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Articolo 801 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Revocazione per ingratitudine

Dispositivo dell'art. 801 Codice Civile

La domanda di revocazione per ingratitudine [800 c.c.] non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell'articolo 463(1), ovvero si è reso colpevole d'ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435(2) e 436 [802, 806 c.c.](3).

Note

(1) Si tratta delle ipotesi in cui il donatario abbia:
- ucciso o tentato di uccidere il donante, il coniuge, un discendente o un ascendente di questo (v. 463 n. 1 del c.c.);
- abbia commesso contro di loro un fatto al quale si applicano le disposizioni sull'omicidio, es. l'istigazione al suicidio di minore di anni 14 (v. 463 n. 2 del c.c.);
- abbia denunciato gli stessi infondatamente o abbia testimoniato falsamente contro di loro per un reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni (v. 463 n. 3 del c.c.).
(2) Il riferimento è, oramai, privo di rilievo stante l' abrogazione dell'art. 435 del c.c. per opera della L. 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia).
(3) Ai sensi dell'art. 437 del c.c., il donatario è obbligato a prestare gli alimenti al donante, prima di qualsiasi altro soggetto. In caso di inadempimento è possibile revocare la donazione.

Ratio Legis

La norma in commento costituisce un'eccezione rispetto al principio generale, che vale in materia di contratti, secondo cui solo con il consenso di entrambe le parti è possibile sciogliere il contratto. L'eccezione si spiega in considerazione della volontà del legislatore di tutelare interessi di ordine morale.

Brocardi

Ingratitudo

Spiegazione dell'art. 801 Codice Civile

Questa revoca era sconosciuta al diritto romano; introdotta, per prima, da una costituzione degli Imperatori Costanzo e Costante (a. 349) a favore delle madri verso le quali i figli donatari si fossero mostrati ingrati, fu riconosciuta da Giustiniano, che la disciplinò ex se, fissando in quattro le cause che la determinavano: ingiurie atroci, vis di fatto verso il donante, grave danno arrecato al suo patrimonio, inadempimento degli oneri imposti con la donazione.
Il codice del 1865 riconosceva soltanto tre cause; quello vigente, nel riprodurle, ne ha aggiunta una quarta. Esse sono tutte tassative, nel senso, cioè, che per altre cause la revoca non è ammessa, ancorché sia da lamentare un’ingratitudine morale del donatario.
La domanda di revocazione per ingratitudine è, così, proponibile se il donatario:
a) ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il donante o il coniuge o un discendente o un ascendente di lui, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a termini della legge penale;
b) ha commesso in danno di una di tali persone un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
c) ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, e la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale, ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati e la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di esso donatario, falsa in giudizio penale.
Sono queste di cui ai punti a), b) e c) le stesse cause che determinano l’indegnità a succedere ed alla cui configurazione e regolamentazione occorrerà quindi far capo anche per decidere dell'ingratitudine del donatario;
d) si è reso colpevole di ingiuria grave verso il donante; nella corrispondente causa prevista dall'art. #1081# del codice precedente si menzionavano, accanto alle ingiurie gravi, “altre minacce e sevizie”, termini che non figurano più nell’art. 801, perché i fatti costituenti tali forme di reato sono già previsti dalla legge. Che cosa sia da intendersi per ingiuria grave non è possibile affermare a priori, trattandosi di una qualificazione affidata al discernimento del giudice che, nel decidere, dovrà considerare non soltanto il quid factum, ma, nel loro insieme, le condizioni sociali, i rapporti fra donante e donatario, le circostanze di tempo, di modo e di luogo in cui vennero pronunciate;
e) ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante: tale causa è nuova e si giustifica da un duplice punto di vista, giuridico e morale; l’avverbio “dolosamente” sta ad indicare che il danno non può costituire causa di revoca quando è determinato da comportamento colposo del donatario;
f) ha rifiutato indebitamente gli alimenti che per legge è tenuto a somministrare al donante. Questa precisazione del titolo che è a base del diritto del donante agli alimenti da parte del donatario, e che, in sostanza, si identifica col rapporto di parentela e di affinità, elimina le gravi controversie dibattute sotto il vecchio codice del 1865 nell’interpretazione dell’avverbio "indebitamente" che si leggeva nel n. 3 dell’art. #1081#. Precisato nel vincolo di parentela o di affinità il fondamento dell’obbligo agli alimenti, deve escludersi quale causa di revoca il diniego del donatario di prestare gli alimenti dovuti a diverso titolo, ancorché debba considerarsi in debito: così se gli alimenti sono dovuti per convenzione o per la stessa qualità di donatario. Contro il diniego di costui, il donante potrà far ricorso, nel primo caso, alle comuni azioni contrattuali, nel secondo, all’azione che è posta a tutela dell’obbligazione alimentare. Va rilevato come la revoca della donazione non fa venir meno l’obbligo alimentare, ma si risolve in una sanzione per il diniego a somministrare gli alimenti.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

