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Articolo 978 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Costituzione

Dispositivo dell'art. 978 Codice Civile

L'usufrutto è stabilito dalla legge, o dalla volontà dell'uomo [587, 785, 1350 n. 2, 2643 n. 2, 2648]. Può anche acquistarsi per usucapione(1).

Note

(1) Anche se la disposizione in esame non dice nulla sull'argomento, l'usufrutto può venire in essere per sentenza, in ipotesi, ad esempio, di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di costituire un usufrutto ai sensi dell'art. 2932 del c.c..

Brocardi

Fructuarius acquirere servitutem non potest, retinere potest
Nuda proprietas
Ususfructus sine persona esse non potest

Spiegazione dell'art. 978 Codice Civile

I modi di costituzione

Questa disposizione, che riproduce nella sostanza l'art. 478 del codice del 1865 e che, per il suo contenuto classificatorio, può considerarsi superflua, ma permette di fare una breve analisi sui modi di costituzione del diritto di usufrutto. Alla dicotomia dell'art. 478 (legge - volontà dell'uomo) la disposizione dell'art. 978 sostituisce una tricotomia (legge - volontà dell'uomo - usucapione) che, se da un punto di vista pratico può apparire più completa, per quanto neppure per il vecchio codice si fosse mai dubitato che l'usufrutto potesse acquistarsi per usucapione, non è concettualmente impeccabile, perché, se con l'espressione « volontà dell'uomo » si vuole far riferimento alle fattispecie negoziali, è chiaro che nella legge rientrano tutti i modi di acquisto del diritto che non si ricollegano a un negozio giuridico.

D'altro canto sono note le critiche mosse alla solita contrapposizione fra legge e negozio giuridico, fondate sul rilievo che la legge è sempre la fonte dei diritti e degli obblighi nel senso che essa ricollega a una determinata situazione di fatto, negoziale o meno, determinati effetti giuridici, per cui una contrapposizione di essa al negozio giuridico, come di due entità che stanno sul medesimo piano, non è logicamente esatta.


Le forme di usufrutto legale

Le ipotesi di usufrutto legale sono sempre le due tradizionali: l'usufrutto del genitore esercente la patria potestà sui beni dei figli mi­nori, e quello che spetta al coniuge superstite sui beni del coniuge defunto.

Le particolarità dell'usufrutto legale del genitore e di quello spettante al coniuge, sia nel caso di successione intestata nella quale concorra con figli legittimi, sia nel caso in cui la legge lo attribuisce a titolo di riserva, sono state esposte in sede più opportuna e non è il caso di richiamarle qui.

Può invece essere utile avvertire che mentre l'usufrutto del coniuge è interamente regolato dalle norme generali sull'usufrutto, salva qualche particolarità in ordine alla potestà di commutazione che spetta agli eredi (art. 537 del c.c., oggi abrogato), invece per l'usufrutto del genitore, che è il più rilevante aspetto patrimoniale della patria potestà, le norme sull'usufrutto trovano applicazione subordinatamente a quelle, che sono numerose e svariate, dettate specificamente nel primo libro del nuovo codice (art. 324 e segg.).


II negozio giuridico come mezzo di costituzione dell'usufrutto

Il negozio giuridico che può dar vita all'usufrutto può essere inter vivos (contratto) o mortis causa (testamento).

Nel primo caso l'usufrutto può sorgere in due modi, o mediante un contratto di alienazione (donazione, vendita, permuta ecc.) che abbia per oggetto la costituzione dell'usufrutto a favore dell'acquirente, ovvero mediante un contratto che abbia che abbia per oggetto il trasferimento della nuda proprietà, di modo che il diritto di usufrutto venga a crearsi in capo all’alienante (vendita, donazione, ecc. con riserva di usufrutto) o eventualmente ad un terzo beneficiario (contratto a favore di terzo).

A seconda della natura del contratto con il quale si costituisce il diritto di usufrutto la disciplina sarà diversa. Può essere tuttavia opportuno rilevare che in ogni caso il contratto costitutivo del diritto di usufrutto deve esser fatto in forma scritta sotto pena di nullità (art. 1350 del c.c. ed è soggetto alla formalità della trascrizione (art. 2643 n. 2).

Naturalmente, per la particolare natura dell'oggetto, il contratto costitutivo del diritto di usufrutto è sottratto all'applicazione di alcune delle norme dettate per il tipo di contratto di cui si tratta. Così si è ritenuto che la vendita di usufrutto o la vendita con riserva di usufrutto non è soggetta alla rescissione per lesione enorme, dato il carattere aleatorio che la vendita assume in tal caso. Altrettanto dovrà ritenersi per quanto riguarda l'azione generale di lesione, ammessa dal nuovo codice per tutti i contratti con prestazioni corrispettive (art. 1448 del c.c., il quale espressamente sottrae al rimedio della lesione i contratti aleatori), e per quanto riguarda la risoluzione del contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione (art. 1467 del c.c.), che in astratto si potrebbe ammettere nel caso in cui il corrispettivo dovuto dall'usufruttuario sia frazionato, ma che deve escludersi in base a quanto prevede l’ordinamento.

La costituzione dell'usufrutto per effetto di testamento dà luogo in ogni caso ad un'attribuzione a titolo particolare (legato) e va quindi soggetta a tutte le norme relative ai legati, che non è certo il caso di esporre in questa sede. Qualcosa di molto simile al legato di usufrutto potrebbe ravvisarsi nella istituzione o nel legato a favore di una persona quando il testatore abbia disposto una sostituzione fedecommissaria: ma la legge stessa non va oltre la semplice analogia fra le due situazioni, analogia che permette l'applicazione di alcune delle norme re­lative all'usufrutto (art. 692 del c.c.).


