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Articolo 337 sexies Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza

Dispositivo dell'art. 337 sexies Codice Civile

(1)Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643.

In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.

Note

(1) Articolo aggiunto dall'art. 55 del D. lgs. 28/12/2013 n. 154 il quale riporta, con modificazioni, il contenuto dell'art. 155 quater abrogato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 337 sexies Codice Civile

Cass. civ. n. 7128/2023

Il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall'art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola casa adibita a residenza familiare, e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale. Ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l'individuazione di un solo alloggio costituente, se non l'unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia.

Cass. civ. n. 5738/2023

In tema di affidamento condiviso, il provvedimento di revoca della casa familiare non può costituire un effetto automatico dell'esercizio paritetico del diritto di visita, dovendo il giudice di merito valutare se il mutamento del regime giuridico dell'assegnazione della casa familiare realizzi un maggior benessere del minore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che, nel disporre un regime di affido condiviso del minore con diritto di visita paritetico, aveva revocato l'assegnazione della casa familiare alla madre, ove il minore, in età prescolare, era cresciuto, senza valutare l'interesse di quest'ultimo a non veder modificato il proprio habitat domestico).

Il provvedimento di revoca della casa familiare non può costituire un effetto automatico dell'esercizio paritetico del diritto di visita o del cd. "collocamento paritetico". La valutazione che il giudice del merito deve svolgere non può limitarsi alla buona relazione del minore con entrambi i genitori ma deve avere ad oggetto una giustificazione puntuale, eziologicamente riconducibile esclusivamente alla realizzazione di un maggiore benessere del minore da ricondursi al mutamento del regime giuridico dell'assegnazione della casa familiare. Deve essere evidenziato come questo rilevante mutamento nella esperienza quotidiana di vita del minore possa produrre, con giudizio prognostico da svolgersi con particolare rigore ove riferito ad un minore, che per la sua tenera età, non può essere ascoltato, un miglioramento concreto per lo stesso o essere finalizzato a scongiurare un pregiudizio per il suo sviluppo prodotto dal diverso regime di assegnazione anteatto. In questo quadro l'assegnazione della casa familiare ha l'esclusiva funzione di non modificare l'habitat domestico e il contesto relazionale e sociale all'interno del quale il minore ha vissuto prima dell'inasprirsi del conflitto familiare. Non deve confondersi, al riguardo, il piano del rilievo economico per il genitore assegnatario, dell'assegnazione della casa familiare, dalla finalità del provvedimento, esclusivamente destinata a non compromettere lo sviluppo equilibrato del minore.

Cass. civ. n. 2670/2023

In materia di regolamentazione della crisi familiare, qualora vi siano figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi della l. n. 104 del 1992, trovano applicazione, in forza dell'art. 337 septies c.c. (già art. 155 quinquies c.c.), le disposizioni in tema di visita, cura e mantenimento da parte dei genitori non conviventi e di assegnazione della casa familiare, previste in favore dei figli minori, ma non anche quelle sull'affidamento, condiviso od esclusivo.

Cass. civ. n. 34861/2022

E' valida la clausola con la quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, si accordino per vendere in futuro l'abitazione coniugale che sia stata assegnata al coniuge affidatario di figlio minore, in quanto autonoma rispetto alla concordata assegnazione e con essa non incompatibile.

Cass. civ. n. 29264/2022

Nel caso in cui il figlio di genitori divorziati abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, egli non può soddisfare l'esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione mera dell'obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre, dovendo invece primariamente far fronte al suo stato attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, restando in ogni caso ferma solo l'obbligazione alimentare, da azionarsi nell'ambito familiare per supplire a ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso.

Cass. civ. n. 27599/2022

Nella quantificazione dell'assegno di mantenimento, a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela esclusiva della prole e del suo interesse a conservare il proprio habitat familiare, rappresenta un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall'art. 337 sexies c.c., anche nel caso in cui il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà dell'abitazione, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota immobiliare e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto.

Cass. civ. n. 27374/2022

La nozione di convivenza rilevante ai fini dell'assegnazione della casa familiare ex art. 337 sexies c.c. comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione, quindi, dell'ipotesi di rarità dei ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso, invece, un rapporto di mera ospitalità. Deve pertanto sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché vi faccia ritorno appena possibile e l'effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo.

Cass. civ. n. 20452/2022

In tema di divorzio, la revoca dell'assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell'assegno divorzile non giustifica l'automatico aumento di tale assegno, trattandosi di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell'"habitat" domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell'autosufficienza economica, o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario.

Cass. civ. n. 18641/2022

In tema di scioglimento della comunione legale, in caso di attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che non era assegnatario dello stesso quale casa coniugale, né affidatario della prole, si realizza una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell'intero, sicché, posto che continua a sussistere il diritto di godimento in capo all'altro coniuge, il coniuge non assegnatario diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all'assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso, con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

In sede di valutazione economica del bene "casa familiare" ai fini della divisione, il diritto di godimento di esso, conseguente al procedimento di assegnazione, non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione del conguaglio dovuto all'altro coniuge, in quanto lo stesso si atteggia come un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale) che viene a caducarsi con l'assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, divenendo, in tal caso, la sua persistenza priva di una base logico-giuridica giustificativa, anche in virtù dell'applicazione del principio generale secondo cui nemini res sua servit. A tal proposito va precisato che siffatto diritto non costituisce un diritto patrimoniale, bensì esclusivamente un diritto familiare a carattere non patrimoniale, che, perciò, incontra il suo naturale limite nella cessazione della sua efficacia nel momento della divisione del bene "casa familiare", per effetto della quale nella quota di proprietà del coniuge attributario - già titolare di tale diritto - confluisce e si annulla lo stesso diritto di godimento esclusivo.

Cass. civ. n. 33610/2021

Nei giudizi separativi, l'assegnazione al genitore collocatario del figlio minorenne della casa familiare è dettata dall'esclusivo interesse della prole e risponde all'esigenza di conservare l'"habitat" domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare. Tale assegnazione non può, pertanto, essere revocata per il solo fatto che il genitore collocatario abbia intrapreso nella casa una convivenza "more uxorio", essendo la relativa statuizione subordinata esclusivamente ad una valutazione di rispondenza all'interesse del minore.

Cass. civ. n. 27907/2021

La qualificazione giuridica di un immobile come "casa familiare" postula, laddove non risulti in modo inequivoco che, prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso da parte del nucleo costituito da genitori e figli, che la destinazione suddetta sia stata impressa dalle parti non solo in astratto (con l'acquisto in comunione), ma anche in concreto, mediante la loro convivenza nell'immobile.

Cass. civ. n. 20858/2021

In materia di quantificazione dell'assegno di mantenimento a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela della prole e del suo interesse a permanere nell'ambiente domestico, indubbiamente costituisce un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall'art. 337 sexies c.c., e tale principio trova applicazione anche qualora il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà del bene, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota dell'immobile e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto.

Cass. civ. n. 22266/2020

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, l'assegnazione di una porzione della casa familiare al genitore non collocatario dei figli può disporsi solo nel caso in cui l'unità abitativa sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia o sia comunque agevolmente divisibile. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO SALERNO, 25/07/2018).

Cass. civ. n. 9990/2019

In caso di cessione al terzo effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario dell'immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge - non titolare di diritti reali sul bene - collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell'atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell'art. 155-quater c.c. - applicabile "ratione temporis" - e dell'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se - a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite - il giudice di merito ravvisi l'instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest'ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione. Tale ipotesi ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare, ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l'immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza, da parte del terzo, al momento dell'acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia.

Cass. civ. n. 32231/2018

Il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori, anche se non uniti in matrimonio, ai sensi dell'art. 337 sexies c.c. è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, occorrendo soddisfare l'esigenza di assicurare loro la conservazione dell'"habitat" domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, e la casa può perciò essere assegnata al genitore, collocatario del minore, che pur se ne sia allontanato prima della introduzione del giudizio. (Nella specie la S.C., nel ribadire il principio, ha assegnato la casa familiare alla madre, collocataria del figlio di età minore, reputando non ostativa la circostanza che la donna si fosse allontanata dalla casa in conseguenza della crisi nei rapporti con il padre del bambino, e non attribuendo rilievo al tempo trascorso dall'allontanamento, dipeso dalla lunghezza del processo, che non può ritorcersi in pregiudizio dell'interesse del minore).

Cass. civ. n. 25604/2018

La casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, sicché è estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico, e ciò sia ai sensi del previgente articolo 155 quater c.c., che dell'attuale art. 337 sexies c.c..

Cass. civ. n. 3015/2018

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in sede di divorzio, come desumibile dall’art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 - analogamente a quanto previsto, in materia di separazione, dagli artt. 155 e, poi, 155 quater c.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, ed ora 337 sexies c.c., introdotto dall’art. 55 del d.l.vo n. 154 del 2013 -, è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale “ratio” protettiva, che tutela l’interesse dei figli a permanere nell’ambito domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione.

Cass. civ. n. 1744/2018

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge (o al convivente) affidatario di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa) è opponibile - nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto - anche al terzo acquirente dell'immobile solo finché perduri l'efficacia della pronuncia giudiziale, sicché l'insussistenza del diritto personale di godimento sul bene - di regola, perché la prole sia stata "ab origine", o successivamente divenuta, maggiorenne ed economicamente autosufficiente o versi in colpa per il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica - legittima il terzo acquirente a proporre un'ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell'occupante al pagamento di una indennità di occupazione illegittima.

Cass. civ. n. 772/2018

Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, immediatamente trascritto, sia in ipotesi di separazione dei coniugi che di divorzio, è opponibile al terzo successivo acquirente del bene, atteggiandosi a vincolo di destinazione, estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all'interesse superiore dei figli a conservare il proprio "habitat" domestico. Ne deriva che il diritto di abitazione non può ritenersi venuto meno per effetto della morte del coniuge, trattandosi di diritto di godimento "sui generis", suscettibile di estinguersi soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno giustificato il relativo provvedimento o a seguito dell'accertamento delle circostanze di cui all'art. 337 sexies c.c., legittimanti una sua revoca giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito, che aveva rigettato la domanda di rilascio della casa familiare, avanzata nei confronti del coniuge assegnatario da un terzo, il quale, avendo acquistato l'intero immobile dopo il provvedimento di assegnazione, sosteneva il travolgimento di quest'ultimo in virtù del sopravvenuto decesso dell'altro coniuge, suo dante causa).

Cass. civ. n. 7007/2017

Il coniuge, già comodatario della casa familiare ed assegnatario della stessa in forza di provvedimento giudiziale adottato nell’ambito di procedura di separazione personale, può opporre il proprio titolo – ma solo entro il limite del novennio decorrente dalla sua adozione – al terzo acquirente il medesimo bene, ancorché la trascrizione del titolo di acquisto di quest'ultimo sia anteriore a quella del menzionato provvedimento giudiziale.

Cass. civ. n. 19347/2016

In tema di separazione personale, l'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155 quater c.c. è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'art. 156 c.c., dovendo quest'ultimo essere inteso a consentire una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.

Cass. civ. n. 17843/2016

L'assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 quater c.c., ovvero in forza della legge sul divorzio, non può essere considerata in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora l'immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell'esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario e, diversamente, si realizzerebbe una indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale.

Cass. civ. n. 8202/2016

L'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo ) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato, sicché nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all'uno o all'altro coniuge ovvero venduto a terzi.

Cass. civ. n. 7776/2016

In materia di assegnazione della casa familiare, l'art. 155 quater c.c. (applicabile "ratione temporis"), laddove prevede che "il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'art. 2643" c.c., va interpretato nel senso che entrambi non hanno effetto riguardo al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base ad un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, il quale perciò può far vendere coattivamente l'immobile come libero.

Cass. civ. n. 3331/2016

La qualificazione giuridica di un immobile come "casa familiare", ai sensi dell'art. 155 quater c.c. (applicabile "ratione temporis"), postula, laddove non risulti in modo inequivoco che, prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso da parte del nucleo costituito da genitori e figli, che la destinazione suddetta sia stata impressa dalle parti non solo in astratto (con l'acquisto in comunione), ma anche in concreto, mediante la loro convivenza nell'immobile. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto tale l'immobile acquistato in comproprietà dai genitori, che lì avevano iniziato la convivenza, prima della nascita del figlio, nella prospettiva di farne il luogo ove avrebbero vissuto insieme, ed ha escluso la rilevanza, al fine del mutamento di una siffatta destinazione, del temporaneo allontanamento dall'abitazione per il contrasto tra loro insorto dopo la nascita).

Cass. civ. n. 17971/2015

In ordine alla convivenza di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporti di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, altresì, in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.

Cass. civ. n. 15367/2015

Ai sensi dell'art. 6, comma 6, della l. n. 898 del 1970 (nel testo sostituito dall'art. 11 della l. n. 74 del 1987), il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge (o al convivente) affidatario di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) è opponibile - nei limiti del novennio, ove non trascritto - anche al terzo acquirente dell'immobile, ma solo finché perdura l'efficacia della pronuncia giudiziale, sicché il venire meno del diritto di godimento del bene (nella specie, perché la prole è divenuta maggiorenne ed economicamente autosufficiente) legittima il terzo acquirente dell'immobile, divenutone proprietario, a proporre un'ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna degli occupanti al pagamento della relativa indennità di occupazione illegittima, con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di accertamento.

Cass. civ. n. 15272/2015

In tema di separazione personale, allorché il giudice del merito abbia revocato il diritto di abitazione nella casa coniugale (nella specie, per raggiunta autosufficienza economica del figlio della coppia), la modifica dell'ammontare dell'assegno di mantenimento originariamente disposto a favore del coniuge economicamente più debole, rimasto privo di casa, pur dovendo considerare lo svantaggio economico conseguente, non deve essere, sempre e comunque, direttamente proporzionale al canone di mercato dell'immobile che il coniuge deve lasciare, potendo ipotizzarsi una diversa sistemazione, in abitazione eventualmente più modesta, ancorché decorosa.

Cass. civ. n. 20448/2014

Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all'assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile "per relationem", con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile.

Il coniuge separato, convivente con la prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente ed assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, che opponga alla richiesta di rilascio del comodante l'esistenza di una destinazione dell'immobile a casa familiare, ha l'onere di provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento, mentre spetta a chi invoca la cessazione del comodato dimostrare il sopraggiungere del termine fissato "per relationem" e, dunque, l'avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare.

Cass. civ. n. 8580/2014

In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, ove tale soluzione, esperibile in relazione del lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'"habitat" domestico dei figli minori. Qualora, peraltro, il genitore non collocatario muti residenza, vengono meno i presupposti applicativi di cui all'art. 155 quater cod. civ. e non trova più giustificazione il provvedimento di assegnazione parziaria, che sia fondato, erroneamente, sulla riconducibilità alla casa familiare, in mancanza di riscontri di fatto, della sola porzione occupata dal genitore collocatario e sulla sufficienza, alla luce dell'art. 1022 cod. civ., della titolarità, da parte del genitore non collocatario, della proprietà dell'intero fabbricato.

Cass. civ. n. 21334/2013

Il previgente art. 155 c.c. ed il vigente art. 155 quater c.c. (introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54), facendo riferimento all'"interesse dei figli", subordinano il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale "ratio" protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione.

Cass. civ. n. 18440/2013

In tema di separazione, l'assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma postula l'affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, mentre ogni questione relativa al diritto di proprietà di uno dei coniugi o al diritto di abitazione sull'immobile esula dalla competenza funzionale del giudice della separazione e va proposta con il giudizio di cognizione ordinaria.

Cass. civ. n. 12466/2012

L'assegnazione al coniuge affidatario dei figli, in sede di separazione, del godimento dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro non impedisce al creditore di quest'ultimo di pignorarlo e di determinarne la vendita coattiva.

Cass. civ. n. 4555/2012

La nozione di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di mera ospitalità; deve, pertanto, sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile; quest'ultimo criterio, tuttavia, deve coniugarsi con quello della prevalenza temporale dell'effettiva presenza, in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese).

Cass. civ. n. 1367/2012

In tema di assegnazione della casa familiare, inizialmente disposta - come nella specie - con ordinanza del presidente del tribunale e poi oggetto di revoca, da parte del tribunale, con la sentenza che definisce il processo di separazione personale tra i coniugi, la natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell'art. 155 quater c.c., è tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare e, corrispondentemente, quando esso cessa di esistere per effetto della revoca, determina una situazione simmetrica in capo a chi lo ha perduto, con necessario allontanamento da parte di questi; ne consegue che il provvedimento ovvero la sentenza rispettivamente attributivi o di revoca costituiscono titolo esecutivo, per entrambe le situazioni, anche quando l'ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo all'opposizione, esperita dalla coniuge già assegnataria della casa familiare, al precetto notificatole dall'altro coniuge per il rilascio dell'immobile, sulla base della sola sentenza del tribunale di revoca dell'attribuzione).

