Poiché la concezione teorica e la formulazione tecnica di questa fondamentale disposizione (come delle seguenti) aderiscono fedelmente, nella loro sostanza, alle corrispondenti norme della regolamentazione del vecchio codice del 1865, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale fondatasi sul codice precedente conserva tutta la sua vitalità anche rispetto all'attuale codice, al vaglio di un'esperienza ormai quasi secolare. Basteranno qui, pertanto, pochi cenni riassuntivi, trattandosi di un istituto che ha già avuto e conserva il suo classico assetto.
La sostituzione ordinaria (o volgare) sopperisce all’innato istinto di ogni proprietario, specie se ha creato la propria fortuna col lavoro e l’ha posta a fondamento di una salda unità familiare, di disporne secondo il prudente apprezzamento della propria personalità, nel modo più integrale, anche dopo la morte, facendo prevalere, con opportune disposizioni alternative, la volontà testamentaria a quella della legge anche per il caso in cui l’erede istituito non potesse o non volesse accettare l’eredità. Si consegue, con ciò, anche lo scopo etico di assicurare in ogni ipotesi il trapasso, in un erede gradito e di fiducia, di quella universitas nella quale è destinata a trasfondersi, col compendio delle attività patrimoniali, la personalità giuridica del de cuius.
Si tratta, d’altra parte, di una costruzione che aderisce perfettamente ai principi, in quanto la vocazione testamentaria viene ad essere unica e diretta, concentrata in tutto nella persona dell’istituito o del sostituito che si considera a tutti gli effetti successore immediato del testatore, senza che rimanga traccia dell’indicazione alternativa delle altre persone chiamate e della loro partecipazione puramente potenziale al fenomeno successorio.
È una disposizione che si atteggia giuridicamente come una
vocazione condizionale, vuoi che si consideri nel suo complesso come un negozio unico, vuoi che si distingua nelle sue strutture l'istituzione dalla sostituzione, considerando, forse più propriamente, come sottoposta a condizione sospensiva solo l’operatività di quest'ultima e l’istituzione in sé stessa come una chiamata semplice.
Da ricordare, in proposito, come un'autorevole corrente dottrinale abbia cercato di sottilizzare sulla natura di questa condizione, nel senso di vedervi la configurazione solo di una
condicio juris o presupposto di legge, piuttosto che quella di uno degli
accidentalia negotii, rimessi all'autonomia della volontà del testatore. La questione - che rivelava sotto il precedente codice un’importanza pratica in relazione alla contestata applicabilità dell’art. #853# - ha perso oggi gran parte della sua rilevanza, non essendo stata riprodotta la disposizione accennata. Certo è che la condizionalità della sostituzione vale ad inquadrare perfettamente l’istituto ed a legittimarne gli effetti alla stregua degli articoli
633 e seguenti del codice, per cui le condizioni sospensive o risolutive, purché lecite e non impossibili, sono consentite in materia successoria, non contrastando, a differenza del termine, col principio romanistico, tuttora vivo nel nostro ordinamento,
semel heres semper heres. Qui si tratta poi, anche dal punto di vista etico, di una condizione manifestamente lecita ed ispirata ad una finalità degna di tutela, qual è quella di assicurare un erede ritenuto meritevole e degno di fiducia alla propria successione.
I
casus impotentiae aut voluntatis ai quali può condizionarsi la sostituzione sono di facile individuazione ed ormai ben precisati attraverso una lunga elaborazione.
Sotto il primo aspetto (
impotentiae) sta principalmente la mancata sopravvivenza del primo chiamato per
premorienza o commorienza; lo stesso deve dirsi per l’
assenza dichiarata, salvo l’eventuale applicabilità dell’art.
56 nel caso di ritorno dell’assente o di fornita prova della sua esistenza al momento dell’apertura della successione; lo stesso, infine, per l’
incapacità successoria, dipendente dal non avvenuto concepimento al momento dell’apertura della successione, salvo che la sostituzione sia fatta a favore dei figli immediati di persona vivente, nel qual caso la disposizione sarebbe valida anche per la prole non concepita.
La prevalente dottrina (e la giurisprudenza) ritenevano già sotto il precedente codice applicabile la disposizione anche alle c.d. incapacità relative, e non vi è ragione di dubitarne, operandosi anche qui un’esclusione per legge dalla successione, salvo l’accertamento in fatto delle ipotesi contemplate, il che potrà portare la necessità di una dichiarazione giudiziale. Quanto all’indegnità, non operando essa ope legis ma per effetto di sentenza costitutiva che la pronunci accertandone le condizioni, l’applicabilità della disposizione resterà subordinata a tale intervento giudiziale, mentre intanto il sostituito dovrebbe essere immesso nell’eredità (potest capere), salvo l’obbligo di restituzione (non potest retinere).
Sotto il secondo aspetto (casus voluntatis) la condizione viene a verificarsi solo per rinuncia, la quale, com'è noto, opera retroattivamente, e quindi basterebbe a rendere operativa la sostituzione ancorché avvenuta successivamente.
Come già il precedente codice, così anche il nuovo si preoccupa di indicare la via da seguirsi nel caso in cui il testatore si sia riferito esplicitamente, nella disposizione, solo ad uno dei due casi (impotentiac aut voluntatis) atti a condizionare l’operatività della sostituzione. Trattandosi di materia in cui domina sovrana l’autonomia della volontà del testatore, il legislatore si è limitato a dedurre una presunzione juris da questo comportamento, potendosi logicamente pensare che l’omissione sia stata involontaria, ricorrendo nei due casi lo stesso fondamento giustificativo della sostituzione. La presunzione può peraltro essere vinta dalla prova contraria, comunque deducibile, purché idonea a dimostrare una diversa volontà (limitativa) del testatore.
Era pacifico, in dottrina e giurisprudenza, sotto il precedente codice - e non vi sarebbe ragione di opinare diversamente anche per l’attuale - che la sostituzione possa validamente operare, non solo in secondo grado, ma anche per gradi ulteriori, provvedendo anche per il caso in cui il sostituito non possa o non voglia a sua volta adire l’eredità, e così via. La serie più o meno numerosa delle sostituzioni, rigorosamente condizionate l’una all’altra, non toglie infatti che la vocazione venga ad essere sempre una sola e diretta, concentrata in quel sostituito (di qualunque grado) che adirà l’eredità verificandosi le precedenti condizioni di defezione degli altri chiamati poziori. La disposizione vale soltanto ad assicurare che la successione abbia un erede, in attuazione della volontà del testatore e con precedenza sulla successione legittima.