Le varie forme di usucapione

L'usucapione, che è il terzo modo di acquisto del diritto di usufrutto, si compie in venti anni in mancanza di titolo e di buona fede e qualunque sia l'oggetto che si possiede come usufruttuario (art. 1158 del c.c.); si compie in dieci anni per gli immobili e in tre anni per i beni mobili iscritti in pubblici registri (nave, aeromobile. autoveicolo), con il concorso delle condizioni enunciate dagli artt. 1159 e 1162 (esistenza di un titolo traslativo a non domino, trascrizione del titolo, buona fede dell'acquirente, possesso); si compie in cinque anni per le cose mobili quando il possessore e di buona fede, ma manca un titolo idoneo al trasferimento del diritto (se vi fosse il titolo reale a non domino l’acquisto si opererebbe immediatamente).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 978 Codice Civile

Cass. civ. n. 1967/2007

Seppure l'art. 978 c.c. faccia genericamente riferimento alla volontà dell'uomo, la tipologia negoziale idonea a costituire il diritto di usufrutto deve essere individuata - non diversamente da quanto è stabilito in materia di servitù dall'art. 1058 c.c. - nel testamento e nel contratto, mentre, per quanto riguarda i negozi unilaterali, nei limiti in cui sono ritenuti vincolanti per l'ordinamento, la possibilità di costituire l'usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico prevista dall'art. 1989 c.c. e della donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c. (Nella specie, è stata escluso che potesse integrare un atto valido per la costituzione del diritto di usufrutto la scrittura privata sottoscritta soltanto dalla parte che aveva invocato l'avvenuta concessione del diritto).

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Consulenze legali
relative all'articolo 978 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. D. chiede
giovedì 26/09/2024
“Egregi Signori,
approfitterei della Vostra disponibilità per un mio dubbio impellente.
Mio padre mi lascia un appartamento che continuerà ad essere abitato da lui e da mia madre.
Consapevole che esiste una tabella per il calcolo dei coefficienti usufrutto vitalizio nel caso ci sia un solo usufruttuario, cosa cambia se gli usufruttuari sono due e io acquisirò la completa proprietà solo quando, spero tardissimamente, loro non ci saranno più?

Sembra da una navigazione internet di un usufrutto senza accrescimento.
La ringrazio molto per un suo graditissimo riscontro.
Distinti Saluti”
Consulenza legale i 02/10/2024
In effetti, quanto si è avuto modo di intuire attraverso una ricerca online è corretto.
Infatti, quando l’usufrutto viene costituito in favore di più persone (c.d. usufrutto collettivo), tale diritto può assumere forme e natura diverse.
Più precisamente si parla di cousufrutto se costituito, come nel caso in esame, a favore di due soggetti, con conseguente applicazione delle norme sulla comunione.
In questo caso ciascun soggetto diviene titolare di una quota indivisa e può disporre del bene compatibilmente con l’uso da parte degli altri contitolari; nel momento in cui, poi, uno degli usufruttuari muore o rinuncia al suo diritto, la sua quota di usufrutto si estingue e si consolida in capo al nudo proprietario.

Si parla, invece, di usufrutto congiuntivo tra più contitolari e con accrescimento reciproco tra gli stessi nell’ipotesi in cui al legame tra la quota di usufrutto ed il suo titolare sovrasti un legame di tale quota con i titolari di altra quota, cosicchè, malgrado la divisione in quote, l’usufrutto venga concepito come potenzialmente pieno in ciascun partecipante.
In tal caso, nel costituire il diritto, si statuisce che le quote di usufrutto, inizialmente spettanti ai vari cousufruttuari, al verificarsi della morte dei loro titolari o di altre cause di estinzione, si accrescano man mano alla quota dei titolari superstiti, fino a riunirsi tutte in capo all’ultimo superstite.
Come si può intuire, il diritto di accrescimento non sussiste per il solo fatto che l’usufrutto sia acquistato da più persone, ma deve essere specificamente pattuito, in modo diretto o indiretto, con apposita clausola.

Quanto appena detto con riferimento all’usufrutto congiuntivo ed alla necessità di una specifica clausola per l’operatività del diritto di accrescimento, vale per tutte le forme di costituzione dell’usufrutto (quali previste in via generale dall’art. 978 c.c.), ovvero sia nel caso di costituzione mediante atto inter vivos a titolo oneroso ed a titolo gratuito sia nel caso di costituzione mediante testamento.
In particolare, in quest’ultima ipotesi si realizza un’attribuzione testamentaria a titolo particolare con effetti reali (più precisamente un legato di usufrutto a più persone) e l’accrescimento opera ex lege se i collegatari sono istituiti nello stesso testamento (per effetto della c.d. coninctio re et verbis o con la sola coniuctio re), senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate, ovvero nel caso in cui risulti espressamente o tacitamente ordinato dal testatore.

Pertanto, ritornando al caso in esame, l’usufrutto collettivo costituito in favore dei genitori deve qualificarsi come semplice cousufrutto senza diritto di accrescimento, con la conseguenza che alla morte di uno dei suoi titolari si estingue per consolidarsi in capo al nudo proprietario.