384 A proposito della revocazione per ingratitudine, è stato suggerito di aggiungere una nuova causa, e cioè il rifiuto indebito degli alimenti dovuti per legge al donante. Ho accolto la proposta, chiarendo peraltro che gli alimenti che si prendono in considerazione sono quelli dovuti per un rapporto di parentela o di affinità. In tal caso la revoca della donazione non fa venir meno l'obbligo alimentare, ma si risolve in un'ulteriore sanzione per il diniego degli alimenti. Nell'ipotesi invece in cui l'obbligo alimentare è fondato soltanto sulla qualità del donatario, sarebbe stato ingiustificato ammettere il diritto di revoca, poiché l'azione alimentare data al donante contro il donatario inadempiente varrà a porre nel nulla la donazione, producendo così lo stesso effetto pratico della revoca. Per queste considerazioni, ho previsto tra le cause di revocazione il rifiuto indebito degli alimenti, facendo riferimento agli articoli 433, 435 e 436, che regolano l'obbligo alimentare tra parenti od affini.

Massime relative all'art. 801 Codice Civile

Cass. civ. n. 13544/2022

L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento, a prescindere, peraltro, dalla legittimità del comportamento del donatario.

Cass. civ. n. 22341/2020

Esula dalla competenza della sezione specializzata in materia d'impresa ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 168 del 2003, la controversia relativa alla domanda di revocazione di una donazione, pur quando essa abbia avuto ad oggetto, diretto o indiretto, partecipazioni sociali, laddove l'attore lamenti, ai sensi dell'art. 801 c.c., la violazione degli obblighi verso il donante ivi previsti, onde le vicende societarie vi restino del tutto estranee.

Cass. civ. n. 22013/2016

L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento, e costituisce, peraltro, formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali.(Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ravvisato la ragione dell'ingratitudine non nella relazione extraconiugale in sé intrattenuta dal coniuge donatario, bensì nella circostanza che tale relazione era stata ostentata, anche fra le mura della casa coniugale, in presenza di una pluralità di estranei e, talvolta, anche del marito).

Cass. civ. n. 7487/2011

L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l'individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli artt. 594 e 595 c.p. e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva. (Nella specie, la S.C., nell'enunciare l'anzidetto principio di diritto, ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza degli estremi dell'ingratitudine nel comportamento del donatario che, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i due genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, aveva invitato il padre, con una lettera formale, a lasciare l'immobile di sua proprietà, destinato a casa familiare, acquistato con il denaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna).

Cass. civ. n. 14093/2008

L'ingiuria grave che, ai sensi dell'art. 801 c.c., legittima la revoca della donazione per ingratitudine del donatario, consiste in un qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo rilevante il patrimonio morale del donante, e palesi per ciò solo un sentimento di avversione da parte del donatario. (Nella specie la S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto che integrasse gli estremi dell'ingiuria grave la condotta della moglie che aveva intrattenuto per lungo tempo una relazione extraconiugale con modalità oggettivamente irriguardose nei confronti del coniuge, sfociata nell'abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli).

Cass. civ. n. 7033/2005

L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal diritto penale è, purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto, connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l'effetto, contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto) disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune (nella specie, la S.C., nell'enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza degli estremi dell'ingratitudine, nel comportamento del donatario che aveva schiaffeggiato per due volte la madre donante, essendo l'episodio maturato a seguito di provocazione in un contesto di rapporti familiari deteriorati per contrasti riconducibili alle scelte di vita del donatario, disapprovate dai genitori donanti).

Cass. civ. n. 5333/2004

Non costituiscono ingiuria grave verso il donante, ai fini della revoca della donazione per ingratitudine ai sensi dell'art. 801 c.c., né il rifiuto di acconsentire alla richiesta del donante di vendita dell'immobile oggetto di donazione (tale richiesta equivalendo ad una pretesa di restituzione del bene, legittimamente rifiutata indipendentemente dai motivi della stessa), né quei comportamenti di reazione legittima (perché attuata attraverso gli strumenti offerti dall'ordinamento) a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla.

Cass. civ. n. 5310/1998

L'ingiuria grave che l'art. 801 c.c. prevede quale motivo di revocazione della donazione ricorre quando il beneficiario ha leso con il proprio comportamento il patrimonio morale e affettivo del donante se la lesione è avvenuta per effetto dell'animosità ed avversione nutrite dal donatario avverso il donante. Pertanto, non costituisce offesa grave ai sensi dell'art. 801 c.c. la vendita da parte del donatario dell'appartamento ricevuto in donazione, né la presentazione all'autorità di pubblica sicurezza di un esposto contro il donante, ove tale iniziativa sia volta a far cessare un comportamento illegittimo del donante nei confronti del donatario. (Nella specie il donante aveva cambiato la serratura dell'appartamento impedendone al donatario l'accesso).

Cass. civ. n. 10614/1990

La revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo dell'ingiuria grave richiede un'azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell'animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo, non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore.