Cass. civ. n. 18863/2011

In tema di assegnazione della casa familiare, l'art.155 quater c.c., applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'"habitat" domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione legittima o naturale cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio dei rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del nucleo che coabitano la casa familiare oppure i figli della coppia che, nella persistenza degli obblighi di cui agli artt. 147 e 261 c.c., abbiano cessato di convivere nell'abitazione, già comune, allontanandosene.

Cass. civ. n. 14553/2011

L'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155 quater cod. civ., rispondendo all'esigenza di conservare l'"habitat" domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità e che comunque usassero in via temporanea o saltuaria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di assegnazione della "casa familiare", relativa ad immobile acquistato allo stato di rustico, oggetto di lavori di completamento ed occasionalmente utilizzato dalla famiglia, durante il matrimonio, nel solo periodo estivo).

Cass. civ. n. 9079/2011

L'art. 156, secondo comma, c.c. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno "in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato", mentre l'assegnazione della casa familiare, prevista dall'art. 155 quater c.c., è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'art. 156 c.c.; tuttavia, allorché il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale (nella specie, stante la mancanza di figli della coppia), è necessario che egli valuti, una volta in tal modo modificato l'equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell'assegno di mantenimento originariamente disposto.

Cass. civ. n. 4735/2011

L'assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l'opponibilità è ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell'opponibilità anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario. (Nella specie la Corte ha confermato la pronuncia di merito che, in accoglimento della domanda di divisione, constatata la non comoda divisibilità dell'immobile e l'assenza di domande di assegnazione, aveva disposto la vendita all'incanto, dopo aver accertato l'inopponibilità al terzo, futuro acquirente, del provvedimento di assegnazione, peraltro trascritto successivamente alla domanda di divisione).

Cass. civ. n. 1491/2011

In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione di cui all'art. 155, quarto comma, c.c. (nella formulazione previgente), che attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, ha carattere eccezionale ed é dettata nell'esclusivo interesse della prole; pertanto, detta norma non é applicabile al coniuge, ancorché avente diritto al mantenimento, in assenza di figli affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi, potendo, in tal caso, il giudice procedere all'assegnazione della casa coniugale unicamente nell'ipotesi di comproprietà dell'immobile.

Cass. civ. n. 23591/2010

In tema di separazione, l'assegnazione della casa familiare postula l'affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti; in assenza di tale condizione non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l'eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, se i figli sono affidati all'altro coniuge in quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico.

Cass. civ. n. 26586/2009

In tema di separazione personale dei coniugi, l'art. 155, quarto comma, c.c. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 1 della L. 8 febbraio 2006, n. 54), il quale dispone che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, non detta una regola assoluta che rappresenti una conseguenza automatica del provvedimento di affidamento, ma attribuisce un potere discrezionale al giudice, il quale può pertanto limitare l'assegnazione a quella parte della casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi nella famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalità dell'assegnazione, delle esigenze di vita dell'altro coniuge e delle possibilità di godimento separato e autonomo dell'immobile, anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori.

Cass. civ. n. 24104/2009

Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare una utilità al bene principale e non al proprietario di esso; ne discende che l'assegnazione della casa coniugale deve intendersi estensibile al box, quale pertinenza della cosa principale, qualora questo sia oggettivamente al servizio dell'appartamento, essendo situato sullo stesso palazzo, ed entrambi gli immobili appartengano ad un solo coniuge.

Cass. civ. n. 10104/2009

In tema di separazione personale dei coniugi, il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione "ex lege" del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l'estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne fosse originariamente conduttore; tale estinzione si verifica anche nell'ipotesi in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il contratto di locazione, succedendo in tal caso l'assegnatario nella quota ideale dell'altro coniuge.

Cass. civ. n. 9310/2009

L'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi in sede di divorzio è atto che, quando sia opponibile ai terzi, incide sul valore di mercato dell'immobile; ne consegue che, ove si proceda alla divisione giudiziale del medesimo, di proprietà di entrambi i coniugi, si dovrà tener conto, ai fini della determinazione del prezzo di vendita, dell'esistenza di tale provvedimento di assegnazione, che pregiudica il godimento e l'utilità economica del bene rispetto al terzo acquirente.

Cass. civ. n. 9995/2008

In tema di separazione, e con riferimento al regime vigente in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, l'instaurazione di una relazione more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni non giustifica la revoca dell'assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull'interesse della prole, a meno che la presenza del convivente non risulti nociva o diseducativa per i minori, ed essendo l'assegnazione volta a soddisfare l'interesse di questi ultimi alla conservazione dell'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, interessi e consuetudini nei quali si esprime e si articola la vita familiare. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato il decreto impugnato, con cui era stata revocata l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, avendo lo stesso intrapreso una convivenza more uxorio in quella medesima casa, divenuta pertanto un centro di riferimento degli affari imprenditoriali del convivente).

Cass. civ. n. 24321/2007

In ragione della opponibilità al terzo - ancorché non trascritta - dell'assegnazione della casa familiare disposta in favore dell'altro coniuge in occasione della separazione, sia giudiziale che consensuale, o in sede di divorzio, la clausola della separazione consensuale istitutiva dell'impegno futuro di vendita dell'immobile adibito a casa coniugale, in quanto tale assegnata (in quella medesima sede) al coniuge affidatario del figlio minorenne, non è inscindibile rispetto alla pattuizione relativa all'assegnazione di detta abitazione, ma si configura come del tutto autonoma rispetto al regolamento concordato dai coniugi in ordine alla stessa assegnazione, riguardando un profilo compatibile con detta assegnazione in quanto sostanzialmente non lesivo della rispondenza di detta assegnazione all'interesse del figlio minorenne tutelato attraverso tale istituto; pertanto, detta pattuizione non è modificabile nelle forme e secondo la procedura di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c.

Cass. civ. n. 16398/2007

In materia di separazione e divorzio, il disposto dell'art. 155 quater c.c., come introdotto dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54, facendo riferimento all'«interesse dei figli» conferma che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante, ne consegue che il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito, il quale, in assenza di figli, ha negato che si potesse disporre in ordine all'assegnazione della casa coniugale, ed ha rinviato alle norme sulla comunione ed al relativo regime per l'uso e la divisione, essendo detta abitazione di proprietà comune di entrambi i coniugi).

Cass. civ. n. 6979/2007

Il previgente art. 155 c.c. ed il vigente art. 155 quater c.c. in tema di separazione e l'art. 6 della legge sul divorzio subordinano il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente conviventi con i coniugi ; in assenza di tale presupposto, sia la casa in comproprietà o appartenga a un solo coniuge, il giudice non potrà adottare, con la sentenza di separazione, un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non essendo la medesima neppure prevista dall'art. 156 c.c. in sostituzione o quale componente dell'assegno di mantenimento. In mancanza di norme ad hoc, la casa familiare in comproprietà resta soggetta alle norme sulla comunione, al cui regime dovrà farsi riferimento per l'uso e la divisione.

Cass. civ. n. 6192/2007

In tema di imposta comunale sugli immobili, il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell'immobile di proprietà (anche in parte) dell'altro coniuge non è soggetto passivo dell'imposta per la quota dell'immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall'art. 3 del D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 504. Con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa comunale in sede di separazione personale o di divorzio, infatti, viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, sicché in capo al coniuge non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l'unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell'imposta in parola sull'immobile. Né in proposito rileva il disposto dell'art. 218 c.c., secondo il quale «Il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario» in quanto la norma, dettata in tema di regime di separazione dei beni dei coniugi, va intesa solo come previsione integrativa del precedente art. 217 (Amministrazione e godimento dei beni), di guisa che la complessiva regolamentazione recata dalle disposizioni dei due articoli è inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene del coniuge da parte dell'altro coniuge sia fondato da un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell'ipotesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatario dei figli minori della casa di abitazione di proprietà dell'altro coniuge, atteso che il potere del primo non deriva né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell'altro coniuge), di cui si occupa l'art. 218.

Cass. civ. n. 4188/2006

Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi dell'art. 155, comma quarto, c.c., in tema di separazione, e 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), in tema di divorzio, deve escludersi qualsiasi obbligo di pagamento di un canone di locazione da parte dell'assegnatario per il godimento della stessa, poiché qualunque forma di corrispettivo snaturerebbe la funzione dell'istituto di cui si tratta, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed inciderebbe direttamente sull'assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio.

Cass. civ. n. 1545/2006

In materia di separazione o divorzio, l'assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente degli assegni rispettivamente previsti dall'art. 156 c.c. e dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente i predetti assegni. Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti: diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare.

Cass. civ. n. 1198/2006

Al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, nella quale questi abiti con un figlio maggiorenne, occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita, ed inoltre che il figlio convivente versi, senza colpa, in condizione di non autosufficienza economica.

Cass. civ. n. 18476/2005

In tema di separazione personale, l'assegnazione della casa coniugale esonera l'assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo (o, in parte qua del comproprietario) dell'immobile assegnato, onde, qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi l'abitazione di proprietà dell'altro, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione medesima (per la quale, appunto, non deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a detto uso (ivi comprese quelle, del genere delle spese condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare), onde simili spese – in mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l'onere al coniuge proprietario – sono a carico del coniuge assegnatario.

Cass. civ. n. 13664/2003

Il provvedimento di rilascio della casa familiare emanato nei confronti del coniuge, proprietario esclusivo dell'immobile, non può essere fatto utilmente valere nei confronti del terzo che si trovi nel godimento dell'immobile in forza di un titolo che gli assicuri un possesso autonomo incompatibile con la pretesa fatta valere in via esecutiva, e ciò sin quando il coniuge assegnatario procedente non si sia munito di un titolo esecutivo valido nei confronti del terzo, che cessi così di essere tale.

Cass. civ. n. 12705/2003

Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma quarto, c.c. – in tema di separazione personale –, e 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) – in tema di divorzio –, il terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento di assegnazione è tenuto, negli stessi limiti di durata (nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero, nel caso di trascrizione, anche oltre i nove anni) nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell'assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli. Ne consegue che è escluso qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento, atteso che ogni forma di corrispettivo verrebbe a snaturare la funzione stessa dell'istituto, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed inciderebbe direttamente sull'assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio.

Cass. civ. n. 13065/2002

L'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155, quarto comma, c.c. risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che l'istituto di cui si tratta presuppone indefettibilmente la persistenza, al momento della separazione dei coniugi, di una casa coniugale nell'accezione sopra chiarita. Pertanto, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già irrimediabilmente sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia, non v'è luogo per l'applicazione dell'istituto in questione.

Cass. civ. n. 11096/2002

Ai sensi dell'art. 6, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni.

Cass. civ. n. 9071/2002

La disposizione dell'art. 6 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987 (dettata in materia di divorzio, ma applicabile anche alla separazione personale dei coniugi), ferma restando la tutela dell'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico nel quale sono cresciuti, prevede, come presupposto necessario ai fini dell'assegnazione della casa coniugale, la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, tale disposizione, tuttavia, non impone l'assegnazione al coniuge economicamente più debole (che non vanti sulla stessa diritti reali o di godimento), neanche se a lui siano affidati figli minori o con lui convivano figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, qualora l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela di quello più debole possano essere perseguiti altrimenti (la S.C. ha così cassato la sentenza che aveva sostenuto la decisione unicamente sulla «necessità» di garantire l'esigenza del figlio maggiorenne, incolpevolmente non autosufficiente, a permanere nell'abitazione originaria, insieme con il padre non proprietario della casa).

Cass. civ. n. 5857/2002

In tema di separazione personale tra coniugi, l'art. 155, comma 4, c.c. consente al giudice di assegnare l'abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, solo se a lui risultino affidati i figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. La nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all'assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull'obbligo di mantenimento.

Cass. civ. n. 4558/2000

In ipotesi di separazione personale dei coniugi, l'assegnazione della casa familiare, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, spetta di preferenza e ove possibile (perciò non necessariamente) al coniuge cui vengano affidati i figli medesimi, mentre, in assenza di figli, può essere utilizzata come strumento per realizzare (in tutto o in parte) il diritto al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri; nel primo caso, trattandosi di provvedimento da adottare nel preminente interesse della prole, il giudice può provvedere alla suddetta assegnazione anche in mancanza di una specifica domanda di parte, mentre, nel secondo caso, trattandosi di questione concernente il regolamento dei rapporti patrimoniali tra coniugi, la suddetta assegnazione presuppone un'apposita domanda del coniuge richiedente il mantenimento, onde non è configurabile in ogni caso un dovere (e un potere) del giudice di identificare ed assegnare comunque la casa familiare anche in assenza di qualsivoglia istanza in tal senso.

Cass. civ. n. 822/1998

Nell'ipotesi in cui la casa coniugale appartenga in comproprietà ad entrambi i coniugi, manchino figli minori o figli maggiorenni conviventi con uno dei genitori, ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, l'esercizio del potere discrezionale del giudice della separazione non può trovare altra giustificazione se non quella che, in presenza di una sostanziale parità di diritti, può essere favorito il solo coniuge che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio. Ne consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice della separazione dovrà respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo della casa stessa, lasciandone la disciplina agli accordi tra comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi di chiedere la divisione dell'immobile dopo lo scioglimento della comunione familiare che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione.

Cass. civ. n. 8317/1997

In tema di provvedimenti temporanei ed urgenti, l'ordinanza del presidente del tribunale o del giudice istruttore in un processo di separazione personale tra coniugi attributiva, ad uno di essi, del diritto di abitare la casa familiare deve ritenersi soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve (a mezzo del competente ufficiale giudiziario), ovvero alla normale procedura di esecuzione forzata, con la conseguenza che, nella prima ipotesi, giudice competente per l'esecuzione sarà quello che ha emesso il provvedimento (ovvero quello competente per il merito, se risulti iniziato il relativo giudizio), mentre, nella seconda, la competenza si radica in capo al giudice dell'esecuzione, secondo le regole ordinarie.

Cass. civ. n. 7680/1997

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa, ai terzi entro il novennio ai sensi dell'art. 1599 c.c. ovvero anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto. (V. Corte cost. n. 454 del 1989).

Cass. civ. n. 4061/1997

La decisione di attribuire la casa coniugale al coniuge che ne sia soltanto comproprietario, adottata nel corso del giudizio di separazione, ove non sia riconducibile al disposto dell'art. 155 c.c., deve intendersi adottata sul presupposto che il beneficiario abbia diritto al mantenimento, in quanto la prole vive in una città diversa da quella ove è ubicata la precedente casa familiare. Ne consegue che, ove difetti il diritto al mantenimento deve riconoscersi, nello stesso giudizio di separazione la possibilità di chiedere all'altro coniuge un corrispettivo adeguato al beneficio economico che ha ricevuto senza alcun titolo giustificativo.

Cass. civ. n. 9909/1996

L'art. 155, quarto comma, c.c., nel disporre che l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza, e ove possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, non vieta l'assegnazione della casa al coniuge che sia affidatario di uno solo dei figli, ma esclude soltanto che il coniuge non affidatario possa pretenderne l'assegnazione quando tutti i figli sono stati affidati all'altro coniuge. Pertanto, nel caso in cui entrambi i coniugi siano affidatari di figli, non potendo essere soddisfatto contemporaneamente l'interesse dei medesimi a rimanere nella casa coniugale, non può ritenersi inibito al giudice di procedere all'assegnazione della stessa, comportando tale situazione soltanto che debbano essere utilizzati altri criteri diversi da quello dell'«affidamento», insuscettibile di offrire adeguato parametro risolutore.

Cass. civ. n. 8058/1996

La norma di cui all'art. 155, quarto comma, c.c. – secondo cui in caso di separazione l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile al coniuge cui vengono affidati i figli – non è applicabile, neppure in via estensiva, all'ipotesi di separazione di coniugi con i quali conviva il figlio nato da un precedente matrimonio di uno di essi e non legato, quindi, da alcun vincolo di filiazione con l'altro coniuge.

Cass. civ. n. 12083/1995

In tema di separazione personale dei coniugi, la norma di cui all'art. 155, comma 4, c.c. prevede che l'assegnazione della casa familiare sia disposta «ove possibile» di preferenza al coniuge affidatario dei figli e quindi, lungi dal porre una regola assoluta che rappresenti una automatica conseguenza del provvedimenti di affidamento, esige una valutazione della necessità, o anche della semplice opportunità, di imporre al coniuge titolare del diritto reale o personale di godimento dell'immobile il sacrificio della sua situazione soggettiva per soddisfare l'interesse del figlio minore (o maggiorenne non autosufficiente) alla conservazione dell'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, interessi o consuetudini nei quali si esprime e si articola la vita familiare.