Per ciò che concerne la determinazione del valore, è sufficiente procedere a svolgere singolarmente il calcolo dell’usufrutto per ciascuno dei beneficiari del diritto secondo le tabelle esistenti: il valore totale dell’usufrutto sarà determinato dalla somma dei due risultati.


S. D. D. R. chiede
lunedì 07/02/2022 - Sicilia
“Gentilissimi Buongiorno,
mi chiamo [...], terzo figlio, l’ultimo, giovanissimo a 17 anni quando abbiamo perso in famiglia nostro Padre . Ho organizzato la mia vita relativa all’età (studio, vita sociale, fidanzata) considerando intrinseche allo svolgimento della mia vita, gli adempimenti per la gestione della casa, cura e sostegno verso mia madre nel tempo e assistenza per alcuni problemi di salute. Mi sono occupato e preoccupato un po’ di quello che occorre in una casa: dallo straordinario quale sostituzione porte, rifacimento impianto termico, sostituzione caldaia, ecc… all’ordinario quale fare spesa anche per gli ospiti parenti nelle domeniche e festività. Già mia sorella, la grande, quando abbiamo perso nostro Padre era sposata e viveva nella stessa città, mentre mio fratello più grande di me, è rimasto estraneo in casa e alle esigenze sino al suo matrimonio, 5 anni dopo la comparsa di nostro Padre, giorno del quale si perso quasi del tutto, pur lavorando e vivendo nella stessa città. Le visite di mia sorella a mia madre per affinità femminile e per i nipotini, non sono mancate, ma sono stato sempre io che ho continuato ad occuparmi un po’ di tutto vivendo a casa con mia madre. Anche quando Io ho trovato occupazione tramite concorso pubblico e mi sono allontanato da casa, sono rimasto il punto di riferimento per mia madre, e quando ritornavo a casa per ferie aggiungendo qualche piccola assenza per malattia mi rimettevo all’opera per piccoli lavori a casa da fare o disbrigo pratiche o visite mediche per mia madre. Per qualche anno sono ritornato a casa con mia madre, occupandomi di lavori nel luogo natio. Poi sono ripartito in altra città per lavoro, ma sempre non ho mai abbandonato le esigenze di mia Madre, ritornando sempre per ferie o per altro motivo nella casa natia da mia Madre. Non sono riuscito ad evitare la persuasione di mia sorella verso mia madre per il rifacimento del prospetto condominale, convincendo mia madre della presenza di suo marito per eventuali partecipazioni in assemblea, senza aspettare che me ne occupassi io che avevo intuito certi intendi poco apprezzabili da parte di qualche condomino. Purtroppo avrei preferito sbagliarmi, ma per errata valutazione di affido dei lavori, le cose si sono messe malissimo per il rifacimento del prospetto, episodio nel quale mia madre ha sofferto tantissimo per causa di lavori lasciati con tetto scoperchiato, abbandono dei lavori della ditta, infiltrazioni d’acqua, ponteggio lasciato pericolante e poi subentro con approfitto della seconda ditta sui prezzi sull’esecuzione dei lavori selvaggiamente con deturpazioni delle finestre e balconi con conseguenti patimenti di mai madre. Ciò segnerà mia madre con conseguenze che rappresenteranno le basi per un peggioramento del suo stato di salute. Ho ottenuto il trasferimento con la legge 104 per assisterla il più possibile. Nel 2016 è venuta a mancare mia Madre. Visto il disinteresse di mio fratello, i risultati di mia sorella sempre più latenti per l’età e la poca competenza, mia Madre ha lasciato la quota disponibile a me. Io non sposato ho continuato ad abitare con mia madre. Ci sono ancora mobili di mio uso suppellettili biancheria Hi Fi libri, taccuini ecc.
Pur trovandomi in altra città per lavoro, Oggi ho chiesto a mia sorella e mio fratello la concessione dell’usufrutto, credo forse che spetterebbe per continuità in questo caso - per quando mi trovo in città natia: per il cambio di biancheria, o riporre il mio ventilatore d’inverno per sostituirlo con un termo convettore nell’inverno, ecc… . Trovandomi In affitto non posso portare tutto ciò che nel corso degli anni ho accumulato di beni di necessità dove mi trovo. Mia sorella ha risposto con un bel diniego, mio fratello non ha neanche risposto. Aggiungo che sono veri ingrati mia sorella e mio fratello perché non si sono degnato di andare a porgere visita, una sola, a mia Madre nella cappella di famiglia, realizzata per volontà di mia madre e per esclusivo mio disbrigo adempimenti progettuali e di realizzazione.
Dunque la consulenza che desidero da Voi Gentilissimi, verte sulla seguente domanda: posso ottenere l’usufrutto per continuità, ovvero per usucapione in tempi brevi oppure è necessaria una sentenza del Giudice. Quale sarebbe la soluzione meno costosa per me e più rapida ? Quale costo dovrei sostenere rivolgendomi al giudice promovendo una causa ?
Grazie”
Consulenza legale i 09/02/2022
L’usufrutto fa parte dei diritti reali di godimento.
L’art. 978 del codice civile individua i modi di acquisto dell’usufrutto: per legge, per “volontà dell’uomo” o per usucapione.
Parimenti, l’art. 1158 c.c. stabilisce espressamente che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.
Tuttavia, affinché si abbia usucapione non è sufficiente il solo elemento soggettivo dello decorrere del tempo.
E’ necessario anche che l’elemento soggettivo del possesso sia diverso dalla mera detenzione. Quest’ultima si ha quando appunto il bene viene detenuto con l’altrui tolleranza (art. 1144 c.c.).
In tal caso, come nei rapporti tra parenti stretti, l’usucapione è esclusa.
Ciò era stato sottolineato anche nella sentenza n.9661/2006 della Corte di Cassazione dove leggiamo che: “Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela.

