La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 13912 del 22 marzo 2017, si è occupata di un interessante caso di “violazione di domicilio” (art. 614 cod. pen.).
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la condanna di un imputato per tale reato, commesso in danno di una donna.
L’imputato, in particolare, era stato accusato di tale reato sulla base di una fotografia, che l’aveva ritratto mentre entrava nel cortile dell’abitazione della persona offesa, staccando le tende e riponendole a terra.
Secondo la Corte, peraltro, sussisteva anche l’aggravante della “violenza sulle cose” (anche se la stessa non era stata espressamente contestata), in quanto “l’imputato, introdottosi nel cortile dell’abitazione altrui, aveva smontato le tende e le aveva appoggiate a terra, così mutando lo stato di fatto durante la sua illecita permanenza nelle pertinenze del domicilio”.
L’imputato, ritenendo la decisione ingiusta, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza a lui sfavorevole.
Osservava il ricorrente, in particolare, che la Corte d’appello aveva errato “nel qualificare il fatto come violazione di domicilio”, dal momento che l’impuato era entrato nel cortile della persona offesa “solo per smontare le tende, sottostanti al suo balcone, in ordine al cui posizionamento pendeva controversia civile”.
Di conseguenza, secondo il ricorrente, la condotta poteva al massimo essere qualificata come “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (art. 393 cod. pen.).
Evidenziava il ricorrente, inoltre, che la Corte avrebbe dovuto riconoscere l’attenuante della “provocazione” (art. 62 cod. pen.), che sarebbe consistita “nell’applicare illecitamente le tende tanto che un provvedimento d’urgenza del giudice civile ne aveva ordinata la rimozione”.
La Corte di Cassazione non riteneva, tuttavia, di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso.
Osservava la Cassazione, infatti, che esistevano delle fotografie che dimostravano inequivocabilmente che l’imputato si era introdotto clandestinamente nel cortile della persona offesa, circostanza che era stata ulteriormente confermata anche dalle dichiarazioni dei testimoni sentiti nel corso del procedimento.
La Cassazione, inoltre, non riteneva che la condotta potesse essere qualificata come “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, dal momento che “per staccare le tende, il ricorrente aveva dovuto attendere che la C. fosse assente da casa in modo da potersi introdurre clandestinamente nel suo domicilio, così realizzando un’ulteriore condotta rispetto al mero esercizio arbitrario del proprio diritto consistito nel distacco delle tende dal suo balcone”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.
Condannato un imputato che era entrato clandestinamente nel cortile della vicina e aveva smontato le tende sottostanti al suo balcone.