La vicenda oggetto dell’attenzione della Corte, in particolare, trae origine da una pronuncia del 2014 del Tribunale di Roma, il quale, in sede di separazione personale tra coniugi e conseguente divisione dei beni in comunione, aveva assegnato in proprietà esclusiva alla moglie l’immobile di comune proprietà adibito a casa familiare. Ivi, infatti, risiedevano le due figlie, a questa affidate.
Al marito, invece, il Tribunale aveva accordato un conguaglio pecuniario di importo pari alla metà del valore di mercato dell’immobile, calcolato mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Oggetto di censura era stata la determinazione del conguaglio: il valore dell’immobile - secondo la moglie appellante - doveva ritenersi infatti diminuito in considerazione del vincolo di assegnazione su di esso gravante.
La Corte d’appello aveva confermato tuttavia tale provvedimento, ritenendo correttamente determinato il valore dell’immobile nonché, conseguentemente, del conguaglio del marito.
L’ex moglie, di conseguenza, aveva proposto ricorso in Cassazione, argomentando che il vincolo di assegnazione è senz’altro idoneo a causare un deprezzamento dell’immobile poiché preclude sia all’altro coniuge sia ai terzi di godere dell’immobile.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha dato atto della sussistenza di due divergenti orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, infatti, nel caso in cui la proprietà dell’immobile sia attribuita in via esclusiva ad uno dei coniugi condividenti, il vincolo di assegnazione della casa familiare non può causare un deprezzamento dell’immobile.
Tale vincolo, infatti, consiste nell’attribuzione di un diritto di godimento nell’esclusivo interesse dei figli e non può comportare un indebito arricchimento per il coniuge affidatario: se, infatti, si optasse per la diminuzione del valore dell’immobile, il coniuge assegnatario sarebbe tenuto a pagare all’altro un conguaglio minore, potendo poi arricchirsi tramite successiva vendita dell’immobile a terzi a prezzo pieno.
Secondo questa impostazione, perciò, l’immobile in sede di divisione deve essere valutato secondo:
a) il suo valore di mercato, nel caso in cui l’immobile sia attribuito in proprietà esclusiva a uno dei coniugi;
b) il suo valore deprezzato, nel caso in cui alla divisione si proceda mediante vendita a terzi (ai quali il provvedimento di assegnazione è opponibile per nove anni e, in caso di trascrizione, senza limiti di tempo).
Un secondo orientamento diffuso nella prassi dei Tribunali, invece, è diametralmente opposto rispetto a quello appena esposto: il valore dell’immobile, secondo questa tesi, deve difatti ritenersi decurtato dal vincolo di assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, sicchè tale diminuzione deve essere considerata nel giudizio di divisione. Secondo questa tesi, peraltro, il deprezzamento rileva sempre, sia che la divisione sia effettuata mediante vendita dell’immobile a terzi, sia che l’immobile sia attribuito in proprietà esclusiva ad uno dei condividenti.
Alla luce di questo contrasto, di rilevante importanza teorica e pratica, la Sezione II della Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.