Cass. civ. n. 7865/1994

A seguito della disposizione innovativa introdotta dall'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) – secondo cui l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età, fermo restando che in ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole – applicabile anche alla separazione nonostante la dizione più restrittiva dell'art. 155, comma 4, c.c., l'assegnazione della casa coniugale va configurata non soltanto come strumento di protezione della prole, ma come mezzo atto a garantire anche il conseguimento di altre finalità, quali l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela del coniuge più debole, con la conseguenza che l'attribuzione del diritto di abitazione nella casa familiare costituisce un provvedimento di contenuto economico avente funzione alternativa o sussidiaria rispetto alla determinazione dell'assegno. Pertanto, la restituzione della casa familiare da parte dell'assegnatario all'altro coniuge, rappresentando una utilità economicamente valutabile in misura pari al risparmio occorrente per godere dell'immobile a titolo di locazione, giustifica un aumento dell'assegno di divorzio o di mantenimento dovuto dal beneficiario della restituzione al coniuge rinunciante.

Cass. civ. n. 11508/1993

Il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprietà o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di separazione o divorzio, ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale, essendo i modi di costituzione di questi ultimi tassativamente ed espressamente previsti dalla legge, e non rientrando tra essi un provvedimento del genere.

Cass. civ. n. 5793/1993

Allorquando uno dei coniugi, in sede di separazione o di divorzio, invochi il provvedimento di assegnazione della casa familiare, e l'altro contesti tale qualità all'immobile, ovvero al complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare, spetta a chi chiede il predetto provvedimento dimostrare la sussistenza della contestata qualità; in difetto, al giudice è inibita l'applicazione delle speciali norme che disciplinano l'abitazione della casa familiare in caso di separazione o di divorzio, restando il rapporto assoggettato alla disciplina relativa ai diritti reali o personali di godimento degli immobili a seconda di quanto risulti dal titolo.

Cass. civ. n. 4108/1993

In tema di provvedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi, l'art. 155, quarto comma c.c. – nel testo introdotto dall'art. 36 della L. 19 maggio 1975, n. 151 – secondo cui l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al coniuge affidatario di prole minore, anche nel caso in cui la proprietà sia dell'altro coniuge, non esclude che analogo sacrificio dell'interesse del coniuge proprietario possa essere disposto, in estensiva applicazione di quanto al riguardo previsto, con riferimento al divorzio, dall'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74, anche nel caso in cui non vi sia luogo alla detta pronunzia di affidamento, per essere i figli maggiorenni, ma si debba, nondimeno, in relazione alle specifiche circostanze – il cui apprezzamento va condotto con rigore proporzionalmente crescente per effetto dell'aumento dell'età e, comunque, presuppone la incolpevole mancanza di autosufficienza economica o anche soltanto psicofisica, da parte dei figli stessi – assicurare a questi ultimi la continuità dell'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si articola la vita della famiglia, con la convivenza con il genitore non proprietario della casa.

Cass. civ. n. 1258/1993

L'opponibilità, nei confronti del terzo titolare del diritto di proprietà, del provvedimento di assegnazione della casa al coniuge divorziato o separato, secondo le previsioni, rispettivamente, dell'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74 (modificativo dell'art. 6 della L. 1 dicembre 1970, n. 898), e dell'art. 155 c.c., nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989 (e della successiva ordinanza della medesima Corte n. 20 del 1990), riguarda le ipotesi in cui detta titolarità sia stata acquisita dopo l'indicato provvedimento, mentre, nel caso in cui l'acquisto della proprietà stessa sia anteriore, il relativo diritto non può essere pregiudicato dall'assegnazione (salva restando la previsione dell'art. 6 della L. 27 luglio 1978, n. 392 sul subingresso nel rapporto di locazione del coniuge assegnatario).

Cass. civ. n. 6348/1991

Il provvedimento emesso dal presidente del tribunale in sede di separazione personale dei coniugi di assegnazione della casa coniugale ad uno di essi – ancorché di proprietà esclusiva dell'altro - conferisce al coniuge assegnatario un diritto personale di abitazione con tutte le facoltà ad esso inerenti con la conseguenza che lo stesso assegnatario può legittimamente provvedere al cambiamento della serratura della porta d'ingresso della detta abitazione senza che ciò possa configurare spoglio, risultando interdetto il godimento del coniuge non assegnatario quale debito e valutato effetto del provvedimento presidenziale di attribuzione del diritto di abitazione all'altro coniuge.

Cass. civ. n. 11787/1990

Il potere del giudice della separazione di assegnare l'abitazione della casa familiare, in deroga al normale regime privatistico, al coniuge affidatario dei figli minori (art. 155 quarto comma c.c., nel testo fissato dall'art. 36 della L. 19 maggio 1975, n. 151) include la facoltà di attribuire alcuni soltanto dei locali di detta casa, quando essi abbiano ampiezza sufficiente per soddisfare le esigenze di detti figli e del genitore cui sono affidati, ed altresì abbiano caratteristiche strutturali e funzionali tali da consentirne il distacco come autonoma unità abitativa, con modesti accorgimenti o piccoli lavori, senza opere edili di trasformazione (nella specie, trattandosi del piano di un villino, che poteva con facilità essere reso indipendente dal resto della costruzione).

Cass. civ. n. 1501/1989

In tema di separazione personale, l'art. 155, quarto comma (nuovo testo) c.c., secondo cui l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza al coniuge affidatario dei figli, conferisce al giudice del merito, anche in sede di modificazione delle originarie condizioni della separazione, il potere di assegnare detta casa all'affidatario medesimo, pure se privo di diritti su di essa, ove ciò si renda indispensabile o comunque opportuno per assicurare adeguate condizioni di vita e formazione della prole minore.

Cass. civ. n. 878/1986

In tema di separazione personale dei coniugi, il godimento della casa familiare, oggetto di proprietà comune, può essere assegnato dal giudice della separazione anche al coniuge che non sia affidatario di figli minori (e quindi all'infuori del caso contemplato dall'art. 155 quarto comma, c.c.), qualora tale assegnazione trovi giustificazione in sede di regolamentazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi medesimi, nel senso che configuri una componente in natura dell'obbligo di mantenimento dell'uno in favore dell'altro).

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Consulenze legali
relative all'articolo 337 sexies Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
lunedì 21/10/2024
“Avendo usufrutto vitalizio pari a 10/100 su abitazione del figlio intendo chiedere l'affitto
avendo l'usufrutto il figlio ha la piena proprietà al 90% e nuda proprietà per il 10%

Il figlio e moglie hanno fatto separazione consensuale con assegnazione della casa coniugale alla moglie, essendoci un minore

Chiedo la procedura per la richiesta di affitto

Per richiesta di affitto, intendo richiedere una somma, per la mia parte di usufrutto, sulla casa che sarà assegnata come casa coniugale.
(devo aspettare che la separazione sia stata convalidata dal giudice?)
e a quale riferimento di legge devo fare riferimento.
Posso procedere in autonomia o deve essere un legale?

La pratica risulta
AVANTI IL TRIBUNALE DI XXX
RICORSO CONGIUNTO PER LA SEPARAZIONE DEI CONIUGI
E PER LA CESSAZIONE DEGLU EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO
EX ART. 473 BIS 49 E 51 C. P. C.

Distinti saluti”
Consulenza legale i 29/10/2024
Non si può “richiedere l’affitto”, o meglio - se abbiamo interpretato correttamente la domanda (non chiarissima) - non si può pretendere un canone, un corrispettivo per il godimento dell’immobile assegnato in quanto casa familiare.
Nella separazione dei coniugi, l’assegnazione dell’immobile destinato ad abitazione della famiglia risponde all’esigenza di tutelare i figli, che altrimenti si vedrebbero privati dell’ambiente in cui fino a quel momento hanno vissuto; tanto è vero che, per essere assegnato, l’immobile deve essere effettivamente utilizzato come casa familiare.
Inoltre, la casa familiare può essere assegnata al genitore “collocatario” dei figli anche se di proprietà di un terzo.
In altri termini, più semplici: è possibile che i suoceri, ad esempio, concedano l'uso di una casa di loro proprietà; in caso di separazione, quella casa - che è stata data in comodato proprio perché ci vivesse il nucleo familiare - potrà essere assegnata, poniamo, alla nuora cui sono affidati o con cui sono conviventi i figli (si veda ad es. Cass., Sezioni Unite, 20448/2014).
Nel nostro caso, peraltro, l’immobile è di proprietà del coniuge non assegnatario, alla cui madre spetta solo una quota di usufrutto.
La richiesta di una somma di denaro a fronte dell’assegnazione della casa alla madre del bambino non avrebbe, in ogni caso, alcun fondamento.

R. A. M. chiede
giovedì 19/09/2024
“Come dimostrare che l'assegnatario della casa a seguito separazione non abiti stabilmente nella casa familiare?
E dopo quanto tempo dall'assegnazione? La procedura da seguire?
La casa è stata assegnata a fine luglio, ma l assegnataria è ancora in casa dei genitori con il minore”
Consulenza legale i 26/09/2024
In tema di assegnazione della casa familiare, l’art. 337-sexies c.c. stabilisce, tra le altre previsioni, che “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.
Ciò premesso, la medesima norma afferma, innanzitutto, che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”: ed è proprio l’interesse dei figli, minori o comunque non autosufficienti, a dover orientare le scelte del giudice in questa delicata materia. Ciò vale, pertanto, anche ai fini dell’eventuale revoca dell’assegnazione.
Ne deriva che il giudice, chiamato a decidere su una richiesta di revoca, dovrà valutare non solo il venir meno di una permanenza stabile nell’immobile, ma anche che ciò corrisponda effettivamente all’interesse della prole: si veda in proposito Cass. Civ., Sez. I, sentenza 10/05/2013, n. 11218, secondo cui “in tema di separazione personale tra i coniugi, colui che agisca per la revoca dell'assegnazione della casa familiare ha l'onere di provare in modo inequivoco il venir meno dell'esigenza abitativa con carattere di stabilità, cioè di irreversibilità (nella specie la madre affidataria utilizzava l'abitazione familiare solo per il periodo estivo), prova che deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l'assegnatario; inoltre il giudice deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole”.
Quindi la prova della sopravvenuta inesistenza dei requisiti per l’assegnazione deve essere fornita da chi chiede la revoca (l’altro coniuge); trattasi inoltre, come si è visto, di prova alquanto rigorosa.
Quanto ai mezzi di prova in concreto utilizzabili, vanno valutati caso per caso, in accordo col proprio legale.
Ad ogni modo, nella vicenda descritta nel quesito, considerato il breve periodo di tempo trascorso dal provvedimento di assegnazione, sembra prematuro parlare di revoca dell'assegnazione della casa familiare.

L. M. chiede
mercoledì 10/04/2024
“Buongiorno.
Caso di separazione consensuale. Parto con la domanda poi in coda le metto le nostre condizioni economiche lavorative.
Mio figlio rimane con me quindi la casa (di proprietà 50 % tra me e mio marito) per il momento sarà a uso mio e di mio figlio. Su questo punto siamo d'accordo. Ma mio figlio è maggiorenne e lavora, la legge mi tutela per la casa o mio marito può cambiare idea e fare altro?
Il mutuo sulla casa di famiglia è condiviso, ma da diversi anni l'ha pagato lui perché io pagavo altre spese.
Io essendo una donna lavoratrice con un discreto stipendio non ho diritto a niente?la domanda principale è Mio figlio 20 anni è assunto a tempo determinato di 1 anno inizia il 15 p.v. e percepirà uno stipendio di 1600 euro lordi al mese. Lavorerà in smart working quindi wifi luce e gas li pago io.
Comunque risulta indipendente. Quindi mio marito non dovrebbe dare nessun mantenimento neanche a lui.?
Non è che posso chiedere a mio figlio di pagare le spese con uno stipendio che netto sarà 1200. Se mi dà 300 euro di contributo mi sembra già educativo.
Del resto non capisco come si possa considerarlo completamente indipendente quando a XXX un affitto di un mono locale costa minimo 700 euro.
Quindi la domanda è se a parte l'uso dell'abitazione mio marito non è tenuto per legge a concedermi un "mantenimento" né per me né per mio figlio in quanto maggiorenne e lavoratore.

I ns dati
sono una donna lavoratrice impiegata da 16 anni nella stessa ditta e percepisco 47k lordi annuali (da quest'anno prima era 40k). Mio marito da 12 anni nella stessa ditta ne percepisce circa 65/70k.
Abbiamo una casa al 50 percento a XXX (Valore commerciale 300/350k mutuo 40k). Io ho anche una casa in montagna con mutuo di 45k che ho messo in vendita a 65k perché in vista della separazione non riuscirei a mantenere due case figlio e gatto. E' una casa che abbiamo preso 10 anni fa per la famiglia, intestata a me, visto che lui ha già altre proprietà, di cui io ho pagato le spese e tutti e due abbiamo usufruito della casa, come giusto essendo una casa di famiglia. Inoltre dalla morte di mio papà ho il 12% ( 20k) di un'altra casa a XXX.
Mio marito ha una casa vicino a YYY (90k) vicino al lavoro comperata un paio di anni fa e ci sta due volte la settimana x riposarsi ( e io sono sempre stata contraria a questa cosa, sta convivenza part time) È proprietario al 50 % della casa a ZZZ dove vive sua madre (la sua parte varrà 250/300k) e del 50% casa al mare (sua parte 80k).
Attualmente quando è a casa nostra da mesi dormiamo in camere separate.
Spero di aver dato un quadro chiaro. Saluti grazie”
Consulenza legale i 18/04/2024
I diversi quesiti proposti richiedono una risposta articolata ma sono, comunque, tra loro collegati.
Procediamo con ordine.
In primo luogo, è doveroso fare un’osservazione. Nella richiesta di consulenza si parla di “separazione consensuale”. Ora, come probabilmente sa chi pone il quesito, in questo tipo di separazione i coniugi stabiliscono di comune accordo le diverse condizioni di separazione: il controllo dell’autorità giudiziaria si limita, infatti, alla conformità all’interesse dei figli degli accordi tra coniugi. Pertanto nulla vieta, ad esempio, che con la separazione consensuale si attribuisca alla moglie un assegno di mantenimento anche quando non vi avrebbe teoricamente diritto.
Ad ogni modo, ci si chiede di chiarire quali siano i presupposti, da un lato, per l’assegnazione della casa familiare in presenza di figli maggiorenni e, dall’altro, per la corresponsione di un assegno di mantenimento in favore sia dei figli che, eventualmente, della moglie.

Ora, in materia di assegnazione della casa familiare - così come per ogni altra decisione adottata in caso di crisi della coppia genitoriale con figli - il criterio cui fare riferimento è quello, espressamente definito prioritario dalla legge, dell’interesse dei figli stessi.
Come ha ribadito più volte la Cassazione, infatti, “l'assegnazione della casa familiare, in caso di divorzio o separazione, è prevista a tutela dell'interesse prioritario dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, e conviventi con uno dei genitori, a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, in modo tale da garantire la conservazione delle loro abitudini di vita e delle relazioni sociali radicatesi in tale ambiente” (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 24/06/2022, n. 20452; conforme Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 20/11/2023, n. 32151).
Quindi, se il figlio o la figlia maggiorenne è, o diventa, autosufficiente, viene meno anche la ragione per assegnare la casa familiare al genitore con cui convive.
Naturalmente, nel caso in cui l’indipendenza economica venga raggiunta in un momento successivo, l’altro genitore non potrà automaticamente e di propria iniziativa riprendersi la ex casa coniugale, ma occorrerà comunque un provvedimento del giudice che valuti i presupposti per la revoca.

Ma quando si può dire che il figlio maggiorenne è autosufficiente?
In realtà non è possibile rispondere a questa domanda in termini generali; infatti, come ha chiarito sempre la Cassazione (si veda la recente Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 10/01/2023, n. 358), “ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni”.
Ciò consente di rispondere sia alla domanda sull’assegnazione dell’abitazione sia a quella riguardante il mantenimento del figlio.

Quanto alla eventuale spettanza di un assegno mensile per la moglie, la norma di riferimento è l’art. 156 del c.c., secondo cui il coniuge separato ha diritto al mantenimento solo se:
  • non deve essergli o esserle addebitata la separazione;
  • non dispone di “adeguati redditi propri”.
Ma quali sono questi “adeguati redditi propri”, tali da escludere il diritto al mantenimento del coniuge?
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, si tratta dei redditi “necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”: così anche la recente Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 01/03/2023, n. 6176.
Pertanto, anche in questo caso si tratta di una valutazione che va fatta caso per caso e che, soprattutto, spetta al giudice: ogni eventuale previsione formulata in questa sede, infatti, potrebbe non essere accolta in un eventuale giudizio contenzioso, qualora la separazione consensuale non andasse in porto.

