuta nell'art. 392 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose), può consistere anche nel semplice danneggiamento della cosa. (Fattispecie relativa a ritenuta sussistenza dell'aggravante per danneggiamento di porta di abitazione a seguito di pressione per forzarne l'apertura).

Cass. pen. n. 7089/1988

Il delitto di violazione di domicilio è assorbito nell'aggravante del furto ex art. 625 n. 1 c.p., ma non nel delitto di rapina, in cui il furto, che entra nella composizione complessa di detto reato, non è qualificato da alcuna aggravante.

Cass. pen. n. 6401/1988

L'elemento psicologico del reato di cui all'art. 614 c.p. consiste nel dolo generico, cioè nella coscienza e volontà dell'agente di introdursi nell'altrui abitazione contro la volontà di colui che è titolare del diritto di esclusione restandone estraneo, e quindi irrilevante, il fine prepostosi dall'agente (nella specie: intendimento di parlare col coniuge separato e con i figli).

Cass. pen. n. 7864/1987

Per effetto del nuovo principio della parità dei coniugi, la titolarità del domicilio e dello ius prohibendi appartiene indivisibilmente ad entrambi i coniugi e, conseguentemente, perché tale diritto sia legittimamente esercitato, occorre il consenso di entrambi, e, poiché il bene giuridico tutelato è la domus, e non la famiglia nei suoi singoli componenti, commette il reato di violazione di domicilio colui che si introduce nella casa coniugale altrui, durante l'assenza del marito, al fine di avere rapporti carnali con la moglie, dovendosi ritenere che l'introduzione sia avvenuta contro la volontà del marito stesso.

Cass. pen. n. 6962/1987

L'androne di uno stabile integra il concetto di appartenenza e ad esso si estende la tutela prevista dalla legge per la violazione di domicilio

Cass. pen. n. 2049/1987

È luogo tutelato dall'art. 614 c.p. anche la casa nella quale una persona si prostituisce, poiché non cessa di essere una privata dimora, tanto più in quanto, abolita la regolamentazione della prostituzione, il solo esercizio di essa costituisce un'attività lecita anche se moralmente riprovevole.

Cass. pen. n. 14423/1986

Il termine «palesemente armato», di cui all'ultimo comma dell'art. 614 c.p., deve essere inteso nel senso che le armi siano portate in maniera palese dagli autori della violazione di domicilio, a prescindere dalla percezione o meno delle stesse da parte della persona offesa.

Cass. pen. n. 13941/1986

Ai fini della configurabilità dell'ipotesi aggravata della violazione di domicilio commessa con violenza sulle cose, di cui all'ultimo comma dell'art. 614 c.p., la sussistenza della materialità di tale violenza non deve essere rapportata alla resistenza più o meno intensa che opponga la cosa contro cui viene esercitata o alla precedente integrità di essa, bastando che la violenza sia idonea a rimuovere l'ostacolo che la cosa frapponga all'attuazione dell'azione delittuosa.

Cass. pen. n. 1309/1986

L'elemento psicologico del reato di violazione di domicilio si concreta nella coscienza e volontà dell'agente di introdursi e trattenersi nell'altrui abitazione contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, a nulla rilevando il motivo dell'introduzione. Ne consegue che risponde del reato in esame l'imputato che si introduca nella casa della moglie, dalla quale vive separato, senza il suo consenso, per vedere la figlia che era stata affidata alla moglie medesima.

Cass. pen. n. 10745/1985

Lo stabilimento industriale deve ritenersi privata dimora, ai fini del reato di violazione di domicilio perché è il luogo dove l'imprenditore svolge la sua attività lavorativa e dove pertanto ha il diritto di disporre dei locali tutti dell'impresa, non essendo tale diritto escluso dalle limitazioni introdotte dallo Statuto dei lavoratori, e di escludervi le persone a lui non accette.

Cass. pen. n. 4992/1985

Il reato di violazione di domicilio non resta assorbito, ai sensi dell'art. 84 c.p., in quello di rapina impropria, in quanto non può considerarsi né elemento costitutivo né circostanza aggravante della rapina. (Nella specie è stato ritenuto correttamente applicato il concorso dei due delitti).

Cass. pen. n. 410/1985

Ai fini della configurazione del reato di violazione di domicilio, il concetto di privata dimora è più ampio di quello di casa d'abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di un'attività personale rientrante nella larga accezione di libertà domestica. (Nella specie: casa colonica o «casale» su fondo coltivato, utilizzata dal possessore per uso domestico, anche saltuariamente, in relazione alla cura di animali o alla coltivazione stagionale del fondo).

Cass. pen. n. 4879/1984

L'ospitalità dà luogo ad un rapporto del tutto precario che può in qualsiasi momento esser fatto cessare dal titolare dell'abitazione. Pertanto essa non può realizzare a favore dell'ospite una situazione di diritto tutelabile sul piano giuridico. Ne deriva che il soggetto ospitato non ha alcuna legittimazione a mantenere, contro la volontà del titolare dello ius prohibendi, il precario stato di domicilio provvisoriamente assicuratogli in precedenza.

Cass. pen. n. 10531/1983

I pubblici esercizi sono da ritenersi privata dimora, ai fini dell'art. 614 c.p., non solo quando sono aperti al pubblico, ma anche quando, cessato l'orario di apertura, il proprietario si trattenga all'interno per compiere determinate attività (di pulizia, di sistemazione della merce e simili).

La facoltà di accesso da parte del pubblico a locali come le osterie, i bar, i negozi e altri locali aperti al pubblico, non fa venir meno nel titolare, anche per le responsabilità connesse alla conduzione dell'esercizio, il diritto di escludere singoli individui non autorizzati ad entrarvi o a rimanervi o che comunque si siano introdotti per fini non leciti o non allo scopo di usufruire dei servizi offerti. Risponde, pertanto, di violazione di domicilio chi si introduca in un negozio per minacciare e aggredire e, quindi, per uno scopo non solo illecito, ma del tutto opposto a quello concernente la facoltà di usufruire del servizio di vendita.

Cass. pen. n. 8490/1983

L'esclusione della circostanza aggravante, la cui esistenza determina la procedibilità d'ufficio, non fa venire meno la procedibilità stessa, poiché l'aggravante, pur non potendo influire sulla misura della pena, conserva ogni altro suo effetto ai fini della configurazione del reato. (Fattispecie in tema di violazione di domicilio aggravata dalla violenza alla persona).

Cass. pen. n. 4751/1983

L'attenuante di aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità non è applicabile al delitto di violazione di domicilio poiché tale reato offende non già il patrimonio, bensì l'inviolabilità del domicilio.

Cass. pen. n. 4107/1983

L'aggravante di cui all'ultimo comma dell'art. 614 c.p. si configura anche se colui che commette la violazione di domicilio è in possesso di un'arma impropria (nella specie: un martello).

Cass. pen. n. 335/1983

Agli effetti del delitto di violazione di domicilio, il diritto di esclusione dall'abitazione può essere fatto valere anche contro il proprietario. (Nella specie: introduzione del marito nella casa coniugale di proprietà comune assegnata alla moglie consensualmente separata).

Cass. pen. n. 11229/1982

Ricorre l'ipotesi dell'introduzione nel domicilio altrui contro la volontà tacita del titolare dello ius prohibendi nel caso di chi si introduca nell'abitazione per un fine illecito, a nulla rilevando la mancanza di clandestinità nell'agente, che frequenti o che debba ritenersi autorizzato a frequentare la casa del titolare di essa per relazioni di parentela, amicizia, affari.

Cass. pen. n. 10601/1982

Poiché la tutela predisposta dall'art. 614 c.p. riguarda chiunque risieda legittimamente in un'abitazione o in altro luogo ad essa equiparabile, qualunque ne sia il titolo (di proprietà, di usufrutto, di abitazione, ecc.), e poiché il diritto all'inviolabilità del domicilio può essere fatto valere anche nei confronti del proprietario o del conduttore dell'immobile, commette violazione di domicilio il proprietario che, avendo ceduto ad altri il proprio alloggio sia pure a titolo precario, vi si introduca contro la volontà del titolare dopo aver scardinato la porta.

Cass. pen. n. 9483/1982

Ai fini dell'aggravante prevista dall'art. 614 ultimo comma c.p. non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico fra le due azioni. Pertanto, se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell'abitazione altrui ma per commettere altro reato, la violazione di domicilio concorre con l'altro reato ed è aggravata non a norma dell'art. 614 bensì ex art. 61 n. 2 c.p.

Cass. pen. n. 9089/1982

L'introduzione violenta nella parte del salone di una banca, delimitata dal bancone di lavoro e dagli sportelli, ove gli impiegati svolgono il loro lavoro costituisce violazione di domicilio poiché la detta zona, essendo destinata allo svolgimento di un'attività privata, è luogo di privata dimora.