Cass. civ. n. 2003/1987

La donazione, anche indiretta, tra i coniugi (ammessa dopo la dichiarazione di incostituzionalità del relativo divieto, con sentenza n. 91 del 1973 della Corte cost.) non si sottrae (anche nel vigore del regime di parità introdotto con la riforma del diritto di famiglia) alla revocazione per ingratitudine ex art. 801 c.c. Peraltro, ai detti effetti, l'ingratitudine del coniuge donatario, in ipotesi di separazione, non si può ravvisare nel solo fatto di aver posto fine alla convivenza e in quello di aver intrecciato un nuovo legame, ma va individuata nel modo ingiurioso con cui tali fatti siano stati compiuti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 801 Codice Civile

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Cliente chiede
domenica 18/08/2024
“Premessa :
mia madre mi donò nel 2018 un appartamento di sua proprietà come anticipo della futura eredità
Precedentemente nel 2014 con la stessa finalità della donazione, si realizzò una compra vendita tra me e mia sorella che risultò come donazione indiretta da parte di mia madre
tutto ciò potete comprovarlo nei due documenti allegati
questi due appartamenti corrispondono all’eredità che voleva lasciarmi mia madre e che io accettai di riconoscerlo davanti ai miei due fratelli , firmando un documento in cui si diceva che al momento della ripartizione dell’eredità si sarebbe tenuto conto di questi due appartamenti che mi erano stati donati in precedenza
Precisiamo che mia madre ha già predisposto di lasciare ai miei due fratelli appartamenti dello stesso valore ( mia madre è proprietaria di un edificio di tre piani , valutati dello stesso valore , ogni piano lei lo ha già assegnato a uno dei tre figli , però solo a me ha trasferito la proprietà dei due appartamenti del 1º piano )
Importante dire che nel 2017 ci fu un terremoto e tutto l’edificio , proprietà di mia madre che oltretutto viveva all’epoca all’ultimo piano dello stesso , è stato svuotato e messo in sicurezza durante questi ultimi anni, fino a che adesso ad agosto 2024 sono iniziati i lavori di restauro. Mia madre quindi dal 2017 ad oggi ha vissuto in affitto ( pagato dal comune ) in un altro appartamento.
Quindi nel 2018 l’appartamento donatomi da mia madre già era un appartamento terremotato ( colpito da terremoto ) che però comunque legalmente si poteva donare
Arriviamo alla domanda
Mia madre vuole rientrare a vivere nel “ suo” edifico e vista la sua precaria salute , la cosa più comoda per lei sarebbe prendere uno dei miei due appartamenti del 1º piano…l’edificio ha un ascensore e lei prima del terremoto viveva al 3º piano….
So che lei vuole cambiare il testamento
Vorrei sapere se potrebbe revocare uno dei due atti o delle due donazioni precedentemente menzionate
Non mi è sembrato che mi volesse chiedere il permesso per modificare qualcosa , ma che fosse sicura di poterlo fare ….ancora non ci siamo parlate a 4 occhi però con queste voci che mi sono arrivate volevo prevedere i suoi passi per sapere se e cosa potrei fare …..
Mi sembra avervi spiegato un’ tutta la situazione per potermi consigliare
Vi ringrazio sin da ora
Buona giornata”
Consulenza legale i 29/08/2024
I timori che si hanno, ovvero quelli di una potenziale revoca del testamento e/o delle donazioni, sono solo parzialmente fondati.
Il testamento, come risulta espressamente dalla lettera dell’art. 587 del c.c., è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore, potendo il testatore togliere valore alla scheda testamentaria già predisposta o modificarla.
Peraltro, il principio della revocabilità è inderogabile, in quanto l’ordinamento giuridico vuole che sia garantita la libertà di disporre delle proprie sostanze per l’epoca posteriore alla morte (infatti, l’art. 679 del c.c. dispone che non si può in alcun modo rinunciare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie e che ogni clausola contraria non ha effetto).

Quanto appena detto per il testamento non vale, invece, per la donazione, la quale può essere revocata solo in presenza di due gravi ragioni, ovvero:
  1. l’ingratitudine del donatario (art. 801 c.c.);
  2. la sopravvenienza di figli o discendenti del donante (art. 803 del c.c.)

L’art. 801 c.c. fornisce una descrizione di quelli che sono i comportamenti qualificabili come manifestazione di ingratitudine, menzionando innanzitutto i comportamenti che danno luogo ad indegnità a succedere di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 463 del c.c..
Vengono poi indicate quali cause di revocazione:
  • l’ingiuria grave, la quale consiste in qualunque comportamento da cui scaturisce un’offesa alla personalità morale del donante o lesiva del decoro e dell’immagine sociale dello stesso (ad esempio, la giurisprudenza, Cass. n. 14093/2008, ha considerato tale il fatto di rivolgere frasi offensive o minacciose al donante);
  • l’avere dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante o l’aver indebitamente rifiutato di prestare gli alimenti.