Ciò premesso, nella presente vicenda -per come sono stati esposti i fatti- non si ravvisano i presupposti per un acquisto per usucapione dell’usufrutto dell’immobile in questione sia per mancanza dell’elemento oggettivo ( i venti anni) sia per quello soggettivo del possesso utile ad usucapire.
Sotto il primo profilo, leggiamo nel quesito che l’abitazione nell’immobile non è stata continuativa avendo negli anni vissuto altrove per lavoro.
In ogni caso, si sarebbe trattata di mera detenzione trattandosi di coabitazione con Sua madre.
Tutto al più, ai fini di una eventuale usucapione della proprietà dell’immobile, si potrebbe considerare il possesso a partire dal 2016, anno di morte del de cuius.
In tal caso, tuttavia, è evidente che i vent’anni maturerebbero solo nel 2036.
Tutto quello quindi che possiamo suggerire è semmai attivare un giudizio di divisione ereditaria chiedendo un rimborso delle spese (documentate) sostenute per il miglioramento del bene comune.

Claudio P. chiede
lunedì 15/06/2020 - Lombardia
“Vorrei conoscere il modo migliore per assicurare un usofrutto a favore di mia moglie dopo la mia morte.
Si tratta dell'appartamento in cui viviamo.
Considerando la minor spesa possibile.
Grazie”
Consulenza legale i 18/06/2020
L’art. 978 del codice civile prevede che l’usufrutto possa essere costituito per legge, per volontà dell’uomo (quindi anche per testamento o contratto) oppure per usucapione.
Va tenuto presente che per legge al coniuge superstite spettano “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni" (art. 540 c.c. II comma).
Come ha evidenziato la Suprema Corte nella sentenza a S.U. n. 4847 del 2013: "i diritti di abitazione sull'appartamento e di uso sui mobili che lo corredano, espressamente previsti dall'art. 540 co. 2 c.c., spettano al coniuge superstite non solo nei casi di successione necessaria, ma anche ove si apra una successione legittima, in aggiunta alla quota attribuita dagli articoli 581 e 582 c.c.".
Ciò posto, occorre altresì specificare per completezza di informazione che diritto di usufrutto e diritto di abitazione non sono la stessa cosa. Quest’ultimo infatti (previsto dall’art. 1022 del codice civile) è di portata più limitata rispetto all’usufrutto (art. 981 c.c.) essendo legato appunti ai bisogni e alle esigenze abitative non comportando, ad esempio, il diritto di locare a terzi l’immobile come nel caso invece del diritto di usufrutto.
Come ha osservato la Suprema Corte con sentenza n. 14687/2014In tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall'art. 1022 cod. civ. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l'ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'"habitator" e dei suoi familiari.”

Tutto ciò premesso, in risposta al quesito possiamo affermare in conclusione quanto segue.
Se è sufficiente che Sua moglie abbia un diritto di abitazione sulla casa familiare, non deve disporre alcunchè essendo previsto già dalla legge all’art. 540 del codice civile, come sopra evidenziato.
Se invece intende effettivamente costituire un diritto di usufrutto, la scelta per Lei più economica è sicuramente quella del testamento olografo (art. 602 c.c.) che non richiede l’intervento del notaio.

Girolamo D. M. chiede
lunedì 23/09/2019 - Campania
“Salve. Io e mia sorella il 29/10/2012 abbiamo acquistato una proprietà nel comune di ...omissis...
Incluso nella proprietà abbiamo fatto anche un contratto con le venditrici, in favore del loro fratello, sig. Tizio, che accetta, per il diritto personale di godimento vita natural durante dell'immobile, senza nessun corrispettivo.
Il contratto è lungo da scrivere, lo invierò quando richiesto da voi.
Il problema è che il sig. Tizio ha portato delle modifiche all'immobile di mia proprietà senza avvisarmi, ha murato n. 2 porte con blocchi di cemento, e non lo poteva fare, ed alla proprietà ha accesso anche la moglie, che secondo me non può accedervi e probabilmente non sa che la proprietà è stata venduta. Cosa mi consigliate....Saluti e buon lavoro, Girolamo”
Consulenza legale i 27/09/2019
Il problema principale che questo caso pone è quello di riuscire a configurare correttamente i contorni di quel diritto, definito come personale di godimento, la cui costituzione in favore di un terzo estraneo al contratto di compravendita viene convenuta a tacitazione parziale del prezzo complessivo che la parte acquirente deve corrispondere alla parte venditrice (ricorre nel caso di specie un’ipotesi tipica di collegamento negoziale tra due negozi giuridici, ossia il contratto di compravendita e la costituzione del diritto personale di godimento).
Va intanto evidenziato che i diritti personali di godimento, almeno secondo l’orientamento che si ritiene preferibile, costituiscono una categoria di diritti che partecipa dei caratteri sia del diritto assoluto (è tale il diritto di proprietà) che del diritto relativo (è tale il diritto di credito).

