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Articolo 323 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Abuso d'ufficio

[ABROGATO]

Dispositivo dell'art. 323 Codice Penale

Articolo abrogato dall'art. 1, comma 1, lettera b) della L. 9 agosto 2024, n. 114.

[Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato(1), il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio(2) che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio(3), in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità(4), ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale(5) ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni(6).

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità(7).]

Note

(1) La clausola di riserva fa soccombere la norma nel concorso apparente rispetto ai reati più gravi, a prescindere dal principio di specialità (v. art. 15 del c.p.)
(2) Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso tanto dal p.u. quanto dall'i.p.s., figura inserita dalla legge 26 aprile 1990, n.86, al fine di non lasciare impunita la condotta di distrazione di danaro o altra cosa mobile effettuata a vantaggio del privato da parte dell'incaricato di un pubblico servizio.
(3) La condotta deve essere compita nello svolgimento delle funzioni o del servizio, non rileva dunque il compimento di atti in occasione dell'ufficio e il mero abuso di qualità, cioè l'agire al di fuori dell'esercizio della funzione o del servizio.
(4) Il comma 1 è stato modificato dall'art. 23 comma 1 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.
(5) Il riferimento al vantaggio patrimoniale fa sì che venga dato rilievo al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale conseguenti all'atto antidoveroso dell'agente, senza dunque ricomprendere vantaggi di tipo morale o politico.
(6) L'art. 1 della l. 6 novembre 2012, n. 190 ha comportato un aggravamento di pena, prima prevista nei limiti edittali di sei mesi e tre anni.
(7) Si tratta di una circostanza aggravante speciale ad effetto comune, connessa ad una rilevante gravità.

Ratio Legis

La norma è diretta a tutelare il buon andamento della P.A., cui si accompagna l'esigenza di tutelare il privato dalle prevaricazioni dell'autorità.

Brocardi

Metus publicae potestatis

Spiegazione dell'art. 323 Codice Penale

L'abuso d'ufficio rappresenta un'ipotesi di reato plurioffensivo, dato che il bene giuridico tutelato non è solamente il buon andamento della P.A., ma anche il patrimonio del terzo danneggiato dall'abuso del funzionario pubblico.

Esso è un reato proprio, in quanto soggetti attivi del reato sono il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle funzioni o del servizio. L'ampia formula consente di ritenere oggetto del reato non solo i tipici provvedimenti amministrativi, bensì qualunque specie di atto o attività posta in essere dal funzionario.

L'abuso d'ufficio rappresenta un reato di evento, il cui disvalore penale si realizza al momento della effettiva produzione di un ingiusto vantaggio patrimoniale o di un danno ingiusto ad altri.

Per quanto riguarda l'ingiusto vantaggio, esso può essere soltanto patrimoniale (non quindi qualsiasi utilità, come previsto in mole norma di cui al presente capo) e configura una situazione favorevole per il complesso dei diritti soggettivi a contenuto patrimoniale del soggetto pubblico, indipendentemente da un effettivo incremento economico.

Il danno per il terzo non viene invece specificato e pertanto può consistere in qualsiasi aggressione ingiusta nei confronti della sfera personale o patrimoniale del soggetto passivo.

È richiesta la c.d. doppia ingiustizia del danno, nel senso che ingiusta deve essere sia la condotta (in quanto connotata da violazione di legge), sia il vantaggio patrimoniale conseguito.

Il legislatore, al fine di restringere il campo delle possibili violazioni, ma soprattutto al fine di non violare il principio di determinatezza, ha individuato in cosa debba consistere l'abusività della condotta, ovvero:

  • violazione di norme di legge o di regolamento, in cui, si ritiene, vadano ricomprese anche le mere norme procedimentali, qualora atte a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto. L'eccesso di potere in provvedimenti discrezionali non rientra invece nella fattispecie;

  • violazione dell'obbligo di astensione, qualora vi sa un obbligo giuridico di astensione in presenza di una situazione di conflitto di interessi.
Il reato richiede il dolo generico, connotato dalla intenzionalità, la quale determina l'impossibilità di configurare il delitto nei casi di mero dolo eventuale.

Tramite la clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, il legislatore ha inteso dare alla figura in esame natura di clausola di consunzione.

Massime relative all'art. 323 Codice Penale

Cass. pen. n. 30586/2022

In tema di abuso di ufficio, integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323, cod. pen. ad opera dell'art. 16 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120, l'inosservanza, da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, del dovere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, in quanto l'art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ne impone l'osservanza onde assicurare la conformità dell'anzidetta attività alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità fissate nei titoli abilitativi.

Cass. pen. n. 14721/2022

Ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato di abuso d'ufficio, è necessario che la condotta sia realizzata attraverso l'esercizio del potere pubblico attribuito al soggetto agente, configurando i comportamenti non correlati all'attività funzionale, o meramente occasionati da essa, una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante ai sensi dell'art. 323 cod. pen. anche se in contrasto di interessi con l'attività istituzionale.

Cass. pen. n. 26429/2021

In tema di abuso di ufficio, la violazione dell'obbligo di astensione da parte del pubblico ministero non integra di per sé il requisito del danno ingiusto, in quanto il difetto di imparzialità assume rilevanza solo a condizione che si traduca in accuse pretestuose e palesemente insussistenti, nonché in iniziative del tutto prive di fondamento, strumentali rispetto al perseguimento di finalità persecutorie o, comunque, improntate ad un iniquo esercizio dei poteri processuali.

Cass. pen. n. 8057/2021

E' configurabile il delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 cod. pen., come modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, non solo quando la violazione di una specifica regola di condotta è connessa all'esercizio di un potere previsto già in origine come vincolato dal legislatore, ma anche nei casi in cui l'inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto in cui si sostanzia l'abuso di ufficio.

Cass. pen. n. 442/2020

In tema di abuso d'ufficio, la modifica introdotta con l'art. 23 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 cod. pen., determinando una parziale "abolitio criminis" in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità.

Cass. pen. n. 37517/2020

In tema di abuso d'ufficio, la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assume specifico rilievo la violazione del dovere di astensione gravante sui pubblici ufficiali e sugli incaricati di pubblico servizio, non rilevando la compresenza di una finalità pubblicistica, salvo che il perseguimento dell'interesse pubblico costituisca l'obiettivo esclusivo o primario dell'agente.

Cass. pen. n. 37074/2020

Integra il delitto di abuso di ufficio e non quello di peculato la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione.

Cass. pen. n. 31873/2020

In tema di abuso di ufficio, il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. ad opera dell'art. 16 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120, atteso che l'art.12, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici ed il successivo art. 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore è tenuto ad osservare.

Cass. pen. n. 32174/2020

In tema di abuso d'ufficio, l'ingiustizia del danno può consistere anche nella lesione di diritti politici conseguente alla violazione dei doveri di imparzialità e terzietà del pubblico ufficiale.

Cass. pen. n. 7972/2020

Integra il reato di abuso d'ufficio la condotta del responsabile di un ufficio pubblico che ricorra arbitrariamente e sistematicamente alla collaborazione di personale esterno, pur potendo far fronte alle esigenze istituzionali attraverso il personale interno, arrecando vantaggio al privato cui conferisce incarichi retribuiti, sussistendo in tal caso il profilo della doppia ingiustizia.

Cass. pen. n. 49485/2019

In tema di abuso di ufficio è riscontrabile la violazione di legge in tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolati, formali o sostanziali, del potere e non, invece, l'eccesso di potere, sotto forma dello sviamento, che ricorre quando nei provvedimenti discrezionali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.

Cass. pen. n. 44598/2019

In tema di abuso di ufficio, la nozione di danno ingiusto non ricomprende le sole situazioni giuridiche attive a contenuto patrimoniale ed i corrispondenti diritti soggettivi, ma è riferita anche agli interessi legittimi, in particolare quelli di tipo pretensivo, suscettibili di essere lesi dal diniego o dalla ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, sempre che, sulla base di un giudizio prognostico, il danneggiato avesse concrete opportunità di conseguire il provvedimento a sé favorevole, così da poter lamentare una perdita di "chances".(Fattispecie in cui il direttore generale di un'azienda ospedaliera conferiva incarico di responsabile del procedimento per l'esecuzione di lavori ingegneristici ad un soggetto esterno, anziché al tecnico di ruolo interno all'azienda il quale vantava un'aspettativa concreta a ricevere tale incarico, in ragione del ristrettissimo numero dei legittimi aspiranti e della circostanza che, in un momento successivo, quella funzione sarebbe stata assegnata proprio a lui).

Cass. pen. n. 51127/2019

In tema di abuso d'ufficio, l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale.

Cass. pen. n. 10224/2019

In tema di abuso d'ufficio, non ricorre il dolo intenzionale nel caso in cui l'agente persegua esclusivamente la finalità di realizzare un interesse pubblico ovvero quando, pur nella consapevolezza di favorire un interesse privato, sia stato mosso esclusivamente dall'obiettivo di perseguire un interesse pubblico, con conseguente degradazione del dolo di procurare a terzi un vantaggio da dolo intenzionale a mero dolo diretto o eventuale e con esclusione, quindi, di ogni finalità di favoritismo privato. (Nella specie, la Corte ha annullato, limitatamente alle questioni civili, la sentenza di merito, che aveva assolto l'imputato per difetto dell'elemento psicologico, poiché non erano stati illustrati i motivi per cui non si sarebbe potuto ugualmente realizzare un contenimento dei costi osservando la procedura di gara dettata in tema di appalti pubblici, anziché quella di affidamento diretto dei lavori concretamente adottata).

Cass. pen. n. 58412/2018

In tema di abuso d'ufficio, l'ingiustizia del danno non può essere desunta implicitamente dall'illegittimità della condotta, in quanto il requisito della doppia ingiustizia presuppone l'autonoma valutazione degli elementi costitutivi del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza impugnata che, ravvisata la violazione di legge nell'illegittimo compimento di un atto, rientrante nella competenza del Consiglio regionale, da parte della Giunta, aveva fatto discendere automaticamente da tale condotta la produzione di un danno ingiusto all'ente regionale).

Cass. pen. n. 52882/2018

In tema di abuso d'ufficio, la prova del dolo intenzionale non presuppone l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, sempre che tale valutazione non discenda dal mero comportamento "non iure" dell'agente, ma risulti anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto. (Fattispecie in cui la Cassazione ha confermato la decisione impugnata che ha desunto l'esistenza del dolo intenzionale dal fatto che l'imputato, nella qualità di dipendente comunale cui era stata demandata la verifica della legittimità di opere edili, manteneva una condotta inerte e dilatoria, nonostante la macroscopica illegittimità dell'opera e le insistenti richieste di procedere a verifica).

Cass. pen. n. 22523/2018

In tema di abuso d'ufficio, la prassi amministrativa di disapplicare un regolamento comunale non abilita di per sé il pubblico ufficiale ad invocare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale che vale ad escludere l'elemento soggettivo del reato, in quanto non può attribuirsi valenza scriminate ad un comportamento contra legem alla cui formazione egli stesso abbia contribuito. (In motivazione la Corte ha precisato che grava su chi è professionalmente inserito in un settore collegato alla materia disciplinata dalla norma integratrice del precetto penale, un dovere di diligenza "rafforzato" di rispettare la legge ed i regolamenti che regolano l'attività).

Cass. pen. n. 19519/2018

In tema di abuso d'ufficio, la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quelle che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione. (Fattispecie in cui il sindaco di un Comune aveva disposto la revoca dell'incarico dirigenziale ricoperto da un dipendente candidatosi in una lista contrapposta, apparentemente giustificato tale scelta con esigenze di contenimento della spesa senza che, tuttavia, fosse stata previamente deliberata una diversa organizzazione degli uffici).

Cass. pen. n. 52053/2017

Ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del delitto di abuso d'ufficio, è necessario che la condotta sia realizzata "nello svolgimento delle funzioni o del servizio", con esclusione, pertanto, degli atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell'art. 21-septies legge n. 241 del 1990, rientrando, invece, nell'alveo della norma incriminatrice le condotte che integrano la c.d. "carenza di potere in concreto". (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che ha ravvisato il reato nella condotta di un consigliere comunale con delega ai servizi cimiteriali che, in violazione di ogni norma in tema di appalti, aveva dato incarico ad una ditta di costruire dieci loculi, pagandoli in proprio, ottenendone così la disponibilità e promettendone cinque ad una famiglia del posto).

Cass. pen. n. 45992/2017

Sussiste concorso materiale, e non assorbimento, tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 cod. pen., di cui costituisce una parte della più ampia condotta.

Cass. pen. n. 41768/2017

L'utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d'ufficio qualora l'atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l'adozione di un impegno di spesa da parte dell'ente; mentre, integra il più grave delitto di peculato l'atto di disposizione del denaro compiuto - in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione meramente "di copertura" formale - per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell'ente. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, in merito all'utilizzo da parte del Presidente di una Regione del fondo per "spese di rappresentanza", non aveva distinto le erogazioni disposte per finalità istituzionali, ma riconducibili ad altri capitoli di spesa, da quelle aventi finalità meramente private e ricollegabili alla campagna elettorale).

Cass. pen. n. 31594/2017

Nel reato di abuso d'ufficio, la prova del dolo intenzionale che qualifica la fattispecie non richiede l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ben potendo essere desunta anche da altri elementi quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità dell'atto.

Cass. pen. n. 27794/2017

Il dolo intenzionale è escluso tutte le volte in cui l'evento tipico è una semplice conseguenza accessoria della condotta, diretta invece a perseguire in via primaria, l'obiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo (nel caso di specie è stato escluso l'abuso di ufficio per la condotta del Sindaco che, durante la seduta del Consiglio Comunale, aveva chiesto l'intervento della forza pubblica, senza interrompere l'incontro, per allontanare un membro del Consiglio Comunale che persisteva nella lettura di un documento politico di critica).

Cass. pen. n. 8395/2017

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, non costituisce violazione di legge (nella specie l'art. 10, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163), l'atto di nomina di un "project manager" da parte del sindaco, quale commissario delegato alla realizzazione di un impianto di termodistruzione in relazione allo stato di emergenza rifiuti decretato per la Campania, in quanto, tale figura, benché non prevista dalla legge, non determina la duplicazione delle funzioni attribuite al responsabile unico del procedimento (RUP) né uno svuotamento dei suoi poteri, limitandosi a svolgere una funzione di supporto, espressamente prevista dall'art. 8, comma quarto, d.P.R. 21 dicembre 1999, n 554, vigente all'epoca dei fatti, all'attività di tale ufficio.

Cass. pen. n. 49538/2016

Costituisce violazione di legge, idonea ad integrare, sotto il profilo obiettivo, il reato di abuso d'ufficio, quanto meno tentato, l'adozione, da parte di un magistrato inquirente, di un provvedimento con il quale venga disposta l'acquisizione di tabulati di conversazioni telefoniche di parlamentari per il quale, alla luce dei dati esistenti in quel momento agli atti d'indagine, sarebbe stata necessaria l'autorizzazione preventiva della camera di appartenenza

Cass. pen. n. 35577/2016

In tema di abuso d'ufficio, la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l'evidenza, reiterazione e gravità delle violazioni, la competenza dell'agente, i rapporti fra agente e soggetto favorito, l'intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge. (Fattispecie di omessa adozione, da parte di un Sindaco, di provvedimento di vigilanza con riguardo alla realizzazione di illecito edilizio e paesaggistico nel comune amministrato, nella quale la Corte ha ritenuto corretto il giudizio di colpevolezza fondato sulla provata conoscenza, da parte dell'imputato, della natura dell'intervento edilizio e del vincolo gravante sull'immobile).

Cass. pen. n. 27823/2015

Ai fini della configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, deve escludersi che possa costituire violazione di norme di legge o di regolamento l'inosservanza delle disposizioni inserite in un bando di concorso, trattandosi di atto amministrativo e quindi di fonte normativa non riconducibile a quelle tassativamente indicate nell'art. 323 c.p. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la pronuncia di non luogo a procedere nei confronti del dirigente di un Comune che, a seguito dello svolgimento di un concorso per due posti di funzionario dell'ente, e dopo che uno di questi era stato lasciato libero dal vincitore per motivi di mobilità interna, aveva disposto lo "scorrimento" della graduatoria degli idonei, in violazione delle disposizioni contenute nel bando, le quali prescrivevano di utilizzare la graduatoria una sola volta, per l'assunzione dei vincitori).

Cass. pen. n. 11394/2015

L'integrazione del reato di abuso d'ufficio richiede una duplice distinta valutazione di ingiustizia, sia della condotta (che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento), sia dell'evento di vantaggio patrimoniale (che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo); non è peraltro necessario, ai fini predetti, che l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme diversa ed autonoma da quella che ha caratterizzato l'illegittimità della condotta, qualora - all'esito della predetta distinta valutazione - l'accrescimento della sfera patrimoniale del privato debba considerarsi "contra ius". (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente la sentenza impugnata avesse giudicato riconducibile alla fattispecie di8 cui all'art. 323 cod. pen. il conferimento da parte del presidente di una provincia - in violazione delle vigenti norme regolamentari - di un incarico dirigenziale, ad un soggetto privo dei requisiti richiesti, nell'ambito della struttura amministrativa dell'ente territoriale).

Cass. pen. n. 7384/2015

In tema di concorso di persone nel reato, l'addetto all'ufficio urbanistica comunale, incaricato di svolgere l'istruttoria delle pratiche di condono edilizio, che rappresenti falsamente al responsabile del procedimento la sussistenza delle condizioni per il rilascio del provvedimento sanante, concorre nel delitto di cui all'art. 323 cod. pen. che è integrato anche da attività materiali o comportamenti che costituiscono comunque manifestazioni dell'attività amministrativa, indipendentemente dalla titolarità, in capo all'autore, di poteri autoritativi, deliberativi o certificativi.

Cass. pen. n. 4584/2015

Non si verifica l'assorbimento o la consunzione del delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 cod. pen. in quello di cui all'art. 582 cod. pen., neanche quando la condotta del pubblico agente si esaurisce nella mera produzione delle lesioni personali e ricorre tra i due illeciti il nesso teleologico di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen., configurandosi invece un rapporto di concorso formale tra i reati, i quali offendono beni giuridici distinti.

Cass. pen. n. 37880/2014

Ai fini della configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il provvedimento adottato dall'altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero altri dati di contorno, dimostrino che la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale, se non da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo.

Cass. pen. n. 37373/2014

In tema di abuso d'ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell'art. 97 della Costituzione, la cui parte immediatamente precettiva impone ad ogni pubblico funzionario, nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi, ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata, la quale aveva affermato la responsabilità dell'imputato che, dopo aver concorso nel determinare l'adozione della delibera di trasferimento di un dipendente comunale ad altro servizio, in ragione del fatto che quest'ultimo, con la propria precedente attività, si era mostrato non funzionale agli interessi economico-politici della maggioranza politica dell'ente e del gruppo di potere che la sosteneva, aveva successivamente disatteso, assunta la qualità di Sindaco, i provvedimenti dichiarativi dell'illegittimità del trasferimento).

Cass. pen. n. 32035/2014

In tema di abuso di ufficio, la mera "raccomandazione" o "segnalazione", non costituisce una forma di concorso morale nel reato in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la "raccomandazione" non ha di per sè un'efficacia causale sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla segnalazione secondo il suo personale apprezzamento.

Cass. pen. n. 15158/2014

Commette il delitto di abuso d'ufficio il pubblico ufficiale che procuri illegittimamente assunzioni ad un pubblico impiego, essendo configurabile il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale nella attribuzione della posizione impiegatizia e nell'acquisizione del relativo "status".

Cass. pen. n. 10810/2014

In tema di abuso d'ufficio, il requisito del vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste non solo quando la condotta procuri beni materiali o altro, ma anche quando la stessa arrechi un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l'atto è stato posto in essere. (Fattispecie in cui il vantaggio è stato configurato nell'esonero dal pagamento dell'Ici, in favore di proprietari di terreni, che, nelle more dell'approvazione della convenzione urbanistica per rendere esecutivo il piano di lottizzazione, erano stati assoggettati al più favorevole regime impositivo previsto per i suoli agricoli).

Cass. pen. n. 48475/2013

In tema di abuso d'ufficio, la prova del dolo intenzionale che qualifica la fattispecie non richiede l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ben potendo essere desunta anche da altri elementi quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità dell'atto.

Cass. pen. n. 14457/2013

L'art. 323 c.p. ha introdotto nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l'inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l'agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell'astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero più ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente.

Cass. pen. n. 13735/2013

In tema di abuso d'ufficio, il dolo intenzionale che non è escluso dalla finalità pubblica perseguita dall'agente, non sussiste quando il soddisfacimento degli interessi pubblici prevalga sugli interessi privati, mentre è integrato qualora il fine pubblico rappresenti una mera occasione o un pretesto per occultare la commissione della condotta illecita. (Fattispecie nella quale la S.C. ha reputato corretta la reiezione del ricorso della parte civile da parte della Corte d'Appello per mancata specificazione della prevalente intenzione del pubblico ufficiale di favorire se stesso o di recare indebiti vantaggi a terzi).

Cass. pen. n. 12370/2013

In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge o di regolamento può consistere anche nella inosservanza del principio di imparzialità previsto dall'art. 111 comma secondo della Costituzione, espressione del più generale principio previsto dall'art. 97 della Costituzione che impone ad ogni pubblico funzionario, e quindi anche al giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, una vera e propria regola di comportamento quale quella di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati trattamenti di favore. (Fattispecie in tema di assegnazione di procedimenti fallimentari in violazione delle disposizioni tabellari, dei criteri di distribuzione automatica degli affari e delle prassi interne ad un ufficio giudiziario; nel formulare il principio indicato, la Corte ha affermato che le norme tabellari, come anche le prassi interne di ripartizione degli affari, costituiscono strumenti di trasparenza nell'assegnazione degli affari contenziosi inscindibilmente connessi al principio di imparzialità).

In tema di abuso d'ufficio, il requisito del vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste non solo quando l'abuso sia volto a procurare beni materiali o altro, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l'atto è stato posto in essere. (Fattispecie in cui il vantaggio è stato configurato nell'aver garantito ai soggetti interessati ad una procedura fallimentare, tramite la nomina di un giudice delegato di comodo, spazi di gestione della procedura consoni all'interesse della debitrice fallita).

Cass. pen. n. 43476/2012

In tema di abuso di ufficio, i "regolamenti" la cui violazione integra la condotta delittuosa sono quelli adottati secondo il modello previsto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400 e quelli che trovino fondamento in ogni altra disposizione di legge che attribuisca ad un organo il potere di adottare atti amministrativi a carattere generale. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrare la condotta di abuso d'ufficio la violazione delle prescrizioni dettate dal comandante del porto di Barletta attinenti alla sicurezza portuale, in quanto espressione del potere riconosciutogli dall'art. 81 del codice della navigazione e dall'art. 59 del relativo regolamento).

Cass. pen. n. 27604/2012

Per l'oggettiva configurabilità del reato di abuso di ufficio è necessario che l'ingiusto vantaggio patrimoniale sia conseguenza diretta della condotta abusiva. (Nella specie, la Corte ha escluso la configurabilità del reato a carico di un assessore comunale al bilancio cui era stato contestato di aver occultato il disavanzo di un comune per impedire la declaratoria del dissesto, con conseguente vantaggio patrimoniale consistito nel permanere nella funzione ricoperta, non prevedendo l'art. 248, comma quinto, TUEL alcuna automatica decadenza a seguito del dissesto, ma solo una possibile declaratoria di incompatibilità, conseguente, però, ad eventuale giudizio contabile).

Cass. pen. n. 43669/2011

La fattispecie di abuso d'ufficio può essere integrata anche in riferimento ad un atto interno al procedimento amministrativo, non rilevando la circostanza che il provvedimento definitivo sia emesso da altro pubblico ufficiale. (Fattispecie relativa all'illegittimo rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un impianto di trasformazione inerti, la cui istruttoria era stata illecitamente svolta dal responsabile del procedimento, mentre il relativo provvedimento era stato emesso dal responsabile dell'ufficio tecnico comunale).