Da quanto fin qui detto è facile desumere che, mentre le volontà testamentarie della propria madre possono sicuramente essere modificate (ma ciò non sembra che possa danneggiare la situazione del donatario), ben più complesso sarebbe per la stessa revocare le donazioni finora effettuate, in quanto occorrerebbe fornire la difficile prova della ricorrenza di uno dei presupposti stabiliti dagli artt. 800 e ss. c.c., presupposti che, stando a ciò che viene scritto nel quesito, non sembrano sussistere.

Piuttosto, considerate le precarie condizioni di salute della madre, che potrebbero in certo qual modo essere alleviate, almeno secondo il suo personale sentire, dal fatto di poter vivere in un appartamento a piano basso, una soluzione potrebbe essere quella di concederle di vivere nell’appartamento al primo piano, stipulando con la stessa un contratto di comodato precario, da cui far constare proprio la finalità di voler venire incontro alle esigenze fisiche della comodataria.

Si tratterebbe, in fondo, di porre in essere, anche sotto il profilo morale, un atto di gratitudine nei confronti della madre donante, la cui mancanza, tuttavia, non può assurgere a manifestazione di quell’atteggiamento di ingratitudine, che l’art. 801 c.c. individua come causa di revocazione della donazione.


Mirco V. chiede
giovedì 10/01/2019 - Lombardia
“Buongiorno, mia madre oggi ottantunenne, nel 1988 ha donato con riserva di usufrutto a mia sorella una porzione di fabbricato totalmente da ristrutturare, inserendo nell’atto che “l’immobile qui donato è gravato dall’onere modale, qualora venisse posto in vendita , del diritto di prelazione a mio favore, fratello della donataria”.
Da più di 20 anni mia sorella dopo una discussione con mio padre, considerando che voleva portarsi in casa il terzo convivente, si è allontanata dal paese disinteressandosi completamente dei propri genitori e e non si è fatta più sentire e vedere . ( oggi mio padre 85 anni e mia madre 81 con problemi di salute)
Tengo a precisare che una parte del mutuo da lei contratto per la ristrutturazione è stato pagato dai miei genitori, che gli stessi hanno contribuito alla buona uscita del primo marito, che hanno sempre pagato imu sull’immobile di proprietà della stessa e pagato altre spese compresa la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile sostenendo spese un totale di circa € 80.000,00.
Vi chiedo se è possibile chiedere dai miei genitori una cancellazione/revoca della donazione per grande ingratitudine.
Grazie per un vs. riscontro in merito.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 16/01/2019
Purtroppo la risposta non è agevole.
Due sono le ipotesi di revoca per ingratitudine che potrebbero venire in considerazione nel caso in esame.

Una è quella dell’indebito rifiuto, da parte del donatario, di prestare gli alimenti dovuti (in base alla disciplina degli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti del codice civile).
Va precisato, tuttavia, che gli “alimenti” sono cosa ben diversa dall’assistenza o dal mantenimento e richiedono, quale presupposto, lo “stato di bisogno”.
Con questa espressione si fa riferimento allo stato di chi manca di ogni risorsa o dispone di mezzi insufficienti al soddisfacimento delle proprie necessità primarie di vita, quelle cioè che gli garantiscono un’esistenza dignitosa (vitto, abitazione, vestiario e cure).
Anche se il quesito non lo specifica, pare a chi scrive che la donante (la mamma) non versi in stato di bisogno vero e proprio ma solamente in una situazione – pur se oggettiva – di difficoltà, dovuta allo stato di salute ed all’età avanzata.

L’altra ipotesi che viene in considerazione – certamente più pertinente rispetto alla situazione concreta - è quella della revoca della donazione per “ingiuria grave” ai sensi dell’art. 801 c.c..
Va premesso che la legge non offre una definizione precisa e circostanziata di quest’ultima espressione e che quindi ogni valutazione circa l’idoneità dei comportamenti del donatario a porre in essere gli estremi dell’ingratitudine ai sensi della norma citata costituisce un apprezzamento del giudice, insindacabile poi in sede di giudizio davanti alla Corte di Cassazione: è il principio espresso da quest’ultima con la sentenza n. 25890 del 2016.

Ciò detto, la medesima Corte ha chiarito che l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. deve consistere in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario tale da ripugnare alla coscienza collettiva (Cass. civ. Sez. II Ord., 24/09/2018, n. 22447).

Più precisamente i Giudici sostengono che il fatto che la persona beneficiaria della donazione non si sia presa cura del donante non basta ad ottenere la revoca, specie se vi sono rapporti tesi tra parenti.
Il caso esaminato dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 23545/2011 riguarda un caso analogo a quello di specie.
La domanda di revocazione per ingratitudine era stata proposta da un'anziana signora che dopo aver donato alla nipote la nuda proprietà di una casa con riserva di usufrutto per sé e (alla sua morte) per il coniuge, aveva deciso di chiedere la revoca del suo atto di liberalità.
A cinque anni di distanza dall’atto di donazione, infatti, la donna era rimasta vedova ed aveva chiesto alla nipote di essere assistita moralmente e fisicamente data la sua condizione di solitudine e di malattia e, soprattutto, dato il suo scarso reddito. Non avendo ricevuto le sperate attenzioni l'anziana chiedeva la revoca della donazione considerando "grave ingiuria" il fatto che la nipote l'avesse abbandonata a se stessa.