Cass. pen. n. 8574/1982

Quando il domicilio è comune a più persone (ad es. membri di una comunità familiare) all'inviolabilità del domicilio hanno diritto tutti i conviventi; perciò il dissenso, espresso o tacito, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all'introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio. L'introduzione nell'abitazione altrui, in ora notturna, con il consenso della figlia maggiorenne, di persona certamente non gradita (ad es. perché coniugata), con modi inequivocabilmente intesi a non palesarne la presenza, deve ritenersi operata contro la volontà degli altri familiari e quindi integra il delitto di violazione di domicilio.

Cass. pen. n. 1067/1982

Il semplice danneggiamento di una porta per aprirla e trattenersi sulla soglia dell'abitazione, è idoneo ad integrare la violenza prevista dall'art. 392, cpv., c.p., e quindi l'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 614 c.p., per la cui sussistenza è sufficiente che la violenza sia posta in essere in uno qualsiasi dei momenti nei quali si estrinseca e si fraziona la fase esecutiva del reato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 614 Codice Penale

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L. B. chiede
venerdì 27/01/2023 - Puglia
“gentilissimi,
può un medico psichiatra effettuare visite a domicilio senza il consenso del paziente seppur seguito dal centro di salute mentale?
può il medico entrare nell'abitazione senza il consenso dell'inquilino e violare oltre che la privacy anche il 614 o 615 del cp? Può il medico psichiatra attivarsi senza il suggerimento del medico di base del paziente?
spero di essere stato chiaro.

Consulenza legale i 02/02/2023
Per fornire una completa risoluzione alla questione occorre fare diverse premesse, in ordine a tutti gli elementi delle norme prospettate, l’art. 614 del c.p. e l’art. 615 del c.p.; ciò in quanto bisogna distinguere il medico “privato” da quello che lavora in un ospedale o un centro pubblico.
Andiamo con ordine, partendo dall’art. 614 del c.p..
La condotta penalmente rilevante consiste, alternativamente, nella introduzione nell'abitazione altrui, in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa, oppure nel trattenimento nei predetti luoghi, oppure in modo clandestino o con l’inganno. Ai fini della configurazione del reato sono necessarie:
  • la volontà, da parte della vittima, di escludere il soggetto agente dalla propria sfera privata, cioè il dissenso all’intromissione o al trattenimento attuato dal reo e tale dissenso può essere manifestato espressamente o tacitamente.
  • la coscienza e volontà da parte del soggetto agente di introdursi o trattenersi nei luoghi di privata dimora nonché di agire contro la volontà della vittima.
L’art. 614 c.p. punisce il privato cittadino che integri i comportamenti sopra descritti, mentre se la violazione di domicilio è commessa da un pubblico ufficiale è punita dall’art. 615 c.p.
Quest’ultimo prevede una pena per il pubblico ufficiale che, volontariamente, si introduca o si trattenga nell’abitazione altrui, in un luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze, nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni. Il reato in esame è un cd. reato “proprio”, che può cioè essere commesso solo da persone che possiedono una determinata qualifica, in questo caso la qualifica di pubblico ufficiale.

Dunque, qualora si consideri il medico psichiatra come privato cittadino, bisogna fare riferimento all’art. 614 c.p., mentre qualora lo si consideri come pubblico ufficiale bisogna fare riferimento all’art. 615 c.p.

Secondo la definizione fornita dall'art. 357 del c.p.. pubblico ufficiale è chi esercita una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria con o senza rapporto di impiego con lo Stato, temporaneamente o permanentemente. Ciò che rileva è il fatto obiettivo di esercitare una pubblica funzione. Difatti, anche il funzionario di fatto (ossia colui che eserciti funzioni pubbliche senza alcuna investitura) - qualora agisca con il benestare della pubblica amministrazione - è qualificabile come pubblico ufficiale.
In campo medico possono qualificarsi come pubblico ufficiale ad esempio:
  • il direttore sanitario di un ospedale pubblico, al quale per l’organizzazione dell’istituto è riservata una serie di poteri di autorità e di direzione;
  • i medici ospedalieri in quanto, indipendentemente dal ruolo ricoperto, cumulano mansioni di carattere diagnostico e terapeutico con l’esercizio di un’attività autoritaria che impegna l’ente;
  • il medico di famiglia che presta la sua opera a favore di un soggetto assistito dal Servizio sanitario nazionale il quale compie un’attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e concorre a formare e a manifestare la volontà della Pubblica amministrazione.
  • il medico che presta la sua opera presso una casa di cura privata convenzionata con il Servizio sanitario nazionale.
I medici che lavorano esclusivamente nel privato devono essere qualificati invece esercenti un servizio di pubblica necessità.
Fatte queste premesse, passiamo al paziente.

Il diritto all’autodeterminazione del paziente è il diritto di poter decidere liberamente del proprio corpo ed è espressione del diritto fondamentale sancito nella Costituzione della libertà personale. Difatti all'articolo 32 è così previsto: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per poter esercitare il diritto all’autodeterminazione, devono essere soddisfatte due condizioni:
  • la persona deve essere stata informata a fondo per poter dare il suo consenso a un determinato provvedimento
  • la persona essere capace di discernimento, ossia in grado di comprendere quanto riferito e consigliato dal medico di prendere una decisione.
Se queste due condizioni sono date, il diritto all’autodeterminazione vige senza limiti. Se è incapace di discernimento, il paziente non può dare il consenso a un trattamento medico. In questo caso, al suo posto devono farlo altre persone.

Il contratto di assistenza sanitaria, stipulato con un paziente psichiatrico, obbliga il medico e la struttura a porre in essere tutte le prestazioni finalizzate alla cura del paziente sottoposto a trattamento. Non è necessario il suggerimento del medico di base. Qualora il paziente non sia in grado di fornire un valido consenso alle cure c’è il rischio che venga posta una violazione dei diritti personali che potrebbe esporre il medico, oltre al reato di violazione di domicilio, anche al reato di violenza privata, disciplinato dall’art. 610 del c.p. e di sequestro di persona disciplinato dall'art. 630 del c.p..
Tali fattispecie di reato, però, prevedono come elemento soggettivo il dolo, ovvero l’intenzione e la volontà di agire senza scopo curativo, pertanto sono difficilmente configurabili nella realtà clinica.
Inoltre, soccorrerebbe la scriminante dello stato di necessità, disciplinato dall’art. 54 del c.p. che così statuisce “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
Perché possa applicarsi tale scriminante in capo alla condotta del medico devono concorrere tre requisiti:
  • il pericolo attuale di un grave danno alla persona,
  • l’impossibilità di salvare sé o altri mediante l’utilizzo di altri strumenti ugualmente idonei
  • la proporzionalità della condotta rispetto al pericolo.
La condotta del medico deve essere la conseguenza e la risposta ad un concreto pericolo attuale, pertanto lo stesso non potrà beneficiare della suddetta scriminante qualora agisca per mera precauzione.

In conclusione, il medico psichiatra può rispondere dei reati sopradescritti qualora non agisca per scopi medici e sia appurato che il paziente sia in grado di intendere e di volere. Qualora il paziente non fosse in grado di intendere e di volere e il medico ponga in essere condotte ricollegabili ai reati sopradescritti, questi sarebbero scriminati solo se il medico abbia agito per necessità di salvaguardare l’integrità fisica del paziente che si trova in uno stato di transitoria incapacità di intendere e di volere e che non gli consente di rendersi conto della pericolosità dei propri gesti, per sé e per gli altri.


F. F. chiede
venerdì 04/11/2022 - Marche
“Buongiorno,
vi volevo chiedere se il fatto che un funzionario della provincia entri senza permesso in un terreno privato per fare un’ispezione ambientale e scattare foto può essere considerato violazione di domicilio, quindi passibile di denuncia. Preciso che nel terreno era tutto regolare, ma il funzionario ha scattato le foto a mia insaputa e senza avvisarmi.

