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Articolo 328 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione

Dispositivo dell'art. 328 Codice Penale

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta(1) un atto del suo ufficio(2) che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa(3).

Note

(1) Il comma primo disciplina il reato di rifiuto di atti urgenti, la cui rilevanza è limitata a tassative ragioni d'urgenza di compiere l'atto tra cui rientrano ad esempio i sequestri obbligatori amministrativi, la confisca amministrativa, gli ordini di distruzione degli immobili abusivi, gli ordini di scioglimento delle manifestazioni vietate, la sospensione e la revoca della patente di guida, gli ordini di non circolare su determinate strade.
Questo dunque si consuma quando l'inerzia ha compromesso l'adozione efficace dell'atto urgente. In merito all'urgenza parte della dottrina ritiene che occorra distinguere tra termine perentorio in cui si ha una vera e propria omissione e termine ordinatorio in cui si avrebbe mero ritardo, in quanto l'atto può essere ancora compiuto e può esplicare i suoi effetti tipici.
(2) Rilevano solo gli atti esterni e quelli a rilevanza esterna, non invece gli atti interni cosiddetti organizzativi.
(3) Il comma secondo punisce invece la condotta di omissione non motivata di atti richiesti. Questa ovviamente non si realizza qualora il procedimento si sia concluso senza adozione espressa dell'atto in virtù del silenzio-assenso, previsto all'art. 20, comma 1, della l. 7 agosto 1990, n. 241. Dunque perché vi sia omissione è necessario il ricorrere di tre requisiti: la richiesta formale dell'interessato, il mancato compimento dell'atto entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (termine previsto dalle norme amministrative) e la mancata esposizione dell'interessato, nello stesso termine, delle ragioni del ritardo.

Ratio Legis

La disposizione in esame è qui diretta a tutelare sia l'efficace attuazione delle funzioni istituzionali della P.A. nei settori d'intervento tipizzati, sia il diritto della persona all'informazione sui procedimenti cui è interessata, in quanto funzionale alla controllabilità dell'agire amministrativo.

Spiegazione dell'art. 328 Codice Penale

La disposizione include due autonome fattispecie penalmente rilevanti:

  • al primo comma si punisce il pubblico funzionario che rifiuti indebitamente di compiere un atto che per vari motivi d'urgenza deve essere compiuto senza ritardo;

  • al secondo comma il pubblico funzionario che non compia entro trenta giorni l'atto dovuto, decorrenti dalla richiesta di chi vi abbia un legittimo interesse.

Mentre la condotta di cui al primo comma è monoffensiva, tutelando solo il buon andamento della P.A. ed il suo normale funzionamento, quella di cui al secondo comma presenta invece una natura plurioffensiva, tutelando anche il concorrente interesse del privato richiedente un atto dovuto.

I due commi hanno in comune che costituiscono entrambi ipotesi di reati di pericolo e di reato omissivo proprio, dato che puniscono una condotta consistente in un semplice non fare, prescindendo completamente dalla causazione di un evento di danno naturalisticamente inteso.

Con riguardo al primo comma, il rifiuto può manifestarsi in qualsiasi forma, sia scritta che orale, e deve essere indebito (quindi non sorretto da cause di giustificazione). La connotazione indebita, secondo la giurisprudenza, sussiste quando risulti che il soggetto non abbia esercitato alcuna discrezionalità tecnica, ma si sia semplicemente sottratto alla valutazione d'urgenza dell'atto del suo ufficio.

Il fatto che l'atto debba essere compiuto senza ritardo sta a significare che il compimento tardivo si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista una urgenza sostanziale impositiva del compimento dell'atto, in modo che l'inerzia assuma la valenza di rifiuto dell'atto medesimo.

Per quanto concerne invece il secondo comma, la condotta si esprime in una omissione di un atto d'ufficio, conseguente ad una formale messa in mora, vale a dire una richiesta scritta del privato, da cui decorre il termine per l'adozione dell'atto ovvero per formulare una risposta negativa che espliciti i motivi del diniego. È comunque necessario che sussista un obbligo di avvio del procedimento, non potendosi postulare la debenza dell'atto su mera prospettazione del privato.

L'interesse del privato deve inoltre essere qualificato e cioè essere un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.

Da ultimo, si precisa che il reato viene ad integrarsi solo se, spirato il termine previsto dalle singole norme amministrative, il privato abbia messo in mora la P.A. con la richiesta scritta.

Massime relative all'art. 328 Codice Penale

Cass. pen. n. 49116/2022

Il reato di rifiuto di atti di ufficio previsto dal primo comma dell'art. 328 cod. pen., che si realizzi in forma implicita per il protrarsi dell'inerzia omissiva, si consuma sin dal momento iniziale in cui si manifesta il ritardo non più giustificabile dell'atto dovuto ma, finché perdura l'interesse al compimento dell'atto stesso, continua la permanenza, che si interrompe solo nel momento in cui la situazione antigiuridica viene meno per fatto volontario dell'obbligato o per altra causa.

Cass. pen. n. 16483/2022

Il reato di rifiuto di atti di ufficio previsto dal primo comma dell'art. 328 cod. pen., pur se istantaneo, può configurarsi anche nel caso in cui l'inerzia omissiva, protraendosi oltre il termine per il compimento dell'atto, pur a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale, si risolva in un rifiuto implicito, sì che in tal caso il momento consumativo coincide con l'adozione dell'atto dovuto, la quale determina la cessazione degli effetti negativi della inazione.

Cass. pen. n. 33565/2021

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328 cod. pen. è sufficiente il dolo generico, in quanto l'avverbio "indebitamente", inserito nel testo della disposizione, qualificando l'omissione di atti di ufficio come reato ad antigiuridicità cosiddetta espressa o speciale, connota l'elemento soggettivo, non nel senso di comportare l'esigenza di un dolo specifico, ma per sottolineare la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti.

Cass. pen. n. 18901/2020

Integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico che, richiesto di assistere una paziente sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza indotta per via farmacologica, si astenga dal prestare la propria attività nella fase successiva alla somministrazione del farmaco abortivo - nella specie, non eseguendo il controllo ecografico previsto dalle linee guida - atteso che in tale ipotesi non può invocarsi il diritto di obiezione di coscienza, avuto riguardo ai limiti stabiliti per il suo esercizio dall'art. 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194.

Cass. pen. n. 1676/2020

In tema di responsabilità da reato degli enti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto di uno dei reati di cui all'art. 322-ter cod. pen. può essere indifferentemente disposto, oltre che nei confronti dell'ente responsabile dell'illecito amministrativo, anche nei confronti delle persone fisiche che lo hanno commesso, con l'unico limite che il vincolo non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto.

Cass. pen. n. 1657/2020

Il rifiuto di un atto dell'ufficio, previsto dall'art. 328, comma primo, cod. pen., ha natura di reato istantaneo e può manifestarsi in forma continuata quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolte al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a esplicare i propri effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare.

Cass. pen. n. 10446/2018

In tema di rifiuto di atti d'ufficio, ipotizzato per la mancata adozione, da parte dell'autorità comunale, di un provvedimento che inibisse l'uso di un edificio scolastico risultato non conforme alla vigenti disposizioni dettate dalla normativa antisismica, correttamente deve ritenersi esclusa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato qualora, nella ritenuta assenza di un immediato pericolo di crollo, la predetta autorità abbia già avviato le procedure per la messa a norma dell'edificio, con stanziamento delle somme all'uopo necessarie.

Cass. pen. n. 21631/2017

Integra il reato di rifiuto di atti di ufficio, la condotta del medico di guardia in servizio presso una casa di cura che, richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico in relazione alla progressiva ingravescenza delle condizioni di salute di un paziente ivi ricoverato, ometta di procedere alla visita ed alla diretta valutazione della situazione, a nulla rilevando che il paziente sia comunque assistito dal suddetto personale, incaricato di monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali, e che, in tal caso, la valutazione del sanitario si fondi soltanto su dati clinici e strumentali. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo e che la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione).

Cass. pen. n. 55134/2016

Non integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio (art. 328 cod. pen.) la condotta del farmacista che si rifiuta di consegnare un farmaco antipiretico urgente ad un malato terminale in assenza della richiesta prescrizione medica, poiché, in ragione di quanto previsto dal decreto del Ministro della salute del 31 marzo 2008, l'obbligo di consegna di un medicinale senza ricetta ricorre, in caso di estrema necessità ed urgenza, solo ove si tratti di paziente con patologia cronica, ovvero vi sia la necessità di non interrompere il trattamento terapeutico o di proseguire la terapia a seguito di dimissioni ospedaliere, ed il farmacista abbia conoscenza di tali condizioni di salute del paziente.

Cass. pen. n. 36674/2015

Ai fini della configurabilità dell'elemento psicologico del delitto di rifiuto di atti d'ufficio, è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento "contra ius", senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse correttamente escluso la configurabilità del reato nei confronti di due infermieri addetti alla centrale operativa 118, i quali pur non intervenuti tempestivamente a prestare soccorso, avevano rispettato i protocolli medici indicativi della patologia in relazione alla sintomatologia riferita telefonicamente dal paziente, poi deceduto per aneurisma dissecante dell'aorta).

Cass. pen. n. 20316/2015

In tema di rifiuto di atti d'ufficio, la conoscenza del dovere di compiere senza ritardo l'atto dell'ufficio, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, può ritenersi provata qualora l'obbligo di attivarsi derivi da un ordine inviato via fax, e l'apparecchio trasmittente abbia confermato (con il c.d. "OK") il regolare invio della comunicazione al numero di utenza del destinatario, senza che quest'ultimo abbia dedotto elementi idonei ad inficiare il valore probatorio della nota di conferma. (Fattispecie in cui la Corte, con riferimento ad un ordine di immediata restituzione dei fascicoli processuali inviato via fax ad un perito dopo una precedente intimazione a depositare la perizia o a rinunciare all'incarico, ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva giudicato sufficiente la prova offerta della nota di conferma, a fronte di una mera ipotesi difensiva circa la possibilità che l'ordine fosse stato irregolarmente trasmesso).

Cass. pen. n. 33857/2014

Il delitto di omissione di atti d'ufficio è un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che legittimamente la decisione impugnata avesse escluso la configurabilità del reato con riferimento alla mancata adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente, in relazione al pericolo cagionato ai pedoni e ad un'abitazione da una frana insistente sulla sede stradale, cui si sarebbe potuto ovviare anche con la chiusura della strada ad opera dei Vigili del Fuoco).

Cass. pen. n. 2331/2014

In tema di rifiuto di atti d'ufficio, la richiesta scritta di cui all'art. 328, secondo comma, cod. pen., assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono. Ne consegue che il reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato. (Nell'affermare il principio, la S.C. ha escluso il reato in presenza di mere richieste al Consiglio dell'ordine degli avvocati di revoca della sospensione cautelare dall'esercizio della professione forense, prive di formali diffide ad adempiere rivolte al pubblico ufficiale).

Cass. pen. n. 45629/2013

In tema di delitto di omissione di atti d'ufficio, il formarsi del silenzio rifiuto alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato costituisce inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice. (Fattispecie in materia di richiesta di accesso ai documenti amministrativi).

Cass. pen. n. 44635/2013

Integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la condotta dell'agente di polizia municipale che, richiesto con ordine del superiore gerarchico di intervenire immediatamente sul luogo ove si era verificato un grave incidente stradale che stava provocando seri problemi di traffico, rifiuti di recarsi sul posto, adducendo di non aver indosso la divisa e di non essere stato previamente autorizzato all'intervento in abiti civili secondo quanto prescritto dall'art. 4, legge n. 65 del 1986.

Cass. pen. n. 19759/2013

Integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la condotta del medico preposto al servizio "118" che non eserciti la propria valutazione discrezionale del requisito dell'urgenza dell'atto, omettendo di formulare la diagnosi mediante i parametri informatici previsti dal protocollo dell'azienda ospedaliera (cd."Triage") e di inviare la richiesta autoambulanza, secondo quanto stabilito nelle procedure operative previste per il relativo servizio.

Cass. pen. n. 16657/2013

In tema di rifiuto di atti d’ufficio, non rientra tra le ragioni (in particolare, quelle di giustizia) per le quali, ai sensi dell’art. 328, comma primo, c.p., un atto d’ufficio debba essere compiuto “senza ritardo”, sì che l’indebito rifiuto di compierlo venga ad assumere carattere di reato, la notifica ai destinatari, da parte del messo comunale all’uopo incaricato, di atti di diffida al pagamento di contributi trasmessi da una Direzione provinciale del lavoro.

Cass. pen. n. 14979/2013

In tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell'atto ricorre nel caso del medico in servizio di guardia che sia richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico e medico con insistenti sollecitazioni, non rilevando che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva.

Integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in servizio di guardia che, richiesto di assistere una paziente sottoposta ad intervento di interruzione volontaria di gravidanza, si astenga dal prestare la propria attività nelle fasi antecedenti o successive a quelle specificamente e necessariamente dirette a determinare l'aborto, invocando il diritto di obiezione di coscienza, attesi i limiti previsti dall'art. 9 legge 22 maggio 1978, n. 194, all'esercizio di tale facoltà. (In applicazione del principio, la Corte, in relazione ad una interruzione di gravidanza indotta per via farmacologica, ha affermato che l'esonero da obiezione di coscienza è limitato alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, ma non si estende alle fasi "conseguenti").

Cass. pen. n. 10051/2013

Il reato di rifiuto di atti di ufficio è configurabile anche in caso di inerzia omissiva che, protraendo il compimento dell'atto oltre i termini prescritti dalla legge, si risolve in un rifiuto implicito, non essendo necessaria una manifestazione di volontà solenne o formale. (Fattispecie relativa al curatore di un fallimento che, dopo aver omesso di depositare la relazione e di compiere atti della procedura per oltre quindici anni, dapprima, ricevuta dal giudice delegato una diffida a relazionare, si era limitato a presentare una richiesta di proroga motivata in termini generici, e, poi, una volta rigettata questa istanza, non aveva dato alcun riscontro a successivi solleciti e richieste di informazioni fino alla sua sostituzione).

Cass. pen. n. 23107/2012

Non è integrato il delitto previsto dall'art. 328, comma primo, c.p. quando l'atto il cui compimento si richiede al pubblico ufficiale venga a ledere suoi diritti costituzionalmente garantiti non potendosi, in tale ipotesi, considerare indebito il rifiuto. (Nella specie la Corte ha escluso la sussistenza del reato con riferimento al rifiuto da parte del sindaco di un comune di consegnare alla polizia giudiziaria un regolamento comunale che avrebbe dovuto provare la sua responsabilità penale in un diverso procedimento).

Cass. pen. n. 17069/2012

Il rifiuto di un atto d'ufficio si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l'appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell'atto medesimo. (Fattispecie relativa all'omesso impedimento della viabilità, da parte del capo del Genio civile di un comune, su percorsi costituenti alveo naturale di due fiumi, omissione da cui derivava, a seguito di un forte piovasco, un'onda di piena che travolgeva le automobili in transito con il conseguente decesso dei passeggeri).

Cass. pen. n. 79/2012

In tema di omissione di atti d'ufficio, il dovere di risposta del pubblico ufficiale presuppone che sia stato avviato un procedimento amministrativo, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitano alla P.A. un'attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa.

Cass. pen. n. 35526/2011

In tema di rifiuto d'atti d'ufficio, nel caso in cui il medico ospedaliero abbia omesso di verificare a seguito di segnalazione del personale infermieristico le condizioni di un paziente ricoverato, il giudice può valutare l'esercizio della discrezionalità tecnica opposta dal sanitario a giustificazione del suo comportamento.

Cass. pen. n. 34402/2011

Integra il delitto di cui all'art. 328, comma primo, c.p. il medico in guardia sull'autoambulanza del servizio 118 il quale, opponendo il mancato rispetto delle procedure dettate per la richiesta dell'intervento, rifiuti di effettuare il trasporto presso idonea struttura di un paziente, l'indifferibilità del cui ricovero gli era stata prospettata da altro sanitario.

Cass. pen. n. 34385/2011

L'integrazione della fattispecie criminosa dell'omissione di atti d'ufficio, nella forma di cui all'art. 328, comma secondo, c.p., ha riguardo esclusivamente alle condotte della P.A. nei rapporti con i soggetti ad essa esterni, non anche a quelle che abbiano avuto luogo all'interno dell'amministrazione, che potranno integrare la diversa fattispecie di cui all'art. 328, comma primo, c.p., od assumere rilevanza meramente disciplinare.