La domanda veniva, però, respinta sia in primo grado sia in secondo grado perché l'ingratitudine mostrata dalla nipote doveva essere inquadrata nella ''antica acrimonia'' che l'anziana donna "nutriva verso i parenti del marito". Anche la Suprema Corte ha respinto le richieste dell'anziana annotando che "il giudice di appello ha ritenuto che l'indisponibilità della donataria ad assistere la donante e a venire incontro alle sue esigenze di assistenza lasciandola così in una situazione di abbandono e di solitudine non configuravano gli estremi dell'ingiuria grave prevista dall'art. 801 c.c., non sostanziandosi in alcun atto di aggressione al patrimonio morale dell'anziana, e che d'altra parte il comportamento della nipote doveva essere inquadrato nel degrado dei rapporti personali intercorrenti tra la donante e i familiari del marito, tra cui la donataria, contrassegnati da antica acrimonia e disaffezione".

Come si vede, dunque, non è automatico che un atteggiamento di abbandono morale e materiale del donante da parte del donatario si traduca in una “grave ingiuria” ai sensi della disciplina sulla revoca delle donazioni.

Tuttavia, poiché ogni caso viene valutato discrezionalmente dai giudici, caso per caso, è senz’altro legittimo e possibile presentare la domanda di revocazione in giudizio, anche se sulle probabilità di esito positivo di quest’ultimo, per le ragioni esposte, occorre rimanere cauti.

Angelo F. chiede
lunedì 07/05/2018 - Sicilia
“Nell’anno 2000 ho stipulato un atto di donazione della mia quota di un edificio a favore della propria germana per ringraziarla del fatto che durante il mio breve periodo di ingiusta custodia cautelare veniva ogni tanto a trovarmi in carcere. Dal reato di cui ero stato accusato sono stato totalmente prosciolto.
Nell’anno 2009 la stessa ha registrato dal notaio un falso testamento che la medesima aveva trascritto appropriandosi una mia ulteriore quota di un edificio di proprietà di una nostra sorella deceduta.
E’ possibile revocare la donazione che lo scrivente aveva stipulato a favore della germana nell’anno 2000 Per il fatto che la stessa ha scritto e registrato un testamento falso?
Si rimane in attesa di risposta.”
Consulenza legale i 10/05/2018
La donazione è il contratto attraverso il quale un soggetto determina l’arricchimento di un altro soggetto “per spirito di liberalità”, in modo del tutto disinteressato.
La donazione è un atto di liberalità che, in linea di massima, non è mai revocabile, salvo casi specifici, espressamente indicati dalla legge.
In particolare una donazione può essere revocata solo per “ingratitudine” o “per sopravvenienza di figli”.
Per quanto riguarda la “ingratitudine”, ai sensi dell’art 801 c.c. “la domanda di revocazione non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1,2 e 3 dell’art. 463 c.c., ovvero si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433 e 436”.
Dunque, tra le ipotesi previste dal citato articolo, vi è quella del “grave pregiudizio patrimoniale” arrecato dolosamente dal donatario al patrimonio del donante.
Al riguardo è stato sottolineato che la fattispecie potrà dirsi integrata solo quando il donatario pone in essere un danno effettivo al patrimonio del donante e non un mero pericolo di danno.
Secondo la Cassazione il pregiudizio dovrà essere “oggettivamente idoneo ad arrecare notevole offesa o danno al patrimonio del donante e dovrà essere stato causato con dolo da parte del donatario, ossia con malvagio proponimento di danneggiare il donante” (cfr. Trib. Bologna 27 aprile 2004).
E’ in ogni caso demandato al giudice stabilire se il comportamento del donatario sia tale da arrecare danno al patrimonio del donante alla luce della particolarità del caso concreto e tenendo conto del contesto dei rapporti tra donante e donatario.

Alla luce di quanto detto, a nostro avviso, il comportamento di Sua sorella, concretatosi nella redazione di un testamento falso per mezzo del quale Le avrebbe sottratto una quota del patrimonio a Lei comunque spettante in merito all’eredità di altra Sua sorella defunta, può essere ritenuto idoneo ad arrecare una notevole offesa ed un grave pregiudizio al Suo patrimonio.
Trattasi, inoltre, di un comportamento doloso, ossia posto in essere allo scopo di sottrarLe una quota dell’eredità di Sua sorella.
Riteniamo, pertanto, esperibile l’azione di revocazione della donazione, anche se, si ripete, sussiste una discrezionalità del giudice nel valutare caso per caso la idoneità del comportamento posto in essere dal donatario ad arrecare un grave pregiudizio al patrimonio del donante.
La revoca della donazione non si attua, difatti, di diritto, ma è necessario che l’interessato (il donante) esperisca un’azione giudiziale, spettando solo al Giudice il potere di sciogliere il contratto di donazione.
La domanda di revocazione è, però, soggetta a limiti temporali di decadenza. Ai sensi dell’art. 802 c.c. “ la domanda di revocazione per causa d’ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l’anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione”.
Pertanto, bisognerà verificare, nella fattispecie, se non sia già decorso il detto termine da quando è stato redatto il testamento (falso) sino alla domanda di revocazione ex art. 801 c.c.