Caso tipico di diritto personale di godimento è quello del locatario, ma anche quello del comodatario.
Il locatario, infatti, è legato, da un lato, da un rapporto obbligatorio con il proprietario, a cui deve versare il canone e da cui riceve la cosa in godimento (realizzando così l’interesse a conseguire), mentre, dall’altro, è tutelato nel godimento della cosa (ossia nell’interesse a conservare) erga omnes, ovvero nei confronti dell’intera collettività, ivi compreso il locatore stesso, il quale non potrebbe violare tale situazione di godimento riappropriandosi, ad esempio, violentemente della cosa locata o impedendone l’accesso al locatore.
Sotto questo profilo, il diritto che le parti hanno inteso costituire può indubbiamente assimilarsi a quello nascente da un contratto di locazione, in quanto vi è una parte (gli acquirenti del contratto di compravendita) che si obbliga a far godere all’altra parte (il terzo, beneficiario del diritto personale di godimento) un determinato immobile verso un corrispettivo (non è corretto quanto viene affermato nel quesito, ossia che il diritto è stato costituito senza alcun corrispettivo, in quanto nella premessa del contratto viene espressamente convenuto che della costituzione di quel diritto si terrà conto nella determinazione del complessivo prezzo di vendita).

Il corrispettivo, a differenza di ciò che accade nelle locazioni che vengono ordinariamente stipulate, deve qui intendersi versato in unica soluzione (ipotesi, peraltro, espressamente prevista dal secondo comma dell’art. 1572 del c.c.), ma ciò non può valere a snaturare il contratto di locazione; inoltre, l’obbligo del pagamento del corrispettivo viene fatto gravare sulla parte venditrice del contratto di compravendita, realizzandosi così un tipico contratto a favore di terzo (art. 1411 del c.c.) e ponendosi oltretutto in essere una compensazione parziale volontaria con la somma che la stessa parte venditrice avrebbe dovuto ricevere quale prezzo della vendita.
Fin qui non vi è alcun ostacolo a rinvenire nelle norme sulla locazione (tipico contratto costitutivo di un diritto personale di godimento) la disciplina applicabile al diritto in esame.
Il problema si pone quando si passa ad analizzare la durata del diritto così costituito, che le parti legano alla vita del beneficiario.
Trattasi di un’ipotesi espressamente esclusa dalla disciplina delle locazioni, in quanto l’art. 1573 del c.c. dispone chiaramente che la locazione “salvo diverse norme di legge” non può stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni.

L’aver, invece, voluto legare la durata di quel diritto alla vita del suo beneficiario lo rende assimilabile al diritto di usufrutto, istituto giuridico disciplinato dagli artt. 978 e ss. c.c. ed il quale, al pari della locazione, consente a chi ne acquista la titolarità di usare e godere di un determinato bene per tutta la sua vita (proprio come qui convenuto).
A differenza della locazione, la quale è un tipico contratto consensuale e ad effetti obbligatori, l’usufrutto, però, è un diritto reale su cosa altrui, tant’è che sono a carico dell’usufruttuario, oltre alle spese di ordinaria manutenzione, anche le imposte gravanti sul reddito e gli oneri incombenti sulla proprietà, tutti oneri e obblighi che, invece, nel caso di specie vengono fatti gravare sui proprietari.

Individuati i contorni di questo diritto, costituito per la verità in maniera un po’ sui generis, vediamo adesso come ci si deve regolare in ordine agli interventi modificativi effettuati (aver murato due porte con blocchi di cemento e realizzazione di una veranda in balcone, come successivamente precisato) ed alla sussistenza o meno di un diritto della moglie ad accedere nei locali.
Per quanto concerne gli interventi modificativi, va detto che gli stessi devono ritenersi esplicitamente esclusi non solo dalla disciplina dettata in materia di locazione, ma anche, e soprattutto, dallo stesso contratto stipulato tra le parti.
Nella parte seconda di quest’ultimo, infatti, viene espressamente previsto che al Sig. Tizio “è vietato effettuare addizioni modifiche sugli immobili in oggetto”.
La disciplina sulla locazione, invece, pone in capo al conduttore (qui il titolare del diritto personale di godimento) l’obbligo di restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità alla descrizione che ne sia stata fatta dalle parti (così art. 1590 c.c.).
Analogo obbligo, invece, non sussiste nel caso dell’usufrutto (al quale, come prima detto, il diritto in esame può ricondursi solo per la sua durata), dalla cui normativa si evince solamente che l’usufruttuario ha un generico obbligo di rispettare la destinazione economica della cosa (così art. 981 del c.c.), obbligo a cui non verrebbe meno nel caso di modifica del tipo di quella qui lamentata.
Nessuna pretesa, invece, può avanzarsi in ordine alla insussistenza di un diritto della moglie di Tizio ad accedere negli immobili oggetto di diritto personale di godimento; infatti, il termine “personale” non può intendersi nel senso che trattasi di un diritto legato soltanto alla persona in favore della quale è stato costituito, ma nel senso che manca del carattere della realità, proprio ad esempio del diritto di usufrutto e di abitazione.

Peraltro, si tenga presente che anche nel caso di diritto di abitazione, disciplinato agli artt. 1022 e 1023 c.c., a colui che ne è titolare viene riconosciuto il diritto di abitare l’immobile che ne costituisce oggetto limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia, ove nel concetto di famiglia vengono compresi anche i figli e le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.