Cass. pen. n. 35597/2011

Il delitto di abuso d'ufficio è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale, o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma attributiva del potere esercitato, per realizzare uno scopo personale od egoistico, o comunque estraneo alla P.A., concretandosi in uno "sviamento" produttivo di una lesione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice. (Fattispecie in cui un carabiniere aveva imposto a delle cittadine extracomunitarie l'obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno, ingiungendo loro di attendere l'arrivo di una pattuglia dei carabinieri esclusivamente per finalità ritorsive e vessatorie).

Cass. pen. n. 34116/2011

In tema di elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio, il dolo intenzionale riguarda soltanto l'evento del reato, mentre gli altri elementi della fattispecie sono oggetto di dolo generico.

Cass. pen. n. 27453/2011

In tema di abuso d'ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione.

Cass. pen. n. 18895/2011

Il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio non è escluso dalla mera compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, essendo necessario, per ritenere insussistente l'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca il fine primario dell'agente.

Cass. pen. n. 37775/2010

Integra il delitto di abuso d'atti d'ufficio la condotta del dipendente di Poste Italiane s.p.a. addetto ad una struttura di accettazione della corrispondenza, funzione da cui deriva la sua qualifica di incaricato di pubblico servizio, il quale invii indebitamente alla rete di distribuzione pubblica la stessa corrispondenza priva della richiesta affrancatura. (Fattispecie in cui l'agente aveva fatto recapitare a varie persone corrispondenza del sindacato cui apparteneva priva della necessaria affrancatura).

Cass. pen. n. 10620/2010

Integra il delitto di abuso d'atti d'ufficio la condotta degli organi comunali che predispongono una gara d'appalto per il noleggio di strumenti per la rilevazione della velocità dei veicoli (cosiddetto "autovelox"), determinandone il valore con riferimento ad una percentuale degli incassi previsti per le future infrazioni piuttosto che al costo, agevolmente individuabile, per l'installazione, la manutenzione e ogni altro servizio accessorio relativo all'utilizzo delle suddette apparecchiature.

Cass. pen. n. 10009/2010

Integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del sindaco che ometta intenzionalmente di attivare le specifiche procedure di garanzia atte a porre rimedio alla mancata esecuzione dolosa da parte dei funzionari comunali, competenti per legge in materia di violazioni edilizie, di un'ordinanza di demolizione di un immobile.

Il delitto di abuso d'atti d'ufficio può essere integrato anche attraverso una condotta meramente omissiva, rimanendo in tal caso assorbito il concorrente reato di omissione d'atti d'ufficio in forza della clausola di consunzione contenuta nell'art. 323, comma primo, c.p. (Fattispecie in cui è stata ritenuto configurabile il reato di abuso d'atti d'ufficio in relazione alla condotta del sindaco e di alcuni funzionari comunali che avevano deliberatamente omesso di dare esecuzione all'ordinanza di demolizione di un immobile al fine di procurare un indebito vantaggio ai proprietari).

Cass. pen. n. 44516/2009

Integra la condotta del reato di abuso d'ufficio il rilascio da parte degli organi comunali di una licenza per autonoleggio senza la previa adozione a tal fine di un bando di concorso pubblico, come previsto dall'art. 8 L. 15 gennaio 1992, n.21, il quale non si pone in contrasto con il principio di libero accesso al mercato in materia di trasporti affermato dalla disciplina comunitaria, atteso che il contingentamento delle autorizzazioni previsto dalla norma citata non determina alcuna discriminazione tra vettori nazionali e vettori stranieri.

Cass. pen. n. 42577/2009

La condotta del pubblico ufficiale che si esaurisca in una falsificazione integra il solo reato di falso (nella specie, ideologico in certificati) e non anche il reato di abuso d'ufficio, da considerare assorbito nel primo, a nulla rilevando la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici.

Cass. pen. n. 26175/2009

I regolamenti comunali adottati ai sensi del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), per disciplinare l'ordinamento degli uffici e la dotazione organica, devono essere annoverati tra le fonti regolamentari la cui violazione può integrare il reato di abuso d'ufficio.

Cass. pen. n. 19135/2009

Integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del Sindaco che, per mero spirito di ritorsione, revochi l'incarico di un dirigente di un settore comunale. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito che, anche dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non è mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati dai dirigenti amministrativi e, con essa, la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai fini dell'art. 357 c.p.).

Cass. pen. n. 14978/2009

Integra il delitto di abuso d'ufficio l'indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'avente diritto. (Nella fattispecie, relativa al prelievo di somme dal fondo detenuti da parte del funzionario preposto, allo scopo di usarle come anticipo per il pagamento di una missione fuori sede per conto dell'Ufficio, la Corte ha qualificato il fatto come abuso d'ufficio e non peculato, posto che l'imputato, pur avendo tratto un indebito vantaggio dall'utilizzo della somma, non aveva inteso appropriarsene, ma adoperarla in un ambito di finalità latamente pubblica).

Cass. pen. n. 10636/2009

In tema di abuso d'ufficio, l'erronea interpretazione di una norma amministrativa può essere sintomatica dell'illecita volontà vietata dalla norma penale soltanto quando si discosti in termini del tutto irragionevoli dal senso giuridico comune, tanto da apparire arbitraria, ravvisandosi, in caso contrario, la sussistenza di un errore su norma extrapenale.

Cass. pen. n. 9862/2009

Integra la violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, l'inosservanza da parte del giudice del principio di imparzialità. (Fattispecie in cui è stato configurato il reato di cui all'art. 323 c.p. in relazione alla condotta di un giudice di pace, che, all'esito di una causa civile, aveva comunicato alla parte vittoriosa il contenuto della sentenza non ancora depositata e pubblicata)

Cass. pen. n. 7105/2009

Integra l'elemento oggettivo del delitto di abuso d'ufficio la violazione delle norme di legge inerente al vizio di incompetenza cosiddetta "relativa", prevista dall'art. 21 octies L. n. 241 del 1990, che determina l'illegittimità del provvedimento adottato e non la sua nullità, che si verifica nell'ipotesi di difetto assoluto di attribuzione. (Fattispecie relativa all'approvazione, da parte della giunta comunale, di un atto riservato al consiglio ai sensi dell'art. 42 T.U. enti locali, e all'adozione, da parte di un assessore comunale, di un provvedimento di competenza del dirigente a norma dell'art. 6 L. n. 127 del 1997).

Cass. pen. n. 37172/2008

È configurabile il reato d'abuso d'ufficio per violazione di legge nella condotta del dirigente scolastico che qualifichi come ingiustificata l'assenza dal servizio di un insegnante, dovuta invece ad un precedente provvedimento di sospensione dal servizio. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha stabilito che tale abuso costituisce una diretta violazione di legge per l'assenza dei presupposti di fatto che consentono l'azione della P.A. ).

Cass. pen. n. 27936/2008

Integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del medico specialista di una struttura sanitaria pubblica che, immediatamente dopo aver effettuato una visita ambulatoriale, inviti il paziente a recarsi nel suo laboratorio privato per un approfondimento diagnostico invece che indirizzarlo ad uno dei contigui presidi ospedalieri, perché tale condotta viola il dovere di astensione e realizza un ingiusto vantaggio patrimoniale in favore del medico che non cessa di esercitare l'attività di pubblico rilievo nella fase del cosiddetto dopo-visita.

Cass. pen. n. 25162/2008

In tema di abuso d'ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui riguarda l'attività dei pubblici funzionari, poiché esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto ravvisabile il delitto di abuso d'ufficio in un caso in cui il funzionario della Motorizzazione civile aveva provveduto sistematicamente al preferenziale disbrigo delle pratiche avviate da una specifica agenzia, a discapito delle altre agenzie di pratiche automobilistiche ).

Cass. pen. n. 25525/2008

In tema di abuso di ufficio, non integra la fattispecie criminosa, per difetto di ricorrenza di un dovere di astensione, la condotta del direttore di un pubblico ente di ricerca che vada a comporre la commissione giudicatrice di un concorso per l'assunzione di personale presso l'ente stesso, al quale partecipino, come candidati, soggetti già ivi impiegati con qualifiche inferiori a quella relativa al posto messo a concorso.

Cass. pen. n. 10390/2008

In tema di abuso d'ufficio, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo è richiesto il dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell'evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito. Ne discende che se l'evento tipico è una semplice conseguenza accessoria della condotta omissiva dell'agente, rimanendo incompleta la prova della sua deliberata intenzionalità, il fatto illecito deve essere diversamente qualificato ai sensi dell'art. 328, comma primo, c.p. (Fattispecie in cui una dirigente scolastica aveva omesso di inoltrare al competente ministero il ricorso gerarchico avverso una sanzione disciplinare da lei stessa irrogata nei confronti di una insegnante).

Cass. pen. n. 41237/2007

In tema di abuso d'ufficio, deve escludersi l'elemento soggettivo, caratterizzato dal dolo intenzionale, nella condotta del notaio che omette di esercitare il potere di vigilanza e di controllo sull'attività del presentatore, al quale abbia interamente delegato la gestione degli adempimenti inerenti al servizio dei protesti delle cambiali e degli assegni bancari. (Nel caso di specie, la Corte ha escluso l'intenzionalità del dolo poiché gli effetti negativi della condotta infedele del presentatore erano stati conosciuti solo a seguito della segnalazione inviata da un istituto di credito).

Cass. pen. n. 40891/2007

In materia di abuso d'ufficio, integra il requisito della violazione di legge il mutamento di destinazione di una dipendente comunale dallo svolgimento delle mansioni di coordinatrice economa a quelle di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta, deliberato dal Sindaco in violazione dell'art. 56 D.L.vo n. 29 del 1993 sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni e dell'art. 7 C.C.N.L. dei dipendenti degli enti locali recepito nel D.P.R. n. 593 del 1993. (Nella motivazione, la Corte ha precisato che tali norme, pur consentendo che un dipendente possa essere adibito a svolgere compiti di qualifica immediatamente inferiore, richiedono, tuttavia, l'occasionalità della destinazione e la possibilità che ciò avvenga con criteri di rotazione).

Cass. pen. n. 38259/2007

Non integra, sotto il profilo soggettivo, il reato di abuso d'ufficio la condotta del Sindaco il quale, per far fronte alle esigenze abitative di famiglie colpite da provvedimenti di sfratto, requisisca case di abitazione.

Cass. pen. n. 37531/2007

In tema di abuso d'ufficio, è idonea ad integrare la violazione di legge, rilevante ai fini della sussistenza del reato, l'inosservanza da parte dell'amministratore pubblico del dovere di compiere una adeguata istruttoria diretta ad accertare la ricorrenza delle condizioni richieste per il rilascio di un'autorizzazione, incidendo la stessa direttamente sulla fase decisoria in cui i diversi interessi, pubblici e privati, devono essere ponderati. (Fattispecie relativa al rilascio di un'autorizzazione edilizia per la realizzazione di lavori di manutenzione, in assenza dell'attività istruttoria prevista dall'art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, e sulla base di una documentazione insufficiente, attestante l'esistenza di immobili in realtà inesistenti).

Cass. pen. n. 35813/2007

In tema di abuso d'ufficio, va esclusa la carenza dell'elemento soggettivo allorquando una prassi diffusa si sia inserita in un contesto giuridico amministrativo, se non contrario, sicuramente incerto in ordine alla possibilità di realizzare l'attività contestata, dovendo il pubblico dipendente, o comunque la persona addetta ad un pubblico servizio, astenersi dal porre in essere comportamenti di incerta rilevanza ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell'attività svolta, in modo da adempiere a quell'onere informativo che potrebbe rendere scusabile l'errore sulla legge penale. (Fattispecie relativa allo svolgimento, da parte di ostetriche in servizio presso un'azienda ospedaliera, di attività libero-professionale intramuraria, consistita nel prestare assistenza privata e remunerata al travaglio e al parto di puerpere ricoverate presso un ospedale).

Cass. pen. n. 30979/2007

In tema di reato di abuso d'atti d'ufficio di cui all'art. 323, comma secondo, c.p., nel testo previgente alle modifiche apportate dalla L. n. 234 del 1997, deve ritenersi finalizzata al conseguimento di un ingiusto vantaggio patrimoniale la condotta di un assistente medico dipendente di un Centro trasfusionale che, nello svolgimento delle sue funzioni presso la medesima struttura pubblica, dopo aver proceduto al prelievo, alla raccolta e alla conservazione di sangue umano, dirotta i pazienti verso una clinica privata e si fa retribuire per ogni autotrasfusione eseguita presso quest'ultima.

Cass. pen. n. 17980/2007

Integra il reato di abuso di ufficio la condotta del segretario di seggio elettorale che, esercitando legittimamente funzioni vicarie del presidente, nel provvedere alla sostituzione di scrutatore assente, designi all'incarico un congiunto (nella specie, la sorella), allo scopo di procurargli un ingiusto vantaggio, in violazione della disposizione contenuta nell'art. 41, comma secondo, D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (testo unico per le elezioni comunali), la quale prevede che siano chiamati, in sostituzione dello scrutatore assente, alternativamente l'anziano e il più giovane tra gli elettori presenti muniti di certificato elettorale e di valido documento di identità, a nulla rilevando la circostanza della competenza funzionale alla sostituzione in capo al presidente di seggio, momentaneamente assente.

Cass. pen. n. 11620/2007

La violazione degli strumenti urbanistici, pur non potendosi questi configurare come norme di legge o di regolamento, integra, nei congrui casi, il reato di abuso di ufficio, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica, alla quale deve farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie delittuosa prevista dall'art. 323 c.p. (Fattispecie nella quale il capo dell'ufficio tecnico di un Comune aveva dato, in spregio degli strumenti urbanistici, parere favorevole al progetto, presentato dal segretario dello stesso Comune, di ricostruzione di un fabbricato demolito nel centro storico).

Cass. pen. n. 41365/2006

Ai fini dell'astratta configurabilità del reato di cui all'art. 323 c.p. con riferimento ad un concorso per l'assegnazione di un incarico, non rileva la natura pubblica o privata della procedura di selezione dei candidati, bensì che la stessa sia diretta al conferimento di un pubblico ufficio. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 323 c.p. nella violazione di legge concernente la procedura per l'assegnazione di un incarico direttivo all'interno di una Asl).

Cass. pen. n. 35381/2006

La mancanza dell'autorizzazione per il pubblico dipendente da parte dell'ente di appartenenza a svolgere un'ulteriore attività, anche se remunerata, per conto di un privato, ha rilievo esclusivamente disciplinare: tale mancanza determina per contro la configurabilità del reato di abuso di ufficio laddove essa autorizzazione sia diretta a consentire l'utilizzo delle strutture pubbliche dell'amministrazione anche sotto il profilo della «spendita del nome» e a quantificare il costo dell'utilizzo medesimo da calcolare sulla percentuale del compenso da versare all'ente pubblico.

Ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio (art.323 c.p.) è necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell'illegittimità della condotta. (Nella fattispecie, relativa all'attività di ricerca svolta da un medico per conto di una società privata attraverso l'uso delle strutture ospedaliere ma senza la previa autorizzazione dell'azienda sanitaria, la Corte ha ritenuto che il comportamento illegittimo del medico, in quanto posto in essere in contrasto con la norma regolamentare, abbia prodotto un ingiusto vantaggio, ma solo nei limiti della percentuale del compenso che il soggetto avrebbe dovuto versare all'ente ospedaliero).

Cass. pen. n. 14043/2006

Configura il delitto di abuso di ufficio la condotta del direttore generale di una ASL che attribuisca in suo favore l'incremento stipendiale previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 502 del 1995, sostituendosi alla Regione nella valutazione dei relativi presupposti.

Cass. pen. n. 13511/2006

La violazione da parte del pubblico ufficiale delle norme collettive contrattuali applicabili ai rapporti di pubblico impiego non realizza uno dei presupposti necessari per la configurabilità del reato di abuso di ufficio. (Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale i giudici di merito avevano condannato per abuso d'ufficio un pubblico ufficiale per non aver applicato l'art. 28 del C.C.N.L.)

Cass. pen. n. 12769/2006

Non è idonea a rendere configurabile la violazione di legge rilevante ai fini dell'integrazione del delitto di abuso d'ufficio la sola inosservanza di norme di principio o di quelle genericamente strumentali alla regolarità dell'azione amministrativa. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, in un caso in cui all'imputato erano stati contestati i reati di falso e di abuso d'ufficio per avere alterato la copia di una circolare al fine di danneggiare un dipendente, ha escluso che, una volta ritenuta l'insussistenza del primo di detti reati, potesse affermarsi la sussistenza del secondo, con riferimento alla dedotta violazione, in particolare, dell'art. 97 Cost.).

Cass. pen. n. 7600/2006

In tema di abuso d'ufficio, anche precedentemente alla modifica dell'art. 323 c.p. in base alla L. n. 324 del 1997, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato è richiesto che l'abuso si realizzi attraverso l'esercizio da parte del pubblico ufficiale di un potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione ad esso attribuita. Ne consegue che quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni il reato in questione non è configurabile.

Cass. pen. n. 44952/2005

In tema di reato di abuso d'ufficio la condotta dell'agente rileva penalmente solo se l'ingiusto vantaggio patrimoniale è conseguito attraverso la violazione di legge o di regolamento, con esclusione degli atti che hanno natura meramente interpretativa o attuativa di normative preesistenti e che comunque sono privi della forza normativa propria della legge o del regolamento. (Nel caso di specie la Corte ha escluso che potesse integrare il reato di cui all'art. 323 c.p. la sola violazione di norme contenute nell'art. 9 D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, regolamento attuativo del testo unico delle disposizioni sulla disciplina dell'immigrazione, e nella circolare del 17 settembre 1997, n. 8, in materia di permessi brevi per turismo ed affari).

Cass. pen. n. 39259/2005

Il reato di abuso d'ufficio ha natura necessariamente plurioffensiva quando è commesso arrecando ad altri un danno ingiusto, nel senso, cioè, che devono essere lesi sia gli interessi costituzionalmente tutelati del buon andamento e dell'imparzialità della P.A. (art. 97 Cost.), sia quelli di un extraneus o anche di un dipendente dell'amministrazione stessa, purché sia toccato nella sua personale condizione giuridica derivante dal rapporto di impiego. (Nella specie la Corte ha escluso la sussistenza del reato in quanto l'effetto dannoso si era prodotto esclusivamente sulla pubblica amministrazione).

In tema di abuso di ufficio, il vantaggio patrimoniale considerato tra gli elementi essenziali della fattispecie di cui all'art. 323 c.p., deve determinare di per sé un beneficio economicamente apprezzabile, nel senso che deve avere un connotato di intrinseca patrimonialità oppure deve derivare dalla creazione di una condizione più favorevole sotto il profilo economico, non potendosi considerare sufficiente il determinarsi di una situazione solo indirettamente o potenzialmente valutabile economicamente. (Fattispecie in cui era stata contestata ad un magistrato l'ingerenza sull'esito dei procedimenti penali e disciplinari a suo carico).

Cass. pen. n. 36597/2005

È ravvisabile il reato di abuso d'ufficio nel comportamento del Direttore del circolo didattico, che abbia negato il rilascio a un insegnante del permesso previsto dall'art. 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104 a favore dei genitori di minori portatori di handicap, ponendo in dubbio la permanenza della patologia, ancor prima di ricevere un parere in merito da parte della Unità sanitaria locale. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito che, poggiando la tutela delle persone handicappate su esigenze di celerità e di urgenza, l'imputato avrebbe dovuto concedere il permesso richiesto, riservandosi eventualmente di negarlo, una volta appurato il regresso della patologia).

Cass. pen. n. 36592/2005

È ravvisabile il delitto di abuso d'ufficio nel comportamento di un ispettore di polizia che impartisca ai cittadini, con i quali intrattiene rapporti per ragioni del suo ufficio, consigli sulla nomina del difensore di fiducia, avviandoli presso uno studio di un avvocato. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito che il profitto procurato al professionista doveva ritenersi ingiusto, in quanto conseguito in violazione dell'art. 19 del codice deontologico forense, approvato il 17 aprile 1997, che fa divieto del cosiddetto accaparramento di cliente).

Cass. pen. n. 35661/2005

In tema di abuso di ufficio, non è configurabile nella mera «raccomandazione» o nella «segnalazione» una forma di concorso morale nel reato, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la «raccomandazione» come fatto a sè stante, non ha efficacia causativa sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla segnalazione secondo il suo personale apprezzamento.

Cass. pen. n. 33933/2005

In tema di abuso d'ufficio, l'aggravante del danno di rilevante gravità, prevista dal secondo comma dell'art. 323 c.p., ha carattere di specialità rispetto a quella comune, di analogo contenuto, prevista dall'art. 61, n. 7 c.p., per cui deve escludersi che quest'ultima possa concorrere con l'altra.

Cass. pen. n. 33047/2005

L'Ufficio competente al rilascio delle concessioni edilizie deve previamente accertare che chi richiede di costruire si trovi nelle condizioni di legittimazione previste dall'art. 4 legge 28 gennaio 1977 n. 10 (ora sostituito dall'art. 11 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380). Ne consegue che è configurabile il reato di cui all'art. 323 c.p. nella condotta del Sindaco che, omettendo di effettuare i suddetti accertamenti, rilasci la concessione edilizia ad un soggetto non proprietario nè titolare di altro diritto reale sull'area da edificare, ma soltanto parte di un contratto preliminare di vendita.

Cass. pen. n. 44620/2004

In tema di abuso di ufficio, il sindaco e l'assessore all'urbanistica non hanno il dovere di astenersi dalla delibera di approvazione del piano regolatore generale, trattandosi di un atto finale di un procedimento complesso in cui vengono valutati, ponderati e composti molteplici interessi, sia individuali che pubblici, sicché il voto espresso dagli amministratori non riguarda la destinazione della singola area o la specifica prescrizione, ma il contenuto generale del provvedimento, cioè l'assetto territoriale nel suo complesso. (In motivazione la Corte ha affermato che il dovere di astensione sussiste, con conseguente configurabilità del reato, qualora si tratti di delibere su opposizioni al piano regolatore generale che riguardino interessi personali dell'amministratore o di un suo prossimo congiunto).

Cass. pen. n. 37515/2004

A seguito della nuova formulazione della fattispecie di abuso di ufficio ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, che ha novellato l'art. 323 c.p., il reato in questione non può configurarsi se non in presenza di una «violazione di norma di legge o di regolamento» (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti). Ne consegue che è stata espunta dall'area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione, negandosi al giudice penale la possibilità di invadere l'ambito della discrezionalità amministrativa che il legislatore ha ritenuto, anche per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato.

Cass. pen. n. 28389/2004

È configurabile il reato di abuso di ufficio nella condotta dell'ispettore di p.s. che dispone un'ispezione in un pubblico locale per scopi personali, poiché in tal modo sono violate sotto il profilo finalistico le norme del TULPS che abilitano l'autorità di pubblica sicurezza ai controlli amministrativi nei locali pubblici (nella specie, l'ispezione veniva disposta a seguito del rifiuto da parte del gestore di una discoteca dell'ingresso del fratello dell'agente, perché privo di invito).

Cass. pen. n. 28336/2004

Risponde del reato di abuso di ufficio il sindaco, in concorso con gli amministratori dell'istituto bancario, concessionario del servizio unico di tesoreria del Comune, che consente di mantenere in deposito presso quest'ultimo i fondi straordinari erogati dallo Stato per la ricostruzione nelle aree terremotate ai sensi della legge n. 536/1981, che, in quanto non utilizzati, avrebbero dovuto essere trasferiti nella contabilità infruttifera della Tesoreria provinciale dello Stato, così come previsto dall'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (Legge finanziaria del 1981), mod. dall'art. 3 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici).

Cass. pen. n. 21110/2004

La violazione di norme igienico-sanitarie da parte di ditta aggiudicataria della gara di appalto per la refezione nelle scuole comunali non realizza uno dei presupposti necessari per la configurabilità del reato di abuso di ufficio in capo al Sindaco del Comune firmatario dell'appalto, trattandosi di norme non riferite alla condotta del pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, bensì a quella dell'esercente un'attività che impone determinate prescrizioni sanitarie e potendo rilevare la circostanza che il Sindaco avesse avallato illecitamente l'aggiudicazione alla ditta solo ai fini di un suo eventuale concorso morale nella predetta violazione.