Cass. pen. n. 28005/2011

La fattispecie di omissione di atti d'ufficio è speciale rispetto a quella di omissione di soccorso.

Cass. pen. n. 34401/2010

Commette il delitto di rifiuto di atti d'ufficio il militare dell'Arma dei Carabinieri che ometta la dovuta segnalazione al Prefetto circa la detenzione di una modica quantità di sostanze stupefacenti da parte di taluno.

Cass. pen. n. 14599/2010

In tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende qualunque ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la tempestiva attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria. La ragione di giustizia si esaurisce con l'emanazione del provvedimento di uno degli organi citati, non estendendosi agli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per ragione di giustizia. Ne consegue che non attiene a una ragione di giustizia la mancata adozione, da parte di un sindaco, dei provvedimenti di natura amministrativa relativi a contravvenzioni stradali.

Cass. pen. n. 7348/2010

Ai fini della integrazione del delitto di omissione di atti d'ufficio, è irrilevante il formarsi del silenzio-rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Ne consegue che il "silenzio-rifiuto" deve considerarsi inadempimento e, quindi, come condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice. (Fattispecie relativa ad un'istanza presentata da un medico convenzionato all'A.S.L., al fine di ottenere il pagamento delle proprie competenze retributive).

Cass. pen. n. 46512/2009

Integra il delitto di cui all'art. 328, comma primo c.p. il rifiuto di procedere al ricovero ospedaliero di un malato, opposto dal medico responsabile del reparto, esclusivamente se il ricovero doveva ritenersi indifferibile per la sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona. (Fattispecie relativa all'annullamento della sentenza di condanna del medico che aveva rifiutato il ricovero in un reparto chirurgico di un paziente di altro ospedale affetto da dolori addominali da colica biliare).

Cass. pen. n. 35925/2009

Integra il delitto di cui all'art. 328, comma primo, c.p., il comportamento di un medico in servizio presso un reparto ospedaliero, che rifiuti, contravvenendo alle disposizioni impartite dal direttore del reparto, di espletare il servizio di accompagnamento in autoambulanza di pazienti cardiopatici presso un presidio sanitario ove gli stessi avrebbero dovuto essere sottoposti ad esame medico.

Cass. pen. n. 28482/2009

Non integra il reato di omissione di atti d'ufficio il semplice inadempimento di un dovere funzionale interno all'organizzazione della P.A., ove non si traduca nella mancanza di un atto d'ufficio a rilevanza esterna, che sia altresì qualificato dalle ragioni indicate dalla norma incriminatrice e da compiersi senza ritardo. (Sulla base di tali principi la Corte ha ritenuto che la mancata celebrazione, da parte dell'imputato, quale giudice, di alcune udienze cui egli era tenuto, non abbia integrato il reato, giacché tenute, in sua sostituzione, da altri magistrati a ciò appositamente designati).

Cass. pen. n. 27840/2009

In tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell'atto rifiutato ben può essere apprezzato tenendo conto del tenore e della provenienza delle richieste formulate al soggetto attivo. (Fattispecie relativa al rifiuto di un medico specialista ospedaliero di assistere una collega, che gliene aveva fatto richiesta, nell'esecuzione di un urgente intervento chirurgico, senza che il primo neppure si curasse di verificare, personalmente, la fondatezza o meno della gravità della situazione prospettatagli).

Cass. pen. n. 21163/2009

Integra il reato di omissione di atti d'ufficio (art. 328, comma secondo c.p.) la condotta del segretario comunale che, a fronte della richiesta di un consigliere comunale di accesso agli atti, ometta di fornirgli e di rispondere nei termini di legge, essendo irrilevante che gli atti richiesti non rientrino nelle competenze deliberative del Consiglio. (In motivazione, la Corte ha chiarito che il potere di sindacato ispettivo, di stimolo e controllo sull'attività degli organi comunali previsto dall'art. 42 T.U.E.L . dà diritto ai consiglieri di ottenere qualsiasi informazione necessaria per il suo esercizio).

Cass. pen. n. 15548/2009

Integra il reato di cui all'art. 328, comma primo, c.p., la condotta del primario ospedaliero che ometta di redigere la cartella clinica relativa ad un paziente temporaneamente sottoposto a cure di mantenimento e in attesa di trasferimento ad altra, più attrezzata, struttura ospedaliera, trattandosi di un atto d'ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di sanità. (Fattispecie relativa al transito ospedaliero di un neonato, le cui condizioni cliniche sono state oggetto di previa informativa telefonica tra i medici responsabili dei relativi reparti).

Cass. pen. n. 13519/2009

Il delitto di omissione di atti d'ufficio è un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela. (Fattispecie relativa alla mancata adozione di un'ordinanza sindacale di sgombero di una palazzina priva del certificato di abitabilità e con gravi carenze igienico-sanitarie dovute alla mancata autorizzazione del sistema di smaltimento dei reflui).

Cass. pen. n. 12147/2009

Integra il reato di rifiuto di atti d'ufficio la condotta del sindaco di un comune il quale - a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per l'igiene e la salute pubblica a causa dell'assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell'acqua erogata per il consumo - ometta di adottare i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso la ricorrenza dell'illecito amministrativo previsto dall'art. 19, comma quarto, D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in attuazione della direttiva CEE 98/83 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano).

Cass. pen. n. 48376/2008

Integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la condotta del custode di un animale sottoposto a sequestro amministrativo per ragioni di igiene e sanità, che ometta di comunicarne immediatamente l'avvenuto decesso al servizio veterinario della competente U.S.L.(Fattispecie relativa a capi di bestiame sottoposti a sequestro amministrativo poiché risultati positivi al test del "bolderone", sostanza anabolizzante la cui somministrazione è vietata nell'U.E.).

Cass. pen. n. 37542/2007

Integra il reato di cui all'art. 328, comma secondo, c.p., la condotta di un sindaco che omette di rispondere o, comunque, di fornire congrue giustificazioni nel termine di trenta giorni, a seguito della richiesta, avanzata da un dipendente comunale, di rimborso delle spese legali sostenute in un procedimento penale per reati connessi alla sua funzione e dai quali è stato assolto.

Cass. pen. n. 35837/2007

Integra il delitto di rifiuto di atto d'ufficio (art. 328, comma primo, c.p.) la condotta del vigile urbano che omette deliberatamente di dichiarare in contravvenzione i conducenti di veicoli in sosta vietata, ancorché la contravvenzione sia successivamente contestata dagli agenti della polizia stradale, considerato che la citata norma sanziona il rifiuto, non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo e, quindi, con tempestività, in diretta connessione con il conseguimento degli effetti che gli sono propri; inoltre, si tratta di reato istantaneo, il cui momento consumativo si realizza con il rifiuto o con l'omissione, sicché la circostanza che, in conseguenza del rifiuto, l'atto sia compiuto da altro pubblico ufficiale, non ha valore scriminante.

Cass. pen. n. 34471/2007

Integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio il medico della guardia medica che, posto telefonicamente al corrente della grave sintomatologia riferita da una paziente, non si rechi al di lei domicilio per l'effettuazione di un accurato esame clinico, indispensabile per l'accertamento delle reali condizioni di salute, ma si limiti a invitarla a rivolgersi a una struttura sanitaria senza rendersi conto se tale consiglio sia concretamente praticabile e idoneo a fronteggiare la situazione di emergenza.

Cass. pen. n. 31669/2007

Nel reato di omissione di atti d'ufficio sussiste l'elemento psicologico quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio sia consapevole di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all'intimazione del privato. (Fattispecie di mancata definizione di una domanda di concessione edilizia e di mancata esposizione delle ragioni del ritardo, ove l'istante era stato comunque messo a conoscenza degli impedimenti che non avevano permesso la definizione della procedura).

Cass. pen. n. 19358/2007

Ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio, non basta che l'atto rientri in una delle categorie tipiche indicate dalla norma né che sussistano le previste condizioni di urgenza, ma occorre che l'atto sia dovuto, e dunque non rientri nell'ambito della discrezionalità del pubblico ufficiale. (Nella fattispecie, concernente gli interventi che gli amministratori di un ospedale avrebbero dovuto eseguire per evitare il diffondersi di un'infezione, la Corte ha escluso la configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio sul presupposto del carattere intrinsecamente discrezionale dell'attività tecnica rifiutata).

Cass. pen. n. 39486/2006

Integra la fattispecie del rifiuto di compiere un atto di ufficio il comportamento di una infermiera che richiesta da un paziente di procedere alla sua pulizia per motivi di igiene e sanità, la ritardi in quanto impegnata nell'attività di distribuzione del vitto, in quanto l'operazione di pulizia personale rivestiva carattere d'urgenza e la prescrizione di tale compito non necessitava di un ordine specifico del medico, sussistendo una direttiva emanata ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. n. 225 del 1974, impartita in via generale e sulla base di turni di servizio.

Cass. pen. n. 34066/2006

Integra il reato di rifiuto di atti d'ufficio (art. 328, comma primo, c.p.) il pubblico ufficiale (nella specie agente di polizia giudiziaria) che rifiuti di compiere atti che per ragioni di giustizia devono essere compiuti senza ritardo, omettendo di espletare le indagini delegate su specifici procedimenti; né, a tal fine, ha rilievo la circostanza che non si sia verificato alcun danno al buon andamento della P.A., considerato che il reato di cui all'art. 328, comma primo, è un reato di pericolo che si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario tutelati dall'ordinamento, nella specie da compiere per ragioni di giustizia e senza ritardo, indipendentemente dallo specifico atto e dal nocumento che può derivarne. Nemmeno ha rilievo il fatto che si tratti di attività delegata e surrogabile da altro funzionario, in quanto anche per l'attività delegata l'art. 348, comma terzo, c.p.p., impone all'ufficiale o agente di polizia giudiziaria di informare prontamente il Pubblico Ministero dell'esito dell'attività delegata.

Cass. pen. n. 19039/2006

In tema di rifiuto ed omissione di atti di ufficio, rientrano negli atti di ufficio per ragioni di «sanità» a cui fa riferimento l'art. 328 c.p. esclusivamente quegli atti, con carattere di indifferibilità e doverosità, aventi natura propriamente sanitaria, nonché quelli strettamente funzionali alla realizzazione di questi ultimi. Ne consegue che non rileva ai fini penali l'omessa istituzione da parte del Sindaco di un servizio di trasporto in favore di persone handicappate al fine di consentire loro di frequentare la scuola dell'obbligo, trattandosi di provvedimento non strettamente funzionale all'intervento in materia di sanità.

Cass. pen. n. 17570/2006

Il rifiuto di cui all'art. 328 c.p. si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell'atto medesimo. (Fattispecie nella quale è stato ravvisato il suddetto reato nell'omessa notificazione da parte di un ufficiale giudiziario di atti giudiziari che avrebbero dovuto essere restituiti senza ritardo all'autorità procedente o alla parte privata richiedente).

Cass. pen. n. 41225/2005

In tema di omissione o rifiuto di atti d'ufficio, la richiesta di cui all'art. 328, secondo comma, c.p. assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere: essa deve quindi, con percepibile immediatezza, essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono ed il reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.

Cass. pen. n. 35035/2005

Nell'ipotesi in cui un sanitario addetto al servizio di guardia medica non aderisca alla richiesta di intervento urgente, sussiste il reato di omissione di atti d'ufficio solo quando sia comprovato che l'urgenza prospettata era effettiva e reale (nella specie, relativa ad un sanitario in servizio di guardia medica che si era rifiutato, benché richiesto da personale infermieristico di recarsi presso una casa di riposo a visitare due anziani pazienti in stato di iperpiressia, limitandosi a prescrivere a mezzo telefono un antibiotico, la Corte, rigettando il ricorso del P.G. avverso sentenza di assoluzione, ha ritenuto corretta e congruamente motivata la decisione liberatoria, basata sul rilievo della giusta valutazione da parte del sanitario, secondo scienza e coscienza e sulla base di quanto rappresentatogli, dell'insussistenza di aspetti di obiettiva gravità ed urgenza nelle condizioni dei pazienti, tali da richiedere una immediata visita e da escludere la sufficienza delle sole indicazioni date per telefono).

Cass. pen. n. 33034/2005

Risponde del reato di cui all'art. 328 c.p. il Sindaco che non dispone l'immediato intervento per la eliminazione di rifiuti e per il ripristino dello stato dei luoghi, secondo quanto prescrive l'art. 14 Legge 5 febbraio 1997 n. 22, non avendo alcuna efficacia scriminante l'attesa dovuta alla preliminare individuazione da parte dell'ufficio tecnico dei nominativi dei proprietari dei terreni inquinati o il rispetto dei tempi necessari per la procedura d'appalto dei lavori di rimozione dei rifiuti.

Cass. pen. n. 22431/2005

Nel delitto di omissione di atti d'ufficio il comportamento omissivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio rileva solo nei casi in cui, in conseguenza e per effetto dell'inerzia dell'agente, non sia stato posto in essere un atto amministrativo in senso proprio ovvero un'attività di diritto privato o di altra natura che si aveva il dovere di compiere.

Cass. pen. n. 37459/2004

Integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità e non il reato di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in turno di reperibilità presso una struttura ospedaliera che si renda irraggiungibile al recapito fornito disattivando il telefono cellulare, in quanto non rientra nella previsione dell'art. 328 c.p. la semplice inosservanza di obblighi.

Cass. pen. n. 14959/2004

Risponde del delitto di cui all'art. 328 c.p. il medico-chirurgo ospedaliero in servizio di pronta disponibilità che ometta un intervento chirurgico non ritardabile, essendo irrilevante il concreto esito dell'omissione, posto che l'interesse tutelato della sanità fisica e psichica della persona ammalata deve essere valutato al momento in cui è rappresentata l'esigenza del suo intervento (nella specie, la Corte ha disatteso la tesi difensiva volta a sostenere la presumibile inutilità di qualunque terapia a scongiurare la morte del paziente).

Cass. pen. n. 12238/2004

Il reato di rifiuto di atti di ufficio previsto dal primo comma dell'art. 328 c.p. è un reato istantaneo, il cui momento consumativo si realizza con il rifiuto o con l'omissione. Nelle situazioni in cui il pubblico ufficiale è nella oggettiva impossibilità di compiere «immediatamente» l'atto dovuto a causa della complessità delle procedure o delle attività richieste, il termine entro cui l'atto deve essere compiuto va individuato facendo ricorso alla disciplina del silenzio-rifiuto, ossia in quello di novanta giorni (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto prescritto il reato di cui all'art. 328 c.p. consistito nell'aver il Sindaco omesso di dare attuazione alla delibera della Giunta regionale che disponeva la chiusura di una casa di riposo con conseguente trasferimento degli ospiti in altre strutture).

Cass. pen. n. 9204/2004

In base all'art. 13 D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41 il servizio di guardia medica ha la funzione di garantire l'assistenza sanitaria in casi di necessità ed urgenza improcrastinabili, nel cui ambito sono compresi gli atti tipici della professione medica, con esclusione di quelli che, pur avendo natura sanitaria, possono essere eseguiti da personale paramedico e infermieristico. Ne consegue che non commette il reato di rifiuto di atti d'ufficio (art. 328 c.p.) il medico, che trovandosi solo nella sede della guardia medica, richiesto di un intervento domiciliare urgente al fine di praticare un'iniezione di un medicinale antibiotico ad un paziente malato di cancro, affetto da iperpiressia, si rifiuti di intervenire opponendo il dovere di non lasciare sguarnita la guardia medica.

Cass. pen. n. 4907/2004

La fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p. è integrata nel momento in cui decorsi i 30 giorni il pubblico ufficiale non emette il provvedimento o non risponde per iscritto sulle ragione del ritardo, costituendo una non scusabile ignoranza della legge penale la non consapevolezza della necessità di una risposta scritta o l'eventuale oggettiva complessità della pratica.