M. P. chiede
martedì 23/01/2024
“Buonasera, sono coniugato dal 2020, ma convivo con la mia attuale moglie dal 2013, in regime di separazione dei beni.
Con mia moglie ho due figlie rispettivamente di 2 e 5 anni; con noi convivono altre due figlie di 15 e 17 anni che ho avuto da un precedente matrimonio e che dal 2017 sono state collocate a me.
La casa familiare è stata acquistata e pagata da me nel 2022 € 240.00 ma intestata a mia moglie per usufruire del bonus under 36 e risparmiare così delle imposte; sull'abitazione ho fatto una ristrutturazione costata € 170.000
Io sono solo proprietario di un mini appartamento contiguo all abitazione dove viviamo pagato € 40.000.
Da un punto di vista lavorativo, sono socio con mia moglie di una srl (60% io, 40% lei) che sta avviando un attività di e-commerce nel settore cosmetici.
Mia moglie ha 36 anni, non lavora, è casalinga, ma laureata in lettere ed in possesso di abilitazione ad esercitare l' attività di estetista.
Il mio reddito imponibile negli ultimi tre anni è stato di € 15.000 nel 2020, € 9.000 nel 2021 ed € 0 nel 2022.
Il mio ISEE 2024 è di € 22.000, quello 2023 di € 16.000, quello 2022 di € 21.000.
Mia moglie, unilateralmente ha chiesto la separazione giudiziale e siamo in attesa che sia fissata la prima udienza.
Io non sono assolutamente d'accordo con lei sulla decisione di separarci, ma ovviamente non posso evitare che succeda.
Chiedo:
-vivendo anch'io nell abitazione familiare insieme ad altre due figlie minori collocate a me dal Tribunale e non avendo altra idonea abitazione per tutti e tre, ne risorse finanziarie per acquistarne, o locarne un'altra, sarò costretto ugualmente a lasciare la casa familiare con le mie due figlie ?
-a Vs parere, tenendo conto della mia situazione finanziaria e patrimoniale, quanto dovrei versare a mia moglie come contributo al mantenimento delle nostre due figlie piccole, che logicamente continueranno a vivere con lei ?”
Consulenza legale i 26/01/2024
Occorre sempre tenere presente che, in tema di assegnazione della casa familiare, così come in qualsiasi altro ambito che riguardi i figli coinvolti in una separazione, il principio che deve guidare il giudice è quello dell’interesse dei figli stessi.
Infatti l’art. 337-sexies del codice civile stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”. La finalità della norma è quella di non privare il minore dell’ambiente domestico in cui è cresciuto.
Nel nostro caso, però, vi sono altre due minori che vivono nella stessa casa familiare e che hanno la medesima esigenza.
Facciamo ora il punto. La casa deve essere assegnata a uno dei due genitori; poiché il criterio è quello dell’interesse dei figli minori, l’assegnazione va di pari passo con l’affidamento, o meglio con il collocamento, dei figli (poiché l’affidamento di regola è condiviso, ma nella pratica generalmente i figli convivono con uno dei due genitori).
Se le figlie più piccole, nate dalla coppia che ora si sta separando, venissero affidate al padre, nulla quaestio, cioè nessun problema, come dicono i giuristi: è vero che nella maggior parte dei casi i bambini in tenera età vivono con la madre, ma non è neppure scontato.
Ma cosa succederebbe nel caso in cui il giudice stabilisse - come si teme avvenga - che le minori vivano con la madre?
In questo caso apparirebbe inevitabile assegnare alla madre e alle figlie l’attuale casa familiare. Del resto, il padre potrebbe restare nella casa familiare con le due figlie maggiori, avute dal precedente matrimonio, solo se l’immobile gli venisse assegnato: ma ciò sarebbe in aperto contrasto con il disposto dell’art. 337-sexies sopra citato, salvo verificare che il trasferimento in altra abitazione sia maggiormente rispondente all’interesse delle figlie piccole… Ma ciò appare improbabile.
Sul punto, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 02/10/2007, n. 20688) ha chiarito che “in materia di separazione e divorzio, l'assegnazione della casa coniugale postula che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi, a prescindere dal titolo di proprietà dell'abitazione; ne consegue che deve escludersi il diritto all'assegnazione al coniuge convivente con un figlio minore che non sia figlio anche dell'altro coniuge”.
Chiaramente non è possibile, in questa sede, fare previsioni su quella che sarà la decisione del Tribunale; proprio per questo, però, si consiglia di cercare comunque un accordo con la controparte, anche se la moglie ha chiesto la separazione giudiziale, poiché quest’ultima può essere trasformata in consensuale: anzi i giudici vedono decisamente di buon occhio gli accordi tra i coniugi.


Inoltre, almeno in astratto sono ipotizzabili delle soluzioni. Ad esempio, nel quesito non viene specificato se la casa familiare sia un appartamento abbastanza grande, o un’abitazione indipendente. Ora, se l’immobile è comodamente divisibile, la casa familiare può essere assegnata solo parzialmente, purché ciò corrisponda all’interesse dei figli. Si veda in proposito la recente Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 08/08/2023, n. 24106: “La soluzione di assegnare al genitore affidatario o domiciliatario della prole soltanto una porzione di una unità immobiliare più ampia, agevolmente frazionabile o già di fatto frazionata, può essere assunta di comune accordo dai genitori, i quali si fanno così interpreti dell'interesse del minore, il che costituisce atto di esercizio della responsabilità genitoriale. Escludendo dalla assegnazione una o più unità (abitabili o non abitabili, come ad esempio un garage, un lastrico solare) le parti esprimono altresì la volontà di negare il vincolo pertinenziale tra i beni così distinti e individuano quello che è stato effettivamente l'ambiente domestico utile al minore e che, in ragione di tale utilità, deve continuare ad esserlo. Pertanto, se i genitori concordano che l'assegnazione della casa familiare riguardi soltanto una porzione di immobile circoscritta, nell'ambito di una unità immobiliare più ampia, il giudice della omologazione deve valutare se risponde all'interesse del minore - anche con riferimento alla idoneità concreta del bene a costituire effettivamente un'abitazione - che la casa familiare venga così perimetrata”.
Altra circostanza che potrebbe essere considerata dal giudice è la seguente: nel quesito si riferisce anche che il marito è proprietario di un mini appartamento, contiguo alla casa familiare. Certamente occorrerebbe chiarire quanto questa unità immobiliare sia “mini”, ma anche qui potrebbero prospettarsi delle soluzioni, vista anche la prossimità con la casa familiare.
Infine, non è assolutamente possibile rispondere al secondo quesito, relativo alla quantificazione dell’eventuale assegno di mantenimento in favore delle figlie più piccole. Diciamo “eventuale” non a caso, in quanto negli ultimi anni si è andata affermando la prassi di una collocazione paritetica dei figli presso i genitori, il c.d. affidamento alternato (ad esempio, una settimana con la madre e la successiva con il padre, e così via): in questo caso, valutata la capacità economica dei genitori, è possibile che l’assegno di mantenimento venga “azzerato”, o meglio che ciascun genitore provveda direttamente al mantenimento per il periodo che trascorre con la prole.
Ad ogni modo, proprio per l’impossibilità di prevedere la decisione del giudice riguardo al mantenimento, si consiglia ancora una volta di provare a raggiungere un accordo che possa sfociare in una separazione consensuale.

S. D. chiede
domenica 29/10/2023
“Buonasera, dal 2003 mio padre mi ha concesso la sua casa in comodato gratuito. Casa nella quale sono andato a vivere con la mia famiglia; (moglie e due figlie ). I mie genitori sono andati a vivere in campagna, in una località isolata a diversi chilometri dalla città.
Nel 2012 io e mia moglie ci siamo separati; e in quel frangente abbiamo diviso l'appartamento in due mini appartamenti;
2 camere da letto, bagno e cucina e con l'affidamento congiunto delle figlie (15 gg a testa)
Circa 4 anni fà, i genitori della mia ex moglie sono venuti a mancare per cui lei ha ereditato una villa a circa 50 km dal luogo in cui viviamo, che utilizza per le vacane estive.
Negli ultimi 3 anni i miei genitori anno iniziato ad avere importanti prolemi di salute, problemi al cuore; è stato sottoposto a un' intervento urgente per un principio d'infarto nonchè principi di demenza; alcuni mesi fa la situazione è precipitata;oltre alla demenza sembre più marcata di entrambi i miei genitori; periziata da un esperto geriatra ,
mio padre ha avuto un collasso ricoverato urgentemente in ospedale dal quale è stato dimesso dopo 10 gg.
Da allora vivono con me nel mini appartamento che avevo in comodato gratuito; ma la convivenza è impossibile per mancanza oggettiva di spazio; io dormo in camera con le mie figlie quando sono con me; ma servirebbe anche la stanza per la badante.
Ora il quesito; è possibile fare istanza per riottenere la casa affidata a mia ex moglie in comodato gratuito visto che i miei genitori non sono più in grado di vivere da soli poichè non più autosufficienti e invalidi? Ovviamente la situazione clinica di entrambi i miei genitori è ampiamente documentata.
La mia ex moglie ha un reddito da lavoro dipendente.

Cordiali saluti

Consulenza legale i 10/11/2023
Cercheremo di rispondere al quesito anche se non è stato possibile visionare, come richiesto, il provvedimento (sentenza di separazione giudiziale oppure omologa di separazione consensuale) contenente le determinazioni circa l’assegnazione della casa familiare.
Infatti dal testo del quesito non si comprende se la suddivisione dell’immobile, già adibito a casa coniugale, in due appartamenti più piccoli sia contenuta, ad esempio, negli accordi di una eventuale separazione consensuale; oppure se sia stata pronunciata sentenza di separazione giudiziale e la divisione dell’immobile sia avvenuta con separata pattuizione tra le parti.
Allo stato, dunque, è difficile fornire una risposta concreta (che potremmo comunque dare a seguito dell’esame della documentazione richiesta).
Ciò che possiamo affermare, però, è che, in tema di crisi della coppia genitoriale, ogni conseguente decisione del giudice deve uniformarsi, innanzitutto, al principio della prevalenza dell’interesse della prole.
In particolare, in tema di assegnazione della casa familiare, l'art. 337-sexies del c.c. stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”, salvo poi valutare l'assegnazione nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato anche l'eventuale titolo di proprietà.
Nel nostro caso la situazione è complicata dal fatto che l’immobile è di proprietà del suocero dell’assegnataria.
Rispetto a contesti di questo tipo si è spesso pronunciata la giurisprudenza. Tuttavia, come già anticipato all’inizio, per fornire indicazioni circa la possibilità di modificare, eventualmente, le condizioni di separazione oppure di richiedere la restituzione dell’immobile da parte del proprietario è indispensabile esaminare gli atti e i documenti già menzionati.

Anonima chiede
martedì 21/02/2023 - Marche
“Sono nata in XXX dove ho sempre avuto la residenza. Circa 11 anni fa ho iniziato a convivere in YYY con un ragazzo del luogo e da un anno ho trasferito in questa regione la mia residenza, in rapporto di coppia di fatto (senza alcuna registrazione) e in un appartamento di sua proprietà.
E’ nata una bimba che ha quasi 11 mesi, in rapporto nutrizionale di allattamento con svezzamento iniziato.
Da alcuni mesi le cose col mio compagno non vanno bene e ci siamo separati, io ho trovato un'altra casa temporanea nella quale ho portato con me la bimba con la quale ho un rapporto indivisibile anche per ragioni di allattamento.
Sono un’insegnante di ruolo, con stipendio di inizio carriera, qui non ho amicizie tali da potermi aiutare nell’accudimento della piccola, il mercato immobiliare è molto difficile e il costo della vita molto elevato. Per cui sto pensando di tornare in XXX, dove troverei un più basso costo della vita, ampi supporti da parte dei miei genitori, compresa la disponibilità immobiliare e tenendo con me la collocazione della bimba (per la quale dunque il mio trasferimento sarebbe vantaggioso); pur mantenendo un rapporto bigenitoriale di affidamento congiunto. Il mio compagno però non mi dà il consenso.
Vorrei fare domanda di trasferimento scolastico nella mia regione d’origine (si apriranno a breve i termini), ma temo che, eventualmente ottenutala, non segua un provvedimento giudiziale favorevole al mio trasferimento congiunto con il collocamento della bimba presso di me; per cui dovrei separarmi da lei (per me inaccettabile) prendendo lavoro a considerevole distanza dal YYY. Chiedo:
- A vostro giudizio, sulla base delle argomentazioni illustrate che mi spingono a tornare in XXX quali possibilità ho che il Giudice mi autorizzi il trasferimento con collocazione della bimba a significativa distanza dal padre, indebolendone l’esercizio della paternità?
- Anziché fare domanda di trasferimento scolastico e successivamente attendere l’esito del ricorso giudiziale, già in quest’anno, sarebbe possibile invertire la successione cioè chiedere l’autorizzazione al giudice e differire al prossimo anno la domanda di trasferimento che così farei solo alla luce di un provvedimento autorizzativo sicuro. In tal caso però il Giudice dovrebbe pronunciarsi favorevolmente in riferimento ad un trasferimento lavorativo futuro ed eventuale. E’possibile?
- Quanto costa più o meno un ricorso conflittuale di primo grado?
- In caso di soccombenza c'è rischio che il giudice non compensi e accolli al perdente le spese della controparte vincente?

Grazie per l'attenzione.”
Consulenza legale i 28/02/2023
Va premesso che non è possibile formulare previsioni sulla probabilità (né, tanto meno, in termini di certezza) che un giudice adotti o non adotti un determinato provvedimento.
Di regola, la decisione del giudice dipende da una serie di variabili che sfuggono al controllo del legale, non ultimo il libero apprezzamento. Ad ogni giudizio, infatti, è inevitabilmente connaturato un certo grado di rischio (la cosidetta alea).


Ciò chiarito, possiamo però ricordare che il trasferimento del genitore collocatario non è, in linea di principio, precluso e non è necessariamente valutato in senso negativo in relazione agli interessi del minore.
In proposito si veda Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 01/07/2022, n. 21054, secondo cui “il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge, non perde - per ciò solo - l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, in quanto stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non coercibile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Per modo che, ferma restando la libera scelta del genitore collocatario di trasferire la propria residenza in altro luogo unitamente ai minori, il giudice, ove non sia in discussione l'idoneità del medesimo genitore ad essere affidatario o collocatario dei figli, deve esclusivamente valutare se sia maggiormente funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario”.
Si tratta comunque di una valutazione da effettuarsi caso per caso, in riferimento alle circostanze della singola fattispecie concreta, e "con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale" della prole (art. 337 ter del c.c.).


Per motivi diversi, non è possibile neppure fornire una risposta sul costo della procedura di natura contenziosa, dal momento che ciò dipende da una serie di fattori, quali la complessità della causa, il numero delle attività da compiere, ecc.
Occorre tenere presente che, ai sensi dell’art. 13 della legge prof. forense, comma 5, “il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico; è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale”.


Da ultimo, è certamente possibile che il giudice condanni il soccombente alle spese: tuttavia, per i motivi già esposti all’inizio, non è possibile prevedere in anticipo il contenuto della relativa statuizione.