Cass. pen. n. 21091/2004

Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo nel delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p., non è sufficiente nè il dolo eventuale — e cioè l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento nè quello diretto — e cioè la rappresentazione dell'evento come realizzabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza, senza essere un obiettivo perseguito —, ma è richiesto il dolo intenzionale, e cioè la rappresentazione e la volizione dell'evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale, proprio o altrui, come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito. Ne consegue che se l'evento tipico è una semplice conseguenza accessoria dell'operato dell'agente, diretto a perseguire, in via primaria, l'obiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo, riconosciuto dall'ordinamento e idoneo ad oscurare il concomitante favoritismo o danno per il privato, non è configurabile il dolo intenzionale e pertanto il reato non sussiste. (Nella specie, la Corte ha escluso la configurabilità del reato nella condotta di alcuni componenti di una giunta municipale che avevano approvato una delibera di sospensione di erogazioni in danaro a una fondazione gestita dal Comune dopo l'intervenuto pignoramento della relativa somma ad istanza dell'unico dipendente di essa per crediti di lavoro, al fine di evitare un appesantimento della posizione debitoria della fondazione e così un danno ulteriore alla posizione del creditore pignorante).

Cass. pen. n. 4945/2004

In tema di abuso di ufficio, realizza l'evento del danno ingiusto ogni comportamento che determini un'aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come tutelata dai principi costituzionali. (Fattispecie in cui il pubblico ufficiale aveva emesso un ordine di servizio con cui revocava ogni incarico ad una dipendente, in modo indebito e come ritorsione per aver testimoniato contro di lui, determinandole oltre che un danno economico derivante dalla perdita dell'incremento dello straordinario, derivante dai turni di disponibilità, anche una perdita di prestigio e decoro nei confronti dei colleghi di lavoro).

Cass. pen. n. 729/2004

In tema di reato di abuso d'ufficio, l'attuale configurazione del delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) come reato di danno richiede che venga procurato a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecato un danno ingiusto, ancorché non patrimoniale. Ne consegue che è configurabile il suddetto reato nel diniego opposto dal Rettore di un'università di far visionare ad un candidato per la nomina di Direttore generale dell'Azienda Policlinico la documentazione della selezione, anche se la realizzazione dell'evento di danno, consistito nella mancata consultazione della documentazione necessaria per l'esperimento di eventuali iniziative a tutela dei propri interessi, risulti preordinata a procurare ad altri un vantaggio non patrimoniale.

Cass. pen. n. 49554/2003

In tema di abuso di ufficio, il vantaggio patrimoniale considerato tra gli elementi essenziali della fattispecie di cui all'art. 323 c.p.p., va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e quindi non solo quando l'abuso sia volto a procurare beni materiali o altro, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva. (Fattispecie relativa al rilascio di una concessione edilizia a costruire un manufatto industriale in zona agricola con realizzazione di un vantaggio patrimoniale a prescindere dall'effettiva costruzione del bene).

In tema di abuso di ufficio, l'elemento soggettivo del reato consiste nella consapevolezza dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale e nella volontà di agire per procurarlo e può essere desunta dalla macroscopica illiceità dell'atto e dai tempi di emanazione. (Fattispecie relativa al rilascio di una concessione edilizia illegittima perché in violazione della legge urbanistica, emessa prima ancora dell'avvenuta presentazione del progetto da parte del privato e in presenza di un negativo parere dell'Ufficio tecnico comunale).

Cass. pen. n. 48535/2003

In tema di abuso di ufficio, è attuata in violazione di legge anche la condotta che presenti difformità dalle prescrizioni di un atto amministrativo, quando questo sia stato espressamente adottato per adeguare il procedimento alle direttive di un atto avente forza di legge. (Fattispecie relativa alle violazioni di un capitolato speciale di appalto, che in premessa si richiamava all'art. 15 della legge 30 marzo 1981, n. 113 — poi abrogata dall'art. 20 del D.L.vo 24 luglio 1992, n. 358 — recante norme per l'adeguamento delle procedure di aggiudicazione delle pubbliche forniture alle direttive C.E.E. La Corte ha ritenuto che, per quanto l'imputazione fosse riferita alla mancata osservanza di specifiche norme del capitolato, potesse considerarsi contestata e realizzata una violazione della legge regolatrice della materia).

Cass. pen. n. 44759/2003

Commette il delitto di abuso d'ufficio il pubblico ufficiale che procuri illegittimamente assunzioni ad un pubblico impiego, essendo configurabile il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale nella attribuzione della posizione impiegatizia e nell'acquisizione del relativo status.

Cass. pen. n. 41918/2003

Commette il reato di abuso d'ufficio il preside di una scuola che nomina a funzioni vicarie un insegnante, in violazione della disposizione per la quale l'attribuzione di tale incarico è elettiva, ed appartiene al collegio dei docenti, in tal modo realizzando un ingiusto vantaggio patrimoniale in favore del nominato cui è corrisposta l'idennità di funzione.

Cass. pen. n. 39087/2003

Non è configurabile a carico del Sindaco il reato di abuso d'ufficio, in relazione al mancato intervento previsto dall'art. 4 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 nel caso di realizzazione di un'opera abusiva, in quanto sia l'art. 51, lett. f) bis della legge 8 giugno 1990 n. 142 e succ. mod. che l'art. 107, comma terzo lett. g) del D.L. 18 agosto 2000, n. 267, attribuiscono espressamente ai dirigenti «tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale»

Cass. pen. n. 35127/2003

Integra il reato di cui all'art. 323 c.p. la condotta di un magistrato della Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello, che incaricato dal dirigente dell'ufficio di svolgere una indagine amministrativa diretta ad acquisire informazioni su di un'istanza di rimessione del processo, conduca una vera e propria indagine preliminare, senza essere legittimato, nei confronti di magistrato dello stesso distretto di Corte d'appello, in tal modo cagionando loro intenzionalmente un danno ingiusto.

Cass. pen. n. 34049/2003

Il reato di abuso di ufficio connotato da violazione di norme di legge o di regolamento non è configurabile allorché la condotta tenuta dall'agente sia in contrasto con norme interne relative al procedimento che non abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico della legge o del regolamento (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata con la quale era stato ravvisato il delitto di cui all'art. 323 c.p. nei confronti di funzionari di un Ufficio Iva per aver violato, nella evasione di pratiche per il rimborso di crediti di imposta, «norme interne al procedimento»).

Cass. pen. n. 33068/2003

In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p.p. introdotta dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, l'uso dell'avverbio «intenzionalmente» per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all'agente dell'ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, né un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato l'assenza dell'elemento soggettivo nella condotta del sindaco di un comune che aveva rilasciato un'autorizzazione sanitaria ad un ristoratore non abilitato allo scopo di perseguire il fine pubblico di far fronte ad una situazione emergenziale in occasione di un importante evento turistico del Comune).

Cass. pen. n. 26702/2003

Allorché l'abuso di ufficio si concreti nella violazione del dovere di astensione, non è necessario individuare alcuna violazione di legge o di regolamento perché possa ritenersi sussistente l'elemento materiale del reato. (Fattispecie relativa a licenza commerciale in favore del locatario di un immobile nel quale si svolgeva l'esercizio di una macelleria, nel procedimento per il cui rilascio un sindaco, proprietario dello stesso locale, non si era astenuto dalla sottoscrizione del nulla-osta sanitario, peraltro illegittimo).

Cass. pen. n. 21432/2003

Integra il reato di abuso di ufficio ai sensi dell'art. 323 c.p. la condotta del pubblico amministratore che rilasci una autorizzazione all'esercizio di commercio in un immobile non conforme alla legislazione urbanistica, in quanto realizza un vizio di violazione di legge previsto dalla disciplina del procedimento amministrativo per il rilascio della licenza de qua.

Cass. pen. n. 20688/2003

In tema di abuso di ufficio nella formulazione introdotta dalla legge 14 luglio 1997, n. 234, l'elemento soggettivo del reato consiste nella consapevolezza dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale e nella volontà di agire per procurarlo, e l'elemento oggettivo consiste nella illegittimità del comportamento dovuta a violazione di norme e non può essere ravvisata quando vi sia ottemperanza a disposizioni ministeriali, provvisoriamente esecutive in attesa di nuovi decreti (Fattispecie relativa all'assegnazione ad istituti professionali di insegnanti, la cui materia sia stata soppressa, in attesa di attuare la loro riconversione professionale).

Cass. pen. n. 18360/2003

Nell'ipotesi di abuso di ufficio realizzato mediante omissione o rifiuto deve trovare applicazione l'art. 323, primo comma c.p., in quanto reato più grave di quello previsto dall'art. 328 c.p., tutte le volte in cui l'abuso sia stato commesso al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio ingiusto patrimoniale, o comunque per arrecare ad altri un danno ingiusto, e tali eventi si siano realizzati effettivamente.

Cass. pen. n. 17628/2003

Perché si configuri il delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p. non è sufficiente che il pubblico ufficiale abbia emesso un atto violando il proprio dovere di astensione, è necessario che tale atto abbia arrecato un indebito vantaggio patrimoniale; invece se l'atto è conforme al trattamento riservato a tutte le altre istanze di identico contenuto presentate dagli altri cittadini non è idoneo a configurare l'illecito. (Fattispecie relativa al Sindaco che in violazione al dovere di astensione riconosceva all'istanza di sospensione di pagamento presentata dalla moglie l'esenzione dall'imposta di bollo conformemente a tutte le altre istanze presentate da altri cittadini).

Cass. pen. n. 11413/2003

Per la configurazione del reato di abuso di ufficio nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, nel caso in cui il risultato dell'azione delittuosa consista nel cagionare un danno ingiusto, è indispensabile che tale danno sia conseguenza diretta ed immediata del comportamento dell'agente e quindi che sia da costui voluto quale obiettivo del suo operato, come si evince dall'avverbio intenzionalmente utilizzato dal legislatore. (Fattispecie in cui è stata esclusa l'ipotesi di reato per la dilazione della decisione di concedere l'autorizzazione per un passo carrabile giustificata dalla necessità di prevenire controversie con altre parti interessate e realizzata per acquisire ulteriori informazioni tecniche).

Cass. pen. n. 10656/2003

Nell'abuso di ufficio connesso a una violazione di legge, questa si pone come mero presupposto di fatto per l'integrazione del delitto, e lo specifico contenuto della regola violata non si incorpora nella norma penale e non va ad integrare la relativa fattispecie. Ne consegue che la sussistenza di tale requisito di fatto deve essere ricercata nel momento stesso del reato e la valutazione del giudice non può che essere rapportata al contenuto che quella regola possedeva al tempo in cui il reato fu commesso, con l'effetto ulteriore che, in caso di modificazione successiva di tale regola, non trova applicazione l'art. 2 c.p., in quanto la nuova legge di riferimento non introduce alcuna differente valutazione in relazione alla fattispecie legale astratta disegnata dalla norma incriminatrice e al suo significato di disvalore (rimanendo immutato il presupposto della “violazione di legge”), ma modifica una disposizione extrapenale che si limita ad influire, nel caso singolo, sulla concreta applicazione futura della stessa norma incriminatrice, nel senso che la sussistenza del requisito della “violazione di legge” va verificata alla luce della nuova regola. (Nella specie, in cui l'abuso era consistito nell'adozione, da parte di dirigenti di un Ente ospedaliero, di delibere che avevano posto a carico dell'Ente medesimo le spese legali per la difesa, in un processo per concussione, di un primario chirurgo e di un'infermiera, in violazione dell'art. 41 D.P.R. n. 270 del 1987, la sopravvenienza, nel corso del processo, di una disposizione meno rigorosa — quella dell'art. 26 CCNL della dirigenza medica del SSN — aveva indotto il giudice di merito ad applicare l'art. 2, comma secondo, c.p., sia pure limitatamente alla posizione del medico; la Corte, nell'enunciare il principio sopra trascritto, ha posto in evidenza come anche la disposizione sopravvenuta, al pari della precedente, subordinasse l'obbligo dell'Ente alla riferibilità ad esso del fatto del dipendente, che era esclusa in ogni caso dalla condotta concussiva di entrambi i ricorrenti, pur restando intangibile la statuizione assolutoria del chirurgo in mancanza di ricorso del P.M.).

Cass. pen. n. 9970/2003

Configura il delitto di abuso di ufficio la condotta del vigile urbano che, potendo procedere alla contestazione sul posto, disponga l'accompagnamento nei propri uffici, senza che la persona intimata abbia rifiutato di dichiarare le proprie generalità ovvero sussistano ragioni per ritenere la falsità delle dichiarazioni rese, in violazione di una specifica norma di legge (art. 11 del D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito nella L. 18 maggio 1978, n. 191), provocando così un danno ingiusto, consistito in un'umiliante costrizione, percepita dalla vittima come conseguente ad un atteggiamento di vessazione del tutto inutile.

Cass. pen. n. 3381/2003

L'art. 323 c.p. delinea un reato di evento e non dà rilievo alla mera esposizione a pericolo dell'interesse garantito, sicché deve escludersi la configurazione del reato allorché non vi sia la prova che sia stato raggiunto un risultato contra ius anche se ricorra una condotta non iure dell'agente. (Fattispecie in tema di abuso d'ufficio da parte di un p.u. che aveva avocato a sé la trattazione di una pratica, senza avvertire il dovere di astenersi pur avendo intrattenuto rapporti economici con le parti interessate, in assenza, tuttavia, di dati probatori certi tali da collegarli, attraverso un idoneo nesso di causalità, con l'evento indicato rappresentato dall'ingiusto vantaggio patrimoniale).

Cass. pen. n. 3380/2003

È configurabile il delitto di abuso d'ufficio nel comportamento del sindaco che, allo scopo di favorire un proprio parente, pur avendo ricevuto dai Vigili Urbani un verbale di accertamento e denuncia di un'opera abusiva, omette l'immediata adozione dell'ordinanza di sospensione dei lavori.

Cass. pen. n. 2887/2003

È legittimo il sequestro preventivo di un suolo per impedire l'ulteriore modifica contra legem dell'assetto del territorio, qualora l'imputazione abbia ad oggetto il delitto di abuso di ufficio, intenzionalmente diretto a consentire l'edificazione di un immobile, mediante il rilascio di una autorizzazione edilizia in violazione della normativa a tutela delle aree di particolare interesse ambientale.

Cass. pen. n. 960/2003

Commette il reato di cui all'art. 323 c.p. il medico di una struttura pubblica il quale rappresenti al paziente l'imminenza di un pericolo per la sua salute (nel caso di specie un ictus in tempi brevi) e l'impossibilità di un ricovero tempestivo presso la struttura pubblica convincendolo ad eseguire gli esami più urgenti con successivo intervento chirurgico presso una clinica privata in cui il medico presta la propria opera professionale. Ciò in quanto uno stato di pericolo attuale costituisce una situazione di emergenza che rende doveroso per il medico della struttura pubblica disporre il ricovero immediato per procedere ad accertamenti tempestivi, eventualmente costringendo ad ulteriori attese pazienti le cui condizioni siano meno pressanti, e, nel caso, al tempestivo intervento chirurgico.

Cass. pen. n. 62/2003

Ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) è necessario che sussista la c.d. doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell'illegittimità della condotta.

Cass. pen. n. 42839/2002

In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla legge 14 luglio 1997, n. 234, l'uso dell'avverbio «intenzionalmente» per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all'agente dell'ordinamento, (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, né un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato. (Fattispecie relativa alla condotta del sindaco di un comune sito in zona turistica che aveva rilasciato un certificato di abitabilità e di agibilità di un complesso turistico in violazione delle norme in materia urbanistica e sanitaria che imponevano il previo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, subordinata a nulla osta ambientale, allo scopo di perseguire il fine pubblico di assicurare la stagione turistica del comune che fonda la sua economia esclusivamente sul turismo).

Cass. pen. n. 31895/2002

Integra l'ipotesi del concorso nel reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p. introdotto dalla legge 16 luglio 1997, n. 234) la condotta del sindaco che non impedisca la violazione dell'obbligo di astensione di taluni dei componenti del consiglio comunale i quali abbiano collaborato alla individuazione dei soggetti irregolarmente assunti alle dipendenze del comune allorché questi ultimi siano prossimi congiunti dei primi.

È idonea a determinare la violazione di legge rilevante ai fini dell'integrazione del reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p., nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234) la violazione dell'art. 97 Cost. che, disponendo che all'impiego pubblico si accede mediante concorso, detta una regola di autorganizzazione, avente valore precettivo e, quindi, di immediata applicazione per la pubblica amministrazione, mentre le eventuali eccezioni a detta regola sono demandate al legislatore per il quale essa riveste valore programmatico.

Cass. pen. n. 3882/2002

Commette il delitto di abuso di ufficio il sindaco che, quale ufficiale del Governo e come tale investito di un'autonoma potestà pubblica rispetto alla ordinaria competenza statale e regionale, ordini ex art. 12 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 temporaneo a speciali forme di smaltimento di rifiuti in deroga alle disposizioni vigenti, senza che sussistano le condizioni per l'esercizio di tale potere extra ordinem e, comunque, ricorra una situazione di emergenza tale da non potere assicurare la tutela tempestiva della salute pubblica e dell'ambiente ed attendere il rilascio della prescritta autorizzazione, prevista dall'art. 25 dello stesso decreto presidenziale regionale, per installare e gestire una discarica di rifiuti. (Nell'occasione, la Corte ha precisato che al giudice penale spetti il sindacato sulla sussistenza e sui limiti del potere extra ordinem del sindaco, e non invece sul rispetto delle regole del suo corretto esercizio, giacché la legalità dell'ordinanza di utilizzo di forme diverse di smaltimento dei rifiuti non costituisce elemento normativo della fattispecie di reato).

Cass. pen. n. 1905/2002

Integra la figura dell'abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. e non quella del peculato l'appropriazione a proprio profitto e per finalità diverse da quelle d'ufficio di un bene di esiguo valore economico rientrante nella sfera pubblica (in applicazione di tale principio la Corte ha escluso la sussistenza del reato di peculato, ravvisandovi invece quello di abuso d'ufficio, nella condotta di appropriazione a proprio vantaggio da parte di alcuni impiegati di una Conservatoria Immobiliare di materiale di consumo e di energia elettrica necessaria al funzionamento di macchinari dell'ufficio).

Cass. pen. n. 1229/2002

Il reato di abuso di ufficio connotato da violazione di norme di legge o di regolamento è configurabile non solo allorché la condotta tenuta dall'agente sia in contrasto con il significato letterale, logico o sistematico della disposizione di riferimento, ma anche quando essa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi in uno «svolgimento della funzione o del servizio» che oltrepassa ogni possibile opzione attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato in capo ai componenti della commissione esaminatrice di un concorso per l'accesso a scuola di specializzazione universitaria, i quali, pur a conoscenza del furto di una copia del questionario della prova avvenuto prima del suo espletamento e, quindi, della probabile preventiva conoscenza delle domande da parte di alcuni candidati, avevano egualmente fatto svolgere la prova, sull'assunto che la norma extrapenale di riferimento ? art. 13 D.P.R. 10 marzo 1982 n. 162 — si limita a stabilire la procedura concorsuale, ma non si occupa né del comportamento degli esaminatori, né del pericolo che i candidati possano conoscere in anticipo i quesiti da risolvere.

Cass. pen. n. 45265/2001

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p., debbono ritenersi rientranti nelle previsioni della norma incriminatrice soltanto le condotte che siano comunque riconducibili alle funzioni di ordine pubblicistico affidate all'agente, anche se risultino violati i limiti e le condizioni del loro esercizio, mentre, quando si tratti di attività proprie di una funzione del tutto estranea alla sfera di attribuzioni del soggetto, può ravvisarsi, ove ne ricorrano i presupposti, solo la diversa ipotesi di reato di cui all'art. 347 c.p. (usurpazione di funzioni pubbliche). (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto — pur in presenza di una causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione — che esulasse l'ipotesi dell'abuso d'ufficio nel caso di sequestro di un immobile disposto da un semplice dipendente comunale non investito, come tale, dalla necessaria qualità di ufficiale di polizia giudiziaria). (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 43169/2001

Integra il reato di abuso di ufficio, anche dopo la riforma dell'art. 323 c.p., introdotta con l'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, sotto il profilo della violazione di legge (art. 279 del T.U. 1934, n. 383), con specifico riferimento all'inottemperanza del dovere di astensione, la condotta dell'amministratore comunale che, tra le confliggenti richieste di utilizzazione della piazza per propaganda elettorale, abbia respinto quella del rappresentante della lista avversaria e, successivamente, abbia autorizzato la propria lista all'utilizzo della piazza per le medesime finalità.

Cass. pen. n. 39932/2001

Non è configurabile il reato di abuso d'ufficio a carico di amministratori comunali, in relazione al rilascio di una concessione edilizia in sanatoria che si assuma non conforme agli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell'opera abusiva, quando non risulti che la non conformità sussista anche rispetto agli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'accoglimento della domanda di concessione in sanatoria.

Cass. pen. n. 20282/2001

Integra il reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) la condotta degli amministratori di un comune che, in violazione della previsione di legge (art. 87 del T.U. legge comunale e provinciale) riguardante l'obbligo per la pubblica amministrazione di scegliere i propri contraenti secondo le regole dell'evidenza pubblica, abbiano proceduto all'affidamento diretto dei lavori (nella specie, per la sistemazione del lido comunale) ad una impresa.

Cass. pen. n. 16241/2001

In tema di abuso di ufficio, integra la violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilità del reato, il rilascio, da parte del Sindaco, di una concessione edilizia in sanatoria allorché rimanga accertata l'assenza del requisito della conformità dell'opera agli strumenti urbanistici generali (nella fattispecie, per contrasto con il Piano Regolatore Generale che escludeva l'edificazione di strutture commerciali nella zona, destinata a verde privato).

Cass. pen. n. 6837/2001

Per la sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p., non è sufficiente che il soggetto ponga in essere un comportamento contrario ai doveri di imparzialità cui devono essere informati gli atti della P.A., ma è anche necessario che la sua condotta si risolva nella violazione di un obbligo determinato imposto dalla legge o da un regolamento da cui derivi un ingiusto vantaggio e che detta violazione sia posta in essere nell'esercizio del potere proprio del pubblico ufficiale. (Nella specie, la S.C., facendo anche riferimento al disposto di cui all'art. 25 della L. 23 luglio 1991 n. 223, ha escluso la configurabilità del reato, contestato nella forma del tentativo, nel caso di dirigente dell'Uplmo che aveva inoltrato ad un proprio dipendente, il quale non le aveva raccolte, sollecitazioni scritte dirette all'assunzione di soggetti nominativamente indicati).

Cass. pen. n. 5117/2001

La violazione, da parte del notaio, degli obblighi imposti dagli artt. 7 e 8 della legge n. 349 del 1973, disciplinanti i diritti spettanti per ogni titolo protestato, e l'indennità di accesso, comprensiva del rimborso spese, per ogni atto compiuto fuori dalla sede, è rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio, atteso lo specifico contenuto prescrittivo delle norme in parola, poste a tutela degli interessi dei soggetti debitori. (Nella fattispecie, relativa a notaio che si era auto-liquidato ulteriori compensi rispetto a quelli previsti, la Corte rigettava l'eccezione difensiva circa la sussistenza dell'errore, dovuto a prassi generalizzata, su una legge diversa da quella penale, e affermava che l'art. 323 c.p., obbligando il pubblico ufficiale al rispetto di leggi e regolamenti nell'esercizio delle sue funzioni, recepisce nella struttura del reato ogni disciplina dei doveri del pubblico ufficiale medesimo).

Cass. pen. n. 273/2001

Non integra una violazione di legge rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio l'emanazione del provvedimento sindacale con il quale sia stata pronunciata la decadenza dell'avente titolo di preferenza alla gestione di un dispensario farmaceutico, ai sensi dell'art. 1, comma 4, legge 8 marzo 1968 n. 221, per la mancata adesione alle condizioni richieste dall'autorità amministrativa nel termine di trenta giorni di cui all'art. 9 D.P.R. 21 agosto 1971 n. 1275, e la successiva assegnazione dell'esercizio commerciale a un farmacista legittimato solo in subordine alla rinuncia del primo, poiché la disposizione da ultimo richiamata attribuisce, in via presuntiva, valore di rinuncia al mancato adempimento alle richieste del sindaco entro il termine stabilito. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio, ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., la sentenza che aveva ritenuto sussistente nel caso di specie il reato di cui all'art. 323 c.p.).