Cass. pen. n. 2510/2004

Il reato di rifiuto di atti d'ufficio (art. 328 c.p.) non richiede che il rifiuto sia espresso in modo solenne o formale, ma può essere espresso anche dalla silente inerzia del pubblico ufficiale, protratta senza giustificazione oltre i termini di comporto o addirittura di decadenza, nei casi in cui essa dipenda, per il privato, dal mancato compimento dell'atto entro un termine. (Nell'affermare il suddetto principio, la Corte ha ritenuto sussistente il reato contestato nel comportamento del messo di conciliazione che, informato dell'esistenza di un termine perentorio per la notifica di un atto di citazione, vi aveva provveduto senza giustificato motivo a termine oramai scaduto).

Cass. pen. n. 43492/2003

In tema di omissione di atti d'ufficio, la norma di cui all'art. 328 secondo comma c.p. prevede che la richiesta del privato, cui corrisponde un dovere di rispondere o di attivarsi da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, deve riflettere un interesse personale e diretto alla emanazione di un atto o di un provvedimento identificabile in una posizione giuridica soggettiva di diritto soggettivo o di interesse legittimo, con esclusione di qualsiasi situazione che attenga ad interessi di mero fatto (nella specie la Corte ha ritenuto che l'interesse all'acquisizione di un atto, per fini di mera documentazione necessaria all'attività politica di un consigliere comunale, rientrasse fra gli interessi di mero fatto non tutelati a norma dell'art. 328, secondo comma, c.p.).

Cass. pen. n. 39108/2003

In tema di rifiuto di atti d'ufficio, il medico che effettua il turno di guardia notturna presso una struttura specializzata ad alto rischio, non può invocare la discrezionalità tecnica per giustificare comportamenti omissivi, quando si è in presenza di una specifica doverosità d'intervento. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che la preventiva segnalazione di gravità ed urgenza del caso fornita dall'infermiere di turno, la ovvia considerazione, al di là di ogni direttiva interna, che i dosaggi medici di un farmaco come la dopamina non possono essere demandati alla discrezionalità dell'infermiere, sono tutti elementi che connotano il carattere di doverosità dell'intervento del medico qualificando penalmente il suo rifiuto).

Cass. pen. n. 34047/2003

In tema di rifiuto di atti di ufficio, la necessità e l'urgenza di effettuare una visita domiciliare, sulla base di quanto prevede l'art. 13 del D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41, è rimessa alla valutazione discrezionale dal sanitario di guardia, sulla base della propria esperienza, ma tale valutazione sommaria, soggetta al sindacato del giudice di merito sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame, non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l'entità della patologia dichiarata.

Cass. pen. n. 32019/2003

La persona offesa del reato di omissione di atti di ufficio, nell'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 328 c.p., è la sola pubblica amministrazione in quanto il bene protetto dalla fattispecie è il buon andamento della pubblica amministrazione, anche se ciò non esclude che il pubblico interesse possa coincidere anche con un interesse privato e quindi che il reato possa diventare plurioffensivo; in tale caso il giudice di merito, con valutazione non sindacabile dal giudice di legittimità, deve accertare la coincidenza dell'interesse. (Fattispecie relativa alla dichiarazione di inammissibilità dell'opposizione a richiesta di archiviazione avanzata da un privato in relazione all'inosservanza da parte del sindaco del dovere di far rispettare un'ordinanza di ripristino di una strada comunale, non avendo provato di aver uno specifico interesse all'esecuzione dell'ordinanza).

Cass. pen. n. 24626/2003

Integra condotta omissiva, rilevante ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 328 c.p., il mancato sequestro «in continenti» di sostanza stupefacente rinvenuta nel corso di perquisizione domiciliare da parte di ufficiale di polizia giudiziaria, trattandosi di atto di ufficio che per ragioni di giustizia va compiuto senza ritardo.

Cass. pen. n. 24602/2003

Commette il reato di rifiuti di atti dell'ufficio il sindaco il quale, formalmente incaricato dal medico provinciale di dare esecuzione mediante la polizia municipale ad una ordinanza di immediata chiusura di uno stabilimento di produzione alimentare per ragioni di sanità, ometta di procedere nel senso indicato, a nulla rilevando che anche il sindaco sia titolare in materia di sanità di poteri a carattere contingibile e urgente né che l'ordinanza fosse stata comunicata anche a soggetti legittimati, in modo concorrente, alla sua esecuzione.

Cass. pen. n. 17645/2003

Sussiste il reato di rifiuto di atti d'ufficio previsto dal secondo comma dell'art. 328 c.p. nel comportamento del Sindaco che omette di rispondere ad una richiesta a lui rivolta di conoscere il nominativo del funzionario che aveva curato una pratica contro il cui esito era stato proposto ricorso amministrativo, anche se non rientrava nei suoi compiti specifici, sussistendo in capo a lui l'obbligo di segnalazione alla struttura competente, ed anche se non era stata inoltrata da parte del privato una diffida.

Cass. pen. n. 11877/2003

L'art. 328 c.p. disciplina due distinte ipotesi di reato: nella prima il delitto si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene, sanità); nella seconda, invece, ai fini della consumazione, è necessario il concorso di due condotte omissive, la mancata adozione dell'atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo.

Cass. pen. n. 7766/2003

Il rifiuto di atti d'ufficio, nei casi previsti dal primo comma dell'art. 328 c.p., è configurabile, indipendentemente dall'esistenza o meno di specifiche richieste o sollecitazioni volte ad ottenere il compimento degli atti medesimi, ogni qual volta dalla indebita e volontaria inerzia del soggetto che dovrebbe provvedervi derivi, pur in assenza di termini previsti come perentori, l'oggettivo pericolo di una lesione del bene tutelato. Ciò vale anche nel caso di atti che debbano essere compiuti dal magistrato, senza che occorra anche la presenza di taluna delle condizioni che, ai sensi dell'art. 3 della legge 13 aprile 1988, n. 117, danno luogo al diniego di giustizia, dovendosi considerare come di per sé integratrice di un siffatto diniego la condotta del magistrato che consista nel ritardare indebitamente, oltre ogni ragionevole limite e, quindi, con effettivo pericolo di lesione degli interessi della giustizia, atti del proprio ufficio. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che, quanto meno in sede cautelare, fosse correttamente ipotizzabile il reato “de quo” a carico di un magistrato che aveva ritardato, senza alcuna giustificazione ed anche in presenza di ripetute sollecitazioni rivoltegli dal capo dell'ufficio, il deposito di n. 277 sentenze dibattimentali pronunciate tra il maggio del 2000 ed il febbraio del 2002).

Cass. pen. n. 24567/2001

La previsione di cui all'art. 328, comma 2, c.p., pur rispondendo alle stesse esigenze che si pongono a base della disciplina del diritto d'accesso di cui alla legge n. 241 del 1990, si colloca su di un piano di tutela diverso rispetto a quest'ultima. In particolare, è da escludersi che la formazione del silenzio-rifiuto per il decorso del termine dei trenta giorni, costituisca, per il solo fatto di consentire al privato di promuovere un giudizio amministrativo, una risposta idonea tale da escludere la rilevanza penale dell'omissione in quanto, se così fosse, risulterebbe inutile e pleonastica la stessa presenza nell'ordinamento della previsione in oggetto. La richiesta del privato, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328, comma 2, c.p., deve fondarsi su di una pretesa seria, volta cioè ad ottenere un provvedimento che riconosca un diritto certo del privato. Conseguentemente, non può operare la tutela apprestata dalla norma ogniqualvolta il cittadino conosca le ragioni per cui le sue richieste non vengono soddisfatte, così come avviene, in particolare, quando il preteso diritto sia contestato al punto da costituire oggetto di accertamento in un procedimento giurisdizionale (pendente) promosso dallo stesso privato poiché in tal caso la richiesta non può che essere pretestuosamente rivolta a superare i tempi necessari per ottenere una pronuncia da parte dell'autorità giudiziaria né, d'altra parte, il giudice penale è autorizzato a sindacare il fondamento delle eccezioni sollevate dalla p.a. nel giudizio pendente.

Cass. pen. n. 19180/2001

Il delitto di cui all'art. 328, secondo comma, c.p., non è ravvisabile qualora ritardi od omissioni riguardino i rapporti tra organi della pubblica amministrazione.

Cass. pen. n. 10538/2000

La fattispecie del rifiuto da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio di compiere un atto di ufficio è integrata quando vi sia stata una richiesta o comunque una qualche sollecitazione esterna oppure una urgenza sostanziale impositiva dell'atto, resa evidente dai fatti oggettivi posti all'attenzione del soggetto obbligato ad intervenire. (Nel caso di specie si è ritenuto configurato il reato de quo a carico di un medico in servizio di reperibilità, il quale, ripetutamente sollecitato telefonicamente, omise di recarsi presso il reparto di ostetricia per assistere una donna in stato di gravidanza, ricoverata in via di urgenza per minaccia di aborto).

Cass. pen. n. 10445/2000

In tema di rifiuto di atti di ufficio in materia sanitaria, sussiste il presupposto della necessità ed improcrastinabilità della prestazione di assistenza sanitaria da parte del medico di guardia, di cui all'art. 13 del D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41, in caso di richiesta di intervento al fine della somministrazione di farmaci atti ad alleviare le atroci sofferenze di un malato terminale di cancro. Ne deriva che in tale situazione il rifiuto di intervento da parte del medico è idoneo a integrare il reato di cui all'art. 328, comma primo, c.p.

Cass. pen. n. 10002/2000

Affinché possa configurarsi il reato di rifiuto di atti di ufficio nella formulazione di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p. e possa conseguentemente qualificarsi come omissione penalmente rilevante il ritardo a provvedere, è necessario che la «richiesta» in essa norma prevista, da indirizzarsi al p.u. abbia il contenuto di una espressa diffida ad adempiere. (Nella specie la Corte ha annullato la sentenza di merito, rilevando che, non poteva ritenersi sufficiente una mera richiesta del privato volta ad ottenere «chiarimenti... ai sensi dell'art. 328 c.p.»).

Cass. pen. n. 8949/2000

Ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d'ufficio è necessario, che il pubblico ufficiale sia consapevole del suo contegno omissivo, nel senso che deve rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra jus; tale requisito di illiceità speciale delimita la rilevanza penale solamente a quelle forme di diniego di adempimento che non trovano alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione. (Nella specie la Corte ha annullato senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato, la decisione di merito con la quale si era ritenuta la sussistenza del delitto da parte di vigili sanitari che non avevano proceduto al sequestro disposto dal Gip di caseifici operanti senza autorizzazione allo scarico di acque reflue, perché, due giorni dopo la consegna dei provvedimenti di sequestro, gli opifici avevano ottenuto l'autorizzazione).

Cass. pen. n. 8117/2000

A fronte della legittima richiesta di compimento di un atto d'ufficio rientrante fra quelli previsti dall'art. 328, comma 1, c.p., il rifiuto opposto dal destinatario di detta richiesta non può trovare giustificazione nell'asserita inosservanza di disposizioni interne alla struttura dell'ufficio del quale egli fa parte, atteso che l'interposizione di tale struttura non può essere ritenuta idonea, per la natura strumentale che la caratterizza, ad operare una cesura tra la fonte e le ragioni dell'obbligo, da una parte, ed il soggetto finale tenuto ad adempierlo, dall'altra. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la penale responsabilità per indebito rifiuto di atti d'ufficio a carico di medici legali di una Unità sanitaria locale i quali, incaricati dall'autorità giudiziaria di effettuare accertamenti sullo stato di salute di taluni soggetti detenuti agli arresti domiciliari, si erano rifiutati di adempiere al detto incarico sostenendo, tra l'altro, di essere addetti solo ad attività ambulatoriale interna e di non poter assolvere altri compiti senza disposizione scritta del dirigente del servizio).

Cass. pen. n. 7281/2000

In tema di rifiuto di atti d'ufficio da parte del pubblico ufficiale e con riguardo all'ipotesi delittuosa di cui al primo comma dell'art. 328 c.p., il carattere indebito del rifiuto, espressamente previsto dalla norma citata ai fini della configurabilità del reato, non è ravvisabile quando, in presenza di un conflitto di interessi, il compimento dell'atto venga a ledere diritti costituzionalmente garantiti del soggetto agente. (Fattispecie in cui i funzionari di polizia avevano rifiutato di ricevere una denuncia sporta a loro carico da un privato; la S.C. ha rilevato al riguardo che la ricezione della denuncia avrebbe esposto i pubblici ufficiali a conseguenze penali e che nel bilanciamento tra l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione e il diritto di difesa doveva essere attribuita prevalenza a quest'ultimo).

Cass. pen. n. 6778/2000

In tema di omissione o rifiuto di atti d'ufficio, il diritto di ottenere dalla Pubblica amministrazione risposta alla propria istanza o richiesta, e che configura il reato di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p., nasce dalla congruità dell'istanza medesima in relazione alla doverosità del comportamento della Pubblica amministrazione, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni alla base dell'istanza e dunque dell'accoglimento della medesima. (Fattispecie relativa a richiesta di riammissione in servizio da parte del dipendente dimissionario di una ASL. Rigettando il ricorso degli amministratori, la Corte ha affermato che l'infondatezza nel merito delle richieste non esimeva gli imputati dall'obbligo di risposta).

Cass. pen. n. 5691/2000

Il sindaco di un comune, anche non di grandi dimensioni, non può essere considerato, solo per la sua posizione istituzionale, penalmente responsabile di ogni ritardo o inadempimento addebitabile all'ente territoriale, ivi compreso quello contemplato e sanzionato dall'art. 328, comma 2, c.p., dovendosi al riguardo verificare se egli, messo a conoscenza della richiesta del privato, quale prevista da detta disposizione normativa, abbia o meno designato, sia pure in via di mero fatto, un responsabile del procedimento, ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241.

La configurabilità del reato di cui all'art. 328, comma 2, c.p., nel caso di mancata risposta scritta entro il termine di trenta giorni alla richiesta dell'interessato, in alternativa al compimento dell'atto sollecitato, non è esclusa dalla formazione, conseguente appunto alla scadenza del termine anzidetta, del c.d. «silenzio-rifiuto.

Cass. pen. n. 1181/2000

Il delitto di omissione di atti di ufficio, nella ipotesi di cui al primo comma dell'art. 328 c.p., lede — di norma — solo l'interesse della pubblica amministrazione al corretto esercizio delle pubbliche funzioni in vista del perseguimento di finalità pubbliche. Ciò non esclude — in linea teorica — che il pubblico interesse possa coincidere anche con un interesse privatistico, ipotesi nella quale il reato assume natura plurioffensiva. Perché questo accada, tuttavia, è necessario l'accertamento da parte del giudice del merito della coincidenza dell'interesse pubblico con quello del privato. (Nel caso la Corte Suprema ha escluso l'interesse del privato denunciante che aveva invocato l'intervento dei vigili urbani per la rimozione di un veicolo danneggiato a seguito di sinistro stradale, «anche allo scopo di accertare le eventuali responsabilità circa la causazione del sinistro», disconoscendo che potesse essere automaticamente attribuita al denunciante la veste di persona offesa dal reato cui compete l'avviso relativo alla richiesta di archiviazione).

Cass. pen. n. 2930/2000

Non integra il reato di rifiuto di atti di ufficio di cui all'art. 328, primo comma, c.p. la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che rifiuti di effettuare una visita domiciliare richiesta a seguito di morte del paziente, atteso che, in base all'art. 13 del D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41, detto servizio è diretto a garantire la necessaria ed improcrastinabile assistenza sanitaria in situazioni di emergenza, sicché il relativo obbligo del medico di intervenire ha, come presupposto indefettibile, l'esistenza in vita della persona destinataria della prescrizione richiesta.

Cass. pen. n. 1815/2000

Integra il reato di rifiuto di atti d'ufficio, ex art. 328, comma primo, c.p., la condotta di un pretore che rigetta la richiesta del pubblico ministero di estrarre copia degli atti di un procedimento penale ai fini della impugnazione della sentenza, atteso che le parti hanno diritto di esaminare e ottenere copia degli atti del procedimento per lo svolgimento delle attività inerenti alle facoltà processuali loro riconosciute.

Cass. pen. n. 241/2000

Parte offesa del reato di omissione di atti di ufficio, di cui al primo comma dell'art. 328 c.p., è l'ente pubblico e non la persona fisica del titolare di un suo organo al momento del fatto: a quest'ultimo, pertanto, non compete l'avviso relativo alla richiesta di archiviazione. (Nella specie, la doglianza di non essere stato messo in grado di partecipare alla udienza camerale relativa alla archiviazione era stata formulata da un procuratore della Repubblica cessato dalla carica).