A. B. chiede
lunedì 12/12/2022 - Friuli-Venezia
“Buonasera, mi sono sposato in comunione dei beni nel 1996 e separato dall'aprile 2018 con due figli minori (nel 2018 di anni 17 e 9) con assegno di 750 euro al mese (200 per la ex, 300 per la figlia 17enne e 250 per il più piccolo). Mutuo sulla casa intestato a me con garante mia moglie e fideiussori i suoceri, (sempre pagato dal sottoscritto per quasi un terzo). Affidamento dei figli congiunto con assegnazione della casa alla moglie la quale dallo stesso anno ha un nuovo compagno che stabilmente vive nella mia abitazione con i miei figli anche (lui mantiene la residenza in altra abitazione), per cui non ho più pagato dal ottobre 2018 il mio 50% di rata di mutuo (400 euro circa perché impossibilitato). Le rate sono state pagate per il 2018 e 2019 dai fideiussori e poi anche loro non hanno più pagato. Sono arrivate le comunicazioni della banca per il mancato pagamento e avviata la procedura di rito. Senza essere avvisato ne dalla banca ne da nessun altro, il mutuo è stato surrogato a maggio 2022 dai suoceri (non so come forse aiutati dal nuovo compagno) ed il conto chiuso a mia insaputa su cui venivano accreditati i soldi del GSE che ora non percepisce più mia "moglie" a cui avevo lasciato anche questo introito.
Mia moglie, pur se invitata dal giudice, non ha mai cercato un lavoro bensì si fa mantenere da me e dal nuovo compagno, mia figlia (con cui non ho più rapporti a seguito di alienazione parentale) ha terminato gli studi e lavora (in nero) da due anni, e da più di un anno vive con il suo ragazzo in altra abitazione pur mantenendo la residenza con la mamma, ma io continuo a pagare sempre tutto non ritardando mai nemmeno un assegno. Io pago le tasse sull'immobile di cui non posso godere in quanto non posso mettere nemmeno il naso dentro su minaccia di denunce, il nuovo compagno di mia "moglie" gode invece della mia casa gratis e si comporta come fosse il padrone. Cosa posso fare per far valere i diritti sul mio 50% dell'immobile? E' possibile chiedere di utilizzare la mia casa nelle giornate di incontro con mio figlio oggi 13enne soprattutto nel weekend (due incontri a settimana dalla fine della scuola sino alle 21:00 e weekend alterni) e nelle vacanze natalizie ed estive? Posso richiedere un affitto al nuovo compagno per la parte del mio 50% di abitazione che lui occupa gratis? La banca che non mi ha avvisato della surroga e della chiusura del conto risponde di qualche cosa? posso presentare una denuncia anche contro l'istituto bancario? Ho eseguito varie proposte a mia "moglie" per la risoluzione del problema dell'immobile quali vendita, affitto, sospensione del mutuo, ero riuscito a far ridurre la rata del mutuo in accordo con la banca, ma lei non ha mia voluto accettare nessuna delle mie proposte tanto che ora sono pure segnalato al CRIF. Cosa posso fare per risolvere il problema visto che lei vuole tutto gratis? i miei risparmi messi per la casa, le mie fatiche, il pagamento delle rate per lei non contano nulla? Tutto è dovuto perché donna e madre. L'abitazione è una villetta di nuova costruzione (anno 2010) più di 200 mq su area di 4 mila metri quadri di terreno di cui io non godo assolutamente nulla. Vogliono fare richiesta di pignoramento del mio 50% di proprietà. Grazie”
Consulenza legale i 03/01/2023
Bisogna tenere presente che, secondo l'art. 337 sexies del c.c., “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”. La norma stabilisce anche che il diritto al godimento della casa familiare viene meno in alcuni casi: tra questi c’è la convivenza more uxorio del coniuge assegnatario.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza del 30/07/2008, n. 308, aveva già chiarito che la norma precedentemente in vigore (ossia l'art. 155 quater del c.c.), comma 1, doveva essere interpretata "nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi ivi indicati (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa è subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore”.
In sostanza, ogni decisione del giudice riguardante l’assegnazione della casa coniugale deve essere adottata sulla base del criterio dell’interesse per i figli minori; ciò vale anche per la richiesta, prospettata nel quesito, di utilizzazione della casa stessa per la frequentazione del minore. Pertanto il coniuge non assegnatario non potrà pretendere di utilizzare l'immobile solo per far valere il suo titolo di proprietà.
Quanto alla possibilità di richiedere dal convivente della ex moglie il pagamento di un canone, o comunque di un corrispettivo per il godimento dell’immobile, la risposta deve essere, anche qui, negativa.
Infatti la giurisprudenza ha affermato espressamente che “l'assegnazione della casa familiare comporta la sottrazione del bene al godimento del proprietario non affidatario della prole, opponibile anche terzi, e limita conseguentemente anche la facoltà del comproprietario di disporre della propria quota. Conseguentemente, il comproprietario non assegnatario non è legittimato a domandare l'indennità di occupazione sine titulo al convivente more uxorio del coniuge assegnatario del bene, fintanto che perdurino le esigenze di detta assegnazione”: così Corte d'Appello Milano, Sez. III, 11/04/2022, n. 1179.
Nel caso oggetto di tale ultima sentenza, in particolare, la moglie era proprietaria per il 50% dell’immobile adibito a casa familiare. Ora, ha precisato la Corte nella motivazione della pronuncia in esame, “l’assegnazione non consente all'ex marito di poter vantare alcun utilizzo dell'immobile, di contro, alla ex coniuge assegnataria il possesso ed il diritto di abitazione o godimento le consentono di disporne come meglio crede e le consentono sicuramente anche di ospitare terze persone. Quindi, è pacifico che le terze persone ospitate presso l'immobile assegnato alla ex moglie non commettono alcun illecito e non occupano certo abusivamente l'immobile, perché lo occupano per volontà del (co)proprietario nonché possessore dello stesso. Non sussistendo alcun abuso da parte dell'ospite dell'immobile assegnato all'ex coniuge, non può sussistere alcun diritto all'indennizzo da parte del comproprietario del bene”.

M. P. chiede
lunedì 14/11/2022 - Veneto
“Buonasera, sono sposato da due anni, due mesi fa ho acquistato la casa familiare intestandola a mia moglie, dalla quale ho avuto due figlie minori. Con noi convivono dal 2017 altre due figlie minori che ho avuto da un precedente matrimonio e che in fase di divorzio dalla precedente moglie sono state collocate a me dal tribunale. Mia moglie ha deciso di chiedere la separazione ed ha espresso l'intenzione di vendere la casa a lei intestata dove vive tutta la famiglia. Chiedo se è possibile che il tribunale obblighi me e le mie due figlie minori avute dal precedente matrimonio e con noi conviventi a lasciare la casa familiare intestata all'attuale moglie, non avendo io altra abitazione di proprietà
Consulenza legale i 21/11/2022
Ai fini della risposta al presente quesito, occorre tenere presente che, in materia di crisi della coppia genitoriale con figli, il criterio fondamentale di cui il giudice deve tenere conto è quello dell’interesse della prole.
In particolare, in tema di assegnazione della casa familiare, l’art. 337 sexies del c.c. stabilisce che il godimento della stessa “è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”.
La giurisprudenza in proposito ha chiarito come occorra “soddisfare l'esigenza di assicurare loro la conservazione dell'"habitat" domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (così ad esempio Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 13/12/2018, n. 32231).
Ad ogni modo, la norma in esame aggiunge che “dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori”, dunque ai fini dell’eventuale assegno di mantenimento.
Occorre poi tenere a mente che, come previsto dal medesimo articolo, il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

Nel nostro caso, la situazione si presenta ancora più delicata proprio per la presenza delle due figlie minori del marito, le quali tuttavia, com’è evidente, sono estranee al rapporto del loro padre con la nuova moglie.
Non è, comunque, scontato che il tribunale in sede di separazione assegni la casa familiare alla moglie, in quanto, come si è visto, la decisione riguardante l’abitazione “segue” necessariamente quella relativa all’affidamento e al collocamento dei figli.

In ogni caso, merita di essere esaminato un ulteriore profilo: infatti, chi pone il quesito afferma di aver acquistato l’immobile (dunque, presumibilmente, con denaro proprio), intestandolo all’attuale moglie.
Occorre però tenere presente che, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, un’operazione di questo tipo rientrerebbe nella c.d. donazione indiretta; si veda in particolare la recentissima Cass. Civ., Sez. VI - 3, ord. 10/05/2022, n. 14740, che richiama espressamente Cass. Civ., Sez. III, ord. 04/10/2018, n. 24160: “l'attività con la quale il marito fornisce il denaro affinchè la moglie divenga con lui comproprietaria di un immobile è riconducibile nell'ambito della donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finchè dura il matrimonio, i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal donante, volti a finanziare lavori nell'immobile, giacché tali conferimenti hanno la stessa causa della donazione indiretta”.
Chiaramente, anche se le pronunce citate fanno riferimento all’intestazione in comproprietà, il principio in esse affermato varrà, a fortiori, per l’intestazione al coniuge dell’intero immobile.
Configurandosi una donazione indiretta, dovrà escludersi che il coniuge donante possa chiedere il rimborso di quanto versato; aggiungiamo comunque che la donazione indiretta, per effetto del combinato disposto degli artt. 809 e 801 del c.c., è soggetta al rimedio della revocazione per ingratitudine. Si tratta di una soluzione riservata ad alcuni casi di comportamenti particolarmente gravi posti in essere dal donatario, quali la commissione di determinati reati, l’essersi reso responsabile di “ingiuria grave verso il donante”, l’aver “dolosamente arrecato grave pregiudizio” al patrimonio del donante o avergli rifiutato indebitamente gli alimenti.
In caso di separazione l’ipotesi che potrebbe assumere più facilmente rilevanza è quella della “ingiuria grave”, dovendo intendersi con tale espressione la “manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento, a prescindere, peraltro, dalla legittimità del comportamento del donatario”: così Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 29/04/2022, n. 13544.

Naturalmente, non conoscendo le circostanze della imminente separazione, abbiamo cercato di dare un quadro per quanto possibile completo degli scenari in astratto prospettabili; fermo restando che si consiglia, in ogni caso, di ricercare, con l'assistenza dei rispettivi legali ed eventualmente con l'aiuto del giudice, una soluzione concordata, soprattutto per tutelare in maniera adeguata tutti i minori coinvolti.

M. B. chiede
venerdì 29/07/2022 - Puglia
“S richiede un parere preventivo circa la seguente questione:
sono in procinto di acquistare un immobile di nuova costruzione adibito a casa principale, visto e considerato l'ingente investimento di diverse centinaia di migliaia di euro, volevo sincerarmi prima di alcune questioni in materia di diritto matrimoniale.
L'acquisto dell'immobile e degli arredi è interamente a mio carico ma in questa abitazione andremo ad abitare io e la mia compagna con cui abbiamo intenzione di sposarci e avere un figlio (post acquisto).
Pertanto mi chiedo, visto i tempi (concedetemi l'excursus su ilary e totti) facendo i dovuti scongiuri, in caso di separazione con addebito a mio carico, che fine farebbe il mio immobile nel caso in cui fossimo sposati( senza figli) e nel caso in cui fossi sposati con figli. so che la giurisprudenza affida la casa principale alla moglie (affidataria) sino al 18 esimo anno di età del figlio.
specifico però che la mia compagna ha già una casa di sua proprietà in altro comune distante 200 km ( villa) e ha un posto nel pubblico categoria bassa. però mi chiedo c'è la possibilità di trasferire moglie e bambino in altra casa (ad esemio in affitto ) in cui le spese vengano divise in base ai redditi ? o devo necessariamente cedere l'immobile ?
si richiede consulenza sulla questione ed suggerimenti su modi di proteggere l'immobile, ad esempio adibendo una camera a studio (ho la partita iva) non so o altri metodi , grazie
grazie per il consulto”
Consulenza legale i 06/08/2022
Va premesso che, come espressamente affermato dall’art. 337 sexies del c.c., il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli.
Ora, non è possibile prevedere in anticipo “che fine farebbe” l’immobile in questione; sappiamo però che il criterio principale che dovrà orientare la scelta del giudice è, appunto, quello dell’interesse dei figli. Infatti “il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori, anche se non uniti in matrimonio, ai sensi dell'art. 337 sexies c.c. è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, occorrendo soddisfare l'esigenza di assicurare loro la conservazione dell'"habitat" domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza n. 32231 del 13 dicembre 2018).
Si potrebbe teoricamente tentare, in caso di separazione consensuale, di raggiungere un accordo diverso con la moglie: tuttavia, anche questo sarebbe soggetto al controllo del tribunale, che potrebbe rifiutare l’omologazione se lo ritenesse non rispondente all’interesse della prole.
Per le stesse motivazioni, anche la soluzione ipotizzata (adibire una stanza a studio) non escluderebbe l’assegnazione dell’immobile alla moglie che fosse ovviamente anche collocataria del bambino.

A.C. chiede
giovedì 26/08/2021 - Lazio
“una persona proprietaria di un immobile, come abitazione principale, da al cuni mesi convive con una ragazza che ha preso la residenza presso la sua abitazione. Come può blindare l'appartamento per evitare che nel corso della convivemza questa venga a cessare anche con figlio (blindare significa proteggere la proprietà immobiliare da eventuali rivendicazioni in caso di cessazione della convivenza con figlio nato tra i due conviventi).
Grazie”
Consulenza legale i 07/09/2021
Di fronte ai diritti e alle esigenze di un figlio minore non esistono strategie ammissibili né efficaci per “blindare” un immobile nel senso specificato nel quesito.
Ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. (applicabile anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, in virtù dell’espressa previsione dell’art. 337 bis c.c.), “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”. L’interesse dei figli è il principale criterio di riferimento per le decisioni da adottare in caso di crisi della coppia genitoriale (sia essa unita o no in matrimonio); nella materia specifica dell’assegnazione della casa familiare, la finalità perseguita dal legislatore è quella di assicurare ai figli di non essere “sradicati” dall’ambiente in cui vivono.
Naturalmente, l’assegnazione non incide sulla proprietà dell’immobile, che rimane in capo al suo titolare.
Quanto alla natura giuridica del diritto dell’assegnatario, essa è stata ed è oggetto di discussione; secondo l’opinione prevalente nella giurisprudenza più recente, si tratterebbe di un diritto personale di godimento (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 11/09/2015, n. 17971: “in ordine alla convivenza di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporti di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, altresì, in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente”).

O.R. chiede
lunedì 09/08/2021 - Piemonte
“Buongiorno sono già stata vs. cliente (rif Q202127790) ed ho bisogno di un chiarimento su una risposta e poi porre un nuovo quesito.
Sono separata legalmente (con attesa di giudizio di appello in quanto lui ha fatto ricorso) e il giudice ha stabilito alternanza nella casa coniugale - villa indipendente su piu' piani (ormai da tre anni) nonostante i figli maggiorenni. Io nei 15 gg NON DI TURNO abito sotto in un monolocale a me intestato (con purtroppo impianti in comune) mentre lui nei suoi 15 GG NON DI TURNO abita nello stesso comune ma da un'altra parte dove ha preso il domicilio.
Purtroppo all'anagrafe del nostro comune se vado a fare lo stato di famiglia risultiamo tutti e quattro come "una famiglia normale" ma così non è e io non voglio che lui risulti ancora.
Adesso ho dei documenti da compilare perché uno dei figli non è più a carico fiscalmente e per dichiararlo al datore di lavoro mi chiedono autocertificazione di stato di famiglia.
Posso dichiarare che il mio stato di famiglia è composto da me e dai miei due figli?
Il comune lo accetterà? Altrimenti devo aspettare la sentenza di appello e vedere se il giudice assegna la casa a lui o a me ma comunque il problema dello Stato di famiglia persiste.
Cosa comporta fiscalmente e come tributi locali (tari) la variazione di stato di famiglia?

Per l'altro quesito Q202127790 quando mi dite che gli impianti devono essere separati perché a tutti gli effetti siamo un CONDOMINIO ma a lui richiesto piùvolte si oppone devo agire con un legale? E come?
Inoltre la caldaia che a suo tempo era stata acquistata in comune e adesso bisogna acquistarne un'altra (la seconda) chi la paga?

Attendo vs. risposta”
Consulenza legale i 31/08/2021
L’art. 4, D.P.R. n. 223/1989, definisce la famiglia anagrafica come un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
Secondo quanto si legge nel quesito, il marito ha stabilito soltanto il domicilio in un’altra abitazione, ma non la residenza (presumibilmente perché attende l’esito del giudizio relativo all’assegnazione della casa coniugale); proprio il fatto che entrambi i coniugi sono ancora residenti -insieme ai figli- nello stesso immobile è il motivo per cui tutti questi soggetti risultano ancora nello stesso stato di famiglia.
Ad oggi, quindi, non sarebbe corretto -né consigliabile- rendere una autocertificazione che escluda il marito, in quanto la dichiarazione non corrisponderebbe a quanto risultante nell’anagrafe comunale (in sostanza, non sarebbe una dichiarazione veritiera).
Tanto chiarito, nel nostro caso l’unico modo per scindere gli stati di famiglia è quello di far venir meno il presupposto della coabitazione.
In base a quanto illustrato nella richiesta di parere, pare che all’interno dell’immobile sia già presente un’abitazione separata e intestata soltanto alla moglie, presso la quale ella potrebbe in astratto stabilire la propria residenza.
Tuttavia, bisogna considerare, oltre agli effetti che questa scelta potrebbe produrre sulla causa in corso (da valutare molto attentamente con il proprio legale), che ciò comporterebbe l’uscita della moglie dallo stato di famiglia, ma non del marito, che rimarrebbe residente insieme ai figli presso la casa coniugale.
Pertanto, una soluzione di questo tipo non sembra di particolare utilità nel caso di specie e, purtroppo, per risolvere la situazione non si può fare altro che attendere l’esito dell’appello relativo all’assegnazione della casa coniugale.
Dopo la fine del giudizio, il coniuge non assegnatario dovrà trasferire la residenza in altro luogo, scindendo così il proprio stato di famiglia da quello dell’altro.
Per quanto riguarda la TARI, si specifica che questa viene calcolata combinando i due parametri costituiti dal numero di persone residenti nello stesso immobile e dalla superficie dell’abitazione.
Ne consegue che l’eventuale futuro spostamento della residenza di uno dei coniugi comporterebbe anche una rideterminazione (presumibilmente al ribasso) dell’importo della tassa dovuta al Comune.


Con riferimento agli ulteriori quesiti formulati, nella precedente consulenza si è spiegato che, nel caso di frazionamento dell’immobile originario in due distinte unità immobiliari, il proprietario di una di esse avrebbe il diritto di distaccarsi dagli impianti comuni.
Essendo presumibilmente necessarie delle opere che andrebbero ad incidere sulle proprietà comuni (o sulla porzione dell’altro comproprietario), nel caso in cui perduri l’opposizione di quest’ultimo sarà bene rivolgersi ad un legale, che potrà consigliare gli opportuni passi da compiere, anche in relazione agli specifici interventi da eseguire in concreto.
Infine, le spese per una nuova caldaia sarebbero evidentemente a carico di chi la installa, essendo essa destinata a servire un appartamento di proprietà esclusiva.

Antonio B. chiede
domenica 02/08/2020 - Lazio
“Nel Maggio 2017 all'esito del procedimento (da me promosso) per l'affidamento consensuale della mia unica figlia, nata nel novembre 2013, ho acconsentito all'assegnazione della casa familiare (di mia esclusiva proprietà) alla mia ex compagna.

