Il delitto di interferenze illecite nella vita privata altrui, previsto dall’art. 615 bis del c.p., punisce chi, con strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri notizie o immagini relative alla vita privata che si svolge nei luoghi indicati all’art. 614 del c.p., tra cui, appunto, l’altrui abitazione.
La giurisprudenza di legittimità più recente ha ulteriormente precisato tale fattispecie, non ritenendola integrata dalla condotta di chi, con strumenti di ripresa visiva, filmi scene di vita privata in un’abitazione in cui è lecitamente presente. Questo perché, a parere degli Ermellini, l’interferenza illecita punita dalla legge penale è quella realizzata da un terzo che sia estraneo al domicilio e che ne violi la privatezza, mentre, al contrario, non sarebbe penalmente rilevante il comportamento di un soggetto non estraneo ma privo del consenso di chi viene ripreso (Cass. Pen., n. 27160/2018).
Sempre secondo i Giudici di legittimità, inoltre, la fattispecie di cui all’art. 615 bis del c.p. è integrata dalla condotta di chi, utilizzando strumenti di captazione visiva o sonora all’interno della sua stessa abitazione, riprenda immagini o notizie relative alla vita privata di altre persone che vi si trovino, siano esse conviventi od ospiti occasionali, e senza che egli stesso sia in alcun modo partecipe (Cass. Pen., n. 361/2018).
Analizzando il caso concreto alla luce di tali pronunce, la Suprema Corte ha evidenziato come fosse indubbio che l’imputata potesse lecitamente accedere all’abitazione della parte lesa, oltre al fatto che le immagini riprese dalla stessa dessero atto della sussistenza di un rapporto lavorativo tra di essi. Alla luce di ciò, stante l’accertata liceità della presenza della donna nell’abitazione della parte offesa, nonché l’assenza di disvalore oggettivo, essendo stati fotografati soltanto gli ambienti di lavoro e non anche scene di vita privata altrui, gli Ermellini hanno escluso di poter attribuire qualsiasi responsabilità penale in capo all’imputata.