Grazie in anticipo e cordiali saluti”
Consulenza legale i 14/11/2022
Per fornire una completa risoluzione alla questione occorre fare diverse premesse, in ordine a tutti gli elementi della fattispecie prospettata.
Per prima cosa è opportuno inquadrare correttamente il reato di violazione di domicilio, previsto dall’art. 614 del c.p., che tutela la duplice facoltà di esclusione o di ammissione dalla propria sfera privata.
Commette il reato chi si introduce nell'abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa e chi si trattiene nei predetti luoghi; tali comportamenti devono essere eseguiti contro la volontà altrui oppure in modo clandestino o con l’inganno.
La persona offesa, cioè il titolare del bene o dell'interesse che la norma giuridica tutela e che è leso dal comportamento costituente reato, può essere qualsiasi persona titolare del c.d. jus excludendi; quest’ultimo è chi ha la facoltà di opporsi ad ogni intromissione da parte di estranei relativamente al bene oggetto del proprio diritti, ciò in forza di qualsiasi legittimo titolo di godimento, ma anche in forza di una situazione di fatto tutelata dall'ordinamento giuridico.
Imprescindibile per la configurazione del reato è il fatto che chi compie la condotta penalmente rilevante agisca contro la manifestazione contraria del titolare dello jus excludendi; difatti, chi subisce l’intromissione deve avere volontà di escludere il soggetto agente dalla propria sfera privata; è necessario, dunque, il dissenso all’intromissione o al trattenimento. Tale dissenso può essere manifestato espressamente o tacitamente, con la precisazione che, qualora il comportamento dell’autore del reato sia finalizzato ad uno scopo illecito, il dissenso è presunto.
Dall’altro lato, invece, il soggetto che si intromette o si trattiene nei luoghi di privata dimora altrui, oltre ad avere coscienza e volontà di introdursi o trattenersi nei luoghi di privata dimora, deve essere consapevole di agire contro la volontà del titolare dello jus excludendi.
Affinché vi sia reato, l’intromissione o il trattenimento devono avvenire in un luogo che sia legittimamente e attualmente adibito allo svolgimento della vita domestica, che dunque non sia abbandonato o disabitato.
Il luogo del fatto può, però, essere costituito anche da luoghi cui una persona svolga un’attività diversa da quella che caratterizza un’abitazione - come nel caso di attività commerciale - e altresì dalle appartenenze di tali luoghi; ciò in virtù anche dell’estensione del concetto di “privata dimora” operata dalla giurisprudenza di legittimità, fermo restando che non possono essere considerati luoghi di privata dimora quelli ai quali chiunque possa accedere senza necessità di preventivo consenso da parte dell'avente diritto (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10498 del 8 marzo 2018).
Nel caso in oggetto, l’elemento dirimente per la questione è la qualificazione giuridica del soggetto si trattiene o si intromette in luoghi di privata dimora altrui.

L’art. 614 c.p punisce infatti il privato cittadino che integri i comportamenti sopra descritti. La violazione di domicilio commessa da un Pubblico Ufficiale è punita, invece, dall’art. 615 del c.p., il quale prevende una pena per il Pubblico Ufficiale che, volontariamente, si introduca si trattenga nell’abitazione altrui, in un luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze, nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni.
Innanzitutto, il reato di violazione di domicilio commessa da un Pubblico Ufficiale (art. 615) è di un reato proprio, cioè compreso in quella particolare categoria di reati che possono essere commessi soltanto da un soggetto che riveste una determinata qualifica soggettiva, condizione, status, posizione, qualità personale che lo pone in un particolare rapporto con l'interesse protetto dalla norma violata.


Per tale ragione occorre comprendere se il Funzionario Provinciale possa essere considerato Pubblico Ufficiale.
Secondo la definizione fornita dall'art. 357 del c.p. Pubblico Ufficiale è chi esercita una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria con o senza rapporto di impiego con lo Stato, temporaneamente o permanentemente. Anche il funzionario di fatto (ossia colui che eserciti funzioni pubbliche senza alcuna investitura) - qualora agisca con il benestare della pubblica amministrazione- è qualificabile come Pubblico Ufficiale, in quanto ciò che importa è il fatto obiettivo di esercitare una pubblica funzione.
Non è necessario che il soggetto sia assunto in una P.A., potendo rivestire la qualità di Pubblico Ufficiale anche un dipendente di privati; fondamentali sono dunque l'esercizio della funzione e la destinazione pubblicistica dell'attività.
L’elemento che caratterizza il Pubblico Ufficiale è l’esercizio di una funzione pubblica, intesa come ogni attività che realizza i fini propri dello Stato. Tale attività comporta l’esercizio di:
- poteri deliberativi, che si sostanziano nella manifestazione all'esterno della volontà della P.A.;
- poteri autoritativi, attraverso i quali la P.A. porta a termine i propri fini istituzionali, tramite il c.d.
potere d'imperio;
- poteri certificativi, i quali certificano, attestano, documentano fatti e valutazioni al fine di garantire
la sicurezza dei traffici giuridici.
La nozione in esame va distinta da quella dell'incaricato di pubblico servizio (art. 358 del c.p.); la sostanziale differenza è che l’incaricato di pubblico servizio non ha poteri deliberativi, autoritativi e certificativi, anche se comunque non è deputato al solo allo svolgimento di semplici mansioni d'ordine e di prestazioni d’opera meramente materiali.
Il Pubblico Ufficiale va distinto anche dall’esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 del c.p.): soggetti, questi, che svolgono attività, diretta a soddisfare un bisogno o un interesse pubblico e per il cui esercizio è necessario il controllo da parte dello Stato attraverso rilascio dell'abilitazione o della dichiarazione di pubblica necessità. Anche il soggetto esercente un servizio di pubblica necessità non ha poteri deliberativi, autoritativi e certificativi, ed è richiesto un minimo di potere discrezionale, per cui l’attività svolta non riguarda solo mera esecuzione di ordini o istruzioni altrui.
Per queste ultime due categorie, non si può applicare l’art. 615 c.p.
Ad oggi la dottrina pubblicistica non ha fornito una nozione univoca di pubblica funzione e vi è in concreto,
in dottrina e giurisprudenza, incertezza circa l’esatta definizione in astratto del Pubblico Ufficiale.
Occorre, nel nostro caso, verificare le mansioni svolte e se l’ente locale di riferimento ha emanato direttive in merito.
Bisognerà dunque verificare i reali poteri assegnati dalle fonti di diritto (leggi, anche regionali, regolamenti o altre fonti secondarie), in quanto la qualifica di Pubblico Ufficiale è collegata non tanto al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la p.a., ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata ed oggettivamente considerata (Cass. n. 6980/1994).

La Provincia è un Ente pubblico territoriale autarchico, intermedio tra Comune e Regione, costituito da un insieme di comuni limitrofi, dotato di autonomia amministrativa e contabile; ai sensi dell'art. 114 Cost., le Province - così come i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni – sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Ai fini dell'esercizio delle proprie funzioni le Province poi possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, di organismi pubblici, con specifiche competenze tecniche; pertanto un funzionario adibito a verifiche e ispezioni ambientali potrebbe essere qualificato come Pubblico Ufficiale.
Altra questione da affrontare riguarda un aspetto particolare della condotta dell’autore del reato: l’intromissione o il trattenimento compiuti dal Pubblico Ufficiale devono essere posti in essere abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni.


Affinché sussista tale abuso è necessario che il pubblico ufficiale sia legalmente investito delle sue funzioni ed, esercitandole, ecceda nei poteri conferitigli dalla legge, prevaricandoli.
Nel caso in cui il Pubblico Ufficiale debba svolgere un’attività discrezionale, per accertare dell’eventuale abuso di potere occorre tener conto dell’atteggiamento tenuto in relazione alle circostanze del caso concreto.
Essenziale è la consapevolezza dell’abuso dei poteri, ciò in quanto è proprio grazie a tale abuso che viene commesso il reato. L’utilizzo distorto dei poteri legati alla propria funzione facilita il Pubblico Ufficiale nel commettere il reato di la violazione di domicilio.
La Giurisprudenza insegna come si ha abuso di potere tutte le volte che il pubblico ufficiale ecceda dai limiti della sua competenza, non osservi le norme giuridiche che regolano obbligatoriamente l’attività funzionale a lui attribuita; e infine quando, nell’esercizio dei poteri discrezionali, l’atto è compiuto, violando le condizioni poste dalla legge, per uno scopo diverso da quello per il quale la legge attribuisce al pubblico ufficiale il potere di compierle (Cassazione penale sez. VI, 15/09/1976) e che l’abuso di poteri inerenti alle funzioni – che qualifica la condotta del delitto di cui all’art. 615 c.p. si può realizzare per effetto di qualsiasi abuso, come l’usurpazione, lo sviamento, il perseguimento di una finalità diversa, l’inosservanza di leggi, regolamenti o istruzioni, ecc., indipendentemente dall’ingiustizia o meno degli scopi perseguiti dall’agente (Cassazione penale sez. VI, 30/01/2013, n.34489 - Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 5088 del 19 maggio 1993).