Cass. pen. n. 9426/1999

Il reato di rifiuto od omissione di atti d'ufficio (art. 328 c.p.) può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che abbia competenza a compiere l'atto richiesto; in caso di procedimento amministrativo il cui iter coinvolga più uffici appartenenti alla medesima amministrazione, gli atti o le attività interne, la cui omissione dovrebbe trovare rimedio nella previsione di attività sostitutive di altri soggetti e sanzione nel promovimento del giudizio disciplinare, non sono penalmente rilevanti, ricadendo nella fattispecie della norma penale soltanto gli atti esterni costituiti dal provvedimento finale o quelli che, precedendo il provvedimento finale, si presentano come atti necessari, dotati di autonoma rilevanza. (Fattispecie relativa alla richiesta di temporanea concessione in uso di aule scolastiche, di competenza della Giunta Comunale, in cui si è esclusa la responsabilità dell'assessore al Patrimonio e Economato in quanto, non avendo il Sindaco provveduto a convocare la Giunta, non si era verificato il presupposto per l'esercizio da parte dell'organo collegiale e dei suoi componenti delle relative funzioni e del ragioniere generale, pur competente ad istruire la pratica, in quanto la sua attività era priva di rilevanza esterna).

Cass. pen. n. 9088/1999

In tema di omissione o rifiuti di atti d'ufficio, la richiesta di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p., è collegata da un lato ad un apprezzabile interesse del richiedente e dall'altro ad uno dei tre possibili sbocchi ipotizzati dalla norma medesima: definizione della pratica, spiegazione del ritardo, sanzione penale in mancanza dell'una o dell'altra nel termine legale di giorni trenta. Ne deriva che la richiesta di chi vi abbia interesse assume nella previsione di legge natura e funzione di diffida ad adempiere.

Cass. pen. n. 5596/1999

Il reato di rifiuto di atto di ufficio non è integrato qualora l'atto, pur rispondente alle ragioni indicate dall'art. 328, comma secondo, c.p., non riveste carattere di indifferibilità e di doverosità. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha negato che ricorressero tali requisiti nel comportamento di un sindaco che, essendo indagato per fatti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, aveva omesso di dare notizia alla giunta comunale degli avvisi di fissazione dell'udienza per l'incidente probatorio, notificatigli anche nella qualità di legale rappresentante dell'amministrazione comunale, rivestente la qualità di persona offesa: e ciò sia in quanto difettava l'estremo della indifferibilità sia perché il sindaco, essendo indagato, si trovava in conflitto di interessi con l'ente rappresentato, con la conseguenza che al medesimo non avrebbe dovuto essere indirizzata la notifica dell'avviso quale rappresentante della persona offesa, stante la previsione dell'art. 77, comma secondo, c.p.p.).

Cass. pen. n. 797/1999

In tema di omissione di atti di ufficio, la fattispecie di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p. è diretta ad assicurare risposta alle aspettative del privato che formalmente inviti la pubblica amministrazione ad emettere un atto che riguardi la sua sfera di interessi. La previsione non si estende pertanto ai rapporti tra pubbliche amministrazioni. (Fattispecie nella quale è stato escluso che ricorresse il reato in esame a carico di un sindacato che, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva omesso di dare risposta alle reiterate richieste di un assessorato provinciale in merito agli atti adottati per la repressione di violazioni edilizie).

Cass. pen. n. 13628/1998

In tema di rifiuto di atto di ufficio, di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p., ai fini della configurabilità della responsabilità del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, occorre che la messa in mora derivante dall'atto di diffida sia non solo conoscibile ma anche perfettamente conosciuta, posto che un dovere di risposta suppone necessariamente l'esistenza di una domanda.

Cass. pen. n. 12977/1998

In tema di richiesta di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 21, coincidendo il termine di trenta giorni dalla richiesta dell'interessato formulata ex art. 328, comma secondo, c.p. con il termine per il maturarsi del silenzio rifiuto, deve escludersi la configurabilità del reato di omissione di atti di ufficio se il pubblico ufficiale non compie l'atto richiesto e non risponde al richiedente, perché con il silenzio-rifiuto, sia pure per una presunzione, si ha il compimento dell'atto e viene comunque a determinarsi una situazione che è concettualmente incompatibile con l'inerzia della pubblica amministrazione.

La disposizione dell'art. 328 c.p. mira a tutelare il privato che intenda ottenere un risultato utile in relazione al rapporto amministrativo tra lui e la pubblica amministrazione, onde il concetto di «atto di ufficio» deve intendersi nel senso di atto dovuto dai pubblici poteri quale risultato concreto del loro agire, cioè quale effetto positivamente apprezzabile del dovere di attivarsi per la realizzazione dei fini istituzionali dell'ente pubblico. Ne consegue che rimangono al di fuori della tutela legale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitano alla pubblica amministrazione un'attività superflua e non doverosa, la quale non è destinata a spiegare alcuna necessaria incidenza sul rapporto amministrativo, già ben definito nei suoi contorni essenziali. (Nella specie un dipendente di una Usl aveva esternato il suo disappunto per le mansioni affidategli, sollecitando «chiarimenti» al riguardo che la pubblica amministrazione non era tenuta a fornire al di fuori dell'atto ufficiale a rilevanza esterna che aveva già adottato e che era costituito dal relativo ordine di servizio).

Cass. pen. n. 10219/1998

In tema di omissione di atti d'ufficio, ai fini dell'art. 328, comma secondo, c.p., la richiesta del privato deve atteggiarsi sostanzialmente come una diffida, non potendosi assegnare il valore di una formale richiesta alla mera segnalazione di un pericolo connesso allo stato di un immobile. (Nella specie, modesto manufatto sito in zona rurale).

In tema di omissione di atti di ufficio, dalla lettera del secondo comma dell'art. 328 c.p. si ricava che la facoltà di interpello del privato, cui corrisponde un dovere di rispondere o di attivarsi da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, è riconosciuta esclusivamente al soggetto che abbia interesse al compimento dell'atto. Tale interesse non si identifica con quello generale al buon andamento della pubblica amministrazione, che riguarda tutti i consociati, ma in quello che fa capo a una situazione giuridica soggettiva su cui il provvedimento è destinato direttamente a incidere. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto trattarsi di un interesse di mero fatto quello connesso a una lamentata situazione di pericolo interessante un manufatto limitrofo alla proprietà del soggetto che reclamava l'adozione di un provvedimento contingibile e urgente; provvedimento che, come affermato dalla Suprema Corte, è espressione di un potere pubblico di intervento con finalità di interesse generale rispetto al quale non sono individuabili soggetti specificatamente destinatari dell'atto amministrativo).

Cass. pen. n. 10137/1998

Il reato di rifiuto di atti di ufficio — anche nella nuova formulazione introdotta dall'art. 16 della L. 26 aprile 1990, n. 86 — consiste nel mancato adempimento di un'attività doverosa, per il compimento della quale è fissato un termine unico finale e non soltanto iniziale, essendo il soggetto obbligato all'adempimento appena possibile, sicché la consumazione del reato si verifica nel momento stesso in cui si è verificata l'omissione o è stato opposto il rifiuto. L'agente è quindi punibile per reato istantaneo senza che abbia nessun rilievo l'ininterrotta protrazione dell'inattività individuale, giacché la legge non riconosce alcuna efficacia giuridica a detta persistenza e nemmeno all'eventuale desistenza.

Cass. pen. n. 263/1998

La mancata consegna, da parte del custode, di beni sottoposti a pignoramento è punibile ai sensi dell'art. 388, comma 5, c.p., dovendosi escludere, per converso, la inquadrabilità di detta condotta nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 328 stesso codice.

Cass. pen. n. 2351/1998

In materia di omissione di atti d'ufficio, l'ipotesi prevista dall'art. 328 cpv. c.p. è diretta a disciplinare esclusivamente i rapporti tra la pubblica amministrazione e i soggetti ad essa esterni, fornendo a questi ultimi uno specifico e puntuale strumento di tutela: l'omissione di atti rilevanti esclusivamente all'interno dei rapporti tra diverse amministrazioni in nessun caso può essere ricondotto a tale fattispecie. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha escluso che potesse integrare la fattispecie ipotizzata dai giudici di merito la omessa comunicazione, da parte di un sindaco, dei dati richiesti e reiteratamente sollecitati da un assessorato regionale indispensabili ai fini dell'adozione di provvedimenti regionali di pianificazione territoriale).

Cass. pen. n. 2339/1998

Il reato di rifiuto di atti d'ufficio non richiede che il rifiuto sia espresso in modo solenne o formale, ma può essere espresso anche dalla silente inerzia del pubblico ufficiale, protratta senza giustificazione oltre i termini di comporto o addirittura di decadenza, nei casi in cui essa dipenda per il privato dal mancato compimento dell'atto entro un termine. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha ritenuto sussistente il reato contestato in una ipotesi in cui il segretario comunale aveva omesso di notificare numerose ingiunzioni prefettizie, per le quali la notifica andava eseguita senza ritardo).

Cass. pen. n. 2320/1998

In caso di ritardo o di omissione del compimento di un atto d'ufficio da parte di un organo collegiale, l'illecito penale previsto dall'art. 328, secondo comma c.p., può configurarsi soltanto a carico dei singoli componenti dell'organo collegiale e presuppone, da un lato, la richiesta agli stessi indirizzata da parte dell'interessato e dall'altro, la mancata spiegazione da parte dei singoli delle ragioni della condotta ad essi ascrivibile, che ha determinato l'omissione o il ritardo dell'atto collegiale. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della corte d'appello che aveva confermato la condanna per omissione d'ufficio a carico di un sindaco che, diffidato a provvedere all'individuazione dell'incarico da conferire al denunciante - trasferito presso quell'amministrazione comunale ai sensi della normativa sulla mobilità volontaria - si era limitato a girare la richiesta alla giunta, competente per l'atto richiesto, senza che né lui né la giunta giustificassero il ritardo o adottassero il provvedimento).

Cass. pen. n. 11515/1997

Il reato di rifiuto di atti di ufficio, di cui all'art. 328, comma 2, c.p., nel caso di mancata apertura di un procedimento amministrativo, non sussiste in presenza di qualsiasi domanda che prospetti la competenza dell'ufficio cui è rivolta, ma solo quando - in base alle fonti che disciplinano l'attività amministrativa - sussista un obbligo di procedimento derivante dall'idoneità della domanda. (Fattispecie in cui il sindaco di un comune, al quale erano state rivolte istanze e diffide volte ad ottenere la regimentazione di una strada interpoderale e a conoscere l'iter ed il responsabile del procedimento è stato assolto dal reato di cui all'art. 328, comma 2, cit., non sussistendo la competenza del comune a provvedere sulla richiesta in questione).

Cass. pen. n. 11484/1997

Con riferimento al delitto di rifiuto di atti d'ufficio previsto dal comma secondo dell'art. 328 c.p., il richiedente può rinunciare, per qualunque ragione, alla richiesta di compimento dell'atto o alla sola risposta, in forma espressa o per comportamenti concludenti, ed in tal caso il reato è escluso purché la rinuncia intervenga prima della scadenza del termine previsto per il compimento dell'atto stesso. (Nella fattispecie è stato escluso il reato in quanto l'interessato, dopo aver chiesto lo sgombero dell'area pubblica antistante la sua proprietà, aveva inoltrato al Comune domanda per la concessione dell'area in questione).

I comportamenti previsti dall'art. 328, comma 2, c.p. (nel testo modificato con l'art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 86) — dovere del pubblico ufficiale di compiere l'atto nel termine di trenta giorni e, in mancanza, di rispondere al richiedente per esporre le ragioni del ritardo — non ammettono equipollenti. (Nella fattispecie si è escluso che potesse ritenersi equipollente all'adozione di un provvedimento di sgombero e alla mancata risposta, la proposta all'interessato di una diversa soluzione consistente nella concessione dell'area demaniale di cui si chiedeva lo sgombero).

Il proprietario di un immobile latistante ad un'area demaniale interna al centro abitato, oltre alla facoltà di uso comune generale del bene pubblico, ha diritto di ricavare dal bene stesso ulteriori possibili utilizzazioni (quali l'accesso alla strada di sua proprietà), con il conseguente dovere di astensione da qualsiasi impedimento da parte degli altri utilizzatori del bene e, in relazione a tale situazione, è titolare di un diritto, sia pure affievolito o condizionato, nei confronti della pubblica amministrazione; pertanto deve essergli riconosciuto l'interesse, non di mero fatto, necessario, a norma dell'art. 328, comma 2, c.p. (nel testo modificato con l'art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 86), per richiedere al Comune il provvedimento di sgombero dell'area pubblica che consente l'accesso alla sua proprietà.

La risposta prevista dall'art. 328, comma 2, c.p. (nel testo modificato con l'art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 86), con cui la pubblica amministrazione è tenuta ad esporre al richiedente le ragioni del ritardo nel compimento dell'atto, deve rivestire la forma scritta, in base ai principi generali dell'ordinamento che richiedono la forma scritta per gli atti destinati ad essere controllati da un'autorità diversa e normalmente sovraordinata, ovvero come nel caso in cui la verifica dell'esistenza dell'atto e del suo contenuto, sia rimessa non all'autorità amministrativa, ma all'autorità giudiziaria; ciò è conforme allo spirito della riforma di cui alla L. 86/90 cit., con cui il legislatore ha inteso offrire ai cittadini una maggiore tutela nei confronti dell'operato della pubblica amministrazione, e risponde all'esigenza di evitare incertezza in ordine all'accertamento del reato stesso.

Quando l'atto domandato è un atto dovuto, cioè un atto vincolato, con esclusione di qualsiasi scelta discrezionale sui tempi e i modi della sua emanazione, la pubblica amministrazione ha il dovere di provvedere ai sensi dell'art. 328, comma 2, c.p. (nel testo modificato con l'art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 86), e pertanto il pubblico ufficiale è tenuto, ricorrendo tutte le condizioni di fatto e di diritto necessarie, a compiere l'atto richiesto, ovvero, in mancanza delle condizioni stesse o in presenza di altre cause impeditive, a darne ragione nella risposta, prima del decorso del termine di trenta giorni. L'obbligo di compiere l'atto d'ufficio non sussiste, invece, qualora si tratti di attività discrezionale, ma, se l'atto non viene emesso, sorge comunque il dovere del pubblico ufficiale di fornire una risposta al richiedente prima della scadenza del termine. (Nella fattispecie è stato ritenuto che il provvedimento di sgombero dell'area pubblica che consente ad un proprietario di un immobile latistante l'accesso alla sua proprietà è atto dovuto).

Cass. pen. n. 7761/1997

In tema di omissione di atti di ufficio di cui all'art. 328, comma secondo, c.p., è erroneo ritenere che l'“obbligo di informazione” dovuto all'interessato sia ipotizzabile solo in caso di accertata sussistenza dell'“obbligo principale di compiere l'atto”. Ai fini della integrazione della fattispecie in questione ciò che viene in rilievo non è tanto la omissione dell'atto, ma la inerzia del soggetto attivo sia nel compiere l'atto richiesto sia nell'esporre le ragioni del ritardo.

Cass. pen. n. 1120/1997

Il primo comma dell'art. 328 c.p. incrimina una condotta attiva che consiste nel rifiuto, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, di un atto qualificato che deve essere compiuto senza ritardo e tale rifiuto — sia esso esplicito o implicito — ha come presupposto logico necessario una richiesta o un ordine. Una mera inerzia, un semplice non facere, senza qualcosa che esprima la volontà negativa del soggetto agente non possono essere qualificati come rifiuto implicito. (Affermando siffatti principi la Cassazione ha escluso la configurabilità del reato in questione con riguardo a comportamento di un responsabile di unità operativa d'igiene di un ospedale il quale aveva omesso di comunicare a taluni dipendenti di determinati reparti, sottoposti ad accertamenti ematologici, l'esito degli esami, pur essendo stata accertata la loro positività al virus HIV).

Cass. pen. n. 3599/1997

Il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo; pertanto ricorre la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (al corretto svolgimento della funzione pubblica) ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce di esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito dell'omissione.