Cass. pen. n. 11600/2000

In tema di abuso di ufficio, il consigliere comunale non ha il dovere di astenersi da delibere di approvazione di piani regolatori generali, trattandosi di atto finale di un procedimento complesso in cui confluiscono e si compensano molteplici interessi, collettivi o individuali, sicché il voto espresso dal singolo amministratore non riguarda una specifica prescrizione ma il contenuto generale dell'atto. Sussiste invece il dovere di astensione, ed è conseguentemente configurabile il reato in caso di mancata astensione, qualora si tratti di partecipazione a delibere su opposizioni al piano regolatore generale riconducibili a interessi personali sia propri dell'amministratore sia di un prossimo congiunto.

Cass. pen. n. 10448/2000

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio non basta, trattandosi di ingiusto vantaggio patrimoniale, che questo sia la conseguenza naturale della condotta posta in essere dall'agente per un fine diverso, essendo invece indispensabile — come si evince dall'uso del termine «intenzionalmente» adottato dal legislatore nella nuova formulazione della norma incriminatrice introdotta dall'art. 1 della legge 16 luglio 1997 n. 234 — che il detto vantaggio sia conseguenza diretta e immediata di detta condotta e sia quindi voluto dall'agente come obiettivo del suo operato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato la sentenza con la quale la corte di merito aveva affermato la responsabilità di taluni amministratori comunali i quali avevano rilasciato o concorso a rilasciare numerose concessioni edilizie in contrasto con gli strumenti urbanistici, con ciò arrecando consapevolmente vantaggio ai destinatari di tali concessioni, ma essendo stati però mossi solo dal riconosciuto intento di evitare in tal modo il danno costituito dallo spopolamento delle zone di montagna interessate dai suddetti provvedimenti).

Cass. pen. n. 9422/2000

Integra il reato di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p. (nella formulazione introdotta dall'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234) la condotta del sindaco che prescriva, con ordinanza (motivata, nella specie, con ragioni di igiene), la costruzione di un manufatto, pertinente ad altro, per il quale non possa essere rilasciata l'autorizzazione edilizia richiesta dall'interessato in quanto non consentita dalle previsioni del piano regolatore.

Cass. pen. n. 8745/2000

In tema di abuso d'ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dall'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, il legislatore, con l'utilizzazione dell'avverbio «intenzionalmente», ha voluto escludere la rilevanza penale non solo di condotte poste in essere con dolo eventuale, ma anche con dolo cosiddetto diretto, che ricorre quando il soggetto si rappresenti la realizzazione dell'evento come altamente probabile o anche come certa, ma la volontà non sia volta alla realizzazione di tale fine; ne consegue che, affinché una condotta possa essere addebitata all'agente a titolo di abuso di ufficio, è necessario che l'evento sia la conseguenza immediatamente perseguita dal soggetto attivo. (Nella specie è stata affermata la correttezza dell'operato del giudice di merito che aveva ritenuto l'insussistenza del dolo intenzionale, e quindi escluso la configurabilità del reato, nel comportamento del rettore di una università che, pur consapevole del blocco delle assunzioni di personale non docente stabilito con legge 27 febbraio 1980, n. 38, salvo deroghe per particolari esigenze delle facoltà di agraria e veterinaria e degli orti botanici, aveva assunto formalmente personale con tale qualifica per l'apparente utilizzazione in azienda agricola di proprietà dell'università, destinandolo, poi, a funzioni amministrative nell'ambito dell'università stessa; ha rilevato la Corte come la volontà dell'agente fosse diretta a garantire il funzionamento dell'ente, mentre le assunzioni non rivestivano la diretta finalità di procurare ad altri un ingiusto vantaggio).

Cass. pen. n. 7290/2000

Per la configurazione del reato di cui all'art. 323 c.p. si richiede che il pubblico ufficiale agisca in violazione di norme di legge o di regolamento, il reato non può essere ravvisato sicché quando, in un procedimento amministrativo complesso e cioè caratterizzato dal concorso di diversi atti amministrativi, l'agente abbia contribuito esclusivamente all'adozione di un atto legittimo, e la illegittimità del provvedimento finale dipenda da atti diversi, alla cui formazione egli non abbia contribuito. (Fattispecie in cui gli imputati, relativamente ai quali la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto, erano stati ritenuti responsabili del reato di abuso di ufficio dai giudici di merito per avere concorso a rilasciare una concessione edilizia illegittima sotto il profilo della violazione della legge urbanistica, mentre essi si erano espressi favorevolmente al progetto esclusivamente sotto il profilo della sua compatibilità con la disciplina in materia ambientale).

Cass. pen. n. 6806/2000

In tema di abuso di ufficio, ricorre la «violazione di norme di legge» non solo quando la condotta del pubblico ufficiale si svolga in contrasto con le forme, le procedure o i requisiti richiesti dalla legge, ma anche quando essa non si sia conformata al presupposto stesso da cui trae origine l'autonomia negoziale del diritto privato, dal vincolo di tipicità e di stretta legalità. (Fattispecie relative a custode giudiziario di un'azienda che aveva consentito ad un socio di profittare, con danno degli altri soci, dei beni aziendali. Affermando il principio la Corte ha precisato che la norma di cui all'art. 65 c.p.c., rappresentando la funzione del custode, ne vincola al contempo l'esercizio alla conservazione del bene).

Cass. pen. n. 5779/2000

È configurabile il reato di abuso di ufficio nell'attività dei componenti del comitato di gestione di una Usl che abbiano stipulato convenzioni con biologi senza rispettare le formalità all'uopo previste dagli accordi collettivi a livello nazionale (che hanno natura regolamentare e sono resi esecutivi, ai sensi dell'art. 48 L. n. 833 del 1978, con decreto del Presidente della Repubblica), e, in particolare, senza attingere alla graduatoria nella quale, a norma dei citati accordi collettivi, devono iscriversi i professionisti che, provvisti dei prescritti requisiti, aspirino a svolgere la propria attività nel Servizio Sanitario, a nulla rilevando la mancata approvazione della suddetta graduatoria per l'anno in corso, atteso che tale circostanza non può esimere il comitato di gestione dal rispetto delle altre formalità previste (quali la pubblicazione degli incarichi da conferire nel bollettino ufficiale della regione e il prioritario interpello dei professionisti già titolari di altro incarico ambulatoriale presso le Usl della regione), né impedisce di fare ricorso alla graduatoria provvisoria in corso di approvazione, ovvero la graduatoria approvata per l'anno precedente.

Cass. pen. n. 4881/2000

Ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio nella ipotesi in cui all'agente sia contestato di avere arrecato un danno ingiusto, non rilevano solo le norme che vietano puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, ma ogni altra norma, anche di natura procedimentale, la cui violazione determini comunque un danno ingiusto a norma dell'art. 2043 c.c.; precetto, questo, che, secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite civili, va considerato non come norma secondaria volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme, ma come norma primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto configurabile il reato nella condotta di un primario ospedaliero che aveva negato sistematicamente l'attività in sala operatoria a un suo assistente, nonostante la normativa prevedesse che il servizio relativo ai pazienti dovesse rispettare criteri oggettivi di competenza, di equa distribuzione del lavoro, di rotazione nei vari settori di pertinenza).

Cass. pen. n. 3992/2000

In tema di abuso d'ufficio, non integra violazione di legge, ma esercizio legittimo del potere discrezionale della pubblica amministrazione, il provvedimento con il quale il sindaco, in ossequio all'art. 3, comma tredicesimo, della L. n. 112 del 1991, nel revocare le concessioni di commercio ambulante in area monumentale, contestualmente ne sospenda gli effetti in attesa di individuare le aree alternative da assegnare ai commercianti, sempre che risulti accertato che il comportamento del sindaco non sia stato pretestuosamente dilatorio.

Cass. pen. n. 910/2000

In tema di elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio, non è richiesta la prova della collusione del pubblico ufficiale con i beneficiari dell'abuso, essendo sufficiente la verifica del favoritismo posto in essere con l'abuso dell'atto di ufficio.

Cass. pen. n. 14641/1999

Ricorrono gli estremi del reato di abuso di ufficio nel comportamento del vigile urbano che elevi contravvenzione a un soggetto e non a un altro se si siano resi entrambi autori della medesima infrazione al codice della strada (divieto di sosta). L'abuso di ufficio nella formulazione della norma dell'art. 323 c.p. conseguente alla entrata in vigore dell'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234, può, infatti, realizzarsi anche con un comportamento omissivo. D'altra parte, la violazione di legge va ravvisata nella inosservanza dell'art. 11, comma primo, lett. a) del codice della strada, che fa obbligo ai soggetti indicati nell'art. 12 dello stesso codice (tra i quali gli appartenenti alla polizia municipale) di procedere alla prevenzione e all'accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale e di contestare la violazione; mentre l'ingiusto vantaggio patrimoniale a favore del soggetto al quale non è stata elevata la contravvenzione è ravvisabile nella esenzione illegittima dal pagamento della somma portata dalla violazione amministrativa. (Nel confermare la decisione dei giudici di merito, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza impugnata anche nel punto in cui ha desunto il dolo intenzionale dal fatto che il soggetto al quale non era stata elevata la contravvenzione era il proprietario del locale antistante il luogo ove era posto il divieto).

Cass. pen. n. 13795/1999

In tema di abuso d'ufficio, la violazione di norme di leggi o di regolamento contemplata dalla fattispecie di cui all'art. 323 c.p. non può essere integrata dall'inosservanza delle disposizioni inserite nel bando di concorso il quale è atto amministrativo e, quindi, fonte normativa non riconducibile a quelle tassativamente indicate dal successivo art. 323 (“id est” legge o regolamento). Sicché nel caso di mancata valutazione obiettiva dei candidati, la norma, penalmente rilevante risiede nella legge 29 marzo 1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego) che si applica a tutte le pubbliche amministrazioni (Art. 1), che all'art. 20 stabilisce che il reclutamento dei pubblici dipendenti avviene mediante concorso e che questo consiste nella valutazione obiettiva del merito dei candidati, accertato mediante l'esame dei titoli e/o delle prove selettive. (Fattispecie in cui la Suprema Corte — in applicazione del principio di cui in massima — ha ritenuto la sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p. nella condotta del commissario di esame di un pubblico concorso che, a fronte del risultato sostanzialmente equivalente della prova orale sostenuta da due candidati assegnò due al primo e otto al secondo e che al momento della valutazione dei titoli, rilevato che il primo vantava una copiosa produzione mentre il secondo ne era completamente privo, rifiutò di prendere in esame i medesimi titoli).

Cass. pen. n. 3499/1999

Il delitto di abuso di ufficio, presenta un'alternativa di eventi (conseguimento di ingiusto vantaggio patrimoniale-realizzazione di danno ingiusto per altri) tale che soltanto il secondo consente di qualificare il reato come plurioffensivo, nel senso della presenza, ontologicamente necessaria, di un soggetto leso determinato, diverso dalla pubblica amministrazione. Nella prima ipotesi, viceversa, l'interessato tutelato resta soltanto quello costituito dal buon andamento, dalla imparzialità e dalla trasparenza del comportamento dei pubblici ufficiali. Consegue che, nell'ipotesi in cui il reato si realizzi attraverso il conferimento di un ingiusto vantaggio, il giudice non è tenuto a disporre l'archiviazione previa fissazione dell'udienza a seguito della opposizione del denunciante, potendo, al contrario, provvedere de plano, in quanto difetta, in capo al denunciante medesimo, la qualità di persona offesa.

Cass. pen. n. 13341/1999

In tema di abuso di ufficio, è idonea a integrare la violazione di legge rilevante ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p. la inosservanza da parte del pubblico ufficiale del dovere di motivazione del provvedimento e della forma scritta imposti dall'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e, ancor prima, dall'art. 7 della L. 9 maggio 1989, n. 168. (Fattispecie nella quale un rettore di una Università aveva conferito numerosi incarichi retribuiti di consulenza e assistenza legale a un professionista in forma verbale e senza previa audizione e interpello del consiglio di facoltà).

Cass. pen. n. 13331/1999

In tema di abuso di ufficio, integra il dolo intenzionale la coscienza e volontà del soggetto agente di procurare a un privato un ingiusto vantaggio patrimoniale, essendo irrilevante il movente, e cioè la motivazione che induce il soggetto agente a perseguire come fine della condotta la realizzazione del reato. (Fattispecie nella quale il giudice di merito aveva accertato che il pubblico ufficiale sapeva e voleva assumere un atto — autorizzazione alla realizzazione di un esercizio produttivo nel Parco Ticino — in violazione di legge, e in relazione alla quale si è ritenuto irrilevante, in base al principio di diritto sopra esposto, che il medesimo soggetto, con tale atto, volesse «affermare la sua nuova posizione di potere e le proprie obiezioni personali alla disciplina del Parco del Ticino»).

Cass. pen. n. 12944/1999

In tema di abuso di ufficio, il vantaggio patrimoniale considerato dall'art. 323 c.p. tra gli elementi essenziali della fattispecie va inteso avendo riguardo al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale a cui si dà vita per effetto dell'atto antidoveroso dell'agente. (Fattispecie in cui si è ritenuto integrato il vantaggio patrimoniale a seguito dell'abusivo rilascio di una autorizzazione all'esercizio di un'attività commerciale).

Cass. pen. n. 12928/1999

In tema di elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio, la prova che un atto amministrativo è il risultato di una collusione tra il privato e il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno ed il provvedimento adottato dall'altro, essendo invece necessario a tal fine che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti ovvero altri dati di contorno dimostrino che la domanda del privato è stata preceduta, accompagnata o seguita dalla intesa con il pubblico ufficiale o, comunque, da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo.

Cass. pen. n. 12221/1999

In tema di abuso di ufficio, integra l'elemento della violazione di legge considerato dalla fattispecie criminosa di cui all'art. 323 c.p. il rilascio di concessione edilizia in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici, risolvendosi ciò nella violazione dell'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che impone al sindaco di rilasciare le concessioni «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici». (Fattispecie in cui era stata assentita l'edificazione di un fabbricato le cui dimensioni eccedevano il rapporto superficie-volumetria stabilito dal piano regolatore. Nell'affermare il principio di diritto sopra riportato, la S.C. ha precisato in tal modo, a norma dell'art. 619, comma primo, c.p.p., la specifica violazione di legge che ricorreva nel caso di specie, non indicata nel capo di imputazione).

Cass. pen. n. 9387/1999

Atteso il permanente carattere sussidiario del reato di abuso di ufficio previsto dall'art. 323 c.p. anche dopo la riforma effettuata con L. 16 luglio 1997, n. 234, deve escludersi il concorso formale di tale reato con quello, più grave, di turbata libertà degli incanti.

Cass. pen. n. 8191/1999

In tema di abuso di ufficio (art. 323 c.p.), il principio di specialità bilaterale tra norme, cui occorre riferirsi per risolvere i problemi di diritto intertemporale, impone di ritenere che dopo l'entrata in vigore dell'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234 possono assumere rilevanza penale, anche se commessi in data anteriore, soltanto gli abusi consistenti in violazione di legge o di regolamento, ovvero quelli dai quali sia derivato un vantaggio patrimoniale o un danno (entrambi ingiusti).

Cass. pen. n. 2133/1999

Il reato di cui all'art. 323 c.p., così come modificato dalla legge 16 luglio 1997 n. 234, è un reato di evento, che consiste nel vantaggio del pubblico ufficiale o di altri oppure nel danno ingiusto arrecato ad altri. Ciò significa che l'abuso è idoneo a ledere oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della P.A. ed alla imparzialità dei pubblici funzionari, anche l'interesse del privato a non essere «turbato nei suoi diritti costituzionalmente garantiti» e a non essere danneggiato dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale. Ne consegue che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimato non solo a costituirsi parte civile quanto il processo abbia inizio (diritto spettante anche al solo danneggiato), ma anche a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. in applicazione degli artt. 409 e 410 c.p.p.

Cass. pen. n. 1147/1999

Quando il reato di abuso di ufficio sia commesso per arrecare «ad altri un danno» è lesa oltre che la sfera giuridica della pubblica amministrazione anche quella del privato: in tal caso il reato è plurioffensivo, con la conseguenza che la persona offesa dal reato ha il diritto di ricevere l'avviso di richiesta di archiviazione.

Cass. pen. n. 6274/1999

In tema di abuso di ufficio, secondo la configurazione del reato di cui all'art. 323 c.p. prevista dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, la finalità di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale a più persone operanti nel settore produttivo attraverso il rilascio di autorizzazioni edilizie illegittime, non fa venir meno la deviazione dell'autorità amministrativa verso gli interessi privatistici, dovendosi escludere il perseguimento e la tutela degli interessi privati quando, per effetto di un'attività edilizia autorizzata contra ius, si verificano conseguenze deleterie per l'assetto complessivo del territorio e dell'ambiente.

Cass. pen. n. 6024/1999

In tema di abuso d'ufficio, finalizzato ad arrecare ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, il soggetto destinatario della situazione di ingiusto profitto, conseguente alla violazione di norme di legge o di regolamento commessa dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, non necessariamente concorre nel reato proprio, attesoché il delitto ex art. 323 c.p. non si configura come reato obbligatoriamente plurisoggettivo, qualificato in quanto tale, dalla presenza dell'extraneus, a favore del quale è intenzionalmente diretto l'abuso. (Fattispecie in cui la S.C., in applicazione del principio di cui in massima, ha escluso che la partecipazione ad un concorso nonché la vincita e l'accettazione del posto siano elementi sufficienti a configurare una partecipazione del candidato nel reato di abuso di ufficio consumato in suo favore e contestato ad alcuni membri della commissione di esame).

Cass. pen. n. 5597/1999

Integra il reato di abuso di ufficio la condotta di un assessore all'urbanistica di un Comune che rilascia a un privato, già beneficiario di una autorizzazione in precario per un manufatto sito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, infisso saldamente al suolo e destinato oggettivamente a permanente attività di lavorazione del marmo, due provvedimenti cosiddetti di «proroga» della citata autorizzazione, in violazione sia dell'art. 28 del Regolamento edilizio, che consentiva di autorizzare precariamente la installazione di manufatti per esigenze contingenti o stagionali, destinati ad essere usati per periodi non superiori a otto mesi e facilmente asportabili sia, non ricorrendo tali presupposti, delle norme che disciplinano il rilascio di concessioni edilizie e di quelle poste a tutela delle zone vincolate paesaggisticamente.

Cass. pen. n. 5488/1999

Non è idonea a determinare la violazione di legge rilevante ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 323 c.p. la violazione di norme di legge aventi carattere procedurale. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato nella condotta di un preside di un istituto scolastico che, nella ipotesi accusatoria, non si era attenuto ai criteri fissati dall'art. 3 D.P.R. n. 417 del 1974 circa le modalità per l'esercizio dei poteri attinenti alla formazione delle classi, all'assegnazione ad esse dei docenti e alla determinazione dell'orario).

Cass. pen. n. 3684/1999

Ai fini della sussistenza del reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) come novellato dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 risulta rilevante qualsiasi violazione di quelle norme di relazione che, prevedendo poteri coercitivi del pubblico ufficiale, da considerare sempre eccezionali, incidono tassativamente sulle libertà dei cittadini. Sicché deve ritenersi che integri gli estremi del delitto la condotta del pubblico ufficiale il quale, dichiarando pretestuosamente di esercitare i poteri propri del suo ufficio, intenda avvalersene solo per sopraffare chi ostacoli i suoi scopi personali, non essendo necessario che il comportamento abusivo sia posto in essere nel corso di un regolare svolgimento delle funzioni o del servizio né che il danno arrecato sia di natura esclusivamente patrimoniale. (Fattispecie in cui l'imputato agente di polizia penitenziaria e pertanto in possesso di paletta segnaletica del corpo, utilizzò tale paletta per impedire che alcune persone presenti intervenissero in soccorso della fidanzata con cui stava litigando, chiedendo loro pretestuosamente i documenti; la Corte ha osservato che sia l'utilizzazione della paletta che la richiesta dei documenti sono avvenuti in violazione della legge e dei regolamenti e che la donna subì in conseguenza di tale comportamento il danno di ulteriori ingiurie e violenze, quantomeno morali).

Cass. pen. n. 2173/1999

È configurabile il reato di abuso di ufficio a carico del sindaco il quale, in violazione dell'art. 127 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 e disattendendo specifiche e reiterate richieste della minoranza consiliare, disponga sistematicamente la riunione del consiglio comunale in unica convocazione, anziché fissare, per la seconda convocazione, come prescritto, un diverso giorno e, in tal modo, ritenendo sempre applicabile il più elevato “quorum” di presenze richiesto per la validità della prima convocazione, impedisca, mediante l'allontanamento dei consiglieri di maggioranza, il raggiungimento di detto “quorum” e, pertanto, la possibilità di adottare delibere.

Cass. pen. n. 3704/1999

Il primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi ed in modo da assicurare sempre l'interesse della pubblica amministrazione, in particolare ispirandosi nei rapporti con i colleghi, ai sensi dell'art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione; pertanto sussiste il reato di abuso di ufficio con violazione di legge, secondo la nuova formulazione dell'art. 323 c.p., allorché il medesimo ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondano le proprie scelte volte a dirottare pazienti dall'ospedale ad una clinica privata.

Cass. pen. n. 1687/1999

In tema di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) l'evento deve essere ingiusto in sé, e non come riflesso della violazione di norme o dell'omessa astensione da parte del pubblico ufficiale. Tale ingiustizia intrinseca va ravvisata quando la persona favorita abbia conseguito un accrescimento della propria posizione patrimoniale contra ius. I due elementi della illegittimità della condotta e della ingiustizia dell'atto sono dunque distinti: e se in concreto la compresenza di tali elementi corrisponde all'id quod plerumque accidit, ciò non esime dall'obbligo di verificare, volta per volta, la sussistenza di entrambi. Ne consegue che il sindacato penale posto in atto ex art. 323 c.p. deve fondarsi sulla individuazione di un provvedimento incontestabilmente dovuto, rispetto al quale il diverso non conforme provvedimento adottato appaia, altrettanto incontestabilmente, illegittimo. (Nella fattispecie, relativa all'assegnazione in una causa di separazione, dell'alloggio familiare ad un coniuge piuttosto che all'altro, la Corte ha negato che l'incriminato provvedimento del giudice fosse incontestabilmente contra ius, proprio in quanto non sussistevano i presupposti giuridici per ritenere incontestabilmente dovuta la assegnazione all'altro coniuge).

Cass. pen. n. 1169/1999

Integra gli estremi del reato di abuso di ufficio nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dall'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234 il comportamento del sindaco che, in pendenza di una richiesta di condono edilizio per una costruzione edilizia accessoria (porticato) a un precedente fabbricato abusivo sul quale veniva a inserirsi, rilasci licenza edilizia, senza i richiesti pareri e le necessarie autorizzazioni, per tale opera accessoria. Detta licenza poteva essere, infatti, legittimamente concessa solamente nel corso dell'istruttoria di apposito procedimento di rilascio di concessione edilizia in sanatoria dell'abuso preesistente.

Cass. pen. n. 786/1999

In tema di abuso di ufficio, il provvedimento con il quale il sindaco autorizza il titolare di una concessione di suolo pubblico a installare su tale area un serbatoio, in contrasto con il contenuto della concessione (che vietava la costruzione sull'area concessa di qualsiasi manufatto), pur potendo assumere rilievo ai fini della individuazione di profili di illegittimità dell'atto amministrativo, con particolare riguardo all'eccesso di potere, non integra alcuna violazione di legge o regolamento, non essendo di per sé inibito alla pubblica amministrazione di consentire, nell'interesse pubblico, la costruzione precaria di manufatti su aree oggetto di concessione di suolo pubblico. Tale provvedimento, avendo per sua natura effetti precari, non è infatti di norma suscettibile di porsi in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici, essendo l'atto concessorio revocabile in ogni momento ad nutum dell'amministrazione.