In conclusione, individuando il funzionario della Provincia quale Pubblico Ufficiale, nel caso in esame potrebbe configurarsi il reato di cui all’art. 615 c.p., fattispecie procedibile d’ufficio.
Potrebbe essere applicabile anche il comma 2, il quale prevede una pena più lieve nel caso in cui la condotta di intromissione o trattenimento in luoghi di privata dimora altrui sia tenuta senza osservare le formalità prescritte dalla legge.
Tale ipotesi si verifica quando nell’intromettersi o trattenersi in luoghi di privata dimora altrui, il Pubblico Ufficiale non segue forme procedurali prescritte dalla legge, che invece sono poste proprio per regolare la sua attività del Pubblico Ufficiale e al fine di garantire la libertà individuale.
Anche tale condotta è ravvisabile nel comportamento tenuto dal Funzionario Provinciale, nel caso in cui fosse prescritto che prima di effettuare le ispezioni avrebbe dovuto rispettare determinate procedure.
A tal proposito, è necessario approfondire di che tipo di ispezione ambientale si sia trattato e con quali finalità.
Qualora si voglia procedere contro chi ha commesso il fatto è necessario, entro 3 mesi dal giorno in cui si ha notizia del fatto che costituisce il reato, presentare querela.

Occorre una precisazione: il comportamento del Funzionario Provinciale potrebbe dunque essere riferito a più norme del codice penale che si integrano le une con le altre, partendo sempre dalla violazione di domicilio (art. 614 cp).
Difatti nella maggioranza dei casi, vista anche la scarsità della giurisprudenza sul punto, si tende a ritenere che la violazione di domicilio commessa con abuso di funzioni pubbliche sia punita in base al combinato disposto degli artt. 614 e art. 347 del c.p. ovvero 614 e art. 323 del c.p..
Nel primo caso- astrattamente configurabile nella questione prospettata - trattasi del reato di violazione di domicilio unitamente al reato di usurpazione di funzioni pubbliche.
Quest’ultimo si realizza esercitando indebitamente funzioni pubbliche senza che vi sia stata una formale investitura e attraverso l'esercizio dei relativi poteri per un proprio scopo, in contrasto con quello della pubblica amministrazione.
Chi agisce deve consapevole dell'illegittimità del suo comportamento.
Per il compimento del reato non è necessaria alcuna qualifica, potendo essere compiuto da chiunque e dunque può essere realizzato anche dal Pubblico Ufficiale che si attribuisca funzioni che non gli spettano.
Nel secondo caso - più difficilmente riscontrabile nella questione prospettata - si tratta del reato di violazione di domicilio unitamente al reato di abuso d’ufficio.


Tale ultimo reato si realizza allorquando un Pubblico Ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, attraverso determinati comportamenti tipizzati dal legislatore all’art. 323 c.p., intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Il reato può essere commesso solo da un Pubblico Ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio ed è necessario che comporti l’effettiva produzione di un ingiusto vantaggio patrimoniale all’autore o di un danno ingiusto ad altri (elementi che non sembrano esserci nella questione prospettata).
Un discorso a parte meriterebbe il potere ispettivo riconosciuto da singole leggi speciali nell’ambito dell’accertamento di illeciti amministrativi, tuttavia occorrerebbe approfondire il caso concreto prospettato.

Per quanto riguarda infine le fotografie scattate dal funzionario, bisognerebbe approfondire che cosa effettivamente lo stesso abbia fotografato e se nelle immagini sia presente anche il proprietario del terreno privato o altri soggetti.
È opportuno, però, precisare che videoregistrazioni, filmati e fotografie, quando non invadano la vita privata della persona, sono assolutamente legali. Ciò che è pubblico (come la facciata di un’abitazione, un parco, un terreno) può essere oggetto di riprese fotografiche e filmati.

Alessandra P. chiede
lunedì 08/03/2021 - Sardegna
“Salve, sono cointestataria di un contratto di locazione ad uso abitativo con un'altra persona. Il contratto è unico e in solido senza spazi personali assegnati o decisi. Quindi siamo in solido responsabili dell'intero appartamento.
Da svariati mesi l'altro conduttore ospita assiduamente (praticamente vive nella casa) il suo partner, io ho fatto presente il mio dissenso a questa convivenza a tre in quanto ho deciso di prendere in affitto questo appartamento proprio perché saremo stati solo in due (senza escludere però chiaramente ospitate occasionali).
Per tutta risposta mi è stato detto che loro fanno quello che vogliono e l'ospite sta lì tutto il tempo che vuole. Il suddetto ospite non contribuisce nemmeno alle spese delle utenze che gravano su di me. Ma il disagio più grande per me è la condivisione degli spazi e locali con questa persona che io non accetto in casa, ritrovandomi ad essere io ospite a casa mia.
Essendo io co-conduttore dell'immobile posso avvalermi del diritto dello jus excludendi?
So che lui non compie violazione di domicilio nell'introdursi perché ha il consenso dell'altro conduttore ma una volta introdottosi io posso invitarlo ad andar via e se permanesse (con il bene stare di chi lo ospita) contro la mia volontà si configurerebbe una violazione di domicilio?
In altre parole il consenso di un conduttore può essere neutralizzato dal dissenso di un altro conduttore.
Da precisare anche che l'ospite non ha necessità di essere ospitato in quanto non ha problemi economici che gli impedirebbero di affittare un appartamento o una stanza senza dover stare gratis a casa degli altri.”
Consulenza legale i 09/03/2021
Esaminata la copia del contratto di locazione ed in risposta alle domande contenute nel quesito si osserva quanto segue.
In primo luogo, il contratto non prevede delle parti di immobile esclusive per uno soltanto dei conduttori. Si presuppone quindi che entrambi possano usufruire liberamente ed in egual modo dell’intero appartamento.
In secondo luogo, l’art.4 del contratto vieta soltanto la sublocazione e il contratto di comodato.
Non vi è alcuna clausola circa il divieto di eventuali “ospiti”. Tra l’altro, per interpretazione costante della Suprema Corte, una clausola del genere che vietasse di ospitare persone sarebbe anche nulla: si veda a tal proposito la sentenza n.14343/2009 secondo cui tali tipo di divieti “confliggono proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà e possono altresì confliggere con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti amicizia.”

Ciò posto, sotto il profilo civilistico, un eventuale inadempimento contrattuale di uno dei conduttori (che peraltro nel caso di specie non si ravvisa) potrebbe essere eccepito soltanto dal locatore.
Da parte Sua, tuttavia, visto che tale ospite utilizza assiduamente l’appartamento riteniamo che potrebbe essere legittimamente richiesto al co-conduttore il pagamento di due terzi del canone anziché della metà, oltre ad una analoga ripartizione delle spese visto che l’ospite usufruisce di tutti i servizi.
Laddove tali richieste non sortiscano però effetto e la situazione sia insostenibile, riteniamo che l’unica soluzione sarebbe quella di un recesso ai sensi dell’art. 2 del contratto potendo costituire ciò un grave motivo per il conduttore (art. 27 Legge 392/78).
Come ha osservato la Suprema Corte sul punto: “i gravi motivi che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 4 e 27, devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione” (Cass.12291/2014).

Sul piano penale, si osserva invece quanto segue.
Integra il reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) chiunque s'introduce nell'abitazione altrui contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo.
La Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n.31276/2020 ha evidenziato che: “in tema di violazione di domicilio, debbono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione: mentre per le prima - caratterizzate da legami affettivi stabili e duraturi, in virtù dei quali siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale - il consenso di uno dei conviventi esprime il consenso tacito degli altri, nelle seconde - connotate da una mera situazione di fatto - viene a definirsi per ciascuno dei coabitanti uno spazio esclusivo, che richiede, al fine di consentirne l'accesso a terzi, il consenso dell'avente diritto”.
Quindi in caso di co-abitazione (come nella presente vicenda) “ il consenso prestato da uno solo dei coabitanti non può che limitarsi agli spazi comuni ed a quelli di esclusiva pertinenza del medesimo, mentre riguardo alle parti in godimento esclusivo spetta solo all'avente diritto la facoltà di ammettervi la presenza di terzi.
Trasferendo i predetti principi di diritto al presente caso concreto, possiamo affermare che il Suo ius excludendi può riguardare soltanto parti in Suo godimento esclusivo. Nel contratto di locazione, come sopra evidenziato, non vi sono parti dell’appartamento assegnate in uso esclusivo.
Tuttavia, sicuramente Lei potrà esercitare tale diritto di esclusione con riguardo a stanze che per accordi interni tra voi (quali potrebbe essere la camera da letto) vengono di fatti utilizzate da uno solo dei due conduttori.
Di contro, per le parti comuni, a fronte del consenso espresso da uno dei conduttori, non sarà possibile impedire l’accesso all’ospite.
Da ciò ne consegue che, in risposta all’ultima domanda contenuta nel quesito, una volta che l’ospite si sia introdotto in casa con il consenso dell’altro conduttore, Lei potrebbe soltanto invitarlo ad uscire dalla stanza che da Lei viene utilizzata in modo esclusivo e non dall’appartamento laddove l’ospite si limiti a permanere negli spazi comuni e/o nelle stanze usate in modo esclusivo dall’altro conduttore.