In tema di rifiuto di atti di ufficio in materia sanitaria le ragioni di sanità che rendono indilazionabile l'atto sono attinenti sia alla salute fisica che a quella psichica del cittadino. (Fattispecie relativa ad omessa comunicazione da parte di un primario ospedaliero ad una gestante, che aveva chiesto di essere informata, delle risultanze di una ecografia rivelatrice di gravi malformazioni del feto, avendo detto il medico che la gravidanza era regolare. Affermando il principio di cui sopra la Cassazione ha annullato una sentenza che aveva escluso la configurabilità del reato suddetto in quanto non era più possibile l'aborto e l'evento nascita di un bambino deforme era inevitabile: in particolare la Corte Suprema ha evidenziato che la tempestiva informazione avrebbe consentito idonei supporti e terapie psicologiche a cui la paziente aveva diritto evitando al momento, di per sé delicato del parto, l'ulteriore complicanza di una inaspettata rivelazione).

Per la configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio in materia sanitaria è necessario che la condotta si riferisca ad atti che per ragioni di sanità siano indilazionabili: ciò si verifica qualora ricorra la possibilità di conseguenze dannose dirette sul bene della sanità fisica o psichica del cittadino. Tale evenienza va valutata, pur senza trascurare la peculiarità di ogni singolo caso, in base alle indicazioni fornite dalla esperienza medica ed a quelle ricavabili dalla normativa relativa alla materia cui l'atto attiene: solo ad esito negativo di un indagine così condotta può ritenersi sussistere per l'operatore discrezionalità in ordine al rinvio dell'atto dovuto.

Cass. pen. n. 6328/1996

Il primario in servizio di reperibilità è tenuto a recarsi prontamente al reparto ospedaliero di pertinenza nel momento in cui il sanitario addetto ne sollecita la presenza in relazione a ravvisata urgenza di intervento chirurgico. L'urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono cioè a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato; pertanto il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 comma 1 c.p. si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non appare tecnicamente connessa alla effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'operazione chirurgica.

Cass. pen. n. 4402/1996

La condotta di abuso d'ufficio è compatibile con un comportamento meramente omissivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio; peraltro, poiché l'art. 323 c.p. prescrive una espressa riserva alla sua applicabilità nel caso in cui il fatto costituisca «più grave reato», nell'ipotesi di abuso d'ufficio realizzato mediante omissione o rifiuto troverà applicazione l'art. 328, comma 1, c.p., in quanto reato più grave, tutte le volte in cui l'abuso sia stato commesso al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto non patrimoniale, o comunque per arrecare ad altri un danno ingiusto, mentre troverà applicazione l'art. 323, comma 2, c.p., ogni volta in cui l'abuso d'ufficio sia commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.

Cass. pen. n. 534/1996

Il reato di cui all'art. 328 c.p. (mod. dalla L. n. 86/1990) è strutturato in modo da apprestare tutela agli interessi di soggetti, pubblici o privati, esterni ed estranei all'ente nel quale il soggetto attivo del reato è inserito quale pubblico ufficiale o quale incaricato di pubblico servizio. Ne consegue che il rifiuto di ottemperare all'ordine impartito dal superiore al subordinato, nell'ambito del medesimo ente pubblico, non è inquadrabile nella previsione della norma, alla quale restano estranee le omissioni concretantesi nella mera violazione dei doveri di ufficio senza rilevanza esterna. Tuttavia se dalla violazione omissiva di un ordine gerarchico (nella specie sollecitatorio del disbrigo di una pratica amministrativa) derivano effetti esterni, che investono negativamente cittadini, le cui legittime richieste rimangono inevase a causa di tale condotta, è configurabile il reato di cui all'art. 328, comma 2, c.p.

Cass. pen. n. 1602/1996

Il rifiuto di atti professionali dovuti per ragioni sanitarie, di cui all'art. 328 c.p., deve essere verificato avendo riguardo alla sua natura di delitto doloso, senza tracimare in valutazioni sulla colpa professionale sanitaria, che esula dalla struttura psicologica del reato. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto non sostenibile la tesi che il rifiuto dell'imputato - anestesista rianimatore - di accompagnare una paziente a rischio di crisi cardiocircolatorie o respiratorie nell'autoambulanza durante il tragitto sino ad altro ospedale fosse dovuto sostanzialmente a un suo errore diagnostico e come tale non poteva considerarsi «indebito»).

Cass. pen. n. 10862/1995

In tema di rifiuto ed omissione di atti di ufficio, gli atti che il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio deve compiere senza ritardo non sono quelli genericamente correlati a ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità, ma solo quelli che per tali ragioni devono essere immediatamente posti in essere. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso che costituisse rifiuto di atti di ufficio ai sensi dell'art. 328, comma 2, c.p.p. la mancata esecuzione da parte del sindaco di una ordinanza prefettizia che disponeva l'iscrizione di determinati soggetti nell'anagrafe della popolazione residente. In particolare la Corte Suprema ha rilevato che non tutti i provvedimenti del prefetto sono sorretti da ragioni di pubblica sicurezza ed al contempo ha ritenuto che tali ragioni nel caso specifico non potevano derivare dalle conseguenze delle risultanze anagrafiche nella formazione e tenuta delle liste elettorali in quanto il danno in questione è indiretto ed altrimenti tutelabile).

Cass. pen. n. 9493/1995

Il medico di guardia presso il pronto soccorso di un ospedale che ometta di ricoverare un paziente presentatosi accusando, a seguito di infortunio, forti dolori alla spalla ed un'emorragia dall'orecchio e si limita a consigliare ai congiunti di condurre l'infermo presso un ospedale più attrezzato, senza neanche predisporre, benché richiesto, il trasporto dello stesso a mezzo di autoambulanza, si rende responsabile del reato di cui all'art. 328 c.p. per avere rifiutato «atti di ufficio» che, nella qualità di pubblico ufficiale, avrebbe dovuto garantire per ragioni di sanità. Ed infatti, il medico di guardia, anche se, ai sensi dell'art. 14 della L. 27 marzo 1969, n. 128, è a lui affidato il giudizio sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del malato, non può rifiutare il ricovero, qualora ne abbia accertata la necessità, e, nell'ipotesi in cui questo non possa avere luogo per mancanza di posti o per altro motivo deve fare in modo che l'ospedale, suo tramite, apprestati gli eventuali interventi di urgenza, assicuri a mezzo di propria autoambulanza e, ove occorra, con adeguata assistenza sanitaria, il trasporto dell'infermo in altro ospedale.

Cass. pen. n. 1817/1995

Il reato di omissione di atti di ufficio, punito dall'art. 328, comma 2, c.p. integra un delitto plurioffensivo, nel senso che lede, oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della pubblica amministrazione, anche il concorrente interesse del privato leso dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto. Tale norma, infatti, da un lato presuppone una richiesta presentata da un soggetto che vi abbia interesse, in quanto titolare di una situazione giuridica qualificata come diritto soggettivo o interesse legittimo e, dall'altro, tutela l'aspettativa dell'istante ad ottenere il provvedimento richiesto per, in alternativa, la comunicazione dei motivi del ritardo o della mancata adozione del provvedimento. Ne consegue che il richiedente interessato riveste la posizione di persona offesa dal reato, tutelata dalle garanzie procedimentali previste dagli artt. 408-410 c.p.p., a cominciare dal diritto alla notifica dell'avviso della richiesta di archiviazione del pubblico ministero.

Cass. pen. n. 4168/1995

Il medico convenzionato con l'Usl legittimamente condiziona l'accesso al suo ambulatorio a previo appuntamento: conseguentemente non commette il reato di rifiuto di atti di ufficio il suddetto sanitario che neghi una visita ad un soggetto che non abbia adempiuto all'onere citato, dal quale è dispensato solo in caso di necessità.

Cass. pen. n. 10729/1994

La norma di cui all'art. 328 cpv. c.p. non mira tanto a salvaguardare il regolare andamento della pubblica amministrazione ed il buon funzionamento della sua struttura organizzativa, quanto l'agire della stessa, attraverso i propri dipendenti, per il conseguimento dei suoi compiti istituzionali. Pertanto, restano estranee all'ambito di operatività della suddetta norma le omissioni che si concretano nella mera violazione dei doveri d'ufficio senza rilevanza esterna. (Fattispecie in cui è stato ritenuto integrato il reato, per avere il presidente del comitato di gestione di una U.S.S.L. omesso di porre a disposizione del collegio dei revisori, organo distinto ed autonomo, esplicante funzione di controllo, la documentazione richiesta.

Cass. pen. n. 2730/1994

In tema di omissione di atti d'ufficio l'obbligo dei chiarimenti, stabilito dall'art. 328, secondo comma, c.p., può essere assolto anche per relationem e cioè mediante il rinvio al contenuto di altri atti o documenti, già noto a colui che ha sollecitato mediante diffida, il compimento dell'atto.

Cass. pen. n. 9362/1992

Il reato di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p. è configurabile anche nel caso in cui il ritardo superiore ai trenta giorni nel compiere l'atto ovvero nel rispondere per esporre le ragioni del ritardo non possa assolutamente produrre danno alcuno. (La Cassazione ha evidenziato la inapplicabilità del cosiddetto principio di necessaria offensività, invocato a sostegno dell'asserita non configurabilità del reato nell'ipotesi suesposta, non trovando esso inequivoca formulazione nel codice penale).

Cass. pen. n. 1107/1992

Il delitto di rifiuto di atto di ufficio, anche nella nuova formulazione dell'art. 328 c.p. introdotta dall'art. 16, L. 26 aprile 1990, n. 86, è reato istantaneo in quanto, verificatasi la violazione del dovere di ufficio o del servizio, il reato è consumato. Ne consegue che, ove la violazione del dovere si protragga in relazione a più obblighi giuridici svolgentisi nel tempo, si concretizzeranno più ipotesi dello stesso reato, eventualmente riunite ex art. 81 c.p. (Nella fattispecie l'imputato era stato rinviato a giudizio dinanzi al pretore per il reato di cui all'art. 328 c.p. commesso sino al 25 maggio 1990. In dibattimento il P.M. aveva rettificato l'imputazione, precisandola nel senso che il reato era stato commesso fino al 16 marzo 1990, mentre il 23 marzo 1990 era avvenuto l'accertamento. Il pretore, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ritenendo il reato commesso fino al 25 maggio 1990, dichiarava la propria incompetenza, stante la competenza del tribunale a seguito della L. 26 aprile 1990, n. 86. A seguito di conflitto sollevato dal tribunale, la Corte di cassazione ha riconosciuto la competenza del pretore, attesa l'autonomia di eventuali ulteriori atti di indebito rifiuto di atto di ufficio da parte dello stesso pubblico ufficiale, per il quale non risultava peraltro assunta alcuna iniziativa da parte del titolare dell'azione penale).

Cass. pen. n. 2520/1992

Poiché deve escludersi che la normativa urbanistica e edilizia possa rientrare, ai fini strettamente penali, nel più generale concetto di «ordine pubblico» di cui all'art. 328 c.p., quale sostituito dall'art. 16 della L. 26 aprile 1990, n. 86, non commette il reato di omissione di atti di ufficio, quale delineato dal primo comma del detto art. 16 della L. n. 86 del 1990, il sindaco di un comune il quale ritardi indebitamente il rilascio di una concessione edilizia. Di conseguenza, il fatto commesso prima della intervenuta novazione normativa, pur essendo punibile, in base alla legge del tempus commissi delicti, diviene, in forza del disposto dell'art. 2 c.p., non punibile in base al novum ius. E ciò anche con riferimento alla fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 16, L. n. 86 del 1990, per la struttura profondamente innovativa e complessa del nuovo reato che mal si adatta a ricomprendere condotte precedenti all'entrata in vigore della detta legge.

Cass. pen. n. 11940/1990

L'omissione di atto d'ufficio, di cui all'art. 328 c.p., si realizza con il mancato compimento di un atto rientrante nella competenza funzionale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. Qualora per il compimento dell'atto sia prescritto un termine, decorso il quale l'atto non può più produrre i suoi effetti tipici (cosiddetto termine perentorio), il compimento di esso non esclude l'omissione già realizzata; qualora, invece, nonostante il decorso del termine, l'atto possa essere ugualmente compiuto e produrre i suoi effetti tipici (cosiddetto termine ordinatorio), ricorre l'ipotesi del ritardo, atteso che il pubblico ufficiale ha anche l'obbligo di adempiere tempestivamente ai doveri del suo ufficio. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso proposto da ufficiale giudiziario, la Suprema Corte ha ritenuto che la circostanza secondo la quale taluni dei debitori ai quali era stato intimato il precetto di pagamento avevano adempiuto alla loro obbligazione, nonostante il pignoramento non fosse stato eseguito, non esclude la sussistenza del reato di omissione di atti d'ufficio che, per essere diretto ad assicurare il regolare funzionamento della pubblica amministrazione non richiede per la sua configurabilità un danno per la pubblica amministrazione; che il reato di cui all'art. 328 c.p. deve ritenersi realizzato anche dalla ritardata esecuzione dei pignoramenti esecutivi dopo la scadenza del termine di cui all'art. 113 ordinamento degli ufficiali giudiziari dato che il reato anzidetto è integrato dal semplice ritardo dell'atto, indipendentemente dal verificarsi di un eventuale danno per la pubblica amministrazione).

Cass. pen. n. 10070/1990

In tema di omissione di atti d'ufficio, nel caso in cui le delibere cui l'imputato — nella specie presidente di Comitato di gestione di USL — avrebbe dovuto dare esecuzione siano due e la prima sia stata oggetto di altro procedimento conclusosi con declaratoria di amnistia, mentre la seconda sia stata posta a base del comportamento omissivo contestato in un successivo procedimento penale, quali che siano sul piano amministrativo i rapporti fra le due delibere — e se l'una debba intendersi o meno meramente confermativa dell'altra, e quindi assorbibile nella prima — sul piano penale esse vanno tenute distinte. Invero, se ad integrare il reato di cui all'art. 328 c.p. non è sufficiente qualsiasi omissione, ma occorre che essa sia compiuta indebitamente, non vi è dubbio che il sopravvenire di una nuova delibera della pubblica amministrazione, che prenda atto dell'inerzia dell'organo esecutivo, comporti una nuova valutazione della doverosità, dell'esecuzione, la cui violazione realizza un nuovo reato di omissione di atto d'ufficio.

Cass. pen. n. 3565/1990

In tema di omissione di atti d'ufficio, legittimamente il sindaco di un comune rifiuta il rilascio della certificazione di abitabilità, relativamente ad un complesso residenziale, qualora risultino insufficienze in ordine alla depurazione delle acque di scarico; ciò influendo sulle condizioni igienico-sanitarie della costruzione, le cui carenze legittimano il diniego.

Cass. pen. n. 3065/1990

Risponde del delitto di omissione di atti di ufficio l'insegnante di istituto pubblico di istruzione che ignori le ripetute richieste, rivoltegli dal preside e dal consiglio di classe, di consegnare all'istituto gli elaborati scritti svolti in aula dagli allievi delle classi affidategli, a nulla rilevando che quegli elaborati siano stati corretti e che le relative valutazioni siano già state trascritte nei registri di classe.

Cass. pen. n. 6670/1985

L'assenza ingiustificata dalle lezioni di un insegnante di un pubblico istituto di istruzione non integra la fattispecie dell'omissione di un atto dell'ufficio o del servizio prevista dall'art. 328 c.p., né quelle dell'abbandono individuale dell'ufficio o del servizio prevista dall'art. 333 c.p., la quale non si realizza quando manchi il fine di turbare la regolarità o la continuità.

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M. I. R. . chiede
mercoledì 13/11/2024
“Appartengo all’Ordine delle professioni sanitarie. Se il presidente dell’Ordine in questione non svolge i suoi doveri in modo
sufficiente (non risponde mai alle richieste degli iscritti), è possibile fare una denuncia per omissione di atti di ufficio. Oppure cosa si può fare?
Grazie

Consulenza legale i 14/11/2024
Rispondere al quesito è molto complesso in quanto il tema sulla sussistenza del reato di cui all’art. 328 c.p. presenta diverse problematiche sia sul versante penale che su quello amministrativo.

Il reato di omissione o ritardo di atti d’ufficio ha natura plurioffensiva. Se infatti il primo comma tutela in modo sostanziale il buon andamento della Pubblica Amministrazione, l’ipotesi di cui al secondo comma ha anche un riverbero privatistico in quanto mira a tutelare altresì l’esigenza sottesa alla istanza del privato cui il soggetto munito di qualifica pubblicistica non dà seguito.