Pertanto, ricapitolando quanto fin qui detto, può rispondersi sinteticamente dicendo che:
  1. il titolare del diritto personale di godimento non ha alcun diritto di apportare modifiche agli immobili, e ciò sia per espressa disposizione contrattuale sia per effetto del richiamo analogico alle norme sulla locazione.
Ciò che può consigliarsi nell’immediato è di far pervenire all’indirizzo dello stesso una diffida a rimettere in pristino le parti dell’immobile che sono state modificate senza alcun consenso del proprietario.
  1. il Sig. Tizio ha invece il pieno diritto di consentire che anche il proprio coniuge, così come anche gli altri componenti del suo nucleo familiare, facciano accesso negli immobili per usarne e goderne.
Qualora, entro il termine che nella diffida verrà fissato, l’altra parte non provvederà a rimettere in pristino lo stato dei luoghi, non resta altra soluzione che quella di agire in giudizio per chiedere la risoluzione per inadempimento contrattuale, con contestuale rimessione in pristino o, in difetto, risarcimento dei danni.
La risoluzione, così richiesta giudizialmente, non può integrare il verificarsi di quella condizione risolutiva a cui ex art. 1456 del c.c. è stata subordinata l’efficacia del contratto di compravendita, in quanto sarebbe imputabile unicamente all’inadempimento del titolare del diritto di godimento agli obblighi contrattualmente assunti, oltre che all’obbligo su di lui incombente, secondo la disciplina della locazione, di non apportare modificazioni alla destinazione d’uso dell’immobile o di parti di esso (ciò che invece è stato fatto realizzando un veranda in balcone).

Per concludere, si ritiene opportuno fare una precisazione: fin quando non si otterrà un provvedimento di risoluzione contrattuale e restituzione anticipata dell’immobile non si ha alcun diritto di accedere al suo interno, salvo che, per accordo tra le parti, tale diritto non sia stato espressamente riconosciuto ai proprietari, mediante consegna ai medesimi di una copia delle chiavi.


Davide L. chiede
mercoledì 27/01/2016 - Emilia-Romagna
“Viviamo in un appartamento di cui la mia compagna è proprietaria dell'usufrutto.
La mia compagna ha firmato delle cambiali a una società , purtroppo non è in grado di poterle pagare e ci potrebbero essere tutti i presupposti per il pignoramento del'usufrutto; cosa potremmo fare fare prima che questo avvenga: ( rinuncia - cessione - diritto di abitazione )
Ringrazio anticipatamente per un vostro consiglio”
Consulenza legale i 01/02/2016
Il diritto di usufrutto può essere oggetto di pignoramento da parte del creditore. Precisamente, ciò che viene pignorato non è il bene oggetto del diritto ma il diritto stesso, che, come noto, presenta un proprio valore. Tale valore dipende da una serie di fattori, tra i quali la durata dell'usufrutto stesso. Ne deriva, quindi, come l'interesse di un soggetto a rendersi assegnatario di un diritto di usufrutto pignorato potrebbe essere molto basso se il diritto presentasse un valore esiguo.

Gli istituti indicati nel quesito, cessione dell'usufrutto e rinuncia, sono idonei a far venir meno il diritto in capo al loro titolare. Nello specifico, la cessione comporta il trasferimento del diritto in capo ad un terzo e può essere fatta per un certo tempo o per la durata dell'usufrutto, purché non sia vietata dal titolo costitutivo (art. 980 del c.c.). La rinuncia è causa di estinzione del diritto in quanto comporta la riunione in capo al medesimo soggetto dell'usufrutto e della proprietà (art. 1014 del c.c.). Entrambe, cessione e rinuncia, quando hanno ad oggetto beni immobili devono essere fatte per iscritto (atto pubblico o scrittura privata autenticata) ex art. 1350 n. 2 e 5 c.c.. Inoltre, se esse si configurano alla stregua di donazione, vanno soggette alla relativa disciplina, anche in tema di forma (v. art. art. 769 del c.c. ss c.c.). Altresì, entrambi i relativi atti sono soggetti a trascrizione per potere essere resi opponibili ai terzi (opponibilità che decorre dalla data della trascrizione); in mancanza, gli atti sono validi ma solo tra le parti.
Sul piano formale, anche la costituzione di un diritto di abitazione (art. 1022 del c.c.) esige la forma scritta a pena di nullità (art. 1350 n. 4 c.c.) e la trascrizione ai fini di opponibilità ai terzi (art. 2643 n. 4 c.c.). La dottrina ritiene che il diritto di abitazione non sia pignorabile, argomentando ex art. art. 1024 del c.c. c.c., ma la tesi è discussa. Poiché il diritto di abitazione è ritenuto una specie del diritto di usufrutto, appare ragionevole ritenere che non si possa costituire un diritto di abitazione a favore di chi è già usufruttuario, ma che sia necessario il preventivo venir meno di quest'ultimo per la costituzione del primo.

Fatte queste considerazioni, possiamo però osservare come, nel caso di specie, ogni operazione di "dismissione" del diritto da parte della debitrice potrebbe risultare di fatto inutile nei confronti del creditore. Su di un piano strettamente civilistico - e a prescindere da ogni considerazione sulla possibilità che una simile condotta possa configurare illeciti penalmente rilevanti (a titolo di mero esempio: operazioni volte a diminuire la garanzia creditoria in caso di determinati debiti tributari possono configurare reato, ex art. 11 d.lgs. 74/2000) - il trasferimento del diritto potrebbe essere assoggettato a revocatoria da parte del creditore. Queste considerazioni valgono sia per la cessione o il trasferimento in sé stessi sia come condotte prodromiche alla costituzione di un diritto di abitazione.