Giuseppe F. chiede
lunedì 04/01/2021 - Emilia-Romagna
“Spett.le Redazione, vorrei sottoporre un quesito riferito alla presenza del reato di violazione di domicilio (art.614 CP) con la procedura d'ufficio se “il colpevole è palesemente armato”.
Un quesito in qualche modo collegato a quanto inviato in data 10 aprile 2019 e alla relativa risposta da Voi prodotta (codice di riferimento della consulenza: Q201923151).
Sono un pensionato e titolare di un'azienda agricola (partita IVA e iscrizione alla Camera di Commercio). Gestisco un podere di proprietà di mia moglie, con regolare contratto di affitto. Un Podere composto da terreno agricolo, un fabbricato di civile abitazione e un fabbricato di servizio.
Periodicamente, nella stagione di attività venatoria, persone armate di fucile si aggirano intorno a casa (cacciatori, pur in presenza del divieto di caccia vicino alle abitazioni). Una presenza che nega il diritto di escludere persone armate di fucile dall'area di appartenenza dell'abitazione (e dalla stessa area di pertinenza del fabbricato). Una presenza che limita il diritto del proprietario e del conduttore del fondo agricolo anche nella vita quotidiana. Non a caso nel periodo della stagione venatoria abbiamo ridotto la presenza nel Podere per evitare qualsiasi “incidente” con persone armate.
Lo scorso anno avevo presentato un esposto alla Procura della Repubblica segnalando tale presenza, documentata dalle immagini riprese dagli strumenti di videosorveglianza.
Dopo le indagini affidate alla Polizia Giudiziaria la Procura ha richiesto l'archiviazione dell'esposto, decretata poi dal Giudice per le indagini preliminari.
La motivazione presente nella richiesta della Procura, e fatta propria dal Giudice, afferma che il Podere non è “l'abitazione di nessuno né, tantomeno, un luogo di privata dimora”. Ciò sulla base delle indagini preliminari svolte dalla P.G. Dal verbale redatto dalla stessa P.G. si afferma che il Podere non è stabile dimora in quanto la proprietaria e il conduttore risultano essere residenti in altro Comune quindi “né l'una né altro risultano essere ivi residenti”, che “non è la sede legale dell'azienda agricola” e neppure l'abitazione del sottoscritto in quanto lo stesso “non abita stabilmente presso il Podere”.
Ora quanto riportato dalla P.G. corrisponde alla realtà. Ma non trova corrispondenza con il concetto di privata dimora da Voi espresso nella risposta del 16 aprile 2019 e riportato dalla giurisprudenza.
Aggiungo che non ho ancora verificato i dati riferiti al 2020, sicuramente più bassi degli anni precedenti per i motivi noti (non a caso ho dovuto annullare tutte le attività colturali rinviabili all'anno successivo), ma per gli anni di cui ho già recuperato i dati posso affermare con assoluta sicurezza che nel 2019 sono stato sul Podere esattamente 197 giorni (dei quali ventotto in modo continuativo) e nel 2018 209 giorni (anche in questo caso con ventotto in modo continuativo). Quindi sempre oltre sei mesi all'anno. Una presenza “obbligata” dalle necessarie lavorazioni agricole. Una presenza ancora maggiore negli anni precedenti, necessaria alla sistemazione ed ampliamento delle superfici agricole dopo anni di abbandono del Podere. A questo proposito segnalo che non ho comunicato questa presenza alla PG perché davo per scontato il concetto di “privata dimora”.
La seconda motivazione a sostegno dell'archiviazione si riferisce alla presenza della servitù di pubblico passaggio pedonale davanti alla porta di casa.
A proposito di questa seconda motivazione, come già esposto in occasione del quesito del 10 aprile 2019, sottolineo che l'area di appartenenza del fabbricato è attraversata da un sentiero di “uso pubblico” come da ordinanza sindacale contro la quale è tutt'ora pendente il Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica.
Molto probabilmente, sulla seconda motivazione, ha influito il fatto che non mi sono limitato a segnalare la presenza di una persona che si aggira armata attorno a casa, quindi al di fuori del tracciato del sentiero, ma ho consegnato le immagini di tutti coloro che armati di fucile sono transitati sul sentiero, commettendo quindi un errore di valutazione.
Aggiungo che ogni atto (della PG, della Procura e del Giudice) riconosce l'illecito di carattere amministrativo collegato all'attività venatoria.
Nel caso posso inviare copia della Richiesta di archiviazione, del verbale con l'esito delle indagini svolte, prodotto dalla P.G, e del Decreto di Archiviazione. E, sempre nel caso, posso inviare la cartografia con il fabbricato di abitazione, quello di servizio, l'area circostante e il tracciato del sentiero.
Anche nell'attuale stagione venatoria ho registrato la presenza di persone armate di fucile che si aggirano attorno a casa. Le persone citate non si limitano a transitare sul sentiero, attraversando quindi l'area privata sul tracciato ove è presente una servitù di passaggio, ma girano appunto attorno a casa. Per semplificare: rispetto ad un fabbricato che ha quattro lati le persone armate non percorrono solo il lato della servitù di passaggio ma invadono anche gli altri tre lati. Ben al di fuori dal tracciato dello stesso sentiero, in un'area privata rispetto alla quale non sussiste assolutamente qualsivoglia servitù di uso pubblico. Tra l'altro un'area dalla quale si accede al fabbricato di servizio sede di attrezzature agricole (un trattore, una trinciatrice e altro) e nella quale sono presenti macchinari dell'azienda agricola come un altro trattore, una vangatrice, una fresatrice, un estirpatore e un aratro.
Per quanto sopra rappresentato (e per quanto a suo tempo illustrato nella richiesta del 10 aprile 2019) chiedo se esistono i presupposti per la presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica, in relazione al reato di violazione di domicilio. Con riferimento unicamente alle persone armate che invadono l'area di pertinenza del fabbricato e la stessa area di appartenenza, senza alcun accenno riferito a coloro che transitano sul sentiero sopra citato.
Nel caso, chiedo consiglio su come procedere. Compreso, ad esempio, se debbo obbligatoriamente avere la sede legale dell'azienda agricola presso il Podere, oppure eleggere il domicilio sempre presso il Podere perché si possa considerare lo stesso Podere come privata dimora.
Grato dell'attenzione.

Giuseppe F.”
Consulenza legale i 13/01/2021
Prima di rispondere, innanzi tutto si conferma quanto sostenuto nel riscontro al quesito di cui al codice Q201923151. Se, infatti, come afferma la giurisprudenza, nel concetto di dimora rientra qualsiasi spazio nell’ambito del quale il soggetto privato è libero di esprimere la propria vita avendo, contestualmente, il diritto di allontanare eventuali soggetti non voluti, allora in tale definizione rientra, a rigore, anche il podere di cui trattasi.

Stando così le cose, appare francamente inspiegabile la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il quale potrebbe essere stato ingannato dalla questione della servitù di passaggio. In relazione a tale tema, va detto, comunque, che è del tutto indifferente che risulti pendente un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in merito: finché quel sentiero rimarrà pubblico, tutti avranno il diritto di attraversarlo e tale comportamento non potrà configurare il reato di cui all’art. 614 c.p.

Va anche detto, comunque, che il reato di violazione di domicilio ha delle questioni giuridiche sottostanti molto particolari e complesse che, probabilmente, non sono state correttamente sviscerate nell’atto di denunciaquerela depositato che, pertanto, è stato sottovalutato dal magistrato.

Lasciando da parte ciò che è stato fatto, a livello operativo, proporre una nuova denuncia - querela è complesso.
Nel nostro sistema penale, infatti, vige il generale divieto di aprire più fascicoli di indagine per il medesimo fatto.
Tale divieto ha delle eccezioni che, nella maggior parte dei casi, si radicano nella scoperta di nuovi elementi che giustificano, appunto, una rivalutazione dell’archiviazione e la necessità di continuare le indagini.
In tal caso, però, il quadro si complica in quanto il Pubblico Ministero è tenuto, in osservanza alla disposizione di cui all’art. 414 c.p.p., a chiedere l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari e, solo in caso di assenso, può continuare ad indagare.