Trattandosi, in ogni caso, di reato contro la Pubblica Amministrazione, la prensione punitiva dello stesso deve essere correttamente perimetrata.
Il concetto di atto d’ufficio, invero, deve essere interpretato come quell’attività che il soggetto pubblico è tenuto a compiere laddove sussistano precisi obblighi pubblicistici al riguardo (ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 328 c.p.), oppure nell’ipotesi in cui a seguito della richiesta del soggetto istante incomba in capo al destinatario un vero e proprio obbligo di provvedere (comma 2 dell’art. 328 c.p.).

Ciò vuol dire che il reato in parola si configura, a seguito della richiesta del privato, soltanto laddove il soggetto munito di qualifica pubblicistica debba necessariamente provvedere in merito o, quantomeno, attivare i suoi poteri di matrice amministrativa per valutare l’istanza del privato e dare a questi un riscontro, positivo o negativo che sia, anche sulla base di quella che è la normativa amministrativa di cui alla legge 241 del 1990.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, affinché scatti l’obbligo di azione del soggetto pubblico è necessario che il soggetto istante vanti, con stretto riferimento alla sua richiesta, un interesse qualificato e distinto dagli altri; solo in tale caso, infatti, l’istante può dirsi titolare di una situazione giuridica soggettiva da tutelare e astrattamente idonea a determinare l’attivazione dei poteri pubblicistici affinché gli stessi valutino la spettanza di quanto richiesto.

Ritenere dunque, nel caso di specie, che il Presidente dell’Ordine delle Professioni Sanitarie sia incorso nel reato di omissione o rifiuto di atti d’ufficio solo perché non ha dato corso alle richieste degli iscritti è assolutamente erroneo in quanto non è detto che le predette richieste fossero effettivamente idonee a far scattare l’attivazione dei poteri pubblicistici concessi al Presidente.

Stante comunque la complessità del reato di cui all’art. 328 c.p. e della normativa amministrativa connessa allo stesso, onde avere una consulenza specifica in merito è necessario rivolgersi a un avvocato penalista il quale, valutata la richiesta dell’iscritto e la normativa vigente, possa effettivamente comprendere se sussista il reato menzionato in precedenza.

G. D. G. chiede
lunedì 03/07/2023
“Salve e grazie in anticipo per il Vostro servizio e la Vostra disponibilità.
Il mio quesito riguarda l'attività svolta da due Agenti appartenenti ad un Corpo di Polizia Locale. Nello specifico i due Agenti in questione venivano inviati in una determinata via cittadina dove era stato segnalato un posto disabili occupato. I due Agenti giungevano sul posto e provvedevano a sanzionare il trasgressore con verbale contestato immediatamente vista la presenza dello stesso sul posto. Lo stesso trasgressore, tuttavia, aveva anche occupato un tratto di strada, immediatamente precedente lo stallo, ove era intento a scaricare ed utilizzare materiale, compreso un attrezzo per la miscela del cemento, per dei lavori che si svolgevano in una abitazione privata immediatamente adiacente il tratto di strada occupato. I due Agenti pur avendo elevato verbale per l'occupazione dello stallo disabili, non provvedevano però anche al controllo della relativa autorizzazione per l'eventuale occupazione di sede stradale (art. 20 cds), dirigendosi su un altro intervento pervenuto tramite centrale operativa, relativo ad un passo carrabile occupato. Va precisato che i due Agenti non potevano sapere a priori se il trasgressore fosse munito o meno della relativa autorizzazione ai sensi dell'art. 20 del cds. La strada in questione, inoltre, risulta essere poco frequentata e trafficata essendo appunto una strada senza uscita e la stessa presunta occupazione non recava in alcun modo disturbo per la circolazione. Premesso ciò, i due agenti potrebbero essere denunciati per omissione e/o abuso di ufficio per non aver effettuato un controllo per la presunta occupazione stradale ed elevare eventualmente relativo verbale?”
Consulenza legale i 03/07/2023
La risposta è negativa.

Il reato di omissione di atti d’ufficio non punisce affatto ogni semplice e mera omissione di una cosa che il pubblico ufficiale o l’ incaricato di pubblico servizio avrebbe dovuto fare.

Si tratta, infatti, di un reato contro la pubblica amministrazione – e che ne tutela il buon andamento – che si configura rispetto a atti che il pubblico ufficiale o l’incaricato deve adottare a fronte di un’esigenza comprovata della collettività o del cittadino che chiede quell’atto. Il reato, dunque, non ha una vocazione “giustizialista” e, pertanto, la fattispecie non può ricomprendere anche quegli atti che vengono richiesti da Tizio per punire Caio, anche se Tizio non ha un interesse specifico e soggettivamente pregnante rispetto all’adozione dell’atto medesimo.

Tradotto in parole semplici, non ogni omissione del pubblico ufficiale costituisce reato, atteso che tale eventualità si ha nei soli casi in quell’atto è deliberatamente e volutamente non adottato dal soggetto pubblico, pur essendoci ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico, di igiene e sanità e/o un interesse soggettivo pregnante di chi quell’atto richieda.

Sono, queste, circostanze non sussistenti nel caso di specie nel quale, peraltro, come si afferma nella richiesta stessa di parere, la polizia locale non procedeva a elevare la contestazione dell’occupazione del suolo pubblico (e/o a fare le opportune verifiche) perché sollecitata dalla centrale operativa per un altro intervento. Tale circostanza esclude che l’omissione supposta (semmai di omissione si tratti) non era comunque sorretta dal dolo (diritto penale) tipico della fattispecie.

V. C. chiede
sabato 23/07/2022 - Puglia
“Domanda: è applicabile l'art 328 comma 2 al mio caso?
Salve, sono un geometra e padre della minore Giulia, nel giugno del 2021 decisi di fare una CILA edilizia a casa nostra intestata alla minore, tutto bene fino ad un mese fa quando il tecnico del comune a seguito di numerose chiamate ed appostamenti davanti il comune mi fece intimidire del fatto di aver sbagliato la planimetria dello stato di fatto e che rischiava la minore la denunzia per opere abusive.
Consapevole dell'errore non di tale gravità, gli risposi che avrei fatto una sanatoria edilizia, ma mi costrinse a fare l'archiviazione della pratica.
Dato che la CILA dopo 30 giorni si consolida e non potendo egli chiedere più chiarimenti ora capisco la sua insistenza.
Ora l'ufficio mi comunica la sospensione della CILA con gravi difformità (allegata)
grazie”
Consulenza legale i 27/07/2022
Nel caso di specie, non sembra sussistere l’art. 328 del c.p.

Il reato in parola, invero, si configura ogniqualvolta il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio non diano riscontro a una richiesta del privato e tengano un comportamento che esubera finanche i limiti ordinari tipici del diritto amministrativo e riconducibili ai casi di silenzio.

Nel caso di specie tale condotta non sembra essere affatto sussistente e ciò anche in razione del particolare regime cui è assoggettata la CILA.
Senza entrare nei particolari dei presupposti della CILA, va detto che la stessa rientra a pieno titolo nell’ambito delle procedure di liberalizzazione amministrativa. In buona sostanza, la CILA non rientra nell’ordinaria dicotomia “richiesta del privato-autorizzazione amministrativa” atteso che le attività assoggettate a questa particolare procedura si ritiene siano espressione di un diritto del cittadino, dinanzi al quale la PA può solo esercitare limitati poteri, comunque di natura non autorizzativa.
Allorché viene presentata la CILA, peraltro, la Pubblica Amministrazione ha poteri finanche più limitati rispetto a quelli azionabili con la SCIA, che sono anche di natura inibitoria e repressiva, potendo l’ente pubblico adottare provvedimenti di autotutela impropria.
A seguito della CILA, infatti, la PA può solo esercitare un potere sanzionatorio.

Tutto ciò per dire che, in realtà, a seguito della presentazione della CILA non vi è, tecnicamente, un atto autorizzativo da adottare da parte della Pubblica Amministrazione e il cui ritardo illegittimo può sfociare nel reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio.

E ciò è tanto più evidente nel caso di specie allorché, attraverso la comunicazione del 23.06.21, il responsabile del procedimento ha solo sospeso la CILA per l’ottenimento di alcuni chiarimenti necessari. E’ stato quindi esercitato l’ordinario potere susseguente alla CILA ma non è stato omesso alcunché.

Mauro C. chiede
sabato 29/05/2021 - Liguria
“Buongiorno. Sono un medico titolare di incarico di lavoro a tempo indeterminato per 38 ore sett.li di servizio per l'emergenza sanitaria territoriale (in regime di convenzione ex vigente A.C.N. - Capo V - approvato con D.Lgs. n. 502/1992 e succ.ve modificazioni/integrazioni) e svolgo il servizio c/o un Pronto Soccorso aziendale. Pur essendo vincolato agli stessi doveri giuridici del cd personale dipendente (dirigenza medica) non godo affatto degli stessi diritti, st economici (retribuzione di posizione e di risultato, 13^ mensilità, integrazioni per lavoro notturno, TFR, etc. etc.). Ma sulla "Reperibilità", sia l'A.C.N. all'art. 97, sia l'Accordo Integrativo Regionale (in B.U.R.L. n. 14, Parte II, pubblicato il 08/04/2009) all'art. 7, stabiliscono che la stessa debba essere considerata solo "come sostitutiva" di colleghi assenti dal servizio per ragioni giustificate e urgenti. La cd "reperibilità integrativa" è prevista, viceversa, nel C.C.N.L.-Sanità della c.d. dirigenza medica dipendente. Di fatto sono chiamato in reperibilità (notturna) anche per svolgere servizi integrativi di poche ore (prevalentemente trasporti sanitari assistiti) senza che si dia luogo, tra l'altro, ad alcun compenso straordinario o a recupero ore. Ebbene, ho inviato (tramite PEC al Protocollo aziendale) due "istanze" al D.G. della A.S.L. con la quale sono in convenzione. Con la prima ho chiesto, ai sensi dei vigenti A.C.N./A.I.R., di "essere esonerato da chiamate in reperibilità non conformi ai predetti accordi nazionale/regionale", con la seconda (inviata dopo trenta giorni dalla prima, non avendo ricevuto risposta alcuna) ho "diffidato l'azienda dal chiamarmi in reperibilità per ragioni che non siano strettamente vincolate al rispetto dei citati A.C.N./A.I.R.". Preciso che nel contratto individuale di lavoro non è contenuta alcuna integrazione specifica in merito. Orbene, dopo questa necessaria premessa, chiedo: se sono chiamato in reperibilità per effettuare un servizio di trasporto assistito, es. dal mio ospedale ad altro aziendale o extra-aziendale, di un paziente in condizioni potenzialmente evolutive, ma mi rifiuto di svolgere tale servizio (non trattandosi di sostituzione di collega assente o in procinto di assentarsi per sopraggiunti gravi e urgenti motivi), posso incorrere in un reato penale (v. omissione di soccorso, omissione d'atti d'ufficio, interruzione pubblico servizio o altro)? Oppure sto agendo nella piena legittimità? In attesa della risposta, porgo Distinti Saluti.”
Consulenza legale i 01/06/2021
La risposta al quesito non è univoca e necessita di una premessa.

Nell’ambito del diritto penale, prescindendo spesso e volentieri dagli elementi costitutivi delle varie fattispecie di reato, invale la prassi giurisprudenziale di tenere in considerazione soprattutto la “sostanza” dei fatti e, nello specifico, il particolare risultato della scelta operata dal soggetto agente in rapporto ai relativi effetti in riferimento agli interessi giuridici tutelati dal reato contestato.

D’altro canto, se lo si osserva da un diverso punto di vista, tale atteggiamento è il logico corollario della indubbia autonomia del diritto penale il quale, a parte pochissime eccezioni, non è influenzato da normative settoriali.

E’, questa, una circostanza da tenere in considerazione soprattutto nel caso di specie e dalla quale è verosimile presumere che, nel caso in parola, poco importerà ai giudici della legittimità della reperibilità in questione, atteso che gli stessi osserveranno, soprattutto, l’effetto della condotta del sanitario rispetto al paziente.

Fatta questa premessa, torniamo alle fattispecie di reato.

Nel caso di specie, sicuramente potrebbero rilevare le ipotesi di omissione di atti d’ufficio di cui all’art. 328 del codice penale e il reato di interruzione di pubblico servizio, previsto e punito dall’art. 340 c.p.

Il discrimen tra le due fattispecie attiene alle modalità di condotta.

Stando alla giurisprudenza penale, sussiste il rifiuto solo laddove l’atto dovuto venga espressamente rifiutato – per l’appunto - dal soggetto agente. Diversamente, eventuali comportamenti che si risolvano nell’inosservanza di obblighi, condurranno alla commissione del reato di interruzione di pubblico servizio.

Emblematica, in merito, è la sentenza n. 37459 della Cass. Pen., Sez. VI, del 08/07/2004, stando alla quale “integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità e non il reato di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in turno di reperibilità presso una struttura ospedaliera che si renda irraggiungibile al recapito fornito disattivando il telefono cellulare, in quanto non rientra nella previsione dell'art. 328 cod. pen. la semplice inosservanza di obblighi”.

Come accennato, se, invece, la condotta del sanitario si traduce in un secco rifiuto, allora va detto che la giurisprudenza è conforme nel ritenere integrato il reato di cui all’art. 328 c.p., anche prescindendo dalla legittimità del rifiuto in questione.

Il principio di diritto ricorrente è, invero, il seguente: “risponde del delitto di omissione di atti di ufficio il sanitario ospedaliero, in servizio di pronta reperibilità, che, chiamato dal medico già presente nel nosocomio, si rifiuta di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza. (In motivazione, la Corte ha precisato che il sanitario medesimo non ha alcuna possibilità di sindacare la necessità e l'urgenza della chiamata)” (tra le tante, Cass. pen. Sez. VI Sent., 13/02/2013, n. 12376).

Come premesso, dunque, la giurisprudenza, seguendo un approccio sostanzialistico, non attribuisce alcuna rilevanza ai presupposti legittimanti la chiamata di reperibilità che, se presente, deve essere assolta dal sanitario.

Stando così le cose, dunque, è verosimile sostenere che, nel caso di specie, la condotta del sanitario che rifiuti l’intervento in reperibilità possa essere sussunta nell’alveo della fattispecie di rifiuto di atti d’ufficio.

Si esclude, invece, la sussistenza del reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.) in considerazione del fatto che la fattispecie in parola, ai fini della sussistenza del reato, esige che l’omittente si trovi in una condizione fisica e mentale rispetto al soggetto da soccorrere tale da poter essere in grado di offrire un aiuto istantaneo e/o comunque “pronto”.

Circostanza, questa, che mal si attaglia al concetto di reperibilità.

Eleonora G. chiede
domenica 28/02/2021 - Emilia-Romagna
“Chiedo se può essere considerato omissione di atti di ufficio la mancata risposta da parte del sindaco ad un mio esposto, sia cartaceo che via pec, riguardante un forte disturbo proveniente da animali selvatici detenuti dal vicino di casa. Il Comune non è mai intervenuto e non ha neanche motivato il mancato intervento. Ho anche fatto una perizia fonometrica a spese mie che dimostra il superamento della normale tollerabilità. Chiedo se il mio Comune può non avere responsabilità, anche se il disturbato sono solo io e la mia famiglia, in quanto i più esposti, gli altri vicini sono ad una maggiore distanza, pertanto non si può considerare disturbo della quiete pubblica purtroppo. Ma il singolo conta così poco?
Grazie
Eleonora”
Consulenza legale i 02/03/2021
La risposta è negativa.

La fattispecie di cui all’articolo 328 c.p., costituisce uno dei delitti contro la pubblica amministrazione e mira a tutelare solo quei casi in cui l’omissione del pubblico ufficiale e/o dell’incaricato di un pubblico servizio sia idonea a cagionare un danno e/o a mettere in pericolo un numero indefinito di soggetti.
E’ solo in tali casi che il rifiuto e/o l’omissione diventa penalmente rilevante in quanto la stessa ignora palesemente un obbligo di azione, indispensabile per il buon andamento della pubblica amministrazione.

Non siamo, quindi, nell’ipotesi di cui al caso di specie in cui la “denuncia” presentata è funzionale piuttosto alla tutela di interessi di due sole persone e non della collettività, tale per cui sarebbe obbligatorio un riscontro da parte del sindaco.