Cass. pen. n. 179/1999

Integra il reato di abuso di ufficio secondo la previsione dell'art. 323 c.p., nella formulazione introdotta con l'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234, il comportamento dell'amministratore comunale che, nella qualità di sindaco, tolleri che il privato costruisca un immobile senza concessione, in attesa della approvazione del piano particolareggiato, così violando l'art. 4, comma primo, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per omissione della vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, e, successivamente, quale membro della commissione edilizia, conoscendo la già avvenuta costruzione, esprima parere favorevole al rilascio della concessione edilizia “ordinaria” da parte del nuovo sindaco, così concorrendo nella violazione della norma dell'art. 13 della predetta legge, che non permette il rilascio di tale concessione per opere già edificate, ma consente solamente quello della concessione “in sanatoria” dalla quale consegue il venir meno degli abusi realizzati in assenza di concessione o in difformità da essa, ancorché in contrasto rispetto agli strumenti urbanistici vigenti all'epoca della loro realizzazione, a condizione che risultino conformi a quelli vigenti all'epoca del rilascio della concessione in sanatoria. In tal modo, l'amministratore comunale oltre a porre in essere le predette violazioni di legge, consente al privato di corrispondere il più esiguo contributo di urbanizzazione anziché la maggior somma derivante dall'essere la concessione assentibile soltanto in sanatoria.

Cass. pen. n. 3508/1998

In relazione all'ipotesi di reato di cui all'art. 323 c.p. nella quale l'abuso sia finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto, la persona che subisce il danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, in quanto, in tal caso, il reato stesso è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione, il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo del pubblico ufficiale. Pertanto, il privato è legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, in applicazione degli artt. 408 e 410 c.p.p.

Cass. pen. n. 12320/1998

Il rilascio di una concessione edilizia in senso difforme e contrario al piano urbanistico regionale e all'obbligo dei comuni di uniformarvisi, stabilito con legge regionale (nella specie: art. 32, comma secondo, della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 9 aprile 1968, n. 23) costituisce una tipica violazione di legge che può integrare il reato di abuso d'ufficio, di cui all'art. 323 c.p., nella formulazione introdotta dall'art. 1 della legge 16 aprile 1997, n. 234, se ne derivi, in stretta causalità, un vantaggio patrimoniale per il privato. (Nella specie era stata rilasciata concessione edilizia che consentiva al privato l'edificazione di una volumetria superiore a quella prevista dal piano).

Cass. pen. n. 12238/1998

In tema di elemento materiale del reato di abuso di ufficio, come novellato dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, integra l'estremo della violazione di legge la condotta di un amministratore di una U.S.L. che contatta un'unica ditta cui affidare l'espletamento di un servizio, senza rispettare l'obbligo, imposto da una legge regionale, di interpellare almeno tre ditte, onde rendere possibile, nell'interesse della pubblica amministrazione, una comparazione delle relative offerte.

Cass. pen. n. 11984/1998

La nuova formulazione della fattispecie di abuso di ufficio ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234 implica che la condotta abusiva del pubblico ufficiale rilevi solo quando sia stata posta in essere in violazione di legge o di regolamento. Non integra tale elemento la mancata osservanza, nel rilascio di una concessione edilizia, delle prescrizioni di un piano regolatore, atto che non ha natura né di legge né di regolamento. Tale mancata osservanza non assume rilievo nemmeno sotto il profilo della violazione delle norme di legge che prescrivono che il rilascio delle concessioni edilizie debba essere conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, perché ciò contrasterebbe con i principi costituzionali della riserva di legge e della determinatezza della fattispecie incriminatrice: infatti, ciò facendo, si finirebbe per integrare il precetto penale con altre fonti, senza che tale operazione sia stata predefinita dal legislatore quanto alla natura della disciplina richiamata, al suo contenuto e agli ambiti di applicazione.

Cass. pen. n. 11847/1998

A differenza dell'art. 323 previgente che configurava l'abuso di ufficio come reato a consumazione anticipata, incentrato sul dolo specifico, sulla finalità di procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio, o di arrecare ad altri un danno ingiusto, il legislatore del 1997 ha configurato l'abuso di ufficio come reato di danno, richiedendo che venga procurato a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecato un danno ingiusto, così da spostare in avanti la realizzazione della fattispecie. La tipicità del fatto, quindi, con la «novella», non viene più affidata al contenuto di un dolo specifico ma a precise prescrizioni con forme vincolate di condotta. Nella nuova formulazione, della norma che è caratterizzata dalla necessità dell'evento, l'abuso è punito pertanto a titolo di dolo generico, per di più caratterizzato dal requisito della intenzionalità, restringendosi, in tal modo, l'operatività del momento soggettivo al dolo di evento inteso come situazione corrispondente ad un'assoluta omogeneità tra momento rappresentativo e momento volitivo, con esclusione, quindi, della rilevanza del c.d. «dolo eventuale». (Fattispecie in tema di rilascio di autorizzazione da parte dell'assessore alla urbanistica, in violazione della legislazione vigente).

Cass. pen. n. 11549/1998

In tema di abuso di ufficio, il danno cui si riferisce l'art. 323 c.p. non riguarda solo situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno solo diritti soggettivi perfetti, ma anche l'aggressione ingiusta alla sfera della personalità, tutelata dalle norme costituzionali. (Fattispecie in cui è stato ritenuto ipotizzabile il danno ingiusto in ansie, preoccupazioni, perdita di prestigio e di decoro derivanti da una ingiusta denuncia, in relazione al comportamento di un ufficiale di polizia giudiziaria che, violando il dovere di astensione, aveva indotto la propria moglie a sporgere una ingiusta denuncia nei confronti del direttore didattico della scuola ove la stessa era insegnante).

In tema di abuso di ufficio, viola il dovere di astensione in presenza di un interesse di un prossimo congiunto, sancito non solo dall'art. 323 c.p. ma dal principio costituzionale di imparzialità della pubblica amministrazione, l'ufficiale di polizia giudiziaria che sollecita la propria moglie a presentargli denuncia per un supposto reato e svolge personalmente le relative indagini, non essendo tale dovere in alcun modo derogato dagli artt. 55 e 347 c.p.p. in tema di attività della polizia giudiziaria.

Cass. pen. n. 11265/1998

Deve ritenersi responsabile di abuso di ufficio (art. 323 c.p. nella formulazione introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 243) sotto il profilo di una condotta posta in essere in violazione di legge, il libero professionista, cui un ente pubblico (nella specie: camera di commercio) affidi l'incarico dello studio e dell'elaborazione di un progetto relativo all'arredo dei propri uffici e della realizzazione delle opere inerenti, qualora compia, nello svolgimento dell'incarico, attività che favoriscano un prossimo congiunto. Posto, infatti, che il conferimento di tale incarico attribuisce al libero professionista la qualifica di pubblico ufficiale, la predetta attività deve considerarsi posta in essere in violazione dell'obbligo di fedeltà, dal quale l'assuntore dell'incarico è legato all'ente, e dal quale deriva il dovere di astenersi in presenza di interessi dei soggetti indicati dall'art. 323 c.p. (Nella specie il libero professionista aveva predisposto un progetto per l'acquisizione di arredi venduti da una società della quale era socio un prossimo congiunto).

Cass. pen. n. 2662/1998

Integra il reato di abuso di ufficio, anche dopo la riforma dell'art. 323 c.p., introdotta con l'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, sotto il profilo della violazione di legge (art. 279 del T.U. 1934, n. 383), con specifico riferimento all'inottemperanza del dovere di astensione, la condotta dell'amministratore comunale che partecipi alla deliberazione di approvazione di variante di piano regolatore, qualora si profili un interesse concreto proprio o di un prossimo congiunto, nonostante l'atto in questione abbia la natura di atto amministrativo di carattere generale. (Nella specie, a seguito dell'approvazione della variante, divenivano edificabili alcuni terreni di proprietà dei congiunti dell'amministratore comunale).

Cass. pen. n. 10136/1998

In tema di abuso d'ufficio, secondo la formulazione dell'art. 323 c.p. nel testo risultante dall'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234, sussiste il reato solamente se, per effetto dell'indebita condotta posta in essere dall'agente mediante un comportamento tipico, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio abbiano effettivamente procurato a sè o ad altri un ingiusto profitto di carattere patrimoniale ovvero abbiano arrecato ad altri un danno ingiusto, i quali devono essere specificamente voluti dallo stesso agente e debbono essere posti in essere in rapporto di diretta, ancorché non esclusiva, derivazione dalla violazione di norme ovvero dalla violazione del divieto di astensione. In mancanza, il reato non potrà dirsi consumato, potendo risultare, tuttavia, configurabile il tentativo punibile, ricorrendone tutti i presupposti e le condizioni di cui all'art. 56 c.p. (Fattispecie nella quale il sindaco aveva autorizzato la realizzazione di una pista di go-kart dopo che l'opera era stata già realizzata ed era da tempo funzionante, nella quale si è ritenuto che non poteva derivare dall'autorizzazione un vantaggio di cui il beneficiario già non godesse).

Cass. pen. n. 9983/1998

Secondo la formulazione della norma dell'art. 323 c.p. introdotta con l'entrata in vigore della L. 16 luglio 1997, n. 234, la condotta criminosa si concreta nella violazione di norme di legge o di regolamento, con la conseguenza che sono incompatibili la contemporanea realizzazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale per il privato — realizzato, nel caso, con la violazione di norme urbanistiche — e di un interesse della comunità, dato che da una condotta realizzata dagli amministratori di un ente territoriale, in violazione di norme poste e presidio di un generale interesse pubblico, può derivare solo un danno per la collettività, con esclusione di ogni altro profilo derivante da una diversa valutazione discrezionale ad opera degli amministratori pubblici. (Nella specie la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato di abuso di ufficio — del quale ha ravvisato oltre che la realizzazione del vantaggio ingiusto per il privato anche l'elemento intenzionale — nell'adozione di una delibera comunale di approvazione di una convenzione con un privato con la quale l'ente territoriale consentiva la costruzione di un edificio in spregio alle norme urbanistiche in cambio della cessione di un'area al comune, da asservire all'uso pubblico).

Cass. pen. n. 8494/1998

Integra il delitto di abuso di ufficio di cui all'art. 323 e non quello di peculato d'uso di cui all'art. 314, secondo comma, del codice penale la condotta del pubblico ufficiale (nella specie: direttore di un consorzio agrario) che utilizzi nel proprio privato interesse le prestazioni lavorative di un dipendente dell'ente di appartenenza (nella specie: autista-fattorino); ed invero il peculato, in tutte le sue forme, presuppone comunque l'appropriarsi da parte dell'agente di una cosa, che viene destinata ad una finalità diversa da quella prevista dalla legge, mentre non è concepibile l'appropriarsi di una persona o della sua energia lavorativa.

Cass. pen. n. 8466/1998

Commette il reato di abuso di ufficio il sindaco di un comune che, al fine di procurare a sè e al proprio gruppo politico un ingiusto vantaggio, illegittimamente non autorizza l'affissione di manifesti preparati da altro movimento politico contenenti critiche verso l'amministrazione comunale.

Cass. pen. n. 7487/1998

Il dolo del reato di abuso di ufficio è integrato da un comportamento intenzionale del pubblico ufficiale che procuri a sè o ad altri un ingiusto vantaggio, senza che sia necessario il perseguimento in via esclusiva del fine privato, requisito non richiesto dalla precedente formulazione dell'art. 323 c.p. né dal testo della norma risultante a seguito delle modificazioni introdotte con l'entrata in vigore della legge 16 luglio 1997, n. 234.

Cass. pen. n. 6563/1998

Per la consumazione del reato di abuso d'ufficio nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, nel caso in cui il risultato dell'azione delittuosa consista nel cagionare ad altri un danno ingiusto, non basta che tale danno sia conseguenza naturale della condotta posta in essere dall'agente per un fine diverso, ma è indispensabile che esso sia conseguenza diretta ed immediata del comportamento dell'agente, e quindi da costui voluto quale obiettivo del suo operato, come si evince dalla presenza dell'avverbio «intenzionalmente» utilizzato dal legislatore nella configurazione della fattispecie astratta del reato. (Nella specie, era stato contestato al pubblico ufficiale, amministratore di una Usl, il fatto — commesso sotto la vigenza della precedente formulazione della norma — di aver disposto il trasferimento ad altro servizio di un dipendente, al fine di procurargli un vantaggio ingiusto, di natura non economica, pretermettendo altro aspirante. Il pubblico ufficiale, ritenuto responsabile in primo grado, veniva assolto dalla corte d'appello a seguito della entrata in vigore della nuova formulazione dell'art. 323 c.p., essendo venuto a mancare, ex lege, il requisito della patrimonialità del vantaggio. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del dipendente pretermesso, costituitosi parte civile, che sosteneva la sussistenza degli estremi del reato, avendogli comunque il fatto cagionato un danno ingiusto, non contestato, ma profilato nella sentenza di primo grado, ha affermato il principio di cui in massima).

Cass. pen. n. 6561/1998

La nuova formulazione dell'art. 323 c.p., introdotta con la L. 17 luglio 1997, n. 234, ha meglio definito la condotta tipica del pubblico ufficiale, sostituendo la generica formula «abusa del suo ufficio» con la descrizione di un comportamento non più a forma libera, ma vincolata, consistente nella violazione di norme di legge o di regolamento, oppure nella violazione del dovere di astensione, e ha anche trasformato il delitto da reato di mera azione in reato di azione e di evento, giacché elemento essenziale della fattispecie materiale non è più soltanto la condotta illegittima del pubblico ufficiale integrante l'abuso, ma altresì l'ingiusto vantaggio patrimoniale che quella condotta procura o l'ingiusto danno che essa arreca.

Per integrare il reato di abuso di ufficio, non basta che il pubblico ufficiale abusi delle sue funzioni, ma occorre, secondo la precedente formulazione della norma, introdotta dall'art. 13 della L. 26 aprile 1990, n. 86, che l'azione illecita miri a procurare un vantaggio ingiusto, o, secondo la nuova configurazione del reato, prevista dall'art. 1 della L. 16 luglio 1997, n. 234, che effettivamente lo procuri.

Affinché il «vantaggio» previsto dall'art. 323 c.p. come necessario per la configurazione del reato possa considerarsi «ingiusto», occorre la doppia condizione che esso sia prodotto non iure, cioè per mezzo di un atto illegittimo, e inoltre che sia contra ius, vale a dire che il risultato dell'abuso si presenti come contrario all'ordinamento giuridico, dimodoché l'ingiustizia riguardi non solo il fatto causativo, ma anche il risultato dell'azione.

Cass. pen. n. 5966/1998

In tema di abuso di ufficio, poiché, secondo la nuova formulazione recata dalla legge n. 234 del 1997, tale reato è strutturato come fattispecie di evento, essendo necessario che la condotta dell'agente, concretantesi in violazione di legge o di regolamenti o in violazione del dovere di astensione, procuri un danno ingiusto ad altri oppure un vantaggio necessariamente patrimoniale all'agente o ad altri, non integra il reato in esame la condotta di un componente di una commissione edilizia comunale che non si astenga dal partecipare a riunioni di tale organo in cui sono trattate pratiche alle quali egli abbia interesse, qualora il parere espresso dalla commissione sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti, non potendo tale condotta determinare alcun ingiusto vantaggio patrimoniale.

Cass. pen. n. 5820/1998

Pur prescindendo la figura dell'innovato art. 323 c.p. dalle patologie dell'atto amministrativo e rimanendo la condotta integrata dall'ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto procurato nello svolgimento delle funzioni in violazione di norme di legge o di regolamento, la condotta da prendere in considerazione deve inerire all'esercizio del potere attribuito dalla normativa di base dell'ufficio di cui fa parte il pubblico ufficiale. E, trattandosi di funzione, cioè di potere attribuito in vista di uno scopo pubblico, che del potere medesimo costituisce la causa intrinseca di legalità, si ha violazione di legge non solo quando la condotta sia stata svolta in contrasto con le forme, le procedure, i requisiti richiesti, ma anche quando essa non si sia conformata al presupposto stesso da cui trae origine il potere, caratterizzato, a differenza dell'autonomia negoziale, dal vincolo di tipicità e di stretta legalità funzionale. Pertanto il potere esercitato per un fine diverso da quello voluto dalla legge, e quindi per uno scopo personale od egoistico, e comunque estraneo alla pubblica amministrazione, si pone fuori dello schema di legalità e rappresenta nella sua oggettività offesa dell'interesse tutelato. (Fattispecie relativa all'invio da parte di un assessore comunale di una missiva indirizzata al sindaco ed alla giunta comunale con la quale si lamentava la condotta del comandante dei vigili urbani).

Cass. pen. n. 5118/1998

In tema di abuso di ufficio, anche precedentemente alla modifica dell'art. 323 recata dalla legge n. 234 del 1997, ai fini della integrazione dell'elemento oggettivo del reato è richiesto che l'abuso si realizzi attraverso l'esercizio da parte del pubblico ufficiale di un potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione ad esso attribuita. Ne consegue che quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni il reato in questione non è configurabile. (Fattispecie nella quale è stato escluso che rientrasse nei doveri del comandante di un posto di polizia aeroportuale la denuncia di ritrovamento presso il competente ufficio comunale di un oggetto smarrito da un viaggiatore; denuncia che, secondo l'accusa, non aveva un contenuto veritiero, essendo la cosa smarrita stata rinvenuta da altro dipendente del posto di polizia ed essendosi il comandante sostituito a quest'ultimo allo scopo di appropriarsene facendolo assegnare quale rinvenitore di essa).

Cass. pen. n. 4815/1998

In tema di abuso di ufficio consistente nell'illegittimo rilascio da parte di un sindaco di una concessione edilizia, è esente da vizio di motivazione la sentenza che desume la sussistenza della consapevole e concertata intenzione di porre in essere un comportamento illegittimo nell'interesse altrui dalla macroscopicità della violazione edilizia, dalla competenza professionale dell'imputato quale ingegnere, dai pregressi rapporti intercorsi tra le parti relativi alla costruzione di un muro che doveva essere di cinta ma che aveva assunto fin dall'inizio le caratteristiche di muro di sostegno, dalle modalità, estremamente veloci ed in ore notturne, di effettuazione della costruzione, dall'abnorme comportamento del sindaco che, annullata una precedente concessione poiché l'immobile ricadeva in zona preclusa, rilasciava tuttavia una nuova concessione.

Cass. pen. n. 4707/1998

In tema di abuso d'ufficio, l'ingiustizia del vantaggio deve essere valutata con riferimento alla situazione esistente all'epoca della condotta, conformemente alla ratio della norma che è diretta ad assicurare la retta applicazione della legge al momento delle scelte discrezionali del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. (Fattispecie in cui, a fronte del comportamento dell'imputato che, quale componente di commissione edilizia comunale, aveva espresso parere favorevole al cambio di destinazione di un immobile realizzato in mancanza della concessione edilizia, è stato ritenuto irrilevante il fatto che il fabbricato avesse successivamente ottenuto la concessione edilizia in sanatoria).

Cass. pen. n. 4544/1998

Ai fini della punibilità dell'abuso d'ufficio, di cui all'art. 323 c.p., così come modificato dalla L. n. 234/1997, è necessario che il soggetto agente ponga in essere una condotta che corrisponda alle forme tipizzate specificamente dalla norma, cioè la violazione di norme di legge o di regolamento ovvero l'inottemperanza all'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.

Cass. pen. n. 1316/1998

Nella previsione dell'art. 323 c.p., come novellato dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, l'interesse proprio — in presenza del quale il pubblico ufficiale ha l'obbligo di astensione, che già non derivi da specifica disposizione — non solo non deve essere inteso come il vantaggio di natura patrimoniale, la cui realizzazione perfeziona il delitto di abuso d'ufficio, ma non è neppure sinonimo di lucro o di utilità, per cui comprende ogni interesse personale, anche non economico e del tutto affettivo, quale la finalità di favorire altri quando da ciò derivi per l'agente una situazione di vantaggio nella sfera personale delle sue relazioni sociali ed amicali.

Cass. pen. n. 11204/1998

A seguito della nuova formulazione della fattispecie di abuso di ufficio ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, che ha novellato l'art. 323 c.p., il reato in questione non può configurarsi se non in presenza di “violazione di norma di legge o di regolamento” (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti). Ne consegue che è stata espunta dall'area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione. Non è quindi più consentito al giudice penale di entrare nell'ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto, anche per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato. (Fattispecie in cui un segretario comunale era accusato di avere usato l'utenza telefonica del comune nell'ambito dell'attività di levata dei protesti, e quindi per scopi che, per quanto estranei ai compiti istituzionali dell'ente locale, erano pur sempre relativi all'esercizio di una autonoma funzione pubblica connessa in base alla legge 12 giugno 1973, n. 349, alla qualità di segretario comunale rivestita dall'agente: la S.C., in applicazione del principio di diritto di cui sopra, ha ritenuto difettare nella specie l'elemento della violazione di legge o di regolamento, essendo solo configurabile una forma di eccesso di potere, non più penalmente rilevante).

Cass. pen. n. 1192/1998

In tema di abuso di ufficio, a seguito della nuova fattispecie di cui all'art. 323 c.p. introdotta con la legge 16 luglio 1997, n. 234, trova applicazione l'art. 2, comma terzo, c.p., secondo cui il giudice, nella valutazione comparativa della norma abrogata e di quella nuova, disciplinanti la medesima materia dell'abuso funzionale del pubblico ufficiale, deve individuare e applicare quella più favorevole al reo, essendogli inibito di “costruire” una terza disposizione che contenga gli elementi più favorevoli dell'una e dell'altra norma. Al riguardo, non vi è dubbio che la nuova formulazione normativa sia più favorevole al reo, in quanto, a parte il più mite trattamento sanzionatorio, essa riduce grandemente l'area dell'illecito penale rispetto al passato, sia perché l'abuso di ufficio può commettersi ora solo attraverso più limitate condotte (violazione di legge o di regolamento o mancata astensione in caso di interesse proprio o di un congiunto), sia perché la fattispecie è ora strutturata come un reato di evento, che si consuma solo con la realizzazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale dell'agente o di altri o di un danno ingiusto di altri. Inoltre, quanto all'elemento soggettivo, non è più richiesto il dolo specifico (fine di procurare un ingiusto vantaggio o di arrecare un ingiusto danno) ma semplicemente il dolo generico (consapevolezza e volontà di procurare un ingiusto vantaggio o di arrecare un ingiusto danno), mentre l'espressione “intenzionalmente” esclude che l'evento possa essere attribuito all'agente a titolo di dolo eventuale.

In tema di abuso di ufficio, come configurato dalla nuova fattispecie introdotta con la legge 16 luglio 1997, n. 234, la realizzazione dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, cioè la verificazione dell'evento del reato, è integrata nel momento in cui risulta ampliata la sfera delle situazioni soggettive facenti capo ai destinatari dell'atto amministrativo. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la realizzazione del vantaggio patrimoniale all'atto del rilascio di una concessione edilizia illegittima, produttiva in capo ai beneficiari del diritto ad edificare, a nulla rilevando la realizzazione materiale della costruzione abusiva).

Cass. pen. n. 11520/1997

Integra l'estremo oggettivo del reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p., come modificato dalla L. 16 luglio 1997 n. 234), l'adozione di una delibera comunale che conclude ed approva una gara a trattativa privata dopo che i lavori siano già stati commissionati ed eseguiti, atteso che, quando l'amministrazione decide di indire una gara (anche senza esservi obbligata e senza l'osservanza di formalità), essa è tenuta al rispetto delle regole della gara stessa e, prima di ogni altra, di quelle che assicurano la trasparenza e la libera concorrenza dei partecipanti, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole del procedimento, anche sotto il profilo della mancata osservanza dell'ordine necessario di successione degli atti, dà luogo al vizio di violazione di legge.

Cass. pen. n. 6702/1997

In tema di abuso di ufficio commesso per procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale, come previsto dall'art. 323, comma secondo, c.p., prima delle modifiche apportate dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, si ha vantaggio patrimoniale in tutti i casi in cui l'abuso sia finalizzato a creare una situazione favorevole per il complesso dei diritti soggettivi a contenuto patrimoniale facenti capo a un determinato soggetto, indipendentemente dall'effettivo incremento economico. Tale fattispecie è quindi integrata dalla condotta di un componente di una commissione esaminatrice che elude la prescrizione dell'anonimato della prova scritta allo scopo di valutare più favorevolmente un candidato, e quindi procurare ad esso un ingiusto vantaggio patrimoniale.