Ora, nel caso di specie, come detto, una precedente denuncia-querela è già stata presentata e, dunque, l’unica strada percorribile sembra essere quella del deposito di una nuova denuncia – querela nella quale, oltre a ricostruire in maniera specifica i fatti e i temi giuridici, si vadano anche ad evidenziare le ragioni in virtù delle quali è necessario riaprire le indagini preliminari ex art. 414 c.p.p.
Sul punto, è necessario essere coadiuvati da un ottimo avvocato penalista in quanto ottenere la riapertura delle indagini preliminari è estremamente difficile.

Quanto, invece, alla questione della sede legale e del domicilio, si potrebbe tentare la prima delle strade predette (il cambio della sede legale) e, magari, evidenziare proprio che questo è uno dei motivi “nuovi” che renderebbero opportuna una riapertura delle indagini.

Giuseppe F. chiede
mercoledì 10/04/2019 - Emilia-Romagna
“Spett.le Redazione, vorrei sottoporre un quesito relativo al reato di violazione di domicilio. Limitandomi ad una esposizione sintetica, riferita al merito del quesito.
Sono titolare di un'azienda agricola. Davanti alla porta del fabbricato del fondo agricolo è presente un sentiero istituito nel 1998. Un sentiero che attraversa la proprietà privata e anche l'area che è parte del domicilio, sia dal punto di vista catastale (essendo sua pertinenza) che per il suo uso.
Un sentiero che, secondo il sindaco del comune, storicamente univa due località. Con questa motivazione ne ha affermato l'uso pubblico. Imponendo, con ordinanza sindacale, la rimozione di una catena posta all'inizio delle strada privata che conduce al fabbricato (una catena installata intorno al 2000 dal vecchio proprietario, mio suocero, dove prima era presente una sbarra).
Tale ordinanza è oggetto di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (con istanza di sospensione cautelare), presentato nel 2016, in quanto storicamente davanti alla porta di casa non è mai esistito il percorso di un sentiero che univa due località (Catasto storico Toscano del 1830, Carte IGM del 1930 e successive, ecc.). Il sentiero citato storicamente partiva da una località, attraversava il fondo agricolo passando davanti alla porta di casa per poi terminare, dopo circa 800/900 metri, ad un altro fabbricato (abbandonato dagli anni cinquanta). Sostanzialmente era uno stradello interpoderale che univa due fabbricati ad una località (tra l'altro con un tracciato diverso da quello attuale).
L'uso pubblico del sentiero non è mai stato autorizzato dalla proprietà del fondo agricolo attraversato.
Da entrambi i lati di accesso al tracciato del sentiero, nella proprietà del fondo agricolo, è presente il cartello proprietà privata e a ridosso del fabbricato ho affisso un cartello con il testo dell'art. 614 del Codice Penale. Inoltre ho posto alcuni cavalletti amovibili che perimetrano l'area di appartenenza del fabbricato.
In mia assenza ci sono stati danneggiamenti al fabbricato di servizio (rotto il portone) e altri reati, tutti segnalati alle forze dell'ordine. Inoltre in più occasioni lo stesso sentiero (sempre davanti alla porta di casa) è stato percorso da persone armate di fucile (cacciatori, pur in presenza del divieto di caccia), anche questo segnalato alle forze dell'ordine.
In questo contesto chiedo se è configurabile il reato di violazione di domicilio riferito a coloro che transitano sul sentiero, nell'area di appartenenza del fabbricato, davanti alla porta di casa. Pur in presenza dell'ordinanza sindacale che definisce di uso pubblico il passaggio nell'area e del relativo ricorso tutt'ora pendente. O se vi sono altre responsabilità di carattere penale o di altra natura.
Grato dell'attenzione.

Giuseppe F.”
Consulenza legale i 11/04/2019
Il reato di violazione di domicilio è strettamente connesso al diritto di "libertà domiciliare", inteso come diritto "alla libertà individuale" nella sua proiezione spaziale.

Sostanzialmente il legislatore, idealizzando questo reato, ha inteso tutelare la libertà individuale nei luoghi nei quali questa trova la sua maggiore espressione e, nello specifico, l’abitazione e la dimora con relative pertinenze e qualsiasi altro luogo rispetto al quale il titolare abbia il diritto di escludere che taluno vi acceda o vi permanga.

Col termine "abitazione" deve intendersi ogni luogo ove la persona, singolarmente o con altri, legittimamente dimora. Deve trattarsi quindi di luogo adibito o adibibile al riposo notturno, seppur l'uso sia solo saltuario o occasionale, purché in attualità (C., Sez. VI, 29.7.2003).

Il concetto di "privata dimora", più ampio di quello di abitazione, richiama, per esclusione, ogni altro luogo in cui si svolge la vita privata dell'individuo, ove cioè la persona, continuativamente o saltuariamente, per dovere o per scelta, svolge attività rispetto alle quali ha potere di accettazione o di esclusione della altrui presenza: studi professionali, camere di albergo, cabine di una nave, negozi, bar, case da gioco gestite da privati, palestre private.
La Corte Suprema si è pronunciata di recente sul concetto di privata dimora, ritenendo che esso comprenda qualunque luogo, anche se diverso dalla casa di abitazione, in cui la persona si soffermi per compiere, pur se in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata riconducibili al lavoro, al commercio, allo studio, allo svago (C., Sez. fer., 27.8.2013).

Infine, il concetto di appartenenze di abitazioni o di altro luogo di privata dimora comprende in se tutti quei luoghi che integrano in senso sia logistico che di servizio, per necessità o solo eventualmente, la funzione che l'abitazione o il luogo di privata dimora svolgono per il soggetto che ne dispone, sì da consentirgli, per natura dei luoghi o per artefatti, di escludere gli altri da intromissioni che violino la vita domestica o privata. Possono rientrare in tale concetto, anche appartenenze che siano comuni a più luoghi di abitazione o di privata dimora, come pianerottoli, giardini condominiali, atri.

Prescindendo dalla connotazione del luogo, ai fini della sussistenza del reato rileva un elemento particolare: lo ius excludendi alios. In buona sostanza, ai fini della sussistenza del reato c’è bisogno che il soggetto titolare del luogo “invaso” non voglia l’intromissione del soggetto estraneo ma, soprattutto, è necessario che il soggetto abbia il potere di escludere altri dall’accesso a quel luogo.

Stando così le cose, nel caso di specie non sembra integrato il reato di cui all’art. 614 del codice penale.

Finché, infatti, il sentiero e, in generale, l’area di cui si rivendica la titolarità “privatistica” sarà pubblica, non potrà essere limitata nell’accesso altrui e, di conseguenza, sarà impossibile esercitare il diritto per il proprietario della dimora contigua di escludere la presenza altrui, indispensabile ai fini della sussistenza del reato.

Maria P. M. chiede
lunedì 02/04/2018 - Lombardia
“Gent.mo Avv.

Nostro figlio, 28 anni, ha invitato la sua ragazza, conosciuta a settembre 2016, a convivere nel suo monolocale in affitto a Milano a settembre 2017 (la ragazza prima affittava una camera sempre a Milano). Nostro figlio ha avvisato verbalmente il proprietario della presenza della ragazza, il quale però non ha voluto modificare il contratto, forse perché il contratto prevedeva un solo inquilino. Il proprietario ha comunque verbalmente accettato la presenza di una seconda persona ( ci sono solo dei messaggi su WhatsApp ). Nello stesso periodo nostro figlio si è trasferito a Torino per lavoro e rientrava nel monolocale di Milano solo per il week end. Il contratto di locazione è intestato solo a nostro figlio, lei pagava metà dell'affitto in contanti, escluse tutte le altre spese (spese condominiali, energia elettrica, internet). A inizio gennaio 2018 nostro figlio ha interrotto la relazione, svuotando il monolocale di tutto ciò che gli apparteneva. Da inizio febbraio nostro figlio abita stabilmente a Torino e non è più tornato nel monolocale. L'unica volta che ha incontrato la ragazza per un accordo pacifico sul rilascio dell'appartamento e delle chiavi è stata in un bar. Lei ha ancora versato una volta metà dell ' affitto tramite bonifico; nostro figlio ha però restituito i soldi ritenendo che lei non ha nessun diritto di occupare il monolocale. Nostro figlio ha dunque invitato prima verbalmente la ragazza a lasciare l'appartamento e a restituirgli le chiavi. Le ha inviato poi due raccomandate. Nella seconda le ha scritto che se non avesse lasciato

l'appartamento avrebbe cambiato la serratura (questo ovviamente solo come deterrente, consapevole del fatto che non è possibile). Ad inizio marzo ha spedito una raccomandata al proprietario del monolocale dando avviso di recesso, come da regolamento del contratto di locazione. Sono ormai passati due mesi e la ragazza si rifiuta sia di consegnare le chiavi sia di lasciare il monolocale, né sembra avere intenzione di lasciare a breve l'appartamento e restituire le chiavi. Desidereremmo avere cortesemente un Suo parere per risolvere il problema nel più breve tempo possibile.