Un esempio può chiarire meglio quanto sopa esposto.

Se, ad esempio, attraverso la denuncia fosse stata messa a conoscenza del sindaco la circostanza che gli animali selvatici detenuti dal soggetto x venivano tenuti in condizioni igienico – sanitarie pessime, tale da determinare concretamente un pericolo di natura generale, allora l’inerzia del sindaco avrebbe potuto integrare gli estremi del reato di cui all’art. 328 c.p.


VITTORIO C. chiede
domenica 09/08/2020 - Puglia
“L'inps non risponde alla mia richiesta di chiarimenti per aver versato alla finanziaria, almeno per quattro mesi (salvo a verificare anche le successive rate), importo inferiore a quello stabilito e autorizzato per la cessione del quinto. Nella mia richiesta con racc.r.r. ho fatto anche riferimento alla Legge 241/90 senza esito. Ho interessato sempre con racc.r.r anche il Presidente dell'INPS Dott.Pasquale Tridico senza esito alcuno.
Cosa posso e devo fare per poter agire penalmente con denunzia/esposto alla Procura?
Resto in attesa di notizie e ringrazio.”
Consulenza legale i 30/08/2020
Nel caso di specie si sconsiglia di agire per vie penali atteso che la condotta dell’INPS non sembra costituire reato.

Invero, l’unica fattispecie astrattamente configurabile sarebbe quella di cui all’art. 328 del codice penale che, tuttavia, punisce soltanto la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che rifiuta di porre in essere un atto del suo ufficio.

Considerato che, nel caso di specie, non si sta chiedendo di porre in essere un atto dell’ufficio ma, semplicemente, di rispondere ad una richiesta di chiarimenti, l’omissione relativa non può, di certo, essere sussunta nell’alveo della fattispecie precedentemente menzionata.

Allo stesso modo, sarebbe molto difficile sostenere che l’omissione in questione consista nel non aver versato alla finanziaria l’importo corretto atteso che, tale circostanza, di certo si è verificata per un disguido burocratico ed è scarsamente probabile che la stessa celi un’inerzia dolosa degli impiegati.

B. F. chiede
giovedì 21/03/2019 - Puglia
“Un tecnico Comunale :
a/ che non rispetta le norme e i tempi di legge nel adottare un provvedimento richiesto;
b/ che non lo emette nemmeno in presenza di protocollate e reiterate diffide;
c/ che emette il provvedimento in corso di causa al TAR sul silenzio, per cui rende improcedibile il ricorso;
d/ che emette un preavviso di diniego " l.241/90 art. 10bis, a cui si risponde che si e formato il silenzio assenso e si contestano per prudenza i motivi, e che poi comunque emette il diniego, dopo oltre un anno dal giorno in cui si e formato il silenzio assenso.
Sostanzialmente la domanda e questa , che reato commette un tecnico comunale, che pur in presenza di reiterate diffide, anche al potere sostitutivo, previa richiesta, fa i provvedimenti quando vuole, in corso di causa ed in palese violazione di Leggi ? (l.241/90 e DPR 380/01) .

Sono del parere che rientra nel C.P. art, 323 nella frase " ovvero arreca ad altri un danno ingiusto" basta pensare ad un atto tardivo di anni, che mi permette un passo successivo, oppure ad un progetto di costruzione notevole, per la quale si e formato il silenzio assenso, e che dopo anni perviene un diniego, al posto se di legge. una ben motivata revoca del silenzio assenso in base alla legge vigente l.241/90 art. 21 nonies.
In attesa di una risposta, con art. del C.P. se questi abusi rientrano nel PENALE porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 26/03/2019
La condotta posta in essere dal tecnico comunale sembra integrare, più che l’abuso abuso d’ufficio di cui all’art 232 c.p., la fattispecie di rifiuto di atti d’ufficio prevista e punita dall’art. 328 c.p.

Il reato in esame prevede due fattispecie del tutto simili nella condotta materiale, che si differenziano per un solo elemento: il secondo comma (che punisce il pubblico ufficiale, o incaricato di un pubblico servizio, che, «fuori dei casi previsti dal 1° co., [...] entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo» con la precisazione che tale «richiesta deve essere redatta in forma scritta», e che «il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa») mira cioè a determinare le condizioni generali alle quali, fuori dei casi di urgenza dovuta a certe ragioni specifiche (ossia: «fuori dei casi previsti dal 1° co.»), deve considerarsi subordinata la responsabilità penale dei pubblici agenti che rifiutino di adempiere i propri doveri.
In buona sostanza il comma predetto punisce la condotta del pubblico ufficiale che, in presenza di una richiesta scritta, non esegua in maniera corretta gli adempimenti del suo ufficio pur essendovi obbligato.

Cosa che sembra essere avvenuta nel caso di specie.

Pochi sono i requisiti richiesti ai fini della sussistenza del reato:
  1. La qualifica pubblicistica del soggetto agente (nel caso assolutamente pacifica visto e considerato che si tratta di un tecnico comunale);
  2. La richiesta scritta (che nel caso di specie sembra sussistere tenuto conto delle molteplici diffide trasmesse al soggetto per spingerlo all’adempimento);
  3. Il rifiuto del Pubblico Ufficiale.

Su tale ultimo punto vanno svolte alcune precisazioni.

La giurisprudenza ha infatti ritenuto che il rifiuto del Pubblico Ufficiale possa essere espresso in moltissimi modi, finanche con l’omissione secca (sul punto si veda C., Sez. VI, 3.7.2000 secondo cui «Ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d'ufficio è necessario che il pubblico ufficiale sia consapevole del suo contegno omissivo, nel senso che deve rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra ius; tale requisito di illiceità speciale delimita la rilevanza penale solamente a quelle forme di diniego di adempimento che non trovano alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione»).

In sintesi, ai fini della sussistenza del reato occorre che il Pubblico Ufficiale, sapendo di essere tenuto alla commissione di un determinato atto, non lo faccia e non esprima a tal riguardo alcuna ragione plausibile.

Circostanze che sembrano pacifiche nel caso di specie laddove il tecnico comunale si decide a “muoversi” solo in pendenza di un procedimento amministrativo, ammettendo di fatto la sua inerzia precedente e rendendo manifesta anche la sussistenza del dolo (diritto penale) del reato che consiste nella coscienza e volontà di omettere un atto del proprio ufficio pur sapendo di avere un preciso dovere al riguardo.

Va da sé comunque che la sussistenza del reato dovrebbe essere meglio vagliata alla luce del caso specifico e tenendo conto del tipo di richiesta espletata, del tipo di atto che il pubblico agente avrebbe dovuto porre in essere e delle sue competenze.

Sergio C. chiede
martedì 05/03/2019 - Emilia-Romagna
“Alla fine di gennaio ho inviato con PEC ai servizi sociali un messaggio che ricevendo risposta e replicando alla stessa.
Vorrei sapere se la mia richiesta è legittima e se la risposta dei servizi sociali deve considerarsi non esaustiva,ragion per cui si configurerebbe l'omissione e/o il rifiuto di atti d'ufficio.
Attendo istruzioni per allegare i messaggi.

Cordiali saluti.
sergio c.”
Consulenza legale i 08/03/2019
I reati di rifiuto e di omissione di atti d'ufficio sono previsti e puniti dall’art. 328 del c.p.
Il primo comma della norma in esame disciplina la fattispecie del rifiuto, che si configura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio rifiuta “indebitamente” un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo. La pena prevista per il responsabile è la reclusione da sei mesi a due anni.
Il comma 2 dell’art. 328 c.p., invece, al di fuori dei casi previsti dal primo comma, punisce la condotta del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di un pubblico servizio), il quale entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo. In questo caso la sanzione prevista è, in via alternativa, la reclusione fino ad un anno o la multa fino a euro 1.032,00. La richiesta del soggetto che ha interesse al compimento dell’atto deve essere redatta in forma scritta; il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

Possiamo subito escludere, nel caso in esame, l’applicabilità del primo comma dell’art. 328 c.p., che presuppone il rifiuto di un atto “urgente”, laddove l’urgenza è necessariamente collegata (per esigenze di certezza proprie del diritto penale) ad alcune ragioni tassativamente indicate.
Sicuramente, infatti, non ricorre urgenza per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica, nonché di igiene e sanità. Potremmo chiederci, semmai, se possano sussistere “ragioni di giustizia”; tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che “in tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende qualunque ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la tempestiva attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria. La ragione di giustizia si esaurisce con l'emanazione del provvedimento di uno degli organi citati, non estendendosi agli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per ragione di giustizia” (così Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 14599/2010).

Quanto alla fattispecie di omissione di atti d’ufficio, di cui al secondo comma dell’art. 328 c.p., è sufficiente la lettura del testo della norma per comprendere che la stessa presuppone non solo il mancato compimento dell'atto d’ufficio dovuto, ma altresì la mancata risposta del pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) con l’esposizione delle ragioni del ritardo.
Ciò non si è verificato nel caso in esame, dal momento che la Responsabile del Servizio Sociale ha, appunto, risposto alla diffida ricevuta, motivando il proprio comportamento e, anzi, contestando la sussistenza stessa di una inattività dell’ufficio.

Pertanto, per rispondere in maniera specifica ai quesiti posti, la richiesta inoltrata all’Amministrazione è “legittima”, ma solo nel senso che il privato può sollecitare l’adozione di determinati provvedimenti qualora ritenga che i soggetti obbligati non si stiano correttamente adoperando. Tuttavia nella risposta dell’Amministrazione non si ravvisa l’ipotesi di reato prospettata, dal momento che:
- il Servizio Sociale ha, appunto, risposto;
- nella risposta si fa riferimento a provvedimenti giudiziari ed a circostanze di fatto che influirebbero sulla possibilità di ripresa della frequentazione.

Non va dimenticato, in ogni caso, che la realizzazione dell’attività oggetto di “sollecito”, ovvero fissare “nel minor tempo possibile” incontri tra il minore e i parenti del lato materno, non dipende esclusivamente dalla pura e semplice volontà degli assistenti sociali: qui sono in gioco variabili complesse, quali la volontà e i desideri di un minore (che devono costituire il principale criterio di riferimento in vicende come questa), nonché valutazioni di tipo discrezionale da parte di esperti e relative alla sussistenza delle condizioni per attuare la frequentazione.
Allo stato non è possibile esprimere una diversa valutazione, che presupporrebbe peraltro una conoscenza più ampia degli atti e, quanto meno, dell’ultimo provvedimento emesso dal Giudice minorile (Tribunale o gradi superiori).

Maria C. chiede
domenica 23/08/2015 - Sardegna
“Buona sera, sono un medico convenzionato dell'emergenza sanitaria "118". Il 17 giugno di questo anno sono stata chiamata dal medico della Centrale Operativa 118 di S. come reperibile per un trasporto secondario di un paziente affetto da TBC resistente alla terapia che doveva essere trasportato dal reparto di Pneumologia dove era ricoverato non in isolamento all'Aeroporto per andare al dispensario di un'altra città. Dopo richiesta scritta del Direttore della Centrale Operativa sulle mie controdeduzioni in merito, ho scritto e protocollato presso la ASL al direttore della ASL , al Direttore Amministrativo del Servizio Territoriale Medicina generale a cui appartengo e al Direttore di centrale che il mio rifiuto é legato al Contratto Regionale ... 2014: La Reperibilità è sostitutiva. Nel caso che il medico in servizio ha improvviso malore, infortunio ecc. il reperibile di turno subentra immediatamente per non interrompere il servizio dell'ambulanza.
Il contratto prevede dei contratti aziendali per i trasporti secondari stipulati tra l'azienda e i medici che lo vogliono fare al di fuori dei turni di servizio . L'Asl non ha stipulato contratti per i trasporti secondari come previsto nel contratto regionale. Bene, essendo reperibile per l'ambulanza quindi in servizio attivo e non avendo un contratto non potevo fare il trasporto. Oggi sui giornali locali, ho letto che io ed altri colleghi per lo stesso motivo abbiamo una denuncia da parte del Direttore della Centrale Operativa 118 di S. per omissione di atti d'ufficio. Inoltre su uno di questi giornali sono riportati i nostri nomi, cognomi, anni: Privacy?
Cosa mi devo aspettare e come mi devo muovere se arriva una convocazione del procuratore della Repubblica?”
Consulenza legale i 03/09/2015
Nel delitto previsto dall'art. 328 del c.p. l'omissione o il rifiuto deve concernere "atti dell'ufficio" del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio (a tale figura può ricondursi il medico convenzionato dell'emergenza sanitaria 118). Per potersi configurare il reato, quindi, si deve indagare circa l'appartenza del servizio che la persona ha rifiutato di svolgere all'ambito del suo "ufficio", cioè degli incarichi che egli è tenuto a svolgere.

Venendo al caso di specie, si definisce trasporto secondario quello di pazienti in continuità di soccorso da una struttura di livello assistenziale inferiore ad una superiore (es. trasferimento verso strutture per l’esecuzione di prestazioni diagnostiche o terapeutiche di particolare complessità). Non esiste una legge nazionale che disciplini uniformemente e nel dettaglio il trasferimento secondario. Ogni ambito territoriale impiega risorse differenti, in base anche all'architettura del sistema di emergenza locale: per questo, è necessario che ogni azienda ospedaliera abbia una propria organizzazione in materia, per evitare situazioni di rischio che coinvolgano il malato e gli operatori sanitari.

Per valutare la sussistenza del reato di omissione di atti d'ufficio, nel caso di specie, si dovrà quindi accertare se l'accoglimento della richiesta del Direttore della Centrale Operativa costituisse un obbligo per il medico, sia a livello convenzionale (cioè per contratto, ipotesi da escludersi nel caso in esame), sia per legge (esiste una norma, magari regionale, che obbliga il medico ad accettare di occuparsi comunque di un trasporto secondario, al sussistere di determinati presupposti?).

V'è da aggiungere che in alcuni casi la giurisprudenza di legittimità ha ricollegato l'omissione di atti d'ufficio all'esistenza di una situazione di urgenza indifferibile: secondo la Corte di Cassazione, cioè, "in tema di rifiuto di atti d’ufficio il medico di guardia sull’autoambulanza del servizio 118 è tenuto ad effettuare tutti gli interventi richiesti qualora sia posto al corrente, da parte di personale sanitario, di una grave sintomatologia del paziente, avendo l’obbligo di attivarsi con urgenza" (Cass. pen., sez. VI, 15.9.2008, n. 35344). La ratio della decisione sta nel fatto che la norma incriminatrice di cui all'art. 328 c.p., comma 1, è concepita come delitto di pericolo, nel senso che prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione.
Si dovrà valutare, nel caso di specie, se il trasporto secondario "rifiutato" costituiva una situazione di "indifferibile urgenza", tale da mettere in pericolo la salute del paziente.

Quanto al comportamento da adottare in questo momento, è consigliabile che la persona che ha subito la denuncia chieda alla cancelleria penale competente il certificato ai sensi dell'art. 335 del c.p.p., cioè che le siano comunicate le iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato a suo carico. E' necessario altresì incaricare un avvocato penalista di seguire la fase delle indagini.

Per quanto concerne la violazione della privacy da parte del quotidiano che ha pubblicato i nomi delle persone denunciate, si segnala che il Garante per la tutela dei dati personali si è espresso sulla materia (v. Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell'Ordine dei giornalisti - 6 maggio 2004 [1007634]).
Premesso che fare "nomi e cognomi" di persone indagate a fini giornalistici non costituisce di per sé violazione della privacy di quei soggetti, il Garante ha precisato che "In termini generali, va ribadito che l'esigenza di assicurare la trasparenza dell'attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene amministrata la giustizia devono comunque bilanciarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute all'indagato e all'imputato: la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, il diritto di difesa e ad un giusto processo. Il giornalista sarà perciò tenuto a valutare, volta per volta, gli elementi che caratterizzano l'episodio di cronaca e che possono far propendere per una minore o maggiore pubblicità dei dati a seconda della fase delle indagini, della fase e del tipo di procedimento (es. procedimenti che si svolgono con la presenza del pubblico, procedimenti in camera di consiglio), delle caratteristiche del soggetto ritenuto autore del reato".

I nomi degli indagati possono dunque, di regola, essere resi noti, fatti salvi i divieti di diffusione previsti dalle norme processualpenalistiche e ferma restando la necessità che la notizia sia acquisita lecitamente.