Claudio L. chiede
martedì 07/11/2017 - Puglia
“Mevia effettua due donazioni a favore di Caio. Con la prima donazione del 1998 Mevia ha dichiarato di donare irrevocabilmente a titolo di prelegato ed anteparte, con dispensa da collazione ma con riserva di usufrutto. Con la seconda del 2003 Mevia si riserva il solo l'usufrutto su altri immobili.Fra la domante e il donatario non c'è alcun vincolo di parentela. Caio, ha il possesso legale, ha sempre pagato gli oneri fiscali sugli immobili nonostante fosse onere della donante e ha effettuato costosi interventi di risanamento sugli immobili. Mevia, affetta da gravissime patologie che la rendono inabile e ospite presso alcuni parenti, cita in giudizio Caio per ottenere la revoca degli atti di donazione per comportamenti assunti da Caio che integrano gli estremi della ingiuria grave. Mevia sostiene: 1) di essere stata abbandonata nel bisogno da Caio che si era impegnato verbalmente ad assisterla. 2) Dopo un ricovero ospedaliero, assistita dai suoi parenti, Mevia trovava sostituita la serratura delle porte di ingresso dei beni immobili donati e che conservava l'usufrutto; 3) che a richiesta verbale Caio non consegnava le chiavi minacciando di farsi assistite dai suoi nipoti; 4) Mevia non ha alcuna possibilità economica per mantenersi. In verità, Mevia gode di una pensione sociale e di una indennità di accompagnamento oltre il fitto di altri immobili.Può trovare accoglimento detta azione di revocazione ex art. 801 c.c.?”
Consulenza legale i 17/11/2017
Nel caso in esame Mevia chiede la revoca delle donazioni effettuate a favore di Caio per essersi, quest’ultimo, reso responsabile di ingiuria grave verso il donante.

La donazione è un atto di liberalità che, in linea di massima, non è mai revocabile, salvo casi specifici, espressamente indicati dalla legge.
In particolare una donazione può essere revocata solo per “ingratitudine” o “per sopravvenienza di figli”.

Per quanto riguarda l’ingratitudine ne è responsabile, tra le altre ipotesi previste dall’art. 801 c.c., chi è colpevole di grave ingiuria verso il donante.
L’ingiuria grave, nell’interpretazione costante della giurisprudenza, consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva.
Dunque, per potersi configurare l’ingiuria grave è necessario che l’offesa sia tale da ledere, in maniera rilevante, il patrimonio morale del donante e che sia espressione di un vero e proprio sentimento di odio e avversione del donatario verso il donante.
L’ingiuria grave proferita dal donatario verso il donante, che consente la revoca della donazione, va valutata in base al caso concreto. Bisogna valutare, infatti, il motivo per cui l’offesa è stata rivolta, l’eventuale provocazione ed il clima che si è venuto a creare tra le parti.
Dunque la revoca per ingiuria grave deve essere ravvisata e valutata caso per caso dall’organo giudicante.

Chiariti i presupposti giuridici della ingiuria grave, a parere di chi scrive, la domanda di revocazione ex art. 801 c.c. potrebbe, nel caso in esame, anche trovare accoglimento .
L’accoglibilità della detta azione di revoca trova il proprio fondamento non tanto nell’omessa assistenza nei confronti di Mevia, bensì nello spoglio del diritto di usufrutto perpetrato da Caio nei confronti della donante.