La ringraziamo anticipatamente per la Sua disponibilità e cortesia.

In fede

R. e M.”
Consulenza legale i 06/04/2018
Nel caso in esame, non avendo copia del contratto in questione, non sappiamo se nel contratto sia stata prevista una clausola contenente la facoltà di recesso del conduttore.
Ad ogni modo, anche laddove ciò non sia previsto, in base all’art. 3 della Legge 431/98 “il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, dando comunicazione al locatore con preavviso di sei mesi.”.
Nel quesito leggiamo che detto preavviso di recesso è stato comunicato dal conduttore al proprietario a mezzo raccomandata all’inizio di marzo.

Ciò significa che il canone di locazione (a prescindere dal fatto che l’immobile venga o meno riconsegnato prima) dovrà essere corrisposto al proprietario sino ad agosto 2018.

Ciò posto, è pacifico che la ex ragazza di vostro figlio ad oggi occupi l’immobile senza averne titolo considerato che le sono state richieste le chiavi e restituito l’importo corrispondente alla metà del canone di locazione.
Nel nostro caso, riteniamo non si possa nemmeno parlare di sublocazione quanto di ospitalità (sebbene venisse corrisposto la metà del canone a vostro figlio, immaginiamo come una sorta di partecipazione alle spese).
Fermo che tale occupazione, come testè evidenziato, non esime il conduttore indicato nel contratto dal versare il canone al proprietario corrispondente alle sei mensilità del preavviso, le possibili azioni legali che potrebbe esperire vostro figlio sono le seguenti.
Dal punto di vista civile, l’ordinamento prevede strumenti di tutela essenzialmente per il proprietario dell’immobile.
Nel caso in esame infatti il conduttore non potrebbe esperire né le azioni di rilascio di cui agli art. 657 c.p.c e seguenti che presuppongono un contratto di locazione tra le parti; ma nemmeno l’azione di cui all’art. 447 bis c.p.c per il rilascio di un immobile occupato sine titulo sia perché comunque spetterebbe al proprietario, sia perché tale tipo di azione presuppone l'esistenza a monte di un titolo (seppur invalido), cosa che non si ravvisa nel caso in esame in quanto risulta che la ex fidanzata non abbia stipulato alcun contratto. In tal caso, se non è mai esistito un titolo si potrebbe semmai agire attraverso il ricorso di cui al rito sommario previsto dall’art. 702 bis c.p.c., ma anche tale tipo di azione si ritiene che spetti solo al proprietario dell'immobile.
Tra l’altro, ai sensi dell’art. 1595 c.c., volendo anche ipotizzare un contratto di sublocazione, il locatore avrebbe azione diretta anche nei confronti del subconduttore.

Semmai, vostro figlio potrebbe inviare una ulteriore raccomandata al proprietario facendo presente che lui non vive più lì (specificando da quando) e che ha diffidato la ex fidanzata a rilasciare l’appartamento.
Ciò anche per tutelarsi con riguardo ad eventuali danni e/o richieste di pagamento relative alle utenze (se intestati al conduttore, sarebbe opportuno inviare anche relativa disdetta dei contratti di utenze quali energia elettrica ecc.ecc.).

Dal punto di vista penale, si potrebbe sporgere una querela per violazione di domicilio. Appare infatti sussistere l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 614 c.p. (che punisce chi si trattiene nel luogo di privata dimora contro l’espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo), considerato che:
1) il contratto di locazione è in essere tra conduttore e proprietario fino a che non sono decorsi i sei mesi del preavviso;
2) il conduttore se ha diritto che il proprietario non può introdursi nella sua abitazione in vigenza di contratto, a maggior ragione ha diritto di escludere taluno che aveva ospitato cui ha richiesto di andarsene.
Ad ogni modo, occorre tenere presente che una denuncia in tal senso non otterrebbe il rilascio dell’immobile per il quale vanno esperite -dal proprietario- le azioni civili sopra indicate.


Franca F. chiede
martedì 14/06/2016 - Lazio
“Salve sono separata. Ho 77 anni. Prima della separazione io e il mio ex marito vivevamo in una villa che consta di 3 appartamenti. Al piano terra vive mia figlia con la sua famiglia, al primo piano io e mio marito e l'appartamento del 2° piano era una ns dependance. La villa ha anche locali comuni (sala hobby, garage, locali tecnici, giardino e piscina) La casa familiare non è stata assegnata a nessuno dei due. Dalla separazione mio marito ha fatto venire l'amante, più giovane di mia figlia, dapprima saltuariamente, ma da un mese stabilmente. Vive con lei sopra di me e la convivenza è orribile e umiliante per me. Ho espresso con fermezza il mio dissenso e la mia contrarietà a vedermela per casa, per il giardino, nella mia piscina. Posso denunciarla per violazione di domicilio? art. 614 (2) c.p?”
Consulenza legale i 20/06/2016
Per rispondere al quesito occorre mettere in evidenza alcuni particolari relativi alla situazione di fatto descritta (nella quale si presume e dà per scontato che l’immobile di cui si sta parlando sia in comproprietà tra i due coniugi separati): il fatto che la presenza dell’amante sia divenuta stabile nonché il fatto che non siamo di fronte a due immobili totalmente “fisicamente” separati (come, ad esempio, due appartamenti dello stesso stabile) ma – in realtà e di fatto – ad un unico immobile con degli ambienti comuni.

Proprio l’uso indifferenziato e comune di questi ambienti (giardino, piscina, ecc.), unitamente – lo si ripete – alla presenza stabile della giovane donna nella villa, consente di dare una risposta affermativa alla domanda relativa alla configurabilità, nella fattispecie, del reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.).

Quest’ultimo pone, infatti, il divieto di introduzione nel luogo di “abitazione altrui” o di “privata dimora”: con quest’ultimo termine deve intendersi – per la giurisprudenza - qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata; l’articolo, tuttavia, pone altresì il divieto di introduzione nelle “appartenenze” dei luoghi citati per primi, nozione quest’ultima nella quale rientrano tutti quei luoghi che si presentano come accessori rispetto all’abitazione ed alla privata dimora in quanto disposti per il loro migliore godimento e servizio.

Ora, nel caso concreto in esame, non può esserci alcun dubbio che gli spazi comuni della villa (eccettuato, evidentemente, il piano o comunque le parti strettamente destinate ad abitazione privata del marito), costituiscono “appartenenze” dell’abitazione dei due coniugi e luoghi di esplicazione della vita privata sia della moglie che del marito, oltre che – peraltro - della figlia con la sua famiglia.

La Corte di Cassazione ben chiarisce i suddetti concetti nella seguente pronuncia, della quale si riporta ampio stralcio: “l’esatta definizione dell'oggetto giuridico del reato di cui all'art. 614 c.p. nonché del soggetto passivo di tale reato nel caso di coabitazione familiare.
Orbene, quanto al primo punto, non appare revocabile in dubbio che il bene giuridicamente rilevante cui appresta tutela la previsione normativa dell’art. 614 c.p., debba individuarsi in ultima analisi nella libertà individuale della persona, colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l'inviolabilità, conformemente al contenuto normativo dell’art. 14 Cost., che attribuisce al domicilio le stesse garanzie della libertà personale (disciplinata dall’art. 12 Cost.), cui rinvia per la sole eccezioni consentite al principio che il domicilio è inviolabile.
Come è stato osservato da autorevole dottrina, l’art. 614 c.p., al pari di altre disposizioni (come l’art. 615 c.p. o l’art. 615 bis bis c.p.) assolve allo scopo di "tutelare quel generale interesse alla pace, alla tranquillità e alla sicurezza dei luoghi di privata dimora che è condizione necessaria per la libera esplicazione della personalità umana: in altri termini, il diritto riconosciuto a ciascuno dall’art. 14 Cost. di vivere libero da ogni intrusione di estranei nei luoghi di uso privato".

Nell'ambito dei luoghi di privata dimora, espressione della personalità del singolo, assume un rilievo centrale, come si evince dalla stessa formulazione dell’art. 614 c.p., comma 1, "l'abitazione", da intendersi come il luogo adibito legittimamente e liberamente ad uso domestico di una o più persone ovvero il luogo dove si compie tutto o parte di ciò che caratterizza la vita domestica privata (cfr. Cass., sez. 5, 12.11.1974, Schimmenti).