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E. M. chiede
domenica 11/06/2023
“Sono proprietario di tre posti auto affiancati (A, B, C), con relativo passo carrabile della larghezza complessiva di 7,5 m non a raso, con cartello regolamentare affisso. L'autorizzazione risale a circa 20 anni fa, durante i quali ho chiesto la rimozione di autovetture dozzine di volte, senza problemi con la Polizia Municipale.
La settimana scorsa, avendo un appuntamento con un medico, ho chiesto un intervento urgente. Appena arrivata la pattuglia, ho chiesto gentilmente se potevano chiamare subito il carro attrezzi, come di prassi (molto spesso si informano via radio e poi mi avvisano della stima per l'attesa).
Incredibilmente, uno dei vigili mi ha trascinato in una polemica assurda ed incomprensibile. Quello che ritengo rilevante è:
1 - appena arrivato, uno dei vigili ha cominciato subito a polemizzare in maniera inquisitoria, subito mi ha detto: "prima di tutto, devo verificare che il cartello non sia abusivo". Ho subito percepito questa affermazione come una violenza, ed ho risposto che questo era, oltre che una novità assoluta, anche praticamente incompatibile con la natura dell'operazione di rimozione, dato che per questa "verifica" ci sarebbero voluti, come minimo, dei giorni. La centrale operativa, da me interpellata ore dopo, mi ha confermato l'irritualità di questa affermazione da parte del vigile.
2 - il posto auto bloccato era C, ma il vigile ha preteso di entrare nella mia proprietà per "verificare come erano disposti i posti auto" (dalla strada non si può vedere l'interno). Dopo avere acconsentito, per cercare di non rallentare ancora di più la procedura, il vigile ha esaminato il posto A (vuoto), ed ha sentenziato: "qui non ci può stare un auto, quindi questo non è un passo carraio". Ovviamente ho subito risposto che io ci parcheggio spesso, quando mi bloccano l'entrata agli altri posti auto. Dopo essersi autonominato accusatore, perito e giudice, ho considerato la condotta del vigile una vera spacconata, e da quel momento ho risposto ad ogni sua richiesta: "non mi interessa".
3 - Dopo infinite polemiche, quasi sfociate in una lite verbale, cui non mi sono certo sottratto, ho chiesto più volte se ci fossero elementi per sospettare che il carraio fosse abusivo, ho addirittura detto per due volte: "guardi che il danneggiato sono io !". Il vigile ha continuato a ripetere in tono minaccioso che avrebbe fatto tutte le verifiche possibili, e che sarebbe andato "a fondo" di tutta la faccenda, sempre esprimendosi in prima persona e con grande protervia ed aggressività, quasi che la questione fosse di suo personale interesse. Mi chiedo se starà esaminando personalmente la documentazione presso l'ufficio tecnico comunale, ammesso che questo sia legittimo.
4 - Infine, dopo circa un quarto d'ora, la pattuglia se n'è andata, non so se abbiano elevato contravvenzione (mi hanno puntualizzato che questo non era affar mio), e chiamato il carro attrezzi, perché, mentre mi calmavo, e telefonavo per chiamare un taxi ed il medico, per avvisare del ritardo, i proprietari dell'auto l'hanno spostata, quindi me ne sono andato in fretta, senza poter verificare se fosse intervenuto il carro attrezzi.
Tenuto conto che io non ho altro modo di liberare il passo, se non chiedendo la rimozione dell'auto alla PM (non ho trovato nulla in merito a procedure da eseguirsi, preliminari a tale azione della PM), e che la dilazione nella rimozione da parte di un privato di un auto che ostruisce un carraio costituisce violenza privata, intendo sporgere reclamo al Comandante della PM, e querela per: omissione di atti d'ufficio (l'eventuale mancata contravvenzione, che non posso sapere se sia stata emessa o meno), abuso di ufficio (la pretesa di accedere alla mia proprietà per fare "verifiche" a mio avviso rientrerebbe in "qualsiasi aggressione ingiusta nei confronti della sfera personale o patrimoniale del soggetto passivo"), violenza privata (avere dilazionato l'intervento del carro attrezzi, senza alcuna motivazione legittima, né necessaria, ammesso che lo steso carro attrezzi sia stato effettivamente chiamato).
L'aggressività del tutto inutile dell'agente, le false affermazioni, l'assurdità della procedura di "verifica" dell'abusività del cartello (verifica ovviamente non eseguita), il grande turbamento che mi ha procurato questo scontro, ed il fatto che l'agente considerasse il tutto una specie di faccenda personale tra me e lui, potrebbe configurare altre ipotesi di reato ? Chiedo il vostro commento ed eventuali suggerimenti, prima di procedere.”
Consulenza legale i 28/06/2023
Quanto accaduto, sebbene denoti un comportamento sgradevole della PM (probabilmente “aggravato” dalla lite verbale che è conseguita), non sembra denotare alcuna fattispecie penale.

Quanto all’abuso d’ufficio, prescindendo dal fatto che il reato in parola è in via di abrogazione e che, pertanto, qualsiasi azione penale non verrebbe neanche considerata in Procura, lo stesso comunque non sembra configurabile. L’ articolo 323 c.p. prevede che, ai fini della sussistenza del reato, occorre che il pubblico ufficiale o l’ incaricato di pubblico servizio violi specifiche norme di legge per ottenere un ingiusto vantaggio. Nel caso di specie:
- non sembra essere stato violato alcunché (anzi, la PM ha solo insistito per l’accertamento della sussistenza del passo carraio);
- non è ravvedibile alcun ingiusto vantaggio che la PM avrebbe potuto trarre dalla propria condotta.

Anche l’omissione di atti d’ufficio non sembra sostenibile. In primo luogo non si è a conoscenza del fatto che la sanzione sia stata o meno elevata. Peraltro va aggiunto che nelle more dell’accertamento la macchina veniva spostata e, pertanto, l’agente della municipale avrebbe gioco facile nel sostenere che non ha potuto materialmente elevare la contravvenzione. L’ art. 328 del c.p., poi, va a tutelare il buon andamento della Pubblica Amministrazione rispetto a atti che il pubblico ufficiale o l’incaricato deve adottare a fronte di un’esigenza comprovata del cittadino che chiede quell’atto. Il reato, dunque, non ha una vocazione “giustizialista” e, pertanto, la fattispecie non può ricomprendere anche quegli atti che vengono richiesti da tizio per punire caio, anche se tizio non ha un interesse specifico e soggettivamente pregnante rispetto all’adozione dell’atto medesimo.

Quanto alla violenza privata, vero è che la condotta di “costringere taluno a tollerare qualcosa” di cui all’ art. 610 del c.p. può ricomprendere anche il blocco dell’auto tramite un parcheggio selvaggio, ma non va dimenticato che il reato in parola deve essere intriso del dolo (diritto penale) tipico della fattispecie. Il soggetto che compie l’azione, dunque, deve farlo proprio con lo scopo di costringere l’altro a tollerare qualcosa.
E’, questo, un elemento che manca nel caso di specie. Il soggetto parcheggiante, invero, ha avuto una condotta distratta, negligente, ma sicuramente il suo obiettivo non era quello di bloccare il titolare del passo carraio, così costringendolo a tollerare il parcheggio.
E’ poi impossibile ipotizzare una responsabilità per il reato in parola in capo all’agente della municipale al quale non può essere ascritta la condotta attiva del reato (il parcheggio abusivo). L’eventuale ritardo nelle operazioni di prelievo dell’auto non può essere ragguagliato a una sorta di concorso postumo, che non è ammesso nel nostro ordinamento.

Si consiglia, dunque, di evitare di sporgere denuncia - querela in relazione a quanto accaduto.

Anonimo chiede
martedì 10/01/2023 - Liguria
“Buongiorno. Premetto di essere un sovrintendente di polizia locale e che svolgiamo servizio esterno in pattuglia. Nella giornata del 22 dicembre 2022 durante servizio di pattuglia in macchina il mio collega accorgendosi che il veicolo che ci precedeva avevo un copri cerchio semi distaccato abbiamo cercato di attirare la sua attenzione per comunicarglielo e risolvere il problema. Una volta che veicolo si è fermato il collega è sceso dal veicolo contestando la pericolosità del fatto. Essendo rimasto in macchina non ho sentito i toni utilizzati dal collega e sembrando tutto normale non sono sceso dal veicolo in quanto eravamo in mezzo ad una via. Successivamente è arrivata una lamentela della signora fermata che ha inviato direttamente al sindaco lamentandosi del comportamento del mio collega e del fatto che io non sia intervenuto per calmare gli animi. Oggi mi vedo aperto un procedimento disciplinare anche a mio conto per non essere intervenuto. Mi sembra ingiusto visto che io non ho commesso alcunché. Come posso risolvere tale situazione?”
Consulenza legale i 22/01/2023
I fatti oggetto della contestazione disciplinare, se provati, integrano effettivamente una violazione delle norme in essa richiamate anche da parte del collega che non ha posto in essere concretamente la condotta, ma che, pur assistendovi, non sia intervenuto.

Infatti, non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

In particolare, per stabilire se il soggetto omittente sia o meno responsabile è necessario stabilire se egli avesse o meno un obbligo di garanzia. E quindi capire se egli avesse o meno, il dovere di impedire il verificarsi di quel determinato tipo di condotta.

Nel caso di specie, trattandosi comunque di un pubblico ufficiale in servizio e non di un comune cittadino, lo stesso, alla vista del comportamento illegittimo del collega, sicuramente sarebbe dovuto intervenire.

Peraltro, nel caso di specie, la condotta descritta dalla signora – sempre se provata – potrebbe anche assumere i connotati di un abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p.
In particolare, sembrerebbe ricorrere l’ipotesi di un abuso produttivo di un danno ingiusto, ravvisandosi gli estremi della prevaricazione.

In tal caso, la posizione del collega che ha assistito all’abuso senza intervenire si configurerebbe come concorso di persona nel reato mediante omissione disciplinato dal combinato disposto degli articoli 110 e seguenti e l’articolo 40 codice penale.

Infatti, si può essere imputati per concorso di persona nel reato, anche laddove si ponga un comportamento di tipo omissivo. Anche in questo caso, perché ciò accada è necessario che in capo al soggetto omittente sussista un obbligo di garanzia volto a impedire la consumazione del reato, sempre per il principio secondo il quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Fortunatamente, l’abuso di ufficio per ora non è stato citato nella contestazione disciplinare, ma non è del tutto escluso che in futuro possano intervenire contestazioni anche dal punto di vista penale, che aggraverebbero ulteriormente la situazione.

Come già correttamente tentato nelle osservazioni in risposta alla contestazione disciplinare trasmesse, la prima soluzione per contrastare le accuse rivolte sarebbe quella di dimostrare di non essere in grado di sentire o vedere quanto accaduto.

Infatti, se è vero che spetta al datore di lavoro l'onere di fornire prova piena e concreta di tutte le circostanze poste a sostegno della sanzione disciplinare irrogata, è altresì vero che grava sul lavoratore l'onere di provare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi posti a sostegno delle eccezioni sollevate, secondo il principio distributivo dell'onere della prova ex art. 2697 c.c.

In particolare, si dovrebbe provare che all’interno dell’abitacolo non era possibile udire le presunte urla e i toni usati dal collega.

Tuttavia, considerando che nella segnalazione della presunta persona offesa si fa menzione anche di calci al copri cerchio che avrebbero causato ulteriori danni allo stesso, sarebbe altresì utile poter provare che dalla particolare posizione non era possibile vedere i presunti calci al copricerchio.

Una seconda opzione per rispondere alla contestazione disciplinare sarebbe quella di sollevare una questione di carenza di prove dei fatti posti alla base della stessa.

Infatti, la contestazione si basa esclusivamente sulla testimonianza rilasciata dalla presunta persona offesa.

Tuttavia, in un eventuale processo sarebbe difficile tentare di escluderne l’attendibilità, salvo che non si riescano a trovare ulteriori prove che contrastino con quanto dalla stessa dichiarato.
Infatti, nel processo civile è pur vero che esiste l’art. 246 c.p.c. – secondo il quale “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio” – tuttavia, l’interesse in causa di cui parla la norma è ritenuto coincidente con quello di cui all'art. 100, che costituisce una delle condizioni determinanti la c.d. ipotetica accoglibilità della domanda.

L'interesse che impedisce la testimonianza deve essere personale, concreto ed attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante intervento principale, adesivo autonomo o adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105.

Si esclude, invece, l'applicabilità della norma nei confronti di coloro che nella causa abbiano un interesse di mero fatto, situazione che si verifica, ad esempio, quando la persona chiamata a testimoniare sia parte di una autonoma controversia in merito a questioni analoghe a quelle oggetto del processo in cui si vuole sia sentita. Per logica, la norma non si applica alle ipotesi in cui il teste sia a sua volta parte in una causa connessa e riunibile con quella nella quale deve deporre (artt. 40 e 274), ma la riunione non sia avvenuta.

Pertanto, tale norma seppure applicabile nell’eventuale giudizio per l’eventuale richiesta danni da parte della proprietaria dell’automobile, non sarebbe applicabile nel giudizio per l’impugnazione della sanzione disciplinare, in cui la proprietaria dell’automobile non potrebbe in nessun caso intervenire e potrebbe, quindi, testimoniare senza alcuna limitazione.

Il testimone è soggetto estraneo al processo o comunque diverso dai suoi attori principali. Se ne presume, quindi, la sua attendibilità e, pertanto, il giudice di merito, nella valutazione della prova testimoniale, deve comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisca correttamente fatti obiettivamente veri o da lui ragionevolmente ritenuti tali; sicché la testimonianza potrà essere disattesa solo qualora esistano elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile il mendacio ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste; essa, in linea di principio, deve considerarsi attendibile fino a prova contraria, pur non richiedendosi, perché possa dimostrarsi l’opposto, la prova positiva del mendacio o dell’errore di percezione da parte del teste: il giudice dovrà limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come certamente vero, e quello che emerge da altre eventuali fonti probatorie di pari valenza (Cass. pen., 11.6.1998, n. 3438; Cass. pen., 13.5.1997, n. 6477; Cass. pen., 2.6.1993, n. 7568). Secondo una giurisprudenza oramai consolidata le dichiarazioni testimoniali non necessitano di riscontri esterni, cui può ricorrersi soltanto qualora debba valutarsi la credibilità del teste (Cass. pen., 26.8.1999, n. 11829; Cass. pen., 17.12.1998, n. 6502; Cass. pen., 24.2.1997, n. 4946; Cass. pen., 1.2.1994, n. 653).

Peraltro, anche nell’eventuale giudizio penale per abuso di ufficio, a differenza di quanto previsto nel processo civile, anche la persona offesa dal reato può essere sentita come testimone in dibattimento e come possibile testimone durante le indagini preliminari.
Tuttavia, delicato risulta il discorso relativo alla valutazione probatoria della deposizione della persona offesa dal reato. Infatti, sebbene l’ordinamento la consenta, essa non può essere parificata, in punto di concreta valutazione, a quella del terzo disinteressato, dovendosi tener conto del particolare interesse da cui essa è spinta. Ne discende che, in omaggio al principio del libero convincimento del giudice, la deposizione testimoniale della persona offesa ben può, da sola, fondare l’affermazione della responsabilità dell’imputato (Cass. pen., 28.9.2004, n. 41278; Cass. pen., 16.9.2004, n. 38294; Cass. pen., 16.4.2004, n. 17886; Cass. pen., 4.12.2002, n. 54303; Cass. pen., 11.7.1997, n. 8606; Cass. pen. n. 4946/1997); ma necessita, a differenza della deposizione testimoniale tout court, di essere sottoposta ad indagine positiva in punto di attendibilità, pur dovendosi escludere, in questo caso, l’applicazione delle regole ex art. 192, co. 3 e 4, c.p.p.

Dal quadro delineato, emerge che per contrastare la contestazione disciplinare le strade da percorrere è essenzialmente legata alla prova dei fatti contestati.

Pertanto, da un lato si potrebbe dimostrare l’inattendibilità della dichiarazione della signora, portando ulteriori prove (a titolo esemplificativo: testimonianze di passanti estranei alla vicenda, testimonianza del proprietario dell’officina che ad esempio potrebbe dichiarare di non aver sentito le sirene accese all’arrivo dell’auto o che non ravvisava danni al copricerchio che potessero essere derivati da calci).

Dall’altro lato, ed in subordine, si potrebbero raccogliere prove circa l’impossibilità di udire o vedere dall’abitacolo dell’autovettura quanto stava accadendo tra la signora e il collega.

Ciò, purtroppo, non escluderebbe responsabilità circa l’uso improprio di sirene e lampeggianti.

Quanto alle controdeduzioni alla contestazione disciplinare, si consiglia di modificare l’ultimo capoverso in cui si paventano delle mancanze da parte dell’Amministrazione circa un’audizione preliminare delle parti coinvolte, a cui la stessa, peraltro, non era tenuta a procedere. Tale affermazione potrebbe inasprire i rapporti tra le parti.

Fabrizio Z. chiede
mercoledì 11/03/2020 - Veneto
“Un Comune della provincia di omissis ha affidato ad un ingegnere l'incarico di collaudo tecnico-amministrativo delle opere di urbanizzazione di una lottizzazione residenziale di iniziativa privata. La materia è regolata dalla L.R.V. n. 27/2003, secondo la quale "gli incarichi di collaudo sono affidati ai soggetti iscritti nell'elenco regionale dei collaudatori" (art. 48, c. 1), e inoltre "non possono essere nominati collaudatori coloro che a vario titolo, o in sede di istruttoria o in sede di espressione di parere, hanno preso parte al procedimento di approvazione dell’opera" (art. 48, c. 7).
Detto ingegnere non è iscritto al citato elenco regionale dei collaudatori ed è possibile che, in quanto componente della commissione edilizia comunale, abbia espresso parere in sede di approvazione del piano di lottizzazione e/o del progetto delle opere di urbanizzazione.
Cortesemente, si chiede:
1) se le opere di urbanizzazione realizzate da privato in quanto di importo sotto soglia europea rientrino tra i lavori pubblici di interesse regionale e quindi soggette anche alla L.R.V. n. 27/2003;
2) se l'incarico e l'atto di collaudo (non ancora definito) siano legittimi;
3) se dall'eventuale illegittimità i lottizzanti trarranno un danno;
4) se il professionista sia passibile anche di provvedimento disciplinare dato che il codice deontologico stabilisce: "Costituisce illecito disciplinare lo svolgimento di attività professionale in mancanza di titolo in settori o sezioni diversi da quelli di competenza ..." (art. 5.1), "L’ingegnere non svolge prestazioni professionali in condizioni di incompatibilità con il proprio stato giuridico ..." (art. 21.1); e divieti simili negli articoli 21.5 e 21.6c;
5) se il funzionario pubblico che abbia espresso parere di regolarità tecnica alla delibera di giunta di incarico abbia commesso un falso e quindi sia passibile di denuncia penale.
Ringrazio e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 27/03/2020
L’art. 2, L. R. Veneto n. 27/2003 definisce i “lavori pubblici di interesse regionale” sia sulla base di criteri soggettivi attinenti alla P.A. competente al loro affidamento, sia di criteri oggettivi, riferiti cioè alle caratteristiche dei lavori da affidare.
Secondo quanto stabilito dalla norma da ultimo citata, sono lavori di interesse regionale anche tutte le opere realizzate dai privati in attuazione degli accordi tra soggetti pubblici e privati previsti dall'art. 6. L. R. Veneto n. 11/2004 per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico.

La giurisprudenza interpreta l’art. 6. L. R. Veneto n. 11/2004 in maniera abbastanza ampia, chiarendo che gli accordi in parola possono consistere sia in convenzioni urbanistiche come tradizionalmente intese (cioè "accordi sostitutivi di procedimento", laddove il modulo bilaterale è sostitutivo dell'intero procedimento o di parte di esso), sia in accordi "a contenuto urbanistico", i quali, pur eventualmente conseguenti ad una iniziativa del privato, si inseriscono nell'ambito di un procedimento di pianificazione urbanistica (ovvero danno impulso al medesimo), del quale resta titolare la pubblica amministrazione e che continua a svolgersi secondo la disciplina sua propria, fino all'adozione dell'atto finale ed al positivo svolgimento della sua fase di integrazione dell'efficacia (Consiglio di Stato sez. IV, 29 marzo 2018, n.1978).
I piani di lottizzazione di iniziativa privata, come quello considerato nel quesito, rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione della L. R. Veneto n. 27/2003, in quanto sono generalmente ricompresi proprio tra gli “accordi sostitutivi di procedimento” disciplinati dall’art. 11, L. n. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2019, n.536; T.A.R. Torino, sez. II, 28, ottobre 2019, n.1090).
L’art. 2, L. R. n. 27/2003, inoltre, specifica che “ai predetti lavori si applicano le disposizioni in materia di progettazione e direzione lavori, contabilità e collaudo dei lavori di cui alla presente legge e alla vigente normativa statale”.

Tanto chiarito, si nota che le soglie di rilevanza europea sono prese in considerazione dall’art. 48 della Legge regionale da ultimo menzionata, ai sensi del quale l’affidamento degli incarichi ai professionisti per il collaudo delle opere di interesse regionale (dunque anche delle opere de quibus) è retto dai principi di professionalità e rotazione e deve tenere conto dell’importo e della complessità dei lavori da collaudare.
L’articolo in esame stabilisce i particolari requisiti che i professionisti devono possedere, tra i quali figurano l’iscrizione all’elenco regionale dei collaudatori e l’assenza di incompatibilità (v. oltre), ma fa salva l’applicazione della normativa nazionale di recepimento delle direttive comunitarie in materia sui contratti pubblici per quanto riguarda gli incarichi ai professionisti che comportino il pagamento di un compenso pari o superiore a quello della soglia europea stabilita per l’affidamento dei servizi.
Pertanto, ai fini della L. R. n. 27/2003, il valore da tenere in considerazione non è il valore delle opere da collaudare, bensì il compenso stabilito in favore dell’ingegnere incaricato dall’Amministrazione.

Le soglie di rilevanza europea sono previste dall’art. 35, D. Lgs. n. 50/2016, che fino al 31.12.2019 indicava per gli appalti di servizi affidati da amministrazioni sub centrali la soglia di 209.000 Euro, soglia che è stata aggiornata a partire dal 01.01.2020 in 214.000 Euro.
Dunque, nel caso il compenso riconosciuto al collaudatore sia pari o superiore alle soglie suddette, è la stessa normativa regionale a rinviare al D. Lgs. n. 50/2016.
Va notato, comunque, che l’art. 102, del Codice contratti pubblici stabilisce requisiti molto simili a quelli previsti dall’art. 48, L. R. n. 27/2003, ossia l’iscrizione Albo nazionale o regionale dei collaudatori, nonché l’incompatibilità per “coloro che hanno, comunque, svolto o svolgono attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare”.
L’art. 102, comma 8, D. Lgs. n. 50/2016, prevedeva inoltre la riforma della disciplina sulla formazione e tenuta degli albi nazionale e regionale, che avrebbe dovuto essere attuata con apposito regolamento, ma tale periodo è stato recentemente abrogato; lo stesso comma stabilisce poi che fino all’attuazione del nuovo codice appalti rimane applicabile la parte II, Titolo X, D.P.R. n.207/2010 (cioè il regolamento attuativo dell’abrogato Codice contratti pubblici).
Tale susseguirsi di norme crea non poche difficoltà interpretative, poiché il D.P.R. n. 207/2010, pur prevedendo molteplici requisiti di professionalità, non fa riferimento all’Albo nazionale o regionale dei collaudatori, ma richiede solo l’iscrizione all’albo professionale (e solo per i professionisti esterni all’Amministrazione).
In ogni caso, il Legislatore nella recente riforma non ha né abrogato, né modificato l’art. 102, comma 6, D. Lgs. n. 50/2016 nella parte in cui richiede l’iscrizione all’Albo dei collaudatori nazionale o regionale, ritenendo quindi di mantenere tale requisito.
Nel caso di specie, dunque, il fatto che l’ingegnere incaricato non compaia nell’elenco regionale dei professionisti abilitati ad assumere gli incarichi relativi alle operazioni di collaudo sembra presentare alcuni profili di illegittimità sia rispetto all’art. 48, L. R. n. 27/2003, sia dell’art. 102/ D. Lgs. n. 50/2016.

