La vicenda giudiziaria sottoposta al vaglio della Suprema Corte vedeva come protagonista un uomo che, avendo sottratto due portoni d’ingresso di edifici condominiali, si era visto condannare, in entrambi i gradi del giudizio di merito, per il reato di furto in abitazione, ex art. 624 bis c.p., aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 7, c.p., per aver commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede o destinate alla pubblica utilità, difesa o reverenza.
Di fronte a tali pronunce, l’imputato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando come i giudici di merito avessero errato nell’applicare nei suoi confronti il reato di furto in abitazione. Secondo il ricorrente, infatti, il portone d’ingresso di un condominio, trovandosi sulla pubblica via, non poteva essere considerato quale pertinenza della residenza privata, essendo privo del carattere di riservatezza richiesto dall’art. 624 bis c.p.
La Suprema Corte ha, tuttavia, dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto privo di fondamento.
Gli Ermellini hanno sottolineato, in primo luogo, come il reato di furto in abitazione sia stato introdotto al fine di tutelare i beni che vengano sottratti da edifici destinati, in tutto o in parte, a privata dimora. Tale concetto, peraltro, come già in precedenza precisato dalla giurisprudenza di legittimità, è più ampio di quello di abitazione, e comprende tutti i luoghi in cui si svolga abitualmente la vita privata e che non siano, dunque, aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, comprendendo anche gli spazi destinati allo svolgimento di un’attività lavorativa o professionale, nonché le pertinenze della dimora privata (Cass. Pen., SS.UU., n. 26889/2016; Cass. Pen., n. 34475/2018).
Sul punto va, inoltre, precisato che, considerate anche le ragioni della maggiore tutela accordata ai beni posti nei luoghi di privata dimora, con il termine “pertinenze”, l’art. 624 bis c.p. non si riferisce soltanto a quelle indicate, ai fini della legge civile, dall’art. 817 del c.c., ma anche ai beni che presentino un rapporto di strumentalità o di servizio con l’abitazione, non richiedendo, peraltro, che gli stessi siano usati in modo esclusivo dal proprietario. A tal fine, secondo i giudici di legittimità, è più opportuno fare riferimento alla nozione di “appartenenza” di cui all’art. 614 del c.p., la quale si concretizza in una relazione di strumentalità, anche non continuativa ed esclusiva, di un bene, rispetto alle esigenze della vita del proprietario (Cass. Pen., n. 4215/2013).
La stessa giurisprudenza di legittimità, con sue precedenti pronunce, ha, infatti, incluso, nel concetto di pertinenza privata, l’androne e il pianerottolo condominiale, nonché gli spazi comuni, quali i parcheggi posti a disposizione di tutti i condomini (Cass. Pen., n. 28192/2008; Cass. Pen., n. 12751/1998).
Va, peraltro, rilevato come tutte le ipotesi qualificate dagli Ermellini come pertinenze private, siano, di fatto, caratterizzate da un rapporto di strumentalità tra il luogo violato, la collocazione del bene asportato e la privata dimora. Ciò comporta necessariamente che, ad essere valorizzato, debba essere il collegamento o la relazione di accessorietà o, comunque, la contiguità, anche solo di servizio, tra i luoghi, come avviene, appunto, per le parti comuni di un edificio condominiale rispetto alle private dimore che lo compongano.
Alla luce di tali circostanze, i giudici della Suprema Corte hanno, dunque, stabilito che, concordemente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la sottrazione dei portoni condominiali non può che integrare il delitto punito ai sensi dell’art. 624 bis c.p., avendo essi una funzione strumentale e complementare nei confronti delle abitazioni dei singoli condomini.