Il provvedimento omologato dal Tribunale di Roma nel Giugno 2017 prevedeva tra l'altro, oltre ad un assegno di mantenimento (250 €/m), la mia partecipazione alle spese condominiali ordinarie (70%), mentre poneva a totale carico dell'assegnataria, oltre al residuo 30%, la TOTALITÀ delle spese per le UTENZE:
il documento è stato regolarmente notificato al Condominio (60 condomini), e l'amministratore lo ha immediatamente recepito nella bollettazione mensile.

Preciso che il Condominio, oltre ai normali servizi di portierato, pulizia, giardinaggio, manutenzione ecc., eroga pure i SERVIZI CENTRALIZZATI DI RISCALDAMENTO e distribuzione dell'ACQUA CALDA E FREDDA, ripartiti mediante idonei sistemi di contabilizzazione individuale.

Sin da subito la mia ex ha iniziato un percorso di morosità, rifiutandosi in particolare di pagare i servizi di riscaldamento ed acqua calda e fredda con il pretesto di ritenerli non “utenze”, ma spese di natura condominiale (senza peraltro pagare neppure la quota del 30% che sarebbe stata in tal caso a suo carico), ha accumulato tra il Giugno 2017 ed il Settembre 2019 (data di chiusura dell'ultimo bilancio approvato - solo di recente) un debito di oltre 7.900 €.

In particolare dal bilancio dell'anno ott-18/sett-19, si evince che nel periodo la signora ha più che raddoppiato i consumi di acqua calda e riscaldamento, passando da circa 2.000 € dell'anno precedente ad oltre 4.000 €/anno, tanto da risultare il più alto dello stabile (che comprende appartamenti ben più grandi ed affollati).

Il motivo di tale incremento è senza dubbio dovuto al fatto che la signora dal 2018 ha impiantato a mia insaputa, dentro la casa familiare, un'attività di “nido famiglia”, che arriva ad accogliere 8 bambini dai 3 mesi ai 3 anni) - (cfr Vs Consulenza Q201923301 come Andrea Sinibaldi);


Pur venendo a conoscenza della situazione debitoria della mia ex dai resoconti annuali, non ho mai avuto motivo di dubitare circa il corretto operato degli amministratori (nel 2018 c'è stato un burrascoso cambio) nell'attività di sollecito e recupero dei crediti condominiali verso la debitrice principale, né ho mai ricevuto alcun invito o tantomeno intimazione a saldare i debiti in qualità di Proprietario solidale.

Mi sbagliavo: all'inizio di luglio, senza preavviso, mi è stato notificato un decreto ingiuntivo (a cura dello stesso legale che mi aveva assistito nella procedura di affidamento - cfr vs. consulenza Q202025897), relativo al solo bilancio 17/18 per oltre 5.000 euro gravati di spese per altri 1.600.

Benché gli importi siano dovuti interamente dovuti dalla mia ex, questa non viene minimamente menzionata nell'atto, né viene in alcun modo precisato che la mia citazione avviene nella mera qualità di proprietario solidale.

Alle mie proteste ed alla richiesta di comprovare l'attività svolta per compulsare la debitrice principale, o quantomeno prova degli asseriti solleciti che mi sarebbero stati rivolti in qualità di proprietario solidale, l'amministratore pro tempore ha candidamente ammesso di aver scelto la via più comoda per il Condominio, perché ”la situazione è chiara”.

Peggio: alla mia proposta di rateizzare l'importo mi ha sorprendentemente risposto che la rata da me offerta era insufficiente in quanto inferiore all'importo del debito (altri 4.000 euro/anno) che la mia ex andrebbe ad accumulare con le future rate mensili, denunziando in tal modo la sua intenzione di adagiarsi sulla situazione attuale, senza compiere alcun passo presso la debitrice principale:
in tal modo (ed ai ritmi di crescita attuali) al 30/9 prossimo (chiusura bilancio 10/2019 – 09/2020) temo che il debito raggiunga i 12.000 euro.



In tale situazione:
Ho elementi fondati per un ricorso avverso il DI attraverso il quale chiamare in causa la debitrice principale, o quantomeno veder dichiarata la sua responsabilità primaria ?

Ma soprattutto

posso richiedere (o costringere) l'amministratore ad interrompere le forniture all'utente moroso, interrompendo in tal modo quantomeno il salasso per le mie finanze già compromesse?
Qual è il percorso legale per ottenerlo?

(Preciso che all'interno dell'appartamento esistono un contatore per l'acqua calda, uno per l' acqua fredda mentre i termosifoni son alimentati per colonne, quindi andrebbero intercettati singolarmente)
Consulenza legale i 14/08/2020
Va premesso che del tutto correttamente il condominio ha agito in giudizio nei confronti del proprietario dell’appartamento per il recupero delle spese condominiali non pagate, nonostante l’immobile risulti abitato dalla moglie, assegnataria dell’alloggio in virtù dell’accordo recepito dal Tribunale.
Infatti, come hanno chiarito le Sezioni Unite Civili della Cassazione (n. 5035/2002), “in tema di ripartizione delle spese condominiali è passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziaria promossa dall'amministratore per il recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire come tale, dovendosi escludere l'applicazione del principio dell'apparenza del diritto nei rapporti tra condominio e condomino”.
Pertanto il condominio neppure avrebbe potuto rivolgere legittimamente le proprie pretese nei confronti dell’assegnataria dell’immobile.
Non può, infatti, trovare applicazione l'ultimo comma dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione del c.c., secondo cui il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale, dal momento che la situazione dell'assegnatario è diversa da quella dell'usufruttuario; anzi, come ha chiarito più volte la giurisprudenza, il diritto del coniuge assegnatario non ha natura reale: "il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale" (Cass. Civ., Sez. II, n. 7680/1997). Anche per Cass. Civ., Sez. II, n. 17843/2016, "il diritto di abitazione della casa familiare è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell'esclusivo interesse dei figli e non nell'interesse del coniuge affidatario".
Detto questo, nei rapporti interni tra le parti (proprietario ed assegnatario dell’abitazione), la ripartizione delle relative somme, e gli eventuali rimborsi, andranno regolati in base al predetto accordo.
Sul punto la Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. I, n. 18476/2005) ha affermato che “in tema di separazione personale, allorché il giudice attribuisca ad uno dei coniugi la casa coniugale, l'assegnatario è esonerato esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo o (in parte qua) del comproprietario dell'immobile assegnato. Pertanto ove l'abitazione sia di esclusiva proprietà del coniuge non assegnatario, la gratuità dell'assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione medesima (per il quale non deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a detto uso, quali quelle condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare, e che vanno legittimamente poste a carico del coniuge assegnatario”.
Ed ancora, la più recente Cass. Civ., Sez. VI - 1, n. 10927/2018 ha statuito che “l'assegnazione della casa coniugale esonera l'assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo dell'immobile assegnato, ma non si estende alle spese correlate a detto (ivi comprese quelle che riguardano l'utilizzazione e la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare), le quali sono, di regola, a carico del coniuge assegnatario”.
Ciò vale a maggior ragione per i consumi legati all’immobile, i cui costi sono con tutta evidenza a carico di chi utilizza l’appartamento; tanto più che nel nostro caso, in sede di separazione della coppia, è stata stabilita una espressa regolamentazione.
Ora, per rispondere alla prima delle domande proposte, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo è sicuramente ammissibile chiamare in causa un terzo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 106, 269 e 645 del c.p.c.: nella fattispecie, la citazione dell’assegnataria verrà effettuata al fine di tenere indenne il proprietario delle somme da questi eventualmente dovute al condominio.
La citazione del terzo non può essere fatta direttamente con l’atto di opposizione, ma in tale atto, a pena di decadenza, l’opponente dovrà chiedere al giudice l’autorizzazione a chiamare in causa il terzo, come avviene per il convenuto nel processo ordinario. Infatti nell’opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente, anche se formalmente attore, è in realtà convenuto della pretesa creditoria fatta valere con l’ingiunzione, mentre attore in senso sostanziale è il creditore opposto.
Ciò è stato ben chiarito dalla giurisprudenza (v. Cass. Civ., Sez. II, n. 21706/2019), secondo cui “l'opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato in quanto, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto”.
Nel quesito peraltro non è stato specificato se, oltre alla chiamata in causa del terzo, vi siano altri motivi di opposizione finalizzati a contestare nel merito le richieste del condominio.
Quanto alla seconda domanda, l’art. 63 delle disposizione di attuazione del c.c. stabilisce tra l’altro che, “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”.
Non risulta però confortante, da questo punto di vista, l'esame della giurisprudenza; ad esempio Tribunale Bologna, Sez. III, ord. 15/09/2017, ha affermato che "deve essere respinta l'istanza di cautela urgente del condominio volta a richiedere la sospensione di un condomino moroso dalla fruizione del servizio dell'acqua e dell'antenna televisiva centralizzata essendo il primo un impianto essenziale ed il secondo un servizio, nel caso di specie, non oneroso".
Tra l'altro, nel nostro caso sarebbe il condomino stesso, cioè il proprietario dell'immobile, a chiedere la sospensione di tali servizi, in danno dell'assegnataria dell'appartamento (nonché dei figli minori, poiché è nel loro esclusivo interesse che viene assegnata la casa familiare, ex art. 337 sexies del c.c.).
Occorre poi considerare, con specifico riferimento al servizio idrico integrato, che il D.P.C.M. del 29/08/2016 ha previsto l’esistenza di “utenze morose non disalimentabili”, tra le quali “utenti domestici residenti che versano in condizioni di documentato stato di disagio economico-sociale”, da individuarsi in base a criteri fissati dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. A tali soggetti deve essere “in ogni caso garantito il quantitativo minimo vitale pari a 50 litri abitante giorno”; inoltre, sempre secondo il D.P.C.M. in esame, “a tutti gli utenti domestici residenti è garantito l'accesso al quantitativo minimo vitale a tariffa agevolata”.
Con delibera n. 311/2019 dell’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) è stato altresì precisato che, sotto questo profilo, “le utenze condominiali sono a tutti gli effetti equiparate alle utenze finali”.
Ad ogni modo, anche a prescindere dagli orientamenti giurisprudenziali sulla legittimità della sospensione delle utenze e dall’esistenza di limiti in materia di fornitura di acqua, il distacco delle utenze appare una facoltà dell’amministratore (il quale, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., “può” sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni). Pertanto, allo stato, l'amministratore non può essere obbligato a procedere alla sospensione.


M. L. chiede
mercoledì 11/09/2019 - Lazio
“Egregi avv.ti buongiorno,
vi espongo quanto segue in quanto sono in attesa di ricevere lettera/convocazione per separazione che subisco.
Sposati nel giugno 2012 in separazione dei beni. Nel mese di ottobre 2013 nascono due bimbi gemelli e viviamo nella casa di proprietà di mia moglie (proprietaria al 100%).
A novembre 2015 acquisto un nuovo immobile (intestato a me 100%) completamente con il mio denaro ed il resto mutuo sempre pagato da me e con garanti mia moglie e mia suocera che verrà tolta a gennaio prossimo in quanto non ha più reddito. Entriamo nella nuova casa nel mese di marzo 2016 e ci rimaniamo tutti e quattro fino a dicembre 2017 quando mia moglie decide di andare via con i bambini a casa della madre. Dopo un anno esatto dicembre 2018 ed un tentativo di riavvicinamento la faccio rientrare in casa ma le problematiche continuano ed a luglio 2019 (sette mesi dopo) riesce di casa per tornare dalla madre.
Una piccola nota: nel giugno 2018 dopo aver più volte esposto il fatto di non essere interessata alla casa coniugale tenta l’acquisto di un ulteriore immobile, mantenendo sempre il suo in locazione, ma l’affare sfuma per mancato accordo sul prezzo finale (ho copia della matrice dell’assegno anticipo acquisto immobile euro 5.000,00).
Conclusione:
alla data odierna è con i miei figli dalla madre e chiederà l’assegnazione della casa coniugale nonostante ne abbia una sua di proprietà ed a conti fatti è stata/stati 41 mesi fuori e 28 dentro. Ho elementi giuridici per combattere questa eventuale ingiustizia visto che andrò in strada mentre lei guadagna più del doppio di me? Io 1.900,00 lei 4.000,00 autonoma.
Grazie”
Consulenza legale i 18/09/2019
Per trovare soluzione al presente quesito è bene ricordare che, in caso di crisi della coppia genitoriale (sia essa unita o no in matrimonio), il criterio fondamentale cui fare riferimento è quello dell’interesse dei figli, minori o comunque non autosufficienti. Tale principio viene espressamente ribadito anche in relazione all’assegnazione della casa familiare dall’art. 337 sexies del c.c.
Pertanto, la valutazione dell’interesse della prole - che deve essere compiuta caso per caso dal giudice - prevale su ogni altra considerazione, compreso l’eventuale titolo di proprietà sull’abitazione.
In quest’ottica, anche l’allontanamento volontario, per un periodo più o meno lungo, di un coniuge dalla casa familiare non pregiudica automaticamente la decisione sull’assegnazione della stessa in sede di separazione, specie se motivato da una situazione di conflittualità familiare e dall'esigenza di preservare, per quanto possibile, la serenità dei figli minori da tensioni e litigi.
In proposito, si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Rovereto (sentenza 180/2019 del 9 luglio 2019), che ha assegnato la casa familiare alla moglie collocataria delle tre figlie minori, benché questa l’avesse lasciata volontariamente e, con le figlie, avesse vissuto altrove per tre anni. Infatti, secondo il Tribunale, l’assegnazione della casa coniugale - o della casa familiare nel caso di coppie non sposate - deve seguire il principio della “miglior tutela” dei figli minori (per un breve commento alla sentenza: https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/allontanamento-temporaneo-dalla-casa-coniugale-pregiudica-assegnazione/2031.html ).
Tutto dipende, dunque, dalla valutazione che verrà fatta dal giudice in questo caso.
Quanto alla disparità di reddito tra i coniugi, in questo caso a sfavore del marito, sempre l’art. 337 sexies c.c. prevede che “dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà”.

Andrea S. chiede
lunedì 13/05/2019 - Lazio
“Sono papà di una bambina di 5 anni, in regime in affido condiviso con la mia ex compagna; a seguito del provvedimento ho dovuto cedere in assegnazione alla madre la casa di mia esclusiva proprietà (con annessi e connessi), unitamente ad un assegno di mantenimento ed una quota spese condominiali.
Ora la mia compagna (resasi disoccupata e tale presentatasi in giudizio) ha intrapreso nella casa "familiare" una attività di "nido"/baby sitting lungo orario, in cui accoglie, sembra, non meno di tre bambini, speso anche in ore serali.
Per far ciò ha riorganizzato la casa dotandola anche di letti a castello, in cui all'occasione dorme, con gli altri, anche mia figlia. Domando se tale utilizzo della casa sia lecito oppure violi gli accordi di affidamento anche solo sotto il profilo economico.”
Consulenza legale i 20/05/2019
Per rispondere al presente quesito è necessario fare una breve premessa sull’istituto dell’assegnazione della casa familiare e sulla sua funzione.
L’assegnazione della casa familiare è ora disciplinata dall’art. 337 sexies del c.c. La norma stabilisce, innanzitutto, che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”.
Quindi, il criterio fondamentale che deve ispirare la decisione sull’assegnazione dell’abitazione familiare è quello dell’interesse della prole, che ha precedenza sia su quello del titolo di proprietà dell’immobile (ben potendo questo essere assegnato al coniuge non proprietario), sia su valutazioni di carattere economico.
In ogni caso, la norma prevede, quale correttivo, che il giudice tenga conto dell’assegnazione “nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà”.
Anche la giurisprudenza ha costantemente ribadito la preminenza dell’interesse dei figli. Così, ad esempio, fra le tante pronunce, Cass. Civ., Sez. VI, ord. n. 32231/2018, afferma che “in tema di separazione dei coniugi il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto dell'interesse dei figli e questo risponde all'esigenza, che ne costituisce al contempo l'unica ragione, di consentire ai figli di genitori separati di conservare l'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare”.
Sempre l’art. 337 sexies c.c. precisa, inoltre, che il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio: questi sono dunque i motivi di revoca dell’assegnazione espressamente previsti dalla legge.
Detto questo, un utilizzo della casa familiare quale quello descritto nel quesito, in cui la madre della bambina avrebbe organizzato all’interno dell’abitazione un’attività imprenditoriale, non viola, di per sé, il provvedimento di assegnazione della casa familiare.
tuttavia è necessario verificare, in concreto, se l’attività in questione (nido - baby sitting) risulti in contrasto con quello che abbiamo visto essere il parametro fondamentale in tema di assegnazione della casa familiare, ovvero l’interesse della figlia minore.
In particolare, bisognerà valutare se non risulti frustrata o compromessa la ratio stessa dell’istituto, cioè la conservazione in favore del bambino dell’habitat domestico (verificando, ad esempio, gli ambienti che sono stati adibiti allo svolgimento dell’attività, l’eventuale “sottrazione” di tali spazi alla figlia, ecc.), nonché altri profili quali, ad esempio, l’età dei bambini ospitati (anche se il termine “nido” lascia supporre che si tratti di bambini in tenera età). Soprattutto, occorre verificare come tale situazione venga vissuta dalla figlia.
Naturalmente, si tratta di valutazioni che non possono essere effettuate in questa sede, ma devono essere compiute in concreto, con atteggiamento libero da pregiudizi, tenendo presente in primo luogo l’interesse della figlia, certo, ma anche l’interesse (comunque meritevole di una qualche tutela) della madre a rendersi economicamente indipendente, se del caso svolgendo una propria attività in ambito domestico, con il duplice beneficio di consentire un risparmio di spese e di permettere alla mamma di stare comunque fisicamente vicina alla bambina.
Quanto ai riflessi economici di tale nuova attività intrapresa dalla madre, qualora risulti che essa abbia comportato un miglioramento della sua situazione economica, ciò potrà costituire motivo di modifica delle condizioni di separazione. La modifica può essere concordata tra i coniugi: è però importante ricordare che non è ammessa alcuna autoriduzione dell’assegno di mantenimento né alcuna modifica unilaterale delle condizioni di separazione, giudiziale o consensuale che sia.
Sarà, invece, necessario rivolgersi al giudice per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 710 del c.p.c., oppure, in alternativa, ricorrere alla procedura di negoziazione assistita prevista dall’art. 6 del D.L. n. 132/2014, convertito in L. n. 162/2014.