Per quanto concerne l’incompatibilità, invece, alla luce del tenore della disciplina nazionale e regionale di riferimento essa potrebbe sussistere solo nel caso in cui l’ingegnere abbia in concreto preso parte al procedimento di valutazione e approvazione del progetto delle opere di urbanizzazione che è stato poi chiamato a collaudare.
Per poter fondatamente contestare l’incompatibilità dell’ingegnere nominato e l’illegittimità del relativo incarico, dunque, non è sufficiente constatare che egli sia anche membro della Commissione edilizia comunale, ma è necessario verificare (ad esempio mediante l’accesso agli atti) anche se tale soggetto sia stato personalmente coinvolto nell’iter procedimentale relativo al piano di lottizzazione in discorso.

Quanto alle conseguenze per i proprietari lottizzanti di eventuali illegittimità delle operazioni di collaudo, si rileva che l’art. 24, D.P.R. n. 380/2001, collega al positivo collaudo delle opere di urbanizzazione primaria la possibilità di ottenere l’abitabilità degli edifici compresi nell’intervento edilizio, con tutte le conseguenze che ne derivano riguardo al trasferimento della proprietà di tali edifici.
Si ricorda, infatti, che nella vendita di un immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene oggetto della compravendita, poiché incide sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale e di conseguenza sulla sua commerciabilità (Cassazione civile, sez. II, 18 settembre 2019, n.23265; Cassazione civile sez. VI, 14 gennaio 2019, n.622).
L'assenza di tale requisito e la mancata consegna del certificato in parola costituiscono titolo per gli eventuali acquirenti per chiedere il risarcimento del danno nei confronti della parte venditrice (Cassazione civile sez. III, 10 ottobre 2019, n.25418).
Pertanto, sarebbe opportuno segnalare la situazione all'Amministrazione comunale possibilmente prima che vengano concluse le operazioni di collaudo, in modo che la P.A., una volta accertata l'effettiva esistenza di profili di illegittimità della nomina, possa porvi rimedio ed evitare il prodursi di conseguenze più gravi e di ulteriori danni in capo ai lottizzanti.

Inoltre, l’accettazione dell’incarico da parte dell’ingegnere o, comunque, la mancata rinuncia in presenza di comprovate ragioni di incompatibilità o in assenza dei necessari requisiti di professionalità, come correttamente rilevato al punto 4 del quesito, potrebbe dare luogo ad una responsabilità del professionista sul fronte disciplinare, la cui sussistenza e gravità dovrebbe comunque essere valutata dagli organi professionali a ciò preposti.

Quanto al fronte penale, potrebbe rilevare il reato di abuso d’ufficio, previsto e punito dall’art. 323 del codice penale.

Il reato in questione, invero, punisce il soggetto agente (art. 357 del c.p.. E' tale colui che esercita una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria con o senza rapporto di impiego con lo Stato, temporaneamente o permanentemente (come ad esempio i notai, i segretari comunali, etc.).">pubblico ufficiale o persona incaricata di un pubblico servizio) che, nello svolgimento delle sue funzioni, attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Ora, partendo dalla qualifica soggettiva, sicuramente il sindaco o il dirigente comunale (ovvero i soggetti che hanno verosimilmente proceduto all’affidamento dell’incarico) possono essere ritenuti pubblici ufficiali (ex art. 357 del codice penale); allo stesso modo, è possibile affermare che dovrebbe essere integrato l’ulteriore elemento della fattispecie che richiede che la condotta sia posta in essere nello svolgimento delle funzioni pubblicistiche: è difficile infatti dubitare che l’affidamento dell’incarico non sia stato espressione del potere del sindaco e/o del dirigente comunale e che, dunque, l’atto non sia stato disposto nell’esercizio delle funzioni istituzionali loro attribuite.

Per integrare il reato, in ogni caso, è anche indispensabile che i soggetti attivi abbiano agito in violazione di norme di legge o regolamento.
Nel caso di specie, tale violazione ben potrebbe essere sussistente nella misura in cui la nomina all’ingegnere (rispetto alla cui attività in concreto svolta nel caso di specie dovrebbe essere oggetto di accertamenti e, sul punto, si rinvia a quanto su detto) pare sia avvenuta in aperto contrasto alla legge regionale che stabilisce una ferrea incompatibilità tra il soggetto collaudatore e chi ha, già in precedenza, espresso parere sull’approvazione dell’opera.

D’altro canto, un punto particolarmente problematico del reato in esame riposa nel fatto che la condotta del pubblico ufficiale deve essere posta:
- O per conseguire intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri;
- O per cagionare un danno ingiusto ad altri.
Tradotto in parole semplici, la condotta illecita del pubblico ufficiale deve avere un fine molto chiaro (rimarcato anche dall’avverbio “intenzionalmente”) e non può declinarsi, semplicemente, nella volontà di cagionare un danno alla Pubblica Amministrazione.

Stando così le cose, dunque, ai fini della sussistenza del reato di abuso d’ufficio nel caso di specie manca un ultimo tassello, ovvero l’individuazione del vantaggio che il pubblico ufficiale avrebbe percepito a seguito della condotta costituente reato.

Senza avere quantomeno un indizio in merito, si sconsiglia la proposizione di un’azione penale contro il sindaco o il dirigente per l’alto rischio di essere controquerelati per calunnia.

In astratto, invece, potrebbe configurarsi una responsabilità contabile del funzionario che ha disposto l'assegnazione dell'incarico in assenza dei requisiti di legge, ma tale aspetto non inciderebbe sulla posizione dello stesso professionista e dei lottizzanti come sopra delineata.

Rosario B. chiede
giovedì 27/02/2020 - Calabria
“Sono dipendente pubblico inquadrato (in un comune del Nord) nella Polizia municipale cat. C (ex L. 65/86). Nel 1999 ho l'infelice idea di trasferirmi in un diverso comune. Nel periodo 2015-2017 il Comune a seguito di scioglimento è stato retto da una terna Commissariale e il Corpo di P.M. da un Comandante (chiamato dalla terna commissariale) in convenzione con un altro comune. Dal 2016 in avanti, a riconoscimento delle mie capacità professionali ed in ossequio alle disposizioni del Regolam. Comunale di Polizia Municipale, con atto Determinativo del Comandante del Corpo, sono stato nominato Vice comandante del Corpo ed ho svolto le relative funzioni.
A giugno 2017 intervengono le elezioni comunali e contestualmente termina la convenzione del Comandante con il Comune. Nei due anni di gestione commissariale nessun problema (con i commissari prefettizi si lavora benissimo) ma con il cambio della gestione (da commissariale a politica) cominciano i problemi anche per contrasti con il Sindaco (peraltro da me voluto e votato) dovuti essenzialmente ad una gestione (a mio parere) poca attenta alla legalità.
Più volte il Sindaco ha infelicemente avuto modo di suggerirmi: “io non sono per le denunce”.... come a dire .. se devi denunciare ….. non fare il tuo dovere…..
A partire quindi dal giugno 2017, in assenza del Comandante secondo le previsioni dettate dal regolamento comunale di P.M., svolgo le funzioni di comandante f.f. L'ufficio (sia durante la gestione commissariale e anche dopo con l'insediamento del consiglio comunale) svolge attività intensa in materia di P.G. con numerose segnalazioni alla Procura, a cui ovviamente seguono anche molte deleghe (anche importanti) per indagini di P.G.. Nel 2016 procedo ad un arresto (mai successo in precedenza) in flagranza di reato. A seguito dell'insediamento politico (giugno 2017) cambia quasi subito il clima e, appena dopo, agosto 2017, subisco un attentato con colpi di pistola sparati in pieno giorno all'interno dell'abitazione (su mia denuncia verranno arrestati in 10 persone, di cui 8 già condannati (20 anni al capo) in primo grado con rito abbreviato -indagini svolte dalla compagnia carabinieri-). Mi costituisco parte civile e quasi ... supplico l'amministrazione comunale a costituirsi parte civile: ovviamente si guardano bene dal farlo. Nel 2017/18 (probabilmente costretto da impellenti necessità del momento, in aggiunta all'incarico già legittimamente in essere di Vice comandante con funzioni di f.f.) il Sindaco mi da l'incarico di responsabile dell'area per 6 mesi e successivamente per altri 6 mesi. Nel ottobre 2019 con un provvedimento (a mio parere) illegittimo a firma congiunta del segretario comunale e del sindaco, si dispone che ogni incarico affidato in precedenza era revocato intendendo con questo anche l'incarico di vice comandante. Con lo stesso provvedimento affidava ad un'altro componente (privo di esperienza e di capacità: l’intento chiaro è bloccare l’ufficio) l'incarico di coordinatore della Polizia Mun.
Ora, il sindaco poteva certamente revocare l'incarico di responsabile dell'area (che è incarico fiduciario) ma non certamente l'incarico di vice comandante. Le funzioni e gli incarichi della Polizia Municipale sono disciplinati dalla L. 65/86 e a cascata dal Regolamento di Polizia Municipale (non da altro) che non prevede affatto l'incarico di coordinatore ma solo di Comandante, e in assenza, del Vice comandante. A mio parere il provvedimento è illegittimo anche perché ne il segretario comunale e neanche il sindaco hanno il potere di adottarlo incidendo sull'equilibro interno del Corpo in quanto il regolamento è l'unica fonte derivata dalla L. 65/86 che disciplina la materia (il sindaco poteva legittimamente revocare l'incarico di responsabile dell'area ma l'incarico di vice comandante poteva essere revocato solo dal Comandante non certamente dal sindaco nè dal segretario comunale).
A seguito di ciò, di fatto si è creata una situazione di grande incertezza e precarietà dell’ufficio anche in relazione alle indagini di P.G. che il sottoscritto svolgeva e svolge per la procura. Con questo provvedimento in pratica hanno eliminato il responsabile dell'ufficio con il risultato di gravi conseguenze sul buono e corretto andamento dell'ufficio e sopratutto con gravi possibili conseguenze riguardo alle deleghe di indagini che il sottoscritto ha tutt'ora in corso e a cui deve dare certamente riscontro.
Il dubbio, che nasce subito dopo l’insediamento della gestione politica, è che si sia voluto progressivamente (ed inesorabilmente) bloccare il buon andamento dell'ufficio. Ciò per vari e complicati motivi (ambientali, poca (vera) attenzione ai valori della legalità, motivi di convenienza ecc… Si attua ciò con varie azioni e diversificate azioni -il mancato perdurante ripristino dell'impianto di videosorveglianza con gravi possibili danni in tema di sicurezza, la revoca illegittima al sottoscritto e molte altre cose come i mancati pagamenti dell’abbonamento con la MCTC che ha provocato il blocco del servizio e quindi l'impossibilità di doverosi accertamenti ……. tutte cose che considerate singolarmente sembrano apparentemente senza rilevanza, al contrario, complessivamente considerate hanno certamente un loro peso in relazione al corretto funzionamento dell’ufficio).
Con queste azioni ( a mio parere) si è prodotto un danno all’azione pubblica e al buon andamento dell’ufficio e, pertanto, sussistendo un mio personale dubbio (anche in relazione alla doverosità dell’azione), vorrei segnalarlo alla Procura della Repubblica, solo ai fini delle eventuali valutazioni del caso.
Temo (e voglio evitare) la scivolosità e l’insidiosità di tutto questo, ovvero temo che la segnalazione sia sviata nel suo vero intento e nei suoi veri fini e, cioè, che questo si riveli un boomerang contro me stesso se, in ipotesi, ad arte, la si faccia passare o la si scambi con interessi e/o ambizioni personali che, assicuro, sono del tutto inesistenti.
Il mio unico e solo intento è il buon e corretto andamento dell’ufficio e dell’azione pubblica che però, so bene, che nell’ambiente in cui vivo non è purtroppo affatto compreso, anche se a parole (ma solo a parole e non nei fatti) tutti (soprattutto l’amministrazione comunale) sono bravissimi a parlare di legalità.
Saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 06/03/2020
Quanto al versante penale, che da primo verrà trattato nel presente parere, la risposta è molto complessa.
In buona sostanza, si chiede se il sindaco, attraverso la revoca del vice comandante della polizia municipale, abbia commesso un qualche reato; ciò tenuto conto del fatto che la predetta revoca avrebbe paralizzato in buona parte l’ufficio della polizia con conseguente danno nei confronti del buon andamento della pubblica amministrazione e denotando, altresì, un principio di violazione dell’imparzialità della PA nella misura in cui il sindaco, sempre attraverso la revoca in esame, sembrava perseguire una linea di condotta non del tutto corretta, e più aderente agli interessi personali e/o, comunque, alla sua singolare visione della cosa pubblica.

Orbene, la fattispecie che potrebbe rilevare, nel caso in esame, è quella di cui all’art. 323 del codice penale, ovvero l’abuso d’ufficio.
Il reato in questione, invero, punisce il soggetto agente (pubblico ufficiale o persona incaricata di un pubblico servizio) che, nello svolgimento delle sue funzioni, attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Ora, partendo dalla qualifica soggettiva, sicuramente il sindaco può essere ritenuto pubblico ufficiale ( ex art. 357 del codice penale ) e, di certo, è integrato l’ulteriore elemento della fattispecie che richiede che la condotta sia posta in essere nello svolgimento delle sue funzioni: è difficile infatti dubitare che la revoca del vice comandante non sia espressione del potere del sindaco e che, dunque, sia stata disposta nell’esercizio delle funzioni che gli sono attribuite.

Molto più complesso, invece, è capire se l’atto di revoca del sindaco possa integrare quella violazione di legge e/o regolamento indispensabile per la sussistenza del reato.
Sul punto, va rimarcato che, ai sensi dell’art. 323 c.p., la violazione non deve necessariamente concatenarsi al dato testuale della normativa ipoteticamente violata ma si verifica anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma attributiva del potere esercitato, concretandosi in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine o in uno sviamento produttivo di una lesione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (così recitano alcune Cassazioni sin dal 2006).

Ora, stando al parere, la revoca da parte del sindaco si ritiene essere in violazione sia della L. 65/86 che, a cascata, dal Regolamento di Polizia Municipale e, pertanto, può concretamente essere idonea a porre in essere il reato. Tuttavia, non essendo noto il regolamento, sul punto non possono essere fornite delucidazioni ulteriori.
Un ulteriore punto particolarmente problematico riposa nel fatto che la condotta del pubblico ufficiale deve essere posta:
- O per conseguire intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri;
- O per cagionare un danno ingiusto ad altri.
Tradotto in parole semplici, la condotta illecita del pubblico ufficiale deve avere un fine molto chiaro (rimarcato anche dall’avverbio “intenzionalmente”) e non può declinarsi, semplicemente, nella volontà di cagionare un danno alla Pubblica Amministrazione.
E’ proprio questo il punto debole nel caso di specie.
Sebbene, infatti, la condotta del sindaco sembri scorretta, non v’è alcun elemento concreto dal quale si possa dedurre che il sindaco abbia disposto la revoca in esame per un vantaggio patrimoniale oppure per danneggiare qualcuno. E’ corretto affermare che il sindaco, agendo in tal modo, può aver arrecato un danno alla Pubblica Amministrazione, ma per fare in modo che tale condotta assuma una sfumatura di rilevanza penale, c’è bisogno di qualcosa in più.

Arrivando alla scelta operativa, si consiglia di depositare un atto di denuncia - querela solo allorché si riesca ad avere qualche elemento in più che qualifichi la condotta del sindaco come illecita.
Se, ad esempio, si avesse qualche elemento a disposizione per evidenziare che il sindaco è colluso con associazioni mafiose e, dunque, ha agito per favorire i sodali di queste ultime, che si sentono dunque liberi di agire in modo illecito, consapevoli di un difetto di pubblica sicurezza, allora l’azione penale sarebbe molto meno azzardata.
Diversamente, agire per vie penali sarebbe davvero troppo rischioso e vi sarebbe il concreto pericolo di una controquerela per calunnia.
Si consiglia, qualora si propendesse per la strada penale, di farsi assistere da un buon avvocato stante la particolare complessità della materia e della duttilità e multiformità dei reati contro la pubblica amministrazione.

Quanto invece all’aspetto più strettamente legato al rapporto di lavoro, si deve prendere in considerazione la disciplina relativa al demansionamento e al c.d. mobbing.
Per demansionamento si intende l’attribuzione al dipendente di mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente ricoperte.
Tuttavia, la disciplina in tema di demansionamento applicabile al pubblico impiego differisce da quella generalmente applicabile alla generalità dei lavoratori.
In particolare, secondo i giudici della Suprema Corte, “in materia di mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dall’art. 52 del D. Lgs. n. 165 del 2001, che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita” (Cassazione, Sez. Lavoro, n. 2011/2017).
Pertanto, nell’ambito del lavoro presso la P.A., non vi è alcuna violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, “qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni”.
Quindi, in presenza di una espressa previsione della contrattazione collettiva di riferimento non è compito del giudice esprimere apprezzamenti o, addirittura, sindacare la natura equivalente delle mansioni, in quanto tale funzione dovrebbe essere specificamente ascrivibile alle parti sociali.

Nel caso di specie, il CCNL di riferimento prevede un’unica categoria C (ruolo agenti e assistenti), in cui non sussistono differenziazioni tra agente di polizia municipale e vicecomandante. In altre parole, la figura del vicecomandante non rientra in una specifica categoria dal punto di vista contrattuale, ma ha una valenza organizzativa meramente interna. Se pertanto, le mansioni assegnate, anche a seguito della revoca dell’incarico di vicecomandante, rientrano in quelle previste dalla contrattazione collettiva alla categoria C, non si potrà lamentare un demansionamento.
Infatti, come precisato anche dall’ARAN (con riferimento al previgente contratto collettivo, ma con considerazioni valide anche per l’attuale testo contrattuale) “le diverse posizioni economiche all’interno della categoria C hanno una valenza esclusivamente economica e sono attribuite sulla base di una valutazione selettiva e meritocratica delle prestazioni e dei risultati conseguiti e non rappresentano un differenziale economico connesso a una presunta diversità di mansioni tra profili all’interno della medesima categoria”.

Pur non sussistendo gli estremi per il demansionamento, la revoca degli incarichi da parte del sindaco potrebbe assumere rilevanza in relazione alla tematica del c.d. mobbing.
Sui presupposti di applicabilità del mobbing nel pubblico impiego si è pronunciata la Cassazione, Sez. Lavoro, n. 2142/2017, affermando che “Anche nel pubblico impiego privatizzato, al fine di configurare, nel loro concorso, il mobbing lavorativo, devono ricorrere i seguenti elementi:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi”.

Nel caso oggetto della predetta sentenza era stata rilevata la configurabilità del mobbing in relazione al fatto che un dipendente comunale con la qualifica di Vigile urbano, per rappresaglia rispetto ad alcune rimostranze, era stato collocato presso un altro ufficio ed era stato “lasciato inattivo e senza compiti” o gli erano stati assegnati compiti esigui. Inoltre, nel caso di specie, come da fonti testimoniali, il dipendente era stato collocato in un’ambiente senza scrivania o sedia, senza le necessarie precauzioni a livello di sicurezza, costretto a stare in piedi nel corridoio. Elementi questi che denotavano una condotta lesiva della dignità umana a discapito del dipendente.

Nel caso oggetto del presente parere sono stati effettivamente sottratti compiti relativi alla specifica professionalità acquisita dal lavoratore (ma senza che ciò, come detto sopra, possa essere inquadrato nella figura del demansionamento).
Ciò tuttavia non sarebbe sufficiente e, se si dovesse intentare una causa per mobbing, il lavoratore dovrebbe dimostrare la presenza di tutti gli elementi di cui alla citata sentenza: i comportamenti di carattere persecutorio, l’evento lesivo della salute psicofisica e/o della dignità del lavoratore, il nesso eziologico tra le condotte persecutorie e il pregiudizio al lavoratore, l’elemento soggettivo dell’intento persecutorio del datore di lavoro. Tutti elementi che non si rinvengono nel caso di specie, in base a quanto riportato.

Giuseppe T. chiede
giovedì 09/08/2018 - Lombardia
“Un funzionario viene incaricato da una pubblica amministrazione di svolgere una ispezione, al fine di ottenere una autorizzazione obbligatoriamente prevista da una legge che chiameremo n. 1.
Nel corso della stessa, per ignoranza o altro, verbalizza come non conforme un elemento che è stato adottato dal richiedente per ottemperare un'altra legge (chiamiamola numero 2); parallelamente, prescrive un diverso adempimento in violazione di una terza legge (la n. 3).
Pertanto, per ottenere la autorizzazione chiesta dalla legge n. 1, il richiedente sarebbe costretto a violare le leggi n. 2 e n. 3 (che sono di natura generale), oppure a predisporre artefatti o produrre documenti falsi.
Il funzionario rigetta - per iscritto - la richiesta altrettanto scritta di inoltrare un quesito interpretativo ad autorità superiore (minacciando anzi querela - sempre per iscritto - a chi mettesse in dubbio la sua piena competenza).
Il richiedente, per evitare di violare le leggi n. 2 e n. 3, rinuncia al progetto per cui aveva chiesto autorizzazione.
Il quesito, naturalmente, non riguarda il merito specifico: ovviamente, per stabilire se abbia ragione il funzionario o il "richiedente", occorrerebbe un ben maggiore approfondimento.
Il quesito è invece molto più semplice: postulando che le cose stessero veramente così (ossia che il funzionario obbligasse in effetti a commettere due diversi reati pena il non ottenimento della autorizzazione), QUALE (E SE) SPECIE DI REATO AVREBBE COMMESSO IL FUNZIONARIO?”
Consulenza legale i 03/09/2018
Partendo dal presupposto - già affermato nel testo del quesito - che la questione normativa alla base andrebbe analizzata molto più approfonditamente, va doverosamente sottolineato che, stando così le cose e in mancanza di ulteriori elementi che dettaglino il comportamento del funzionario della pubblica amministrazione, non sembra sussistere alcun reato nella condotta del funzionario.
Ciò potrebbe essere verosimile tenuto conto del fatto che molto spesso la normativa amministrativa in tema di licenze e/o autorizzazioni è estremamente mutevole e contraddittoria tale per cui non è difficile il verificarsi di abrogazioni implicite.

Nel voler fare uno sforzo al fine di individuare qualche ipotesi delittuosa, va detto che l’unico reato che sembrerebbe rilevare è quello di cui all’art. 323 del codice penale, ovvero l’abuso d’ufficio che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio allorché nell’esecuzione delle sue funzioni violi le norme di legge o di regolamento procurando intenzionalmente a sé o altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecando ad altri un danno ingiusto.

Nel caso di specie, fermo restando che vi sono pochi dubbi sul fatto che il funzionario rivesta la qualifica di pubblico ufficiale e/o incaricato di un pubblico servizio ai sensi degli artt. 357 e 358 del codice penale, sembra sussistere sia l’elemento della violazione di legge che quello del danno in giusto.
La violazione di legge consisterebbe proprio nel fatto che il soggetto abbia agito in violazione della normativa 2 nella misura in cui riteneva non conforme un elemento approntato proprio in ottemperanza alla normativa predetta e nella misura in cui il soggetto prescriveva al richiedente un diverso adempimento in violazione della normativa 3.
Sembra peraltro sussistere un danno ingiusto consistente nella mancata concessione dell’autorizzazione cui il richiedente avrebbe avuto diritto.

E’ difficile poi ipotizzare la sussistenza di ulteriori reati (come la corruzione e/o la concussione e/o l’induzione indebita di cui agli articoli 318 e seguenti, 319 quater e 317 del codice penale) che potrebbero profilarsi solo nel caso in cui il funzionario abbia accettato somme di denaro dal richiedente e/o abbia lasciato intendere che per vincere la sua “ostinazione” sarebbe indispensabile la dazione di qualche utilità da parte del richiedente.