Trattasi, infatti, di donazioni con riserva di usufrutto, ossia una fattispecie di donazione con la quale il donante dona un bene riservandosi però il diritto di godere dello stesso.
Mevia ha donato a Caio la nuda proprietà degli immobili riservandosi la possibilità di continuare a viverci e /o eventualmente darli in affitto.
Con la sostituzione delle serrature e la successiva mancata consegna delle chiavi, Caio ha posto in essere un comportamento offensivo nei confronti di Mevia, negandole di fatto l'esercizio del diritto di usufrutto che la donante si era riservata, e comportandosi come reale padrone degli immobili pur essendone solo nudo proprietario.
La Cassazione al riguardo ha ritenuto esperibile la domanda di revocazione nel caso il donatario di fatto impedisca l'effettivo esercizio del diritto di usufrutto al donante riservatario (Cass. n.22010 del 2016).
Anche la Giurisprudenza di merito (Tribunale di Milano, sent. n. 11989 del 22.10.2010) ha ritenuto meritevole di accoglimento la domanda di revocazione avanzata dalla donante che era stata privata della possibilità di accedere all’immobile mediante apposizione di catene al cancello di ingresso dello stabile da parte della donataria.
La domanda è fondata ancor più nel caso in esame ove lo spoglio del diritto di usufrutto si è consumato in mancanza di un clima ostile e/ o di aspri contrasti tra le parti, tali da poter giustificare, o almeno rendere prevedibile, il comportamento posto in essere da Caio.
La Giurisprudenza, difatti, esclude la sussistenza della ingiuria grave, o comunque tende a giustificarla, quando l’episodio si sia verificato in un clima di acceso contrasto tra le parti.
Nessuno conflitto invece vi era tra le parti nel caso in esame, tanto vero che Caio ha sempre pagato gli oneri fiscali, pur non essendone obbligato, ed ha sostenuto ingenti spese per la ristrutturazione degli immobili, pur avendone solo la nuda proprietà.
Considerato, inoltre, che il comportamento offensivo non può essere desunto da singoli accadimenti, bensì dal complesso dei comportamenti ritenuti offensivi, a denotare un sentimento di disistima di Caio nei confronti di Mevia concorre anche l’omessa assistenza del donante nei confronti della donataria seppure, per giurisprudenza costante, l’omessa assistenza di per sé, da sola, non integri l’ipotesi di grave ingiuria.

Alla luce di quanto argomentato, la domanda risulta fondata nel merito.
Tuttavia, poiché la domanda al giudice per ottenere la revocazione per causa di ingratitudine deve essere proposta dal donante contro il donatario entro un anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione ed essendo tale termine di un anno fissato a pena di decadenza, bisognerà verificare, nella fattispecie, se non sia già decorso il detto termine da quando è stato realizzato lo spoglio sino alla domanda di revocazione ex art. 801 c.c.

GIOVANNI G. chiede
mercoledì 02/09/2015 - Calabria
“Il donatario è rinviato a giudizio per lesioni volontarie, guaribili entro giorni 10, nei confronti del donante.Tale ipotesi delittuosa legittima, data per certa la sentenza di condanna in sede penale del donatario,la proponibilità della azione di revocazione della donazione ex art.801 cod.civ.?”
Consulenza legale i 07/09/2015
La domanda posta nel quesito è del tutto legittima, vista la ratio dell'istituto della revocazione per ingratitudine, tuttavia - quantomeno in base al dato letterale della legge - deve avere risposta negativa.

L'art. 801 del c.c. richiama innanzitutto l'art. 463 del c.c., che delinea le ipotesi di indegnità a succedere. Esso, ai primi tre punti, prevede che possa essere revocata la donazione fatta a favore di chi abbia:
1) volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima (purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale);
2) commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
3) ricevuto una condanna penale per calunnia (art. 368 del c.p.) o per falsa testimonianza (art. 372 del c.p.).
Il delitto di lesioni non rientra in alcuna di queste tre ipotesi.

L'art. 801 stabilisce poi la revocabilità della donazione quando il donatario si sia reso colpevole di ingiuria grave. La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che quest'ultima consista in un comportamento con il quale si rechi, all'onore o al decoro del donante, un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona (v. ad esempio Cass. civ., 28.5.2008 n. 14093).
E' esclusa dal concetto di ingiuria l'offesa all'integrità fisica del donatario, sia mediante percosse che mediante lesioni. Parte della dottrina ha, in verità, sollevato dubbi di costituzionalità - per contrasto con l'art. 3 Cost. - in merito a tale esclusione, rilevando come il codice civile del 1865 permetteva di comprendere le lesioni nella previsione allora vigente ("altro crimine o sevizia"), mentre l'attuale formulazione legislativa esclude tale riferimento.

Non si deve escludere, tuttavia, che le lesioni volontarie commesse dal donatario possano costituire manifestazione, da parte del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece, improntarne l'atteggiamento. Tuttavia, tale presupposto non può essere desunto da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine. Si dovrà pertanto valutare l'esistenza di una serie di comportamenti riconducibili alla lesione all'onore o decoro del donante.

C. G. chiede
lunedì 31/08/2015 - Sicilia
“Sono donatario da parte di madre dell'usufrutto di un appartamento di 230 mq del quale ero già nudo proprietario. Sono affetto da Sclerosi multipla secondaria progressiva con invalidità del 100% e portatore di handicap grave art. 3 comma 3 legge 104.
Mia madre di 87 anni energica ed in ottima salute mi sta costringendo ad uscire di casa insieme a mia moglie e mia figlia di 15 anni. Ha anche minacciato di revocare la donazione fatta con diritto di abitazione adducendo quali motivazioni calunniose, ingratitudine per averle chiesto di uscire da casa, a spese mie, per il tempo dei lavori necessari al mio stato di salute. Oltre che verbalmente ho reiterato la richiesta con lettera raccomandata spiegando in dettaglio il mio stato di salute irreversibile. Mia madre conosce bene la malattia. Suo fratello ne è morto a 70 anni ed io ne ho 60.
Chiedo di conoscere se attraverso un procedimento legale urgente vi è la possibilità di annullare in un modo qualsiasi il suo dritto di abitazione. Non è una questione di soldi, lei ha una pensione di reversibilità di E 5.000 lorde ed io sono medico con quasi 41 anni di contributi compresi 7 anni di riscatti e 18 mesi di contributi figurati per la mia invalidità che data dal Maggio 2005. Grazie per la consulenza.”
Consulenza legale i 03/09/2015
La vicenda vede un immobile inizialmente di nuda proprietà del figlio con l'usufrutto della madre: quest'ultima, ha donato l'usufrutto al figlio e si è riservata il diritto di abitazione.
Ora la donna sta creando dei problemi al figlio, gravemente malato, minacciandolo di farlo allontanare dall'abitazione.