L'azione revocatoria di cui all'art. art. 2901 del c.c. ss c.c. è esperibile dal creditore quando il debitore ponga in essere atti che possano modificare, in senso quantitativo o anche solo qualitativo, la consistenza del suo patrimonio di modo da far diventare la sua possibilità di soddisfazione del credito incerta o difficile. Presupposti per esperire l'azione sono:
- un atto di disposizione patrimoniale, entro il quale rientra certamente anche l'atto di disposizione di un diritto reale;
- il c.d. eventus damni, ovvero il pregiudizio del creditore (che non si ha se il debitore si limita a pagare un debito già scaduto);
- la c.d. scientia fraudis, cioè la consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio che l'atto porta al creditore (non è necessaria una volontà di nuocere ai suoi interessi); se l'atto è a titolo oneroso questa consapevolezza deve sussistere anche in capo all'acquirente.
Il creditore può esperire l'azione entro 5 anni dalla data dell'atto (art. 2903 del c.c.). Effetto di essa è di rendere l'atto inefficace verso il creditore che agisce, in modo che questi possa poi soddisfarsi sul bene (art. 2902 del c.c.).

In conclusione, sulla base delle osservazioni formulate, si ritiene che le ipotesi prospettate in quesito potrebbero rivelarsi inutili in quanto suscettibili di revocatoria; a ciò si aggiunga che si tratta, pur sempre, di operazioni aventi un certo costo (notaio, imposta di registro, etc.).

Antonio C. chiede
martedì 27/10/2015 - Campania
“Lo zio redige il testamento olografo e scrive "lascio l'appartamento con garage a mio nipote e LA RENDITA a mia moglie". Il nipote nel 1991 vende detti immobili con riserva di usufrutto, al signor Tizio e l'immette nel possesso legale e materiale, mentre era in vita la beneficiaria della rendita.
Dopo 13 giorni dall'atto di vendita muore la beneficiaria della rendita. L'acquirente per 13 anni ha goduto e posseduto quanto acquistato senza aver mai ricevuto alcuna richiesta di rilascio oppure di corrispettivo dall'usufruttuario. Nel 2002, quest'ultimo chiede il rilascio dei beni venduti a Tizio mettendo in atto secondo lui il diritto di usufrutto.
Tanto premesso, chiede: poteva sussistere contemporaneamente a due persone diverse, una beneficiaria della rendita degli immobili e l'altra usufruttuaria degli stessi? Il venditore dopo 13 anni che aveva immesso nel possesso legale e materiale l'acquirente e mai chiesto nulla, poteva far valere il diritto dell'usufrutto?
C'è differenza tra rendita e usufrutto oppure sono la stessa cosa?”
Consulenza legale i 28/10/2015
La domanda proposta attiene all'interpretazione di un testamento olografo.
Il testatore ha desiderato lasciare la proprietà dell'immobile al nipote, attribuendo alla moglie il diritto di percepire la "rendita" dello stesso, che può intendersi in vari modi. Possiamo individuarne alcuni, quali:
1. il diritto a percepire i canoni di una locazione;
2. il diritto di usufrutto dell'immobile;
3. la rendita vitalizia ai sensi dell'art. 1872 del c.c. o un onere dell'erede.

Non è certo facile capire quale fosse la reale intenzione del testatore, vista l'assoluta imprecisione e genericità della disposizione testamentaria.
Si dovrebbero analizzare ulteriori elementi, quali il comportamento del testatore sia prima che dopo la redazione del testamento, per determinare, in base al criterio teleologico, gli scopi pratici che il de cuius intendeva perseguire. Si può solo immaginare che l'obiettivo del marito fosse quello di garantire alla moglie una entrata economica, per tutta la durata della vita della donna, senza però lasciarle la proprietà dell'immobile, e quindi la possibilità di scegliere a chi destinarlo dopo la sua morte. Desiderava che il bene fosse destinato al nipote e a nessun altro.
Analizziamo nel dettaglio le tre ipotesi sopra indicate.

Nel caso 1 (che appare il meno probabile), possiamo parlare di legato di credito avente ad oggetto i canoni di locazione dell'appartamento. L'art. 658 del c.c. ci dice che "Il legato di un credito o di liberazione da un debito ha effetto per la sola parte del credito o del debito che sussiste al tempo della morte del testatore". Tuttavia, si ritiene che i crediti possano essere anche futuri (es. canoni non ancora percepiti), basta che il loro titolo giustificativo e costitutivo esista al momento dell'apertura della successione (es. un valido contratto di locazione, che sia appunto, già in essere).
L'onerato sarebbe stato il nipote, proprietario dell'immobile succeduto nella qualifica di locatore.

L'ipotesi 2. è verosimile, se il testatore ha inteso costituire un diritto reale di usufrutto a favore della moglie, trasmettendo al nipote solo la nuda proprietà dell'immobile.
Tuttavia, sembra che il nipote, nell'accettare l'eredità, abbia trascritto a proprio favore un diritto di proprietà piena, poiché ha venduto l'immobile trasferendo all'acquirente anche il godimento, senza mai coinvolgere la signora che era asseritamente usufruttuaria. Né si evince dal quesito di quali diritti abbia davvero goduto la donna (abitava nell'immobile? percepiva canoni di locazione?). Si deve controllare anche l'atto di accettazione dell'eredità da parte della moglie per capire quale diritto la stessa avrebbe accettato.
Se davvero la moglie non ha mai preteso che fosse trascritto un proprio diritto di usufrutto sull'immobile (in base all'art. 2648 del c.c.), tale diritto reale non sarebbe mai divenuto opponibile ai terzi e sembrerebbe ormai prescritta anche per i suoi eredi la possibilità di effettuare una trascrizione tardiva o una richiesta di risarcimento danni per mancato godimento del diritto.

