Il primo comma riproduce la disposizione dell’art. #1064# del vecchio codice del 1865, che, com'è noto, si discostava dal diritto romano giustinianeo, in cui era possibile una donazione di beni futuri.
È nel diritto consuetudinario francese che in modo esplicito fu posto il principio della nullità dell’intera donazione che aveva per oggetto e beni futuri e beni presenti; l'art. 943 del codice Napoleone ne restrinse la portata, dichiarando la donazione nulla solo per la parte relativa ai beni futuri; analogo principio fu accolto dal codice del 1865 e da quello ora vigente.
Il divieto dell’art. 771 costituisce un’eccezione al principio comune vigente in materia contrattuale, per cui oggetto di convenzione possono essere anche le cose future: ciò ben si comprende considerando che l’intenzione dei contraenti è rivolta a cose future, a cose, cioè, che non sono nel patrimonio di uno dei contraenti, ma che verranno ad esistere in un tempo più o meno prossimo; il contratto, in tal caso, non ha efficacia reale, ma solamente obbligatoria. Diversamente è a dirsi per la donazione: questa attua la disposizione di cose o di diritti che, all'epoca in cui viene compiuta, devono far parte del patrimonio del donante, altrimenti si avrebbe una promessa di donazione che, come si è detto, è da ritenersi nulla.
Si spiega, solitamente, il divieto di donare beni futuri facendo ricorso al carattere della irrevocabilità della donazione. Ma l’irrevocabilità non spiega tutte le ipotesi: certo spiega il caso in cui taluno dichiari di donare una cosa futura per acquistare da altri: si tratta, in questo caso, di donazione che verrà ad attuarsi secondo l’arbitrio del donante, perché costui, a suo arbitrio, può o non può acquistare. Non spiega, invece, il caso in cui il donante assuma l’obbligo di procurare al donatario la cosa, non ancora sua al momento della donazione: qui non si avrebbe come contenuto della donazione una mera aspettativa dipendente dal mero arbitrio del donante, ma si ha un’obbligazione certa e irrevocabile fin dal momento dell’accordo: tuttavia, si incorre lo stesso nel divieto dell’articolo in esame che è di ordine pubblico (la nullità della donazione di cose future comprende, perciò, anche quella delle cose altrui).
Col divieto del primo comma, il legislatore impone al donante una condotta prudente: il divieto si giustifica, pertanto, come una norma che serve di remora alla prodigalità.
Che cosa deve intendersi per beni futuri? Questa espressione può essere intesa in due sensi: a) è futura una cosa che non esiste ancora in natura (frutti non nati o non ancora maturi); b) oppure che esiste in natura ma non ha ancora una propria ed autonoma esistenza (frutti nati e maturi ma non ancora separati: solo in questo caso è previsto che la donazione non sia affetta da nullità); c) oppure, in ultimo, la cosa di cui non si ha attualmente la proprietà e si attende di averla.
Ma se questi concetti possono accogliersi in linea di massima, vi sono, tuttavia, casi nei quali il carattere di bene presente è sicuro, anche se può sembrare l’opposto. Così, è da ritenersi valida la donazione dei frutti che verranno a maturazione, dei minerali che saranno estratti, dei profitti futuri di un’azienda, dei dividendi sociali che saranno distribuiti; in tutte queste e simili ipotesi, nonostante ogni contraria apparenza, giustifica la donazione di tali cose il rilievo che si tratta di cose alla cui proprietà esiste già un diritto del donante; si potrebbe, perciò, pur sostenere che costui abbia disposto a favore dell’altra parte di un diritto che egli ha di far sue le cose non ancora venute ad esistenza. Deve, invece, ritenersi donazione di cosa futura, e quindi nulla, la donazione dell’immobile che il donante dovrà a sua volta ricevere in donazione o acquistare da chi ne è proprietario; è ovvio che in queste ed analoghe ipotesi nel patrimonio del disponente esiste soltanto un diritto di aspettativa, la cui realizzazione è rimessa al mero arbitrio del donante. Donazione di cosa futura è pur quella che ha per oggetto una successione non ancora delata; anzi, qui concorrono due cause di nullità: l’una dovuta alla violazione del divieto dei patti successori, l’altra al divieto di donare beni futuri.
La disposizione di cui al secondo comma costituisce un’eccezione alla regola del primo comma; nel progetto preliminare del codice, essa si poneva come correttivo della proposta nullità dell'intera donazione; per il codice, invece, essa segna una limitazione della nullità della donazione di beni futuri, ma è rigorosamente ristretta all’ipotesi che sia donata un'universitas facti (un’azienda, un gregge, una biblioteca, ecc.) e che, inoltre, questa sia trattenuta ancora dal donante; in tal caso, il donatario ha diritto anche alle cose che vi si aggiungono successivamente.
L’art. 771, parlando di beni presenti, non esclude che possa trattarsi di una donazione universale. L’opinione che dubitava circa la validità di una siffatta specie di donazione non è più seguita perché è da escludere che la donazione, nella quale siano dedotti tutti i beni presenti del donante, determini una successione universale che importa nel donatario anche la responsabilità per i debiti; unico caso di tale forma di successione nel nostro diritto è quella ereditaria; la donazione di tutti i beni presenti è, invece, donazione che attua una successione particolare, non universale, che si traduce nella donazione dei singoli elementi costituenti il patrimonio o in un complesso di cose o di diritti senza il carattere di universalità.
Chiarita, in tal modo, la natura giuridica della donazione di tutti i beni presenti e tenuto fermo che - salvo patto contrario (accollo) - il donatario non è tenuto a rispondere dei debiti del donante, non vi è motivo per negarle diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento.
A nulla, poi, rileva il silenzio su tal punto mantenuto nel codice attuale, come già in quello del 1865, in quanto questa specie di donazione, regolata dal progetto preliminare, che la consentiva a condizione che il donante avesse riservato una parte dei suoi beni in modo da soddisfare eventuali obbligazioni alimentari a suo carico, non fu espressamente considerata dal progetto definitivo, non già perché ritenuta contraria ai principi informativi della materia, ma perché la sua regolamentazione giuridica appariva superflua.