A livello normativo, va premesso che il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento su cosa altrui: al titolare spetta la facoltà di utilizzare la cosa, ma non il potere di goderne dei frutti (es. non può dare l'immobile in locazione). L'uso della cosa è comunque limitato al fatto di potervi solo dimorare con la propria famiglia, servendosene soltanto nella misura necessaria per far fronte ai suoi bisogni.

L'estinzione del diritto può aversi solo nei seguenti casi:
- il titolare muore;
- scade il termine finale di durata eventualmente previsto dalle parti nel contratto;
- l'immobile perisce o viene totalmente distrutto;
- trascorrono vent'anni senza che il titolare eserciti il suo diritto;
- il titolare rinuncia al diritto;
- il titolare diventa nudo proprietario dell'immobile;
- in applicazione analogica di una norma sull'usufrutto, può aversi estinzione per abuso del diritto (art. 1015 del c.c.). Si ha abuso quando il titolare del diritto alieni il bene, lo deteriori o lo lasci andare in perimento per omessa manutenzione.

Al di fuori di queste ipotesi, non si riconosce la possibilità di "annullare" o cancellare in qualche modo il diritto di abitazione.

Tuttavia, il fatto di avere tale diritto non legittima l'habitator a pretendere dal proprietario di godere in modo esclusivo del bene. Difatti, dal limite dei bisogni soddisfacibili con il diritto di abitazione (solo esigenze di dimora) si suole desumere che l'habitator avrebbe titolo per escludere dalla casa il proprietario solo fino al limite in cui la può abitare egli stesso: superato questo limite, il proprietario dell'immobile è libero di utilizzare la propria casa come meglio crede, quindi anche abitandovi.

In altre parole, il titolare del diritto di abitazione ha l'obbligo di godere e limitare l'abitazione a quella porzione dell'immobile bastevole al soddisfacimento dei bisogni abitativi suoi (ed eventualmente della sua famiglia), avendo il proprietario la possibilità di persistere nell'uso della rimanente porzione di casa.

Nel caso di specie, l'appartamento è piuttosto grande (230 mq) e certamente consente agevolmente la coabitazione di madre e figlio. Non si ravvisano ragioni, quindi, perché la madre possa ottenere che il figlio - proprietario - sia allontanato dalla casa.

Per quanto concerne la donazione, l'art. 801 del c.c. stabilisce in modo chiaro che la revocazione per ingratitudine può aversi solo in alcuni casi, molto gravi, ovvero quando:
- il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell'articolo 463 (cioè egli ha ucciso o tentato di uccidere il donante, il coniuge, un discendente o un ascendente di questo; ha commesso contro di loro un fatto al quale si applicano le disposizioni sull'omicidio, es. l'istigazione al suicidio di minore di anni 14; ha denunciato gli stessi infondatamente o ha testimoniato falsamente contro di loro per un reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni);
- il donatario si è reso colpevole d'ingiuria grave verso il donante;
- ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante;
- gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti.

Nel caso di specie, le prime gravissime ipotesi non si sono realizzate; non si ravvisa alcuna dolosa arrecazione di danno al patrimonio del donante, né il rifiuto a prestare gli alimenti, mai richiesti. Resta l'ipotesi di ingiuria grave.

La legge non specifica debba trattarsi di ingiuria nel senso della norma penale (art. 594 del c.p.), pertanto va intesa come concetto più ampio: essa si realizza ogni qualvolta il donatario tenga una condotta che leda l'onorabilità e la dignità del donatario. Ad esempio, si è ritenuta lecita la revoca di una donazione da parte dei genitori, che si erano visti ingiustificatamente "buttar fuori di casa" dal figlio donatario, considerato che gli stessi non avevano altro immobile in cui vivere.
Nella vicenda in esame, non sembra potersi ravvisare una ipotesi di ingiuria grave nel comportamento del figlio, dal momento che la richiesta alla madre di allontanarsi di casa è stata adeguatamente motivata e la donna è stata avvertita che il figlio avrebbe a sue spese recuperato per lei un diverso alloggio, peraltro solo temporaneo.
In conclusione, non si vedono motivi di revoca della donazione e pertanto le minacce della madre appaiono prive di fondamento.

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