"La possibilità di diffondere queste informazioni" - ribadisce il Garante - "deve tuttavia fare i conti con alcune garanzie fondamentali riconosciute a tali soggetti. Il giornalista deve valutare, ad esempio, se sia opportuno rendere note le complete generalità di chi si trova interessato da un indagine ancora in fase assolutamente iniziale, e modulare il giudizio sull'entità dell'addebito".

Per valutare la sussistenza della violazione della riservatezza nel caso di specie si dovrà, quindi, avere riguardo al tenore dell'articolo e al fatto che riporti fatti veri, senza esagerazioni, ritenuti di pubblico interesse.

Paolo A. chiede
lunedì 27/04/2015 - Veneto
“Quale componente del CdiA di Consorzio D.Lgs. 267/200 ho richiesto al Dirigente responsabile l'elenco dei dipendenti, la loro qualifica e l'indirizzo.
Entro i termini mi perviene risposta solo con nome, cognome e qualifica.
Mi vengono negati i dati riguardanti l'indirizzo in quanto "ai fini istituzionali e professionali l'indirizzo dei dipendenti è presso la sede dell'Ente".
La mia richiesta riguardava invece l'indirizzo di residenza o domicilio o comunque quello indicato dal Dipendente per ricevere corrispondenza o intrattenere rapporti di corrispondenza.
Grazie per il riscontro sollecito.”
Consulenza legale i 08/05/2015
L'amministratore consortile può essere equiparato, per le sue funzioni, al consigliere comunale: pressoché ogni statuto comunale prevede che gli atti dell'Assemblea del consorzio sono equiparati a quelli del Consiglio Comunale e gli atti del Consiglio d'amministrazione a quelli della Giunta. Pertanto risultano applicabili anche alla sua figura le norme relative all'ampio diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali e provinciale (art. 43 del Testo Unico Enti Locali).
Poiché non esiste cospicua giurisprudenza avente ad oggetto i componenti dei consorzi ex art. 31 del d.lgs. 267/2000, ci si rifarà alle pronunce e ai principi sanciti per i consiglieri comunali.

L'interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate informazioni o copie di specifici atti detenuti dall'amministrazione non si presta ad alcuno scrutinio di merito degli uffici in quanto ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al consiglio, al cui svolgimento è funzionale; sul consigliere non grava un onere di motivazione, né gli uffici hanno titolo a chiederla; tuttavia, il consigliere non può abusare del diritto all'informazione per scopi emulativi o aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro limiti di proporzionalità e ragionevolezza, la corretta funzionalità dell'ente (v. Consigli di Stato, Ad. Plen., 5.9.2005, n. 5).

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è, quindi, soggetto ad alcun onere motivazionale; diversamente, verrebbe introdotto una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale.

Tuttavia, va anche rilevato che il consigliere deve esercitare il suo ampio diritto di accesso agli atti in maniera corretta e non in contrasto con le finalità della legge. Sarebbe discutibile il comportamento del consigliere che chiedesse e ottenesse copia di documenti non utili per l’esercizio del mandato amministrativo.

Nel caso di specie, si può configurare omissione di atti d'ufficio nel comportamento del dirigente?

La risposta appare negativa.
Il dirigente preposto ha dato risposta tempestiva all'istanza di accesso agli atti formulata dal consigliere consortile. Ha ritenuto che, ai fini delle funzioni da questo esercitato, gli indirizzi dei dipendenti richiesti si potessero ricondurre tutti alla sede dell'ente. Di fatto, quindi, egli ha dato risposta alla richiesta del membro del Cda, e non si può quindi configurare l'ipotesi del secondo comma dell'art. 328, che punisce la condotta di omissione di atti richiesti non motivata.

Si ritiene, quindi, che colui che ha presentato l'istanza - insoddisfatto per la motivazione ricevuta - debba ripresentarla, specificando di necessitare gli indirizzi di residenza e/o domicilio dei dipendenti.

A quel punto, se l'amministrazione negherà tali dati, si potrà più agevolmente configurare il reato di omissioni di atti d'ufficio previsto dall'art. 328 del codice penale.

Francesco A. chiede
sabato 31/01/2015 - Veneto
“Sono un consigliere comunale ed ho richiesto tramite mail (pec) al sindaco del comune di S. l'ottenimento di copia del contratto di lavoro di un dirigente di quel Comune.
La richiesta era finalizzata alla redazione di una mozione da presentaare in consiglio per la verifica della correttezza formale e sostanziale di quell'atto amministrativo.
La richiesta è stata inviata una prima volta il giorno 29 novembre 2014 ed poi reiterata il giorno 30 gennaio 2015.
Al momento non ho ricevuto alcun riscontro.
E' ragionevole considerare l'inerzia del sindaco omissione di atti d'ufficio ?
La ringrazio fin d'ora.”
Consulenza legale i 06/02/2015
Il diritto di accesso agli atti attribuito ai consiglieri comunali e provinciali si differenzia da quello concesso dall’art. 10 del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e dagli artt. 22 ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241 a chiunque sia portatore di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Tale diritto, infatti, persegue particolari finalità ed è notevolmente più ampio rispetto a quello riconosciuto a tutti i cittadini.

Mentre, infatti, l’art. 10 del d.lgs. 267/2000, al primo comma stabilisce "Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione può pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese"; l'art. 43 del Testo Unico Enti Locali sancisce "I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge".

L'art. 43 citato accorda al consigliere comunale un diritto pieno, che non prevede alcun limite, nemmeno a tutela di esigenze di riservatezza, fermo restando, tuttavia, il dovere per i consiglieri medesimi di mantenere il segreto "nei casi specificamente determinati dalla legge" (TAR Sardegna, sez. II, sent. 1782/2004). Naturalmente, il consigliere può chiedere copia di documenti utili esclusivamente all’esercizio del mandato amministrativo (e non per motivi privati o meramente ostruzionistici, si pensi ad esempio all'esosa richiesta di copia di tutte le delibere del consiglio degli ultimi dieci anni).

Poiché, come detto, i consiglieri sono tenuti al segreto d’ufficio, è del tutto evidente che non sussiste alcuna ragione logica perché possa essere loro inibito l’accesso ad atti riguardanti dati riservati. Quindi, anche laddove il contratto del dirigente comunale fosse - per ipotesi - stato classificato come riservato, il consigliere nell'esercizio della funzione avrebbe diritto a chiederne copia.

Insomma, come sancito dal massimo organo della giustizia amministrativa: “gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici dell’ente (attraverso modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento dell’ente) e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso” (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.7.2010 n. 6963).

Quali le conseguenze della condotta del sindaco che non ottemperi al corretto esercizio del diritto di accesso da parte del consigliere comunale?

Secondo il dettato dell’art. 25, comma 4, della Legge 241/90 “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”. Lo stesso comma prevede la possibilità per il consigliere di esperire ricorso. Tuttavia, se lo ritiene, egli può reiterare l’istanza di accesso anche dopo lo spirare del termine per l’impugnazione dell’eventuale diniego o del silenzio rigetto della P.A..

Dal punto di vista penalistico, il rifiuto del funzionario amministrativo di dare seguito alla richiesta di accesso del consigliere viene considerato legittimo quando viene dimostrato che il consigliere agisca per interesse esclusivamente personale (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2.9.2005, n. 4471).

Al di fuori di tale ipotesi, il rifiuto di mostrare al consigliere i documenti richiesti con atto scritto, redatto nel rispetto dei criteri individuati dalla giurisprudenza, integra il reato di omissione di atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma secondo, c.p. (Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 8.4.2009 n. 21163, sentenza relativa ad un caso che aveva ad oggetto l'omissione posta in essere dal segretario comunale).
La ratio sottostante a questo orientamento giurisprudenziale è data dalla natura della tutela apprestata dal secondo comma dell'art. 328 c.p., che è di carattere procedimentale, cioè tendente a valorizzare la trasparenza della pubblica amministrazione, e quindi il diritto ad avere una risposta.

Nel caso prospettato nel quesito, quindi, si intravede la configurabilità del reato di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p.

Roberto chiede
martedì 18/11/2014 - Piemonte
“Il sottoscritto ha provveduto a depositare presso il Tribunale di ..., un esposto con il quale si portava a conoscenza l'Autorità Giudiziaria quanto accaduto nel procedimento per omicidio colposo svoltosi dinnanzi al Tribunale di ..., a seguito del decesso del proprio congiunto avvenuto presso un noto nosocomio di ... . In primis veniva fatto presente che nel procedimento suddetto erano stati nominati dei periti che nel svolgere il loro compito avevano omesso di riferire fatti, circostanze e risultati fondamentali e facilmente individuabili in cartella clinica e contro la scienza medica. Tale questione veniva denunciata da parte dell'esponente sia in memorie depositate in fascicolo, che in udienza (sia in incidente probatorio che in udienza camerale fissata a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione). In secondo luogo richiedeva all'Autorità competente di procedere (ex art. 361 cp) nei confronti dei Magistrati di ..., proprio a fronte della omissione degli stessi nel "perseguire" giudizialmente (o quantomeno di indagare, approfondire quanto riferito da parte offesa), i periti che in qualità di pubblici ufficiali avevano riportato dei fatti non corrispondenti al vero. Il Pm del Tribunale di ..., iscriveva la notizia di reato contro Ignoti solo per il reato di cui al 328 cp, e di poi notificava, in data 31/10/2014, richiesta di archiviazione. Parte offesa provvedeva ritualmente a depositare opposizione con la quale chiedeva: "Di rigettare la richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero nel procedimento in esame, e che il Giudice Voglia ordinare la prosecuzione delle indagini in quanto sussistono, in perfetta conformità alle disposizioni normative, i motivi come in precedenza esposti, per disporre la nomina di un nuovo Perito". In data 03.11.2014 il Gip notificava decreto di archiviazione de plano, con motivazioni.
In riferimento a quanto riportato, si domanda se la motivazione del Gip sia sufficiente per poter emettere un decreto di archiviazione de plano. Il Gip non sembra, ad avviso dello scrivente, motivare adeguatamente con riferimento al caso concreto, in che cosa si sostanzi l'inammissibilità dell'opposizione, ma che si sia limitato solo ad un excursus di giurisprudenza sul punto. Inoltre l'opponente ha rispettato il disposto dell'art. 410 cpp. E' da sottolineare che non vi è stata da parte del Pm alcuna investigazione. Come può quindi il Gip ritenere che vi sia un "difetto di incidenza concreta sul tema della decisione, in quanto il fine sarebbe quello di approfondire temi di indagine già esaminati e giudicati inidonei a configurare il reato denunciato"? In secondo luogo, il Gip afferma che l'unica persona offesa dal reato di cui al 328 cp e comunque altri reati contro l'amministrazione della giustizia, sia la Pubblica Amministrazione. Ma vi è giurisprudenza che afferma che il reato di cui al 328 cp sia di natura plurioffensiva laddove, dopo un'analisi del caso concreto, si riscontri la lesione dell'interesse del privato. Nel caso concreto il fatto che il Giudice e il pm del procedimento per omicidio colposo del proprio congiunto non abbiano provveduto ad indagare sui fatti ulteriori indicati dalle parti offese, ha leso un interesse delle stesse. Si può quindi ritenere che vi sia legittimazione a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione per il reato di cui al 328 cp, considerato che le parti offese sono gli eredi legittimi del deceduto in conseguenza del reato di omicidio colposo, e i fatti denunciati presso la procura di ... nei confronti dei magistrati di ... si sono verificati nel suddetto procedimento (art. 90 co. 3)? Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 18/11/2014
I quesiti di natura giuridica che emergono nella vicenda proposta sono due:
1. come deve valutare il Gip la richiesta di ulteriori indagini da parte dell'opponente all'archiviazione;
2. se il reato di cui al 328 c.p. abbia natura plurioffensiva o monoffensiva.

1.
Come correttamente sottolineato dal Gip nella sua decisione, il giudizio sulla non inerenza e non risolutività delle rinnovate indagini sollecitate dall'opponente non devono tradursi in alcuna valutazione, diretta o indiretta od anticipata, del merito della rilevanza penale dei fatti denunciati. Nel caso di specie, il Gip non ha operato una valutazione nel merito della questione, che gli sarebbe stata preclusa, ma ha semplicemente constatato che il tema dell'indagine richiesta (nomina di nuovo perito) coincideva con quella già svolta e pertanto ha ritenuto che l'espletamento di una nuova perizia non avrebbe potuto incidere - apportando aspetti di novità - agli stessi temi di indagine già esaminati e giudicati inidonei a ritenere configurabile il reato denunciato (in questo senso si possono citare: Cass. pen., Sez. I, 10.6.2010 n. 1718; Cass. pen., Sez. V, 8.2.2007, n. 11524; Cass. pen., 17.1.2005, n. 5661).
La legge vuole che il giudice si limiti a "verificare la specificità e la pertinenza della richiesta investiga, nonché il suo carattere suppletivo rispetto alle risultanze dell'attività compiuta nel corso delle indagini preliminari", non potendo anticipare il giudizio sulla capacità dimostrativa degli elementi indicati e sulla infondatezza della notizia di reato, che, se vi è opposizione in atto, non può essere fatta de plano (Cass. pen., sez. VI, 10.7.2012 n. 35787).
Inoltre, la cassazione ha affermato in diverse pronunce che le richieste di integrazione investigativa devono rivestire "carattere di novità" (v. Cass. pen., sez. VI, 9.7.2008 n. 28961).
In conclusione, anche se gli studiosi e la dottrina auspicherebbero una estensione del contraddittorio nella fase di opposizione all'archiviazione (magari mediante una modifica della normativa vigente), la giurisprudenza tende a ritenere valido un decreto di archiviazione emesso de plano laddove esso sia adeguatamente motivato circa l'irrilevanza delle indagini indicate dall'opponente, senza per questo entrare nel merito.
Il provvedimento emesso dal Gip nel caso di specie ci sembra far parte di questo filone giurisprudenziale consolidato e pertanto sembra difficile poter impugnare la decisione, aggiungendo che l'effettivamente sintetica motivazione, data nel caso di specie circa il ruolo delle nuove indagini proposte, va correlata anche alla rilevata mancanza di legittimazione dell'opponente (secondo il Gip).

2.
Quanto alla natura del reato di rifiuto e omissione di atti d'ufficio, va operata una distinzione.
Premesso che l'art. 328 c.p. è collocato nel Titolo II (delitti contro la Pubblica Amministrazione) del secondo libro del codice penale, va precisato che il primo comma disciplina il reato di rifiuto di atti urgenti (per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità). La giurisprudenza uniforme afferma che il comma primo prevede una ipotesi di reato monoffensivo, risultando leso solo il bene giuridico interesse della P.A. al buon andamento dell'azione amministrativa (v. Cass., sez. VI, 4.11.1997; Cass., sez. VI, 1.2.2000; Cass., sez VI, 18.4.2003; Cass. sez. VI, 11.2.2003; Cass., sez. VI, ord 29.5.2008). Solo alcune decisioni (ben accolte dalla dottrina) hanno evidenziato che potrebbe esservi una coincidenza tra l'interesse privatistico e l'interesse pubblico (come la Cass., sez. VI, 9.1.2000, n. 1181), ma si tratta di ipotesi eccezionali rispetto al consolidato filone giurisprudenziale cui sembra aver aderito il Gip nel caso di specie.

Rispetto a reato contemplato dal secondo comma dell’art. 328 c.p., invece, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, sono per lo più concordi nel ritenere che la fattispecie incriminatrice ivi prevista abbia natura plurioffensiva. Essa, infatti, è idonea a ledere non soltanto l’interesse, pubblico, al buon andamento e alla trasparenza della P.A., ma anche l’interesse privato del soggetto interessato al compimento dell’atto e che ne abbia fatto concreta richiesta.

Il quesito non specifica a quale delle due fattispecie criminose previste dall'art. 328 c.p. si fa riferimento.
Tuttavia, se il reato viene ascritto ai magistrati che hanno indagato sulla vicenda sanitaria che ha condotto alla morte del congiunto dell'opponente, sembra di potersi affermare che il reato è quello di cui al comma primo, poiché il magistrato non opera "su richiesta della parte", dovendo rispondere entro 30 giorni. In tal caso, appare difficile affermare la natura plurioffensiva del reato e quindi la legittimazione del danneggiato a proporre l'opposizione all'archiviazione.

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