Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un soggetto, che era stato arrestato in flagranza dalla Polizia, in quanto questi avrebbe posizionato delle microcamere a casa della persona offesa, seguendola tramite un’applicazione installata sul proprio cellulare.
Il Tribunale di Napoli non aveva, tuttavia, convalidato l’arresto del soggetto in questione, in quanto lo stesso non era stato operato “in presenza dello stato di flagranza di cui all’art. 382 cod. proc. pen.”.
Nel caso di specie, infatti, la polizia giudiziaria non aveva immediatamente e autonomamente percepito le tracce del reato e l’arresto era stato disposto “sulla base delle sole informazioni fornite dalla persona offesa dal reato”.
Il Procuratore della Repubblica, ritenendo che l’arresto dovesse, invece, essere convalidato, si era rivolto alla Corte di Cassazione.
Osservava il ricorrente, in proposito, che “l’arresto era stato operato dalla polizia giudiziaria mentre vi era la flagranza del delitto di cui all’art. 615-bis cod. pen.”, in quanto “erano in funzione numerose microtelecamere”, montate dall’imputato presso l’abitazione e il cortile della persona offesa, che era stata seguita dall’imputato stesso “mediante un’applicazione installata sul suo cellulare”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal Procuratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, che il delitto di “interferenze illecite nella vita privata”, di cui all’art. 615-bis cod. pen., può ritenersi perfezionato non al momento dell’installazione delle telecamere presso l’abitazione altrui, “ma con il procurarsi indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata, svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen.”.
Ebbene, nel caso di specie - poiché l’indagato era stato fermato “nel mentre che aveva con sé il telefono cellulare sul quale era istallato il programma che gli consentiva di visionare a distanza quanto captato attraverso le microcamere collocate presso l’abitazione e il cortile della vittima” – “il suo arresto doveva considerarsi legittimamente eseguito”, in quanto il soggetto in questione era stato “colto nell’atto di commettere i detti reati”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, annullando l’ordinanza impugnata “perché l’arresto era stato legittimamente eseguito”.