(…) Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha da tempo elaborato un percorso argomentativo, che, proprio partendo dalla consapevolezza che il bene giuridico tutelato è la "domus", intesa come espressione della libertà individuale, ha affermato il principio secondo cui tutti i conviventi (membri della famiglia ed ospiti) sono titolari dello "ius prohibendi", onde il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all'inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia (ivi compreso il convivente "more uxorio") per il solo fatto della convivenza (cfr. Cass., sez. 1, 4.6.1971 - 28.12.1971, N. 520; Cass., sez. 5, 25.1.1977 - 22.4.1977, n. 52009; Cass., 30.6.1972, Sorrentino; Cass., 5.4.1974, Barone). Appare, dunque, evidente che, in tale prospettiva, il legittimo esercizio dello "ius excludendi", proprio in ragione della definizione di domicilio quale luogo di privata dimora dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone necessariamente la convivenza ovvero l'esistenza di una reale situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità.” (Cassazione penale, sez. V, 21 settembre 2012, n. 47500).

L’ulteriore circostanza, poi, per cui l’amante ha iniziato a risiedere stabilmente presso la villa, fuga ogni dubbio sull’illiceità del suo comportamento. La saltuarietà delle visite le consentiva, infatti, legittimamente di trattenersi dell’immobile, anche se solo in presenza del signore con il quale intrattiene una relazione e solo per il tempo in cui anche quest’ultimo fosse in casa; la presenza stabile nella villa, invece, le è del tutto vietata.

La moglie potrà quindi senz’altro avanzare denuncia-querela per violazione di domicilio a carico dell’amante del marito.
Occorre prestare attenzione, tuttavia, ai tempi per la querela: trattandosi, infatti, di reato procedibile appunto solo a querela di parte, vi è tempo tre mesi dal verificarsi del fatto di reato per presentarla.
Dal quesito, tuttavia – nel quale si parla di presenza stabile dell’amante solamente da un mese - sembrerebbe che ci sia ancora margine per rivolgersi all’Autorità

Cliente chiede
domenica 28/04/2024
“Buon giorno a tutti.
Sottopongo ai Vs. esperti il sottostante quesito per esauriente consiglio al fine procedere correttamente senza incorrere in nessun cavillo legale da parte di terzi.
Mia moglie è proprietaria di appartamento in zona di villeggiatura montana acquistato con suoi denari. Al rogito ci siamo accordati per il diritto reale di usufrutto in capo a lei, mentre la nuda proprietà al nostro unico figlio, lo scrivente escluso da qualsiasi diritto reale sul bene.
L’immobile si erge su tre livelli:
- Terra: garage e piccolo disimpegno (due lati parzialmente interrati, il terzo lo è completamente). Sono in capo e di proprietà di ogni singola unità abitativa.
- Il primo: appartamento di nostra proprietà esclusiva.
- Il secondo/mansardato: proprietà esclusiva in capo ad altro nucleo familiare.
- Su tre lati verde privato, ripartito a mezzo, tra i rispettivi due appartamenti.
- Rimane indivisa la “corte comune” di accesso da piano strada tramite piazzale auto veicolare che permette la manovra per entrare in garage ed eventuale parcheggio esterno delle vetture personali e/o di parenti/amici in visita alle due famiglie.
Il problema sorge su questa proprietà comune, la quale è oggetto di continuo transito pedonale e non di rado di carico e scarico da parte dei proprietari dei fondi confinanti, nonché di vacanzieri che utilizzano il passaggio per accedere a percorso silvo-pastorale che confina oltre l’area verde di proprietà.
Le proprietà esclusive a verde:
- la nostra è completamente delimitata con siepe e tipica staccionata per dimostrare ai terzi che trattasi di proprietà privata;
- l’altro condomino la tiene tutta libera. È una sua scelta poiché si sente gratificato e gli piace gli spazzi liberi. Pertanto, da questa, i terzi, possono accedere da e per la corte comune essendo collegata alla sede stradale. La delimitazione con la strada – anch’essa privata - è segnalata da catenella in plastica bicolore sorretta da porta tubi collocati sopra l’asfalto che in qualsiasi momento possono essere rimossi e porzione completamente libera.

Non volendo creare motivo di attrito e/o scontro con il coinquilino chiederei:
- non c’è nessuna volontà da parte mia che la proprietà indivisa sia motivo per i terzi di acquisire e vantare diritti di qualsivoglia natura.
- È sufficiente una comunicazione scritta alla controparte? C’è normativa a supporto?
- Per eventuali danni corporali o al manufatto che terzi arrecano e/o subiscono utilizzando predetta proprietà indivisa, la famiglia dello scrivente non vuole concorre in nessun modo a esborsi economici. Sono tutelato in tal senso?
- i cartelli di proprietà privata già collocati non sono un sufficiente deterrente per gli intrusi. Cosa si può aggiungere?
- Se posizionata la tradizionale staccionata lignea in luogo della catenella e la parte libera chiusa con sbarra a movimento telecomandato elettricamente dall’accesso stradale potrebbero essere motivo per dimostrare ai terzi che si sono introdotti in proprietà privata e quindi soggetti alle relative sanzioni?
- Ulteriori Vs. suggerimenti.

Ringraziando per la cortesia ed in attesa di Vs. nuove, cordialmente saluto.”
Consulenza legale i 12/05/2024
L’art. 841 del c.c. prevede espressamente che tra le facoltà del proprietario vi sia quella di poter chiudere in qualsiasi momento il suo fondo.
La norma sicuramente rientra anche tra le facoltà del comproprietario, ma deve essere pacificamente riconosciuta anche all’ ’usufruttuario: ricordiamoci infatti che l’usufrutto non è altro che una “versione minore” del più ampio diritto di proprietà ed attribuisce al suo titolare non solo la possibilità di prendere possesso del bene (art. 982 del c.c.), ma anche di godere della cosa, pur rispettando la sua destinazione economica (art. 981 del c.c.).
Per tale motivo i familiari dell’autore del quesito hanno il pieno diritto di procedere a recintare in maniera più efficace la loro corte comune, anche sobbarcandosi per intero le spese, fermo restando l’obbligo di garantire anche all’altro comproprietario il diritto di accedere alla corte e di potersene servire. Ovviamente sarà necessario comunicare con congruo preavviso questa scelta anche al vicino, affinché egli possa quantomeno essere edotto delle intenzioni dell’altro proprietario.

Ad ogni modo la situazione descritta non può comportare il rischio che i terzi estranei alla comunione possano vantare diritti sulla corte: l’apprensione della cosa fatta da soggetti estranei è infatti molto breve e sporadica, e questo impedisce che si possa incorrere nel rischio di vedersi usucapito il bene. Affinché, infatti, un terzo possa acquisire la proprietà per usucapione è necessario, ai sensi dell’art.1158 del c.c., che quest’ ultimo eserciti sul bene un possesso pacifico ed ininterrotto per almeno venti anni.

Anche da un punto di vista della responsabilità civile la vicenda descritta non presenta particolari criticità; anzi, da questo punto di vista sicuramente potrebbe essere più gravosa la posizione di chi accede alla corte comune, nonostante sia consapevole della sua destinazione privata, destinazione, tra l’altro, chiaramente presegnalata sia per mezzo di una recinzione, sia per mezzo di chiari cartelli di avviso.

La Corte di Cassazione ha infatti precisato che l’accesso in aree condominiali può integrare il reato di violazione di domicilio ex art. 614 del c.p: in questo senso è molto chiara, per fare un esempio, la recente Cass.Pen.,Sez.V, n.31700 del 20.07.2023: “I cortili e gli orti, destinati al servizio ed al completamento dei locali di abitazione, rientrano nel concetto di appartenenza di cui all’art. 614, primo comma, c.p., ed è irrilevante, ai fini della sussistenza del reato previsto da tale norma, che le «appartenenze» siano di uso comune a più abitazioni, spettando il diritto di esclusione da quei luoghi a ciascuno dei titolari delle singole abitazioni”. Pertanto “commette reato di violazione di domicilio chi s’introduca, contro la volontà di chi ha diritto di escluderlo, nel cortile dell’edificio condominiale, rientrando il cortile nel concetto di «appartenenza» dell’abitazione”.

L’usufruttuario, così come il comproprietario, può invero incorrere nella responsabilità per danno da cose in custodia previsto dall’art. 2051 del c.c., ma nel caso specifico è piuttosto improbabile che questa fattispecie possa concretamente realizzarsi. Un’area cortiliva, infatti, di per sé non è un oggetto che ha delle caratteristiche tali da poter causare un danno. Inoltre, l’accesso abusivo da parte dei terzi è una condotta che, come abbiamo visto, deve considerarsi illecita ed il suo concretizzarsi da parte del danneggiato porta, ai sensi dell’art. 1127 del c.c., ad assorbire il nesso causale che deve necessariamente intercorrere tra la cosa e l’evento lesivo.


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