Giuseppe F. chiede
giovedì 14/03/2019 - Lazio
“Egr. Avvocato, sono un uomo di 46 anni single, quanto qui di seguito è la mia richiesta di consulenza legale:
Una mia amica con la quale mi sto frequentando da un po' di mesi è sposata in via di separazione dal marito, hanno 2 figli un bambino di un anno e mezzo ed una bambina di 7 anni.
L'appartamento dove vivono è di proprietà del padre di lei che non accetta la nostra relazione quindi l'ha minacciata di buttarla fuori di casa.
Ho preso in considerazione di ospitarla coi bambini a casa mia (vivo da solo in casa di mia proprietà anche se, ogni anno per sei mesi, ospito mia madre che è usufruttuaria. Mia madre vive sei mesi in Italia e sei mesi all'estero sebbene la residenza sia a casa mia).
La consulenza che le chiedo è: c'è il rischio che un domani, qualora io la ospiti con prole e la nostra storia finisca, che questa mia amica si rifiuti di uscire di casa mia ed io perda la mia casa finché i suoi figli non diventino maggiorenni ed autosufficienti?
specifico che:
1) la sto aiutando a trovare lavoro. finora ha fatto la casalinga sebbene abbia un mestiere
2) NON le farei fare il cambio di residenza sulla sua carta d'identità da dove vive adesso a casa mia
3) NON sono intenzionato a sposarla
Se c'è questo rischio, che contromisure preventive posso prendere al fine di poterla ospitare coi suoi bambini ma qualora la nostra storia finisca io possa farla uscire da casa mia?
Spero di esser stato esaustivo, attendo sua gradita consulenza e resto a sua completa disposizione per ulteriori, eventuali informazioni di cui dovesse aver bisogno.
Cordialmente
Giuseppe”
Consulenza legale i 20/03/2019
Innanzitutto, è possibile “tranquillizzare” chi pone il quesito rispetto al timore di dover ospitare in casa propria la fidanzata e i figli di lei finché questi ultimi non diventino maggiorenni ed autosufficienti.
Infatti nel caso in esame il proprietario dell’immobile, pur legato da un rapporto affettivo, a quanto sembra piuttosto stabile, con la madre dei bambini, non ha alcun obbligo giuridico nei confronti di questi ultimi. Diverso sarebbe ovviamente il caso in cui i bambini fossero figli di entrambi: in tale ultima eventualità opererebbe il combinato disposto degli artt. 337 bis e 337 sexies del c.c., che prevede l’assegnazione della casa familiare sulla base degli interessi della prole, anche in caso di crisi della coppia genitoriale non unita in matrimonio: ma, appunto,non è questa l'ipotesi che ci riguarda.
Il problema, semmai, è se il convivente more uxorio possa vantare un diritto a rimanere nell’abitazione di proprietà dell’altro anche dopo la “rottura” del rapporto tra le parti.
Peraltro, va precisato che il dato formale del mancato cambio di residenza della compagna non sarebbe decisivo, in quanto sarebbe comunque possibile per quest’ultima dimostrare il dato fattuale della convivenza (non ho la residenza anagrafica ma di fatto vivo lì).
Sulla questione ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con la sentenza n. 7214/2013.
In tale pronuncia la Corte ha affermato che “la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità” (con la conseguenza che, nel caso in cui uno dei conviventi venga estromesso dall’abitazione, contro la proprio volontà, per opera del partner, potrà esercitare la cosiddetta tutela possessoria, in particolare l’azione di spoglio prevista dall’art. 1168 del c.c.).
Inoltre, la Cassazione ricorda anche che, secondo la Corte Costituzionale, la famiglia di fatto rientra tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 della Costituzione; pertanto “il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata”.
Questo non significa, naturalmente, equiparare completamente la convivenza more uxorio al matrimonio, in quanto ciò contrasterebbe con la stessa volontà degli interessati, i quali hanno “liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio proprio per evitare, in tutto o in parte, le conseguenze legali che discendono dal coniugio”.
Rimane, infatti, ferma la diversità della convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana - liberamente e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato da una maggiore stabilità e certezza.
Secondo la Cassazione, la convivenza di fatto è un’unione, sì, libera ma che tuttavia ha assunto - per durata, stabilità, esclusività e contribuzione - i caratteri di comunità familiare. Perciò il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell'altro convivente, non si fonda su un titolo giuridicamente irrilevante quale l'ospitalità, bensì su un accordo a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile.
Per rispondere al quesito specificamente posto, in caso di fine della relazione affettiva la convivente non avrà diritto a continuare ad abitare l’immobile; d’altra parte, il convivente proprietario della casa non potrà ricorrere alle vie di fatto per estromettere l'altro dall'abitazione. Per citare la stessa sentenza appena esaminata, “il canone della buona fede e della correttezza, dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo titolare che, cessata l'affectio, intenda recuperare, com'è suo diritto, l'esclusiva disponibilità dell'immobile, di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione”.
Naturalmente, qualora il partner rifiutasse di abbandonare l’immobile, pur invitato e in presenza di congruo preavviso, non rimarrebbe che ricorrere al giudice.

Daniele C. chiede
martedì 19/02/2019 - Lombardia
“Buon Giorno, premetto che mai sono stato sposato con alcuna e dalla mia convivenza ho avuto due Figlie sempre dalla medesima compagna. Anni fa la relazione è naufragata e da allora per disposizioni del tribunale (c'è stato il supporto per entrambi di Avvocati nel corso delle pratiche) la casa , dimora abituale della famiglia di fatto, e di mia esclusiva proprietà (100%) è stata affidata alla madre delle mie Figlie quale genitore collocatario delle Figlie minori.
Ora le mie Figlie una di 14 anni e l'altra tra un paio di mesi diciottenne , specificamente quest'ultima, mi comunicano che la loro madre vuole ( sembra che lo imponga ma io non ne ho la certezza! ) ospitare ogni week end il proprio fidanzato con cui si relaziona da anni e che in modo preciso, puntuale , sistematico trascorre insieme a lui due week end alterni al mese recandosi lei stessa a casa sua peraltro fuori regione.

Sulla scorta di quanto testé scritto alla madre delle mie Figlie compete ospitare ogni week end il proprio fidanzato nella casa di mia esclusiva proprietà, ove abitano le mie figlie, e a lei affidata quale genitore collocatario ?

Di fronte alle sollecitazioni delle mie Figlie che mi comunicano di non aver piacere ovvero di patire questa "convivenza del fine settimana" quali norme giuridiche possono incoraggiarmi a persuadere la madre a non procedere contro la volontà delle Figlie?

Ringrazio e Saluto Cordialmente.”
Consulenza legale i 22/02/2019
La materia dell’assegnazione della casa familiare è disciplinata ora dall’art. 337 sexies del c.c., che stabilisce, per quanto qui interessa, che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.
Occorre precisare che la disposizione è applicabile sia in caso di separazione e divorzio sia in caso di crisi della coppia non unita in matrimonio.
Dalla lettura della norma si evince che, in tema di assegnazione della casa familiare, il principale criterio di riferimento che deve orientare la scelta del giudice - ma anche il comportamento delle parti - è costituito dall’interesse dei figli, che pertanto risulta preminente persino rispetto all’eventuale titolo di proprietà.
Peraltro, sull’argomento si è pronunciata, pur se sotto la vigenza del “vecchio” art. 155 quater c.c., che regolava in precedenza la materia, anche la Corte Costituzionale con sentenza n. 308/2008. In particolare, la Consulta ha specificato che, nel nuovo regime, scomparso il “criterio preferenziale” per l’assegnazione della casa familiare costituito dall’affidamento della prole, l’attribuzione dell’alloggio viene espressamente condizionata all’interesse dei figli.
È poi da ricordare (prosegue la Corte) che la giurisprudenza di merito e di legittimità è concorde nel ritenere che, anche per l’assegnazione della casa familiare, vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo del provvedimento per fatti sopravvenuti. Tuttavia tale intrinseca provvisorietà non incide sulla natura e sulla funzione della misura, posta ad esclusiva tutela della prole, con la conseguenza che anche in sede di revisione resta imprescindibile il requisito dell’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni non autosufficienti, nonché quello dell’accertamento dell’interesse prioritario della prole.
Da tale contesto normativo e giurisprudenziale emerge il rilievo che non solo l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è stata sempre subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della prole.
Pertanto la normativa deve essere interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non viene meno automaticamente al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma la decadenza dalla stessa è comunque subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore.
Ciò premesso, la giurisprudenza ritiene che non si possa in linea di principio impedire al coniuge assegnatario della ex abitazione familiare di convivere nella stessa con il nuovo compagno, o la nuova compagna. Ad esempio, secondo Cass. 23786/2004, vietare in assoluto alla ex moglie di convivere con il nuovo compagno nella casa assegnatale in sede di separazione comporterebbe "un'illegittima restrizione della sua libertà personale".
Tale principio può essere a maggior ragione applicato laddove - come nel caso che ci occupa - non vi sia una vera e propria stabile convivenza ma una “ospitalità” limitata a taluni fine settimana, per quanto con caratteri di regolarità.
Questione diversa è quella dell’interesse della prole, che rappresenta comunque un imprescindibile criterio di riferimento. Occorrerà pertanto valutare attentamente se tale “ospitalità” arrechi pregiudizio o serio disagio ai figli. In ogni caso, come sempre si consiglia in materia familiare, prima di rivolgersi al giudice è opportuno tentare una soluzione concordata tra le parti.

Raffaele M. chiede
mercoledì 29/11/2017 - Campania
“Mio figlio Alessandro nell'anno 2007, in previsione del suo matrimonio programmato nel successivo anno 2008, ebbe in regalo con i miei risparmi, una casa che io e mia moglie decidemmo di intestare (forse improvvidamente) a lui direttamente. Il pagamento avvenne mediante assegni circolari direttamente intestati al venditore e tratti sulla mia banca, per cui denaro tutto tracciabile. Nell'anno 2008 mio figlio si è sposato in separazione dei beni e unitamente alla moglie andò ad abitare in questa casa e nell'anno 2010 nacque un bambino (oggi di sette anni). La moglie di mio figlio è anch'essa proprietaria di un immobile dove da anni ha dato in comodato d'uso al suo papà separato dalla moglie, senza che questi abbia mai versato alcun importo alla figlia anche perché mai richiesto. La moglie di mio figlio è una insegnante di ruolo statale ad una scuola superiore. Mio figlio è un semplice impiegato e percepisce una retribuzione di circa 1400 euro mese (inferiore di 100 euro rispetto a quella della moglie). Nell'anno 2012 mio figlio e la moglie si separarono consensualmente (a parte invio la sentenza di separazione) e il Tribunale dispose un assegno di mantenimento per il figlio, senza nulla concedere per accordi alla moglie in quanto economicamente indipendente. Però alla stessa venne assegnata la casa coniugale. Ciò premesso la moglie di mio figlio ha comunicato verbalmente a lui, poi con una lettera ufficiale del suo legale, che intende procedere al divorzio facendo rimanere tutto immutato l'accordo di separazione consensuale che si dovrebbe traslare in quello di divorzio; praticamente agli stessi patti e condizioni. Dopo l'acquisto della casa a mio figlio per il matrimonio, io e mia moglie, avendo un altro figlio, decidemmo di donare a questi la casa di proprietà dove abitavamo riservandoci l'usufrutto. Il tutto fu perfezionato e formalizzato con atto notarile. Mio figlio Alessandro, per effetto della separazione, dal 2012 anche per le sue precarie condizioni economiche, è tornato nuovamente a vivere presso da me. Intanto mia moglie l'anno scorso è deceduta e l'altro mio figlio, quasi quarantenne, ha deciso qualche mese fa di convivere con una ragazza affittando un appartamentino e pagando 700 euro/mese in quanto la casa da me donata attualmente è abitata da me e dall'altro mio figlio separato. Ora vorrei chiedere se c'è possibilità che il figlio separato possa riottenere la disponibilità della sua casa anche in un periodo di tempo ragionevole perché la moglie sostiene che fino a quando il bambino non sarà maggiorenne le cose devono restare così anche se lei, intanto, si è legata sentimentalmente ad altra persona e potrebbe stabilire una convivenza more uxorio nella casa di proprietà di mio figlio che né io né lui prima sotto l'aspetto morale che patrimoniale accettiamo (è possibile che possa avvenire ciò e lei restare in casa con questo nuovo compagno?). È da dire, infine, che il mio figlio primogenito convivente, a luglio dell'anno prossimo ha deciso di sposarsi e per cui io avverto anche il disagio morale di non poter lasciare a lui la casa donata e far finta di nulla che lui paghi un affitto di 700 euro al mese. Diversamente se mio figlio avesse la possibilità di riavere libero dalla moglie la sua casa, potrei trasferirmi lì con lui. Devo anche dire che mio figlio ha rappresentato alla moglie la possibilità di dividere l'appartamento di sua proprietà in modo che lui possa almeno disporre di una stanza con un piccolo servizio, rinunciando anche alla cucina. La moglie ha risposto negativamente.
In buona sostanza sono a chiederVi un consiglio per come meglio far agire mio figlio al fine di metterlo nelle condizioni di non ricevere ulteriori ingenti danni da questa vicenda che come avete avuto modo di leggere investono anche l'altro mio figlio e me stesso, indirettamente.”
Consulenza legale i 06/12/2017
Esigenza primaria a cui qualunque giudice deve ispirarsi nel pronunciare la separazione fra coniugi è quella di tutelare i minori, dovendo ciò costituire la ragione principale della assegnazione della casa coniugale, la quale non può mai assumere funzione assistenziale o di mantenimento nei confronti del medesimo coniuge assegnatario.

In mancanza, dunque, di figli minori o maggiorenni non autosufficienti (questi ultimi se conviventi con il genitore affidatario), il giudice non potrà mai adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, e ciò sia che la casa coniugale risulti in comproprietà fra i coniugi separandi sia che appartenga in via esclusiva ad uno solo dei coniugi (così Tribunale di Milano 22.07.2013).

E’ anche vero comunque che il giudice della separazione (o del divorzio), pur quando vi siano figli conviventi o non autosufficienti, ha un’ampia discrezionalità nel pronunciare il provvedimento di assegnazione, purché qualunque decisione venga adottata tenendo prioritariamente conto del loro interesse; così, ad esempio, potrà decidere di non assegnare o di revocare l’assegnazione della casa familiare già disposta nel caso in cui le circostanze del caso concreto facciano ritenere che solo con l’allontanamento dei figli e del genitore con essi convivente dalla casa in cui la famiglia viveva unita potrebbe realizzarsi una migliore composizione di tutti gli interessi coinvolti nella crisi familiare (cfr. Cass. Sent. N. 376/1999).

Fatte queste brevi considerazioni di carattere generale, passiamo ad esaminare la normativa specifica che si occupa di tale materia.

In tema di separazione, la norma che disciplina l’assegnazione della casa familiare è l’art. 337 sexies sexies c.c., in vigore da febbraio 2014 ed introdotto dal D.lgs. n. 153/2013; prima di essa vi era una disposizione di tenore identico contenuta nell’art. 155 quater c.c.
Lo stesso art. 337 sexies c.c., inoltre, ai sensi del D.lgs. n. 154/2013, è applicabile anche in sede di divorzio.

Si tratta adesso di vedere in che misura ed a quali condizioni tale norma possa interpretarsi a proprio vantaggio nel caso in esame.