Infine, il caso n. 3, contempla l'ipotesi della costituzione di una rendita in denaro a favore della moglie. Si può immaginare che, se la disposizione testamentaria ha voluto imporre all'erede l'onere di prestare assistenza materiale e morale alla moglie del de cuius vita natural durante, si configuri un onere ai sensi dell'art. 647 del c.c., assimilabile nel contenuto e nella portata al vitalizio alimentare ex art. 1872 c.c.
E' evidente che una rendita siffatta è del tutto diversa da un diritto di usufrutto: la prima, a differenza della seconda, non richiede la trascrizione, ed è un mero diritto di credito, collegato ad un evento finale certus an e incertus quando (ad esempio, la morte del beneficiario della rendita).

Per rispondere alle domande proposte nel quesito (non del tutto chiaramente formulate), può in definitiva dirsi che:
- se il diritto della moglie era un mero diritto di credito, esso poteva convivere con l'esistenza di un diritto reale (di proprietà o usufrutto) in capo a un altro soggetto (il nipote): al contrario, non potevano sussistere contemporaneamente due diritti di usufrutto, in base alla situazione descritta;
- il nipote che ha venduto il bene riservandosi l'usufrutto (immaginiamo, con atto pubblico notarile debitamente trascritto), poteva in qualsiasi momento pretendere da qualunque possessore - compreso il nudo proprietario - che questi dismettesse la cosa e gli consentisse di apprenderla materialmente, per poterne godere. L'unico limite temporale previsto dalla legge è il non uso del diritto continuativo per venti anni (art. 1014 del c.c.), che determina l'estinzione del diritto di usufrutto, ma nel nostro caso erano trascorsi solo 13 anni dall'immissione nel possesso dell'acquirente. Quindi l'azione appariva ancora ammissibile all'epoca.

Gian Piero P. chiede
domenica 10/05/2015 - Lombardia
“Per togliere una iscrizione catastale di usufrutto è possibile la vendita dello stesso a particolari condizioni?”
Consulenza legale i 13/05/2015
Per rispondere al quesito è necessario premettere alcuni cenni generali.

Il catasto è costituito dall'insieme di documenti, mappe e atti, che servono a descrivere i beni immobili nella loro oggettività (confini, dimensioni, ...) e contengono anche i dati anagrafici delle persone fisiche o giuridiche intestatarie dei beni.
Di norma, la situazione catastale di un immobile deve rispecchiare la situazione reale della titolarità dei diritti. Tuttavia, può accadere che i due dati siano discordanti. In tal caso, non è mai la situazione catastale a prevalere: è, infatti, principio pacifico che la prova della proprietà dei beni immobili non può essere fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono solo elementi sussidiari in materia di regolamento di confini (v. Cass. civ., sez. II, 25.10.2013, n. 24167).

Ciò chiarito, "togliere una iscrizione catastale di usufrutto" implica che l'usufrutto sia estinto o ceduto ad altro soggetto.

L'usufrutto è un diritto reale di godimento, che consiste nel diritto riconosciuto ad un soggetto (usufruttuario) di godere e di utilizzare un bene uti dominus (cioè a proprio vantaggio, potendone percepire anche i frutti), limitato solamente dal non poterne trasferire la proprietà principale e dalla necessità di rispettare la destinazione economica impressa dal proprietario.

L'estinzione dell'usufrutto si verifica, ai sensi dell'art. 1014, 1) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni; 2) per la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona; 3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito. Inoltre, poiché la durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario (art. 979 del c.c.), l'usufrutto cessa di regola con la morte di quest'ultimo.

Quanto alla possibilità di trasmettere ad altri l'usufrutto, il codice civile sancisce che l'usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, solo se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.

Quindi, quando il bene immobile - su cui esiste un diritto di usufrutto a favore di una persona - viene venduto, l'usufrutto a favore di quella persona viene "cancellato" nei seguenti casi (i più frequenti):
- l'usufruttuario rinuncia al suo diritto senza chiedere nulla in cambio, quindi il nudo proprietario torna ad essere pieno proprietario: l'acquirente acquisterà quindi la proprietà piena sull'immobile;
- l'usufruttuario cede il suo diritto al proprietario (ricevendo un certo corrispettivo), il quale acquista la piena proprietà e la vende all'acquirente;
- nell'atto di alienazione vi è una simultanea vendita sia della nuda proprietà che dell'usufrutto (le parti venditrici sono quindi due), e l'acquirente acquista di conseguenza la proprietà piena dell'immobile.
Risulta evidente dagli esempi fatti che l'usufruttuario deve sempre intervenire all'atto notarile di compravendita, poiché il nudo proprietario non può disporre del diritto di usufrutto liberamente. Oppure, in alternativa, la rinuncia abdicativa o la cessione al nudo proprietario possono avvenire prima della vendita del bene a un terzo, ma sempre nella forma dell'atto pubblico e con obbligo di trascrizione (artt. 1350 n. 5, 2643 n. 5, 2684 n. 3, c.c.).

L'unico caso in cui il nudo proprietario può ottenere la dichiarazione della cessazione dell'usufrutto senza il consenso dell'usufruttario si ha quando quest'ultimo abusi del suo diritto, alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni (art. 1015). In questo caso, però, è necessario ottenere una pronuncia giudiziale, che ha natura costitutiva.

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