Va comunque rilevato che l’abuso d’ufficio è un reato estremamente tecnico e difficile da configurare tale per cui si invita ad una particolare cautela e alla consultazione con un professionista ben informato del caso prima di adire le vie legali.

Sergio C. chiede
mercoledì 06/06/2018 - Emilia-Romagna
“Mi riferisco alla mia precedente richiesta di consulenza del 7/3 u.s. codice: Q201820725.
Mi avete confermato,con il Vostro parere, l’illiceità dei comportamenti tenuti dagli assistenti sociali nel modificare,di fatto,il dispositivo di un decreto provvisorio, allargando a persone non citate nello stesso il divieto di vedere un minore al di fuori della modalità protetta. Altrettanto illecito è stato imporre agli “assistiti” divieti di svolgere attività comunque consentite dalla legge.
L’inosservanza di tali divieti,descritti in dettaglio nella richiesta di consulenza citata,ha comportato,per rappresaglia,la sospensione di tutti gli incontri con nostro nipote. Non solo,ma tali insensati comportamenti ci hanno causato intensissimi stress emotivi dovuti alle continue minacce di quanto poi messo in atto.
Chiedo se, nell’illecito comportamento tenuto, si possano rilevare gli estremi per una denuncia penale.

Cordiali saluti

Consulenza legale i 07/06/2018
Prima di rispondere al presente parere occorre fare una premessa dirimente. Ciò per dare una chiara chiave di lettura a quanto si dirà.

Nella consulenza del 7 marzo si chiedeva di fornire un parere sull’illegittimità - dal punto di vista civile e della normativa di settore - della condotta degli assistenti sociali che avrebbero di fatto modificato il contenuto di un decreto provvisorio dell’Autorità Giudiziaria finalizzato a regolare il diritto di visita da parte dei parenti nei confronti di un minore.
Nel parere predetto si ipotizzava dunque l’illiceità della condotta degli assistenti sociali in quanto questi avrebbero, appunto, modificato un provvedimento dell’Autorità giudiziaria che è, in genere, revisionabile solo tramite l’esperimento di precisi rimedi prefissati dalla legge. La conclusione predetta si basava comunque su una cognizione assolutamente sommaria del caso specifico e soprattutto degli atti interessati.

Nel pronunciarci dunque sull’eventuale rilevanza penale della condotta degli assistenti sociali, non possiamo fare altro che rimarcare che le seguenti valutazioni verranno sviluppate partendo da una circostanza di cui non si è potuta vagliare a pieno la veridicità (ovvero che effettivamente sia stato compiuto l’abuso nei termini sopra tratteggiati dagli assistenti sociali) stante, lo si ripete, la mancata visione dei documenti e la cognizione parziale del caso che, peraltro, sembra essere molto complesso. Allo stesso modo – ovviamente – non avendo piena contezza della condotta posta in essere, le seguenti valutazioni non potranno che essere orientative, cercando in ogni caso di essere il più possibile onnicomprensive alla luce del panorama del codice penale.

Ciò premesso, non resta che capire quali potrebbero essere le fattispecie penali rilevanti.

Sicuramente, vista la qualifica pubblicistica che rivestono gli assistenti sociali nel particolare e delicato ruolo che sono chiamati ad eseguire, potrebbe rilevare una delle fattispecie dei delitti contro la pubblica amministrazione.

Procedendo per esclusione (laddove non sembrano sussistere ipotesi di corruzione), la fattispecie potenzialmente rilevante potrebbe essere quella di cui all’articolo 323 del codice penale, ovvero l’abuso d’ufficio.

Fermo restando, come anzidetto, l’assoluta sussistenza della qualifica pubblicistica degli assistenti sociali, sembra integrata sia la «violazione di norme di legge» (che sarebbe consistita proprio nella deliberata violazione delle norme di settore che regolano l’attività dell’assistente sociale che è tenuto, in ogni caso, ad agire sulla base del provvedimento del Tribunale) che il «danno ingiusto» (che sarebbe consistito nell’indebita sottrazione ai parenti del diritto di visita al minore, pur essendoci tutte le condizioni) richiesti per la sussistenza del reato.
Quanto invece al dolo (diritto penale), nel reato di abuso d’ufficio deve essere particolarmente pregnante in quanto deve esprimersi sia nella coscienza e volontà di violare le norme di legge che nella precisa intenzione di cagionare un danno ingiusto.
Sembra infatti palese che gli assistenti sociali fossero più che coscienti di violare le norme poste a regolamento della loro attività e, allo stesso modo, intenzionati a provocare un danno ingiusto ai familiari illegittimamente estromessi dal diritto di visita. Se le cose stanno come sono state descritte, sembra di essere dinanzi ad un abuso talmente macroscopico da lasciare pochi spazi all’ipotesi della buona fede dei soggetti agenti.

M. C. chiede
lunedì 26/03/2018 - Abruzzo
“Buonasera,
Vi sottopongo il seguente quesito:
ricade nel reato di ABUSO DI UFFICIO un Collegio dei Geometri che, in fase di vidimazione parcella del tecnico, interpreta in modo palesemente errato una Convenzione, atta a regolare i rapporti tra l'Amministrazione Com.le ed i Geometri, stipulata e sottoscritta tra i Presidenti dei Collegi Regionali, il Presidente del Consiglio dei Geometri e Responsabili di strutture pubbliche (USRA -Ufficio Speciale Ricostruzione AQ_ USRC Uff. Spec. Ricostruzione Cratere)?
La corretta applicazione della Convenzione è stata anche richiesta formalmente al contestato Presidente del Collegio, dal Dirigente Com.le al fine di renderla omogenea con quella di Ingegneri, Architetti e Periti che per le attività di cui si tratta (lett. c), e) ed f) art. 89 ed art 98 D.Leg.vo 81/08 e ss.mm.ii).
Distinti saluti”
Consulenza legale i 29/03/2018
Il reato di abuso d’ufficio è previsto dall’articolo 323 del codice penale alla cui lettura si rimanda.

Si tratta di un reato contro la pubblica amministrazione definito secondo molti plurioffensivo in quanto lede
- sia il buon andamento della pubblica amministrazione e la sua imparzialità
- sia taluni interessi privatistici correlati a coloro i quali possono essere individuati come “vittime” dell’abuso commesso.

E’ evidente che si tratta di un reato estremamente complesso per la cui sussistenza sono richiesti numerosi elementi, primo tra tutti la qualifica di pubblico ufficiale e/o incaricato di pubblico servizio del soggetto agente.

Escludendo che il Collegio dei Geometri possa essere ritenuto pubblico ufficiale, sembra piuttosto possibile che venga ritenuto incaricato di un pubblico servizio. Secondo, infatti, l’articolo 358 del codice penale « ... Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
La lettera della norma, non chiarissima, è stata oggetto di interpretazione estremamente estensiva da parte della giurisprudenza che, addirittura, ha riconosciuto incaricato di un pubblico servizio anche
- i dipendenti dell'Ente Poste ( C., Sez. VI, 12.5.2011; C., Sez. VI, 2.11.2010; C., Sez. VI, 21.6.2010; C., Sez. VI, 9.6.2006);
- i rappresentanti della Autostrade s.p.a. (C., Sez. VI, 20.5.1998);
- l'operatore motoristico e meccanico dell'ufficio provinciale della motorizzazione, la cui attività, volta alle certificazioni pubblicistiche derivanti dalla revisione dei veicoli, non si esplica in termini di mera manualità, ma esprime e richiede competenze tecniche ed intellettuali (C., Sez. VI, 29.10.2009; C., Sez. VI, 9.1.2001).

Sulla base della giurisprudenza predetta e dell’interpretazione estensiva applicata, è possibile sostenere che il Collegio dei Geometri, prestando un pubblico servizio e agendo sulla base di disposizioni pubblicistiche, rivesta il ruolo di incaricato di un pubblico servizio.

D’altra parte, ai fini della commissione del reato di abuso d’ufficio occorre anche la sussistenza di ulteriori elementi estremamente pregnanti:
  • la violazione di norme di legge o di regolamento;
  • l’omessa astensione in caso di conflitto di interesse;
  • il vantaggio ingiusto procurato intenzionalmente a sé o ad altri o il danno ingiusto.
Per quanto attiene alla violazione di legge o di regolamento o all’omessa astensione in caso di conflitto di interesse, non si dispone di informazioni sufficienti per riscontrare la sussistenza degli elementi in questione.
Si tratta in ogni caso di una circostanza di non estrema importanza ai fini della soluzione del presente parere.
Come detto, infatti, uno degli elementi indispensabili per la sussistenza dell’abuso d’ufficio è il vantaggio ingiusto conseguito intenzionalmente per sé o per altri dal soggetto agente e/o il danno ingiusto. Sul punto, sembra opportuno citare la Cassazione che in modo assolutamente costante afferma che « Il delitto di abuso d'ufficio è integrato dalla doppia e autonoma ingiustizia, sia della condotta che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento, che dell'evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo, con la conseguente necessità di una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata illegittimità della condotta» Cass. pen. Sez. VI, 17-02-2015, n. 10133 (rv. 262800).
Nel caso di specie sembra che, nonostante sia stata violata la Convenzione, non ci sia stato il conseguimento del vantaggio ingiusto visto che il compenso vidimato è stato addirittura inferiore di quello che sarebbe stato legittimo in applicazione corretta della Convenzione predetta.
Stando così le cose, la condotta del Collegio non sembra integrare gli estremi del reato di abuso d’ufficio.

Qualora dovesse nascere un indagine al riguardo (ad oggi i reati contro la pubblica amministrazione sono particolarmente attenzionati dalle Procure), si consiglia di far immediatamente presente la questione del compenso in modo che il Pubblico Ministero possa archiviare la notizia di reato.

SERGIO C. chiede
lunedì 20/11/2017 - Emilia-Romagna
“Vi chiedo la presente consulenza a seguito della proverbiale consuetudine degli assistenti sociali di scrivere falsità nelle loro relazioni.In particolare vorrei sapere se,a Vostro parere, sia ravvisabile il reato di abuso d’ufficio essendo chiaramente false e propedeutiche al provocare un ingiusto danno le seguenti affermazioni: «Manuel ha dunque ricevuto per mano dell'amico quanto scritto dalla zia e SUL MOMENTO, per rabbia lo ha strappato per poi chiedere al padre di poterlo consegnare all'assistente sociale." L'assistente sociale,la stessa che ha redatto la relazione,avrebbe quindi ricevuto dal minore un foglietto precedentemente strappato,e considerato che l'avrebbe fatto con rabbia,si presume che a quel punto dovrebbero essere rimasti solo frammenti dello stesso,ma la stessa,tutta presa a dar prova del fatto, non si è resa conto che la fotocopia allegata testimonia di un foglio assolutamente integro rendendo palese la falsità di quanto descritto.

Nell'episodio narrato successivamente si riporta il fatto che la nonna avrebbe saputo dall'amichetto del cuore del nipote che i due si erano recentemente incontrati ,a quel punto,scrive l’assistente sociale, "la rete parentale" materna avrebbe effettuato molte telefonate alla madre dell'amico per fare domande sul nipote e la donna,di conseguenza,ha raccontato tutto al padre".Nel suo delirio di onnipotenza,costei si attribuisce la facoltà di ingerenza nella vita privata altrui,stabilendo a chi la mia “rete parentale” possa telefonare e quali argomenti trattare.In tali telefonate,sostiene l’operatrice,il padre del minore avrebbe individuato la causa dell’angoscia manifestata dal bambino,non rendendosi conto che il bambino non poteva essere stato coinvolto dalla vicenda goffamente riferita.
L’a.s.,da quanto si evince dal suo stesso racconto, inventa strumentalmente il coinvolgimento del minore in una vicenda che non l'ha minimamente sfiorato e di cui il minore non poteva aver contezza.

È un fatto che l’operatrice si rivela falsa fornendone essa stessa la prova. Il reato lo si può individuare facilmente anche nella pervicace insistenza di criminalizzare sistematicamente l’agire dei familiari materni che,anche se veri,non presenterebbero alcun aspetto censurabile, esaltando invece,con idilliaci e improbabili racconti,la probità del padre nonostante la recente denuncia e relativa emissione di decreto penale nei suoi confronti per “abbandono di minore”,al solo fine di demonizzare una parte e magnificare l'altra agli occhi,spesso ciechi dei giudici.
Mi sembra,e ve ne chiedo eventuale conferma,che tutti i requisiti richiesti dall’art.323 c.p. perché sia configurabile il reato, si siano materializzati e cioè: l’azione,cioè la relazione, è stata realizzata da un incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle funzioni o del servizio;il falso conclamato di quanto relazionato,contrario al dovere di obiettività ed esso stesso reato penale ex art.476 c.p. soddisfa ampiamente il requisito dell’agire in violazione di norme di legge o di regolamento,compreso il codice deontologico della categoria cui appartiene l’a.s. Anche l’intenzionalità del dolo pare provato dal fatto che la specifica competenza professionale dell’assistente sociale dovrebbe assicurare la garanzia di una valutazione coerente con i fatti riferiti che,invece, si dimostrano falsi circa l’esistenza di situazioni di disagio e rancori del minore nei confronti dei nonni e conseguente rifiuto di incontrarli. Tale comportamento è funzionale a provocare il dolo diretto ed immediato nei confronti dei nonni,consistente nella negazione al diritto di frequentare il nipote come diretta conseguenza di un inesistente rifiuto dello stesso ad incontrare i parenti materni per i fatti falsamente riportati. Ulteriore abuso si ravvisa,a mio parere, laddove la prescrizione del decreto provvisorio emesso nel luglio 2016 viene disattesa. Essa recita infatti :

"Il servizio regolamenterà i rapporti con i nonni materni con modalità protette, almeno inizialmente, e comunque solo se rispondenti alle esigenze del minore.”

Ad un attento esame della frase,al di là di tecnicismi sintattici e grammaticali, la perentorietà che esprime il verbo:”regolamenterà” non lascia dubbi circa la possibilità che quanto da regolamentare,i rapporti con i nonni,possa essere disatteso. Tutta la frase si intuisce come intenzionata a stabilire le modalità protette degli incontri ed i tempi di attuazione,con l’indicazione sebbene vaga di “almeno inizialmente” anch’essa disattesa dal servizio avendola invece adottata senza soluzione di continuità. La condizione espressa nel decreto con “e comunque solo se rispondenti alle esigenze del minore”
deve necessariamente essere messa in relazione con le modalità e non con i rapporti con i nonni tout court essendo le prime a dettare il senso dell’intera frase,come si rileva anche dalla distribuzione gerarchica dei vari sintagmi nella frase.In caso di dubbio,data la oggettiva ambiguità della frase,per non incorrere nella mancata osservanza del precetto,i servizi avrebbero dovuto chiedere lumi al Tribunale minorile circa l’interpretazione della prescrizione prima di adottare qualsiasi iniziativa contraria.


Nell'attesa di leggerVi al piu' presto

Vi ringrazio sentitamente e Vi saluto cordialmente”
Consulenza legale i 27/11/2017
Prima di entrare nel dettaglio del delitto di abuso d’ufficio, previsto e punito dall’art. art. 323 del c.p. del c.p., è opportuno esporre brevemente gli elementi di fatto oggetto del quesito:

1) Falsità della relazione circa l’episodio del foglietto consegnato integro e non stracciato come erroneamente riferito dall’A.S.
2) Resoconto errato circa lo stato di tensione che il minore avrebbe sofferto per alcune telefonate intercorse tra la nonna e la famiglia di un amico.
3) Criminalizzazione dei familiari materni nelle relazioni.
4) Considerazioni positive sul padre non corrispondenti al vero.
5) Mancata ottemperanza al decreto provvisorio.

Alla luce di questo inquadramento giuridico, non pare che nel caso di specie si configuri il reato di abuso d’ufficio.

Bisogna in particolare soffermarsi sul requisito della c.d. doppia ingiustizia richiesto dalla norma.

A prescindere dalla violazione di norme o regolamenti, infatti, manca il requisito del danno ingiusto. Gli elementi di fatto sopra descritti rappresentano infatti delle valutazioni discrezionali dell’A.S. che difficilmente potrebbero fondare una sentenza di penale responsabilità.

L’unico elemento controverso potrebbe essere l’elemento del foglio strappato.

Con la novella normativa della legge n. 234 del 1997 la figura del reato di abuso d'ufficio è stata ancorata a dati oggettivi.

Con riferimento alla condotta è stato ristretto, rispetto al passato, il quadro oggettivo dei comportamenti antidoverosi che possono dar luogo al reato il quale resta ormai circoscritto ad azioni od omissioni poste in essere in violazione di legge o di norme regolamentari.

Tuttavia, in tali casi, non rilevano solo le norme che vietano puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma ogni altra norma, anche di natura procedimentale, la cui violazione determina comunque un danno ingiusto ai sensi dell'art. art. 2043 del c.c. del c.c.

La fattispecie criminosa poi è stata costruita come un reato di danno e non più di pericolo essendo necessario il conseguimento effettivo del vantaggio ingiusto per sé o per altri, ovvero del danno ingiusto per altri che costituisce l'evento del reato.

Quanto allo specifico profilo del danno, la novella citata non prende in considerazione solamente situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno diritti soggettivi perfetti, ma anche l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità, tutelata dalle norme costituzionali (Cassazione penale, sez. VI, n. 4945 del 15 gennaio 2004).

Il danno o il vantaggio, che nella precedente formulazione erano il contenuto del dolo specifico -dovendo essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente a prescindere dalla loro concreta realizzazione- oggi vengono ricondotti nell’alveo del fatto tipico posticipando il momento della consumazione.

L'oggetto giuridico della fattispecie consiste sempre nel mancato funzionamento della pubblica amministrazione, perché attiene al dovere dei pubblici ufficiali esercitare le proprie funzioni mantenendosi nei limiti prescritti dalla legge ed ispirandosi all’interesse pubblico senza mirare a favorire o danneggiare i privati, addirittura, ottenendo vantaggi patrimoniali da tale abusivo comportamento.

Il delitto di abuso di ufficio, quindi, è integrato dalla doppia e autonoma ingiustizia, sia della condotta che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento, sia dell'evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante al diritto soggettivo con la conseguente necessità di una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata illegittimità della condotta (Cassazione Penale, sezione sesta n. 10133 del 17 febbraio 2015).

Quanto poi al secondo elemento costitutivo del delitto di abuso di ufficio, il dolo intenzionale, occorre ricordare che tale fattispecie richiede la coscienza e volontà di esercitare una pubblica funzione e di abusare dei relativi poteri, al fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio ovvero, in alternativa, di arrecare ad altri un danno ingiusto.

La nuova formulazione dell’ipotesi criminosa di cui all'arti. art. 323 del c.p. richiede che vantaggio, o il danno, ingiusto siano procurati “intenzionalmente”, con rappresentazione e volizione dell'evento come conseguenza immediata e diretta della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito e, quindi, il dolo specifico previsto nella vecchia normativa risulta sostituito dal dolo generico rafforzato dal predetto avverbio (Cassazione Penale, sez. sesta n. 35859 del 7 maggio 2008).

La prova dell'intenzionalità esige il raggiungimento della certezza che la volontà della gente sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o danno ingiusti e tale certezza non può rinvenirsi esclusivamente dal comportamento non jure tenuto dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici che evidenzino l'effettiva ratio ispiratrice del comportamento, quali la specifica competenza professionale dell’agente, l'apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento, i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevano vantaggio o subiscano danno in questo senso (Cassazione Penale, sez. VI, n. 35814 del 26 giugno 2007).

Per quanto sopra esposto, in un’ottica dibattimentale non sarebbe possibile sostenere che l’A.S. abbia volontariamente voluto danneggiare la famiglia materna.

Anonimo chiede
venerdì 22/09/2017 - Campania
“Nel documento allegato si legge il capo di imputazione per il delitto p. e p. dagli artt. 110-81 cpv, 323 c.p. I reati sarebbero stai commessi fino a tutto il 2013. L'incarico di commissario della Società è stato ufficialmente lasciato il 18 gennaio 2008. Nel novenbre 2014 c'è stato l'interrogatorio della Polizia Giudiziaria.
Quando si prescriveranno i reati richiamati nel documento inviato per email e sopra richiamati?”
Consulenza legale i 28/09/2017
Il reato di abuso d’ufficio, previsto dall’art. art. 323 del c.p. del c.p. punisce il pubblico ufficiale che nello svolgimento delle proprie funzioni procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Appare utile ricordare come la Giurisprudenza ritiene elemento essenziale di tale delitto la c.d. doppia ingiustizia: è necessario verificare se l’evento di vantaggio o di danno sia ingiusto in sè e non soltanto come riflesso della violazione di norme da parte del pubblico ufficiale (da ultimo Cass.Pen., sez. VI, del 25 agosto 2014).

Inoltre, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo c.d. intenzionale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che deve aver agito con lo scopo immediato e finale di non perseguire, attraverso la condotta posta in essere, una finalità pubblica, il cui conseguimento deve essere escluso non soltanto nei casi nei quali essa manchi del tutto ma anche nei casi in cui rappresenti una mera occasione della condotta illecita, posta in essere invece al preciso scopo di realizzare, in via immediata ed attraverso la violazione di legge o di regolamento o l’omissione del dovere di astensione nei casi prescritti, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sè o per altri (in tal senso Cass.Pen, sezione III, del 25 marzo 2014).

Nel caso di specie, l’eventuale condotta criminosa pare interrompersi con la cessazione dell’incarico nel 2008.

Le condotte successive sono state infatti commesse da altri soggetti. Chi scrive non è però in grado di sapere se, per quanto riguarda le condotte successive al 2008, possa configurarsi un concorso, morale o materiale, nel reato commesso da altri.

Ai sensi dell’art. art. 110 del c.p. del c.p., infatti, “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.

Ad ogni modo, il tempo necessario a prescrivere un reato aumenta proporzionalmente alla gravità del reato preso in considerazione, cioè aumenta con l’aumentare della pena edittale prevista per quel determinato reato.

L’art. art. 157 del c.p. c.p., come modificato dalla legge 5.12.2005 n. 215, stabilisce che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto, e a quattro anni se si tratta di contravvenzioni, anche se puniti con la sola pena pecuniaria.

L’ipotesi criminosa descritta nel quesito è un delitto, quindi nel caso di specie il termine ordinario di prescrizione è di anni sei.

L’art. art. 160 del c.p. c.p. indica le cause di interruzione della prescrizione (in tali casi il corso della prescrizione si interrompe e comincia a decorrere un nuovo tempo di prescrizione dal giorno dell’interruzione):
- la sentenza di condanna;
- decreto penale di condanna;
- l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto;
- l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice;
- l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio;
- il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione;
- la richiesta di rinvio a giudizio;
- il decreto di fissazione della udienza preliminare;
- l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato;
- il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena;
- la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo;
- il decreto che dispone il giudizio immediato;
- il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.

L’interrogatorio innanzi alla P.G. non interrompe, quindi, la prescrizione.

A questo proposito la Suprema Corte ha chiarito che “l'invito a presentarsi rivolto dal p.m. all'indagato per rendere l'interrogatorio ha efficacia interruttiva della prescrizione del reato, anche se all'interrogatorio abbia poi proceduto un ufficiale di polizia giudiziaria all'uopo delegato dal p.m. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Brindisi, 21/06/2013 ). Cassazione penale sez. III 18 marzo 2014 n. 18919”.

In ogni caso, ai sensi dell’art. art. 161 del c.p. c.p., tuttavia, l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento fino a:
- un quarto del tempo necessario a prescrivere nei casi ordinari;
- la metà del tempo necessario a prescrivere nei casi di recidiva specifica (art. art. 99 del c.p. c.p. II comma);
- i due terzi del tempo necessario a prescrivere nel caso in cui il recidivo commetta altro delitto non colposo (Art. art. 99 del c.p. c.p. IV comma);
- l’aumento del doppio del tempo necessario nel caso in cui a commetterlo sia il delinquente abituale (Artt. art. 102 del c.p. e [[103]] c.p.), oppure il delinquente di professione (Art. art. 105 del c.p. c.p.).

In caso di atti interruttivi la prescrizione potrebbe aumentare da sette anni e mezzo fino a dieci anni.

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