Una interessante sentenza relativa al problema prospettato, dalla quale si ritiene possano trarsi degli utili argomenti giuridici a sostegno delle proprie ragioni, è quella pronunciata dalla Corte di Cassazione Sez. I, sentenza n. 15367 del 22/07/2015.
Partendo dal presupposto, come prima accennato, che l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all’esigenza di tutela dell’interesse dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro “habitat” domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, si afferma che detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione (Cass. N. 6706/2000).

Il problema, però, sta nel fatto che in quasi tutte le sentenze pronunciate su tale materia, così come in quella sopra citata, le vicende sopravvenute attengono al raggiungimento della maggiore età dei figli ovvero al sopraggiungere della loro autonomia.
Nessuna sentenza, invece, prende chiaramente e direttamente in esame un’altra parte abbastanza interessante di tale norma, ossia quella in cui è detto che il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio; anche queste, infatti, sono da qualificare come vicende sopravvenute, che un giudice non può non prendere in considerazione, al fine di valutare se quella casa continui a poter essere per i figli minori il centro della vita e degli affetti di un tempo, o meglio se possa ancora continuare a rappresentare ai loro occhi quell’habitat originario.

Ora, prendendo spunto dalla circostanza che l’ex nuora si è legata sentimentalmente ad altra persona e che potrebbe decidere di convivere more uxorio con questa persona nella casa coniugale, cerchiamo di capire come tale nuovo ed eventuale fatto possa essere sfruttato al meglio per tentare di riappropriarsi di quella abitazione.

Argomentazioni giuridiche molto utili in tal senso possono trovarsi nella sentenza della Corte Costituzionale n. 308/2008, emessa sotto la vigenza dell’art. 155 quater c.c., il cui contenuto, come detto prima, è stato di fatto integralmente trasfuso nell’attuale art. 337 sexies c.c.

Trattasi di una sentenza con la quale la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 155 quater nella parte in cui dalla convivenza more uxorio o dalle nuove nozze del coniuge affidatario dei figli e assegnatario della casa coniugale faceva automaticamente discendere la revoca di tale assegnazione; si riteneva che da ciò ne potesse conseguire una irragionevole disparità di trattamento tra figli di genitori separati o divorziati, a seconda che il rispettivo genitore collocatario intraprenda o meno una stabile convivenza con un nuovo partner.

Nelle motivazioni della sentenza si parte sempre dalla considerazione delle finalità che governano l’assegnazione della casa familiare, strettamente legata all’affidamento della prole; trattasi di principio già fatto proprio dalla medesima Corte Costituzionale con le sentenze n. 166 del 1998 e 394 del 2005, nelle quali è stato riconosciuto che detta assegnazione è strettamente funzionale all’interesse dei figli, concorrendo all’adempimento di quegli obblighi di mantenimento ed educazione della prole, collegati alla qualità di genitore, e che trovano fondamento nell’art. 30 Cost.

Si afferma, infatti, che il concetto di mantenimento comprende in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, consistenti nella prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, tra cui assume profonda rilevanza la predisposizione e conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, interessi e consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità della prole.
Sotto tale profilo, l’obbligo di mantenimento si sostanzia, quindi, nell’assicurare ai figli la idoneità della dimora, intesa quale luogo di formazione e sviluppo della personalità psico-fisica degli stessi.

Ciò che dal ragionamento giuridico della Consulta può trarsi è che, seppure dalla convivenza more uxorio o dalle nuove nozze del coniuge assegnatario e affidatario non sia legittimo farne conseguire automaticamente la revoca dell’assegnazione della casa coniugale, è pur vero che, in virtù del principio generale della modificabilità in ogni tempo del provvedimento di assegnazione per fatti sopravvenuti (principio che trova concordi la giurisprudenza di merito e di legittimità), tali fatti potranno costituire una valida ragione, peraltro legislativamente prevista dall’attuale art. 337 sexies c.c., per chiedere al giudice la revoca dell’assegnazione, evidenziandogli come ormai quella casa non possa più rappresentare agli occhi dei minori quell’habitat originario che si voleva nella loro mente preservare.

A quel punto, sta tutto nella discrezionalità e particolare sensibilità del giudice investito della questione, decidere se effettivamente quella possa ancora costituire per il figli la casa attraverso cui conservare il ricordo della famiglia originaria, ovvero, prendere atto della nuova e ben diversa situazione familiare che ivi si è venuta a creare, e decidere per la revoca dell’assegnazione.

L’unica cosa, dunque, che ci si sente di consigliare è di attendere che la nuova situazione familiare dell’ex coniuge si cristallizzi (ossia la convivenza con un nuovo compagno) e così provare a chiedere in sede di divorzio la revoca dell’assegnazione della casa familiare, facendo presente che quella casa non può più apparire agli occhi dei minori come la casa in cui potevano vedere gli affetti di un tempo; nel sottoporre tale nuovo stato di cose all’attenzione del Giudice, sarebbe anche utile portare a conoscenza dello stesso la circostanza che la madre dispone già di una propria abitazione, il che le consente di garantire in ogni caso un tetto ai propri figli.

Diverso è il discorso, invece, se la situazione rimane immutata, non potendo in questo caso il Giudice disattendere quell’esigenza primaria che con l’assegnazione della casa si intende soddisfare (la tutela del bene dei minori), né potendosi del resto pensare di togliere a quelli che sono e restano pur sempre i propri figli la casa ove poter continuare a conservare il ricordo della famiglia che li ha visti crescere.

Infine, non si può fare a meno di precisare che purtroppo le difficoltà economiche della famiglia di origine del coniuge separato, pur degne della massima considerazione, non possono in alcun modo interferire nella decisione che il giudice andrà ad adottare, essendo ben altri, come ampiamente evidenziato, gli interessi da tutelare.

Cliente chiede
giovedì 11/04/2024
“Sono sposato dal 2004, ho due figli, la prima nata nel 2008, il secondo nel dicembre 2012. non sono il padre biologico del secondo figlio. ha scoperto la relazione extraconiugale di mia moglie circa otto mesi fa, da un mese ho scoperto di non essere il padre biologico. Chiedo di sapere se è possibile il disconoscimento di paternità. L'aver appreso del tradimento mi ha provocato un serio disagio tanto da valutare la separazione giudiziaria con addebito. La notizia di non essere il padre biologico mi ha fatto cadere in depressione, sono malato di Parkinson e lo stress cui sono da alcuni mesi sottoposto ha fatto aumentare in modo significativo il tremore. desidererei sapere se c'è una responsabilità penale di mia moglie e del suo amante visto che di concerto hanno nascosto la paternità in modo scientifico, se c'è responsabilità patrimoniale poiché mi hanno distrutto la famiglia. se posso chiedere i danni ad entrambi. Che possibilità ho di vedermi assegnata la casa coniugale, di mia proprietà visto che dovrei ottenere l'addebito. ho un reddito lordo di 50.000 € mia moglie 8000 €. Quanto dovrebbe essere l'assegno di mantenimento?”
Consulenza legale i 26/04/2024
Prima di rispondere alle diverse domande formulate nel quesito, dobbiamo fare una precisazione: quando si presentano questioni così complesse e delicate è indispensabile confrontarsi personalmente con un avvocato, il quale potrà assumere tutte le informazioni del caso, esaminare la documentazione, e sulla base di una valutazione attenta concordare con l’assistito l’eventuale strategia difensiva da seguire.
In questa sede, dunque, ci è possibile fornire solo indicazioni di massima, che in alcun modo possono considerarsi sostitutive dell’attività del legale.

In primo luogo, e con riferimento al primo quesito, possiamo dire che la legge - nella fattispecie l’art. 244 c.c. - stabilisce riguardo all’azione di disconoscimento dei termini relativamente stretti, peraltro diversificati a seconda del soggetto che intende proporla (moglie, marito, figlio/a).
In particolare, rispetto al marito la norma citata prevede che egli può disconoscere il figlio nel termine di un anno.
Ma da quando si inizia a contare il termine annuale?
Questo termine piuttosto breve inizia a decorrere:
  • dal giorno della nascita quando il marito si trovava nel luogo in cui è nato il figlio nel tempo della nascita stessa;
  • dal giorno in cui il marito ha scoperto la propria impotenza di generare oppure l'adulterio della moglie: in questo caso, però, il marito dovrà provare di aver ignorato, appunto, la propria sterilità o l’infedeltà della moglie al tempo del concepimento;
  • dal giorno del ritorno del marito nel luogo in cui è nato il figlio, o dal giorno del suo ritorno nella residenza familiare (se ne era lontano), se egli non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio il giorno della nascita, o ancora dal giorno della nascita stessa, se però il marito dimostra di non aver saputo prima della nascita del figlio.
Riguardo all’ipotesi di infedeltà, la Cassazione ha precisato, anche in tempi recenti, che “la scoperta dell'adulterio commesso all'epoca del concepimento - alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall'art. 244 c.c. - va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo” (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 06/11/2023, n. 30844).
In ogni caso, l’articolo in esame prevede un termine massimo, ossia cinque anni dalla nascita del figlio, ma solo se il marito si trovava al tempo della nascita nel luogo in cui è nato il figlio.
Dunque, almeno teoricamente, potrebbero esservi i presupposti per un disconoscimento, ma occorre affrontare al più presto - considerati i termini stringenti - la questione con un legale per verificare in concreto la possibilità di avviare la relativa azione.

Passando alle ulteriori domande, non è ravvisabile - a parere di chi scrive - una responsabilità penale della moglie né dell’uomo con cui ella avrebbe avuto una relazione.
Quando alla eventuale responsabilità di ordine civilistico, il dovere di fedeltà (art. 143 c.c.) rientra tra gli obblighi reciproci dei coniugi e la sua violazione, in linea di massima, può dare luogo a una condanna al risarcimento del danno. Attenzione, però: la Cassazione infatti ha precisato i limiti e le condizioni della risarcibilità del danno.
Si veda in particolare Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 07/03/2019, n. 6598: “la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale”.
Si tratta naturalmente di una valutazione da farsi caso per caso. Ad esempio, visto che nella vicenda descritta nel quesito si lamenta anche un danno alla salute, questo andrà adeguatamente provato.

Quanto appena detto, inoltre, vale per la moglie, che è destinataria del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio.
Ma il terzo con cui ha intrattenuto la relazione può essere considerato responsabile di un danno nei confronti del coniuge tradito e, quindi, condannato a risarcire il danno?
La risposta può ritrovarsi nella stessa pronuncia appena esaminata, la n. 6598/2019, in cui la Suprema Corte afferma testualmente: “in proposito, è opportuno rilevare che, in sé, l'amante non è ovviamente soggetto all'obbligo di fedeltà coniugale - il quale riveste un evidente carattere personale-, e pertanto non potrebbe essere chiamato a rispondere per la violazione di tale dovere. Laddove si alleghi, correttamente, che il diritto violato non è quello alla fedeltà coniugale, bensì il diritto alla dignità e all'onore, non può escludersi, in astratto, la configurabilità di una responsabilità a carico dell'amante. Essa, peraltro, potrà essere affermata soltanto se l'amante stesso, con il proprio comportamento e avuto riguardo alle modalità con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili -quali la dignità e l'onore- del coniuge tradito (si pensi, per esempio, all'ipotesi in cui egli si sia vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini), e purché risulti provato il nesso causale tra tale condotta, dolosa o colposa, e il danno prodotto. In caso contrario, infatti, il comportamento dell'amante è inidoneo a integrare gli estremi del danno ingiusto, costituente presupposto necessario del risarcimento ex art. 2043 c.c., avendo egli semplicemente esercitato il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell'intrattenere relazioni interpersonali con persone coniugate; allo stesso modo in cui, sia pure entro i limiti delineati, resta libero di autodeterminarsi ciascun coniuge”.
In sostanza, dunque, si può chiedere il risarcimento all’amante solo se, con il proprio comportamento, ha causato una lesione di diritti inviolabili del coniuge tradito.

Ultima domanda, e ultima risposta: la casa coniugale, com’è noto, viene assegnata sulla base della valutazione prioritaria dell’interesse dei figli (art. 337 sexies c.c.). Quindi, di regola, l’abitazione familiare andrà al genitore con cui i figli convivranno sulla base di quanto deciso dal Giudice. Invece in materia di assegnazione della casa non ha rilevanza l’eventuale addebito della separazione (che esclude semmai solo l’assegno di mantenimento per il coniuge a cui la separazione sia stata appunto addebitata).
Sia detto per inciso, peraltro, l’addebito non è scontato neppure in caso di infedeltà coniugale, perché è necessario dimostrare che il tradimento sia stato la vera e propria causa della rottura del matrimonio e non sia, invece, intervenuto in rapporto di coppia già in crisi.

Alessandro P. chiede
venerdì 09/04/2021 - Friuli-Venezia
“La consulenza richiesta riguarda la separazione fra conviventi.
Ho convissuto con la mia compagna per 17 anni, abbiamo 2 figlie una di 16 ed una di 9 anni.
Per una serie di motivi ho deciso di separarmi e avrei necessità di sapere quali sono i miei obblighi verso la mia compagna e le mie figlie dal punto di vista economico, considerando che il mio stipendio mensile ammonta a € 1.600,00.
Naturalmente l'affido delle ragazze sarebbe condiviso.
Abitiamo in un appartamento di proprietà di mia madre che è situato nello stesso stabile in cui vivono i miei genitori e dove io mi trasferirei temporaneamente.
Le ragazze in questo modo avrebbero solo un piano di scale da fare per passare del tempo con me e avrebbero modo anche di fermarsi per la notte.
La mia compagna da diversi anni non lavora ed anche attualmente è disoccupata, non possiede altri redditi e quindi economicamente dipende completamente da me.
Mi interesserebbe, nell'attuale situazione, conoscere quale sarebbe la quota mensile che sarei tenuto a versare per ognuna delle ragazze. Desidererei inoltre sapere se la mia compagna avrebbe diritto agli alimenti e se così fosse a quanto ammonterebbero. Se la sua situazione lavorativa cambiasse avrei ancora obblighi economici verso di lei?
Un' ultima domanda: se io desiderassi continuare ad abitare nell' appartamento familiare, di proprietà di mia madre, potrei chiedere alla mia compagna di trasferirsi altrove pur rimanendo nelle vicinanze? In questo caso quali sarebbero le spese a mio carico?
In attesa di Vs. risposta invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/04/2021
La disciplina dei criteri cui il giudice si deve attenere nel regolamentare la situazione dei figli, in caso di crisi della coppia genitoriale, è contenuta agli artt. 337 bis e ss. c.c., applicabili anche nei procedimenti riguardanti la prole di genitori non sposati tra loro.
Il principio ispiratore di tale disciplina, che deve orientare ogni decisione assunta in materia, è quello dell’interesse morale e materiale dei figli stessi.
Ciò premesso, passiamo a rispondere ai diversi quesiti posti.
Riguardo al mantenimento, anche se negli ultimi anni si è andata affermando l’idea del “mantenimento diretto” (ciascun genitore provvede autonomamente alle necessità dei figli per il periodo in cui gli stessi si trovano con lei, o lui), nella prassi rimane prevalente il sistema basato sulla corresponsione di un assegno mensile da parte di uno dei genitori, come peraltro espressamente previsto dall’art. 337 ter c.c.
Non è possibile predeterminare a priori l’entità del contributo al mantenimento che, come previsto dalla stessa norma appena citata, è rimessa alla valutazione del giudice e dipende da diversi fattori:
1) le attuali esigenze del figlio
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore
4) le risorse economiche di entrambi i genitori
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Si sottolinea, inoltre, che, secondo prassi costante, all’assegno mensile si aggiunge una quota di contribuzione di misura variabile (di solito del 50%, ma è possibile una ripartizione diversa) nelle cosiddette spese straordinarie, cioè non comprese nel mantenimento stesso (quali, a titolo esemplificativo, spese per attività ludiche e sportive, spese mediche non comprese nel S.S.N., ecc.).
Trattandosi di convivenza more uxorio, la ex compagna non avrà diritto ad un assegno di mantenimento (come quello che spetta, in presenza di determinati presupposti, al coniuge in caso di separazione o divorzio): al riguardo è necessario precisare che nel testo del quesito si parla erroneamente di “alimenti”.
Gli alimenti, però, sono una prestazione economica ben diversa dal mantenimento: sono dovuti, infatti, solo da determinati soggetti in favore di persone a loro legate da particolari vincoli, secondo un ordine di preferenza stabilito dal codice civile (art. 433 c.c.); inoltre, spettano solo a chi, tra i beneficiari indicati dalla legge, si trovi in stato di bisogno e non devono superare quanto sia necessario per la vita del beneficiario stesso (art. 438 c.c.).
Ora, la novità introdotta negli ultimi anni è che, ai sensi dell’art. 1, comma 65 della L. n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà), “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”.
Infine, quanto alla possibilità di “mettere alla porta” la ex compagna, occorre ribadire che anche la decisione relativa all’assegnazione della casa già adibita ad abitazione del nucleo familiare deve conformarsi al criterio prioritario dell’interesse dei figli (art. 337 sexies c.c.): tali considerazioni prevalgono, infatti, sull’eventuale titolo di proprietà. Pertanto anche tale tipo di scelta andrebbe sottoposta alla valutazione del giudice.

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