Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [14 Cost., artt. 45 e 46 c.c.].
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [144].
Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [14 Cost., artt. 45 e 46 c.c.].
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [144].
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
Cass. civ. n. 37833/2022
In tema di sottrazione internazionale di minori, quando venga allegata la ricorrenza di una forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul, il giudice, ove accertata, deve verificare in che misura la stessa sia tale da incidere sulla complessiva situazione dei fatti rilevanti ai fini dell'adozione del provvedimento di rientro del minore e, con riferimento all'art. 13, lett. b) della Convenzione dell'Aja del 1980, è tenuto a valutare la possibilità della sussistenza di un fondato rischio, per il minore, di trovarsi in una situazione intollerabile o di essere esposto, per il suo ritorno, a pericoli fisici e psichici in relazione alle violenze accertate.Cass. civ. n. 29635/2022
In tema d'imposte sui redditi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 T.U.I.R. e 43 c.c., deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione all'AIRE. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sulla base di elementi di fatto, quali l'uso di tariffe telefoniche a consumo e la presenza in Italia per vincoli familiari ed incarichi di docenza, aveva escluso la residenza fiscale italiana del contribuente, senza accertare se il domicilio estero fosse il luogo di gestione abituale degli interessi, riconoscibile dai terzi).Cass. civ. n. 18009/2022
La disposizione dell'art. 2 T.U.I.R. prevede che soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato e che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Nel caso in cui il ricorrente risiede all'estero ed è iscritto all'Anagrafe dei residenti all'estero, il criterio di attribuzione della residenza fiscale in Italia è rappresentato dal domicilio, intendendo per esso la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi. Il concetto di domicilio va valutato cioè in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici dovendo intendersi il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, comprensivo anche degli interessi personali.Cass. civ. n. 14151/2022
In materia di revoca dell'assegno divorzile disposta per l'instaurazione da parte dell'ex coniuge beneficiario di una convivenza more uxorio con un terzo, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, della eventuale coabitazione di essi, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al giudizio nei modi ammessi dalla legge processuale, nonché gli ulteriori eventuali argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale.Cass. civ. n. 8286/2022
Ai sensi del combinato disposto dell'art. 2 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell'art. 43 cod. civ., deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come emergenti da elementi presuntivi. Ciò accade soprattutto in presenza di elementi significativi, quali l'acquisto di beni immobili, la gestione di affari in contesti societari, la disponibilità di almeno un'abitazione nella quale trascorrere diversi periodi dell'anno, e ciò a prescindere anche dall'iscrizione del soggetto nell'AIRE.Cass. civ. n. 20140/2021
In tema d'imposte sui redditi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 T.U.I.R. e 43 c.c., deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione nell'AIRE.Cass. civ. n. 15835/2021
In materia di esercizio della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio, il giudice territorialmente competente ad adottare i provvedimenti di cui all'art. 337 bis e ss., c.c., è quello del luogo in cui il minore ha la "residenza abituale" al momento della domanda, al cui accertamento concorrono una pluralità di indicatori da valutarsi anche in chiave prognostica, al fine di individuare, insieme al luogo idoneo a costituire uno stabile centro di vita ed interessi del minore, il giudice che, alle condizioni in essere al momento della domanda, possa dare migliore risposta alle correlate esigenze, ferme quelle di certezza e garanzia di effettività della tutela giurisdizionale che nella regola sulla competenza trovano espressione.Cass. civ. n. 3841/2021
La residenza della persona ex art. 43 c.c. è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo apprezzabile e dall'intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive. La verifica di tali requisiti, ai sensi dell'art. 19 d.P.R. n. 223 del 1989, deve avvenire da parte degli organi preposti con modalità che si concilino con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione, con l'onere a carico del richiedente di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dall'abitazione, sì da consentire al comune di concentrare e programmare i propri controlli in quelli restanti.Cass. civ. n. 9389/2013
In tema di amministrazione di sostegno, la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore; né opera, in tal caso, il principio della "perpetuatio iurisdictionis", trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze.Cass. civ. n. 6880/2012
In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 404 cod. civ., la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata abbia stabile residenza o domicilio; pertanto, in caso di collocamento del beneficiario in una casa di riposo, qualora venga meno il carattere trasitorio della sua permanenza, sull'istanza di sostituzione dell'amministratore è competente il giudice nel cui territorio si trovi detta struttura di assistenza. (Regola competenza)Cass. civ. n. 403/2012
Ai fini della competenza territoriale per le controversie di lavoro parasubordinato, la disposizione dell'art. 413, quarto comma, cod. proc. civ. fa riferimento al domicilio ex art. 43 cod. civ., quale sede principale degli affari ed interessi, che si presume coincidente con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo cui la persona si rapporta nei limiti della prestazione lavorativa, anche se resa con funzioni di massima responsabilità. (Nella specie, concernente l'impugnativa della revoca dell'incarico di direttore generale presso una ASL, la S.C., in base all'affermato principio, ha dichiarato la competenza del giudice del luogo in cui il prestatore d'opera aveva conservato la residenza anagrafica e mantenuto la famiglia, tornandovi anche nel corso della settimana lavorativa e limitandosi a dimorare nel luogo della sede di lavoro con discontinui pernottamenti d'albergo). (Regola competenza)Cass. civ. n. 25726/2011
La residenza di una persona, secondo la previsione dell'art. 43 c.c., è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato l'insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo per qualificare stabile ed abituale la permanenza nella dimora, desunti dal giudice di merito dalla mancanza di somministrazione dell'energia elettrica e dalla ripetuta assenza del ricorrente in occasione degli accessi dei vigili urbani).Cass. civ. n. 19544/2003
In tema di sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, il procedimento monitorio previsto dalla Convenzione de L'Aja, ratificata con la legge n. 64 del 1994, per il ritorno del minorenne presso l'affidatario al quale è stato sottratto, la nozione di «residenza abituale» posta dalla succitata Convenzione non coincide con quella di «domicilio» (art. 43, primo comma, c.c.), nè con quella, di carattere formale, di residenza scelta d'accordo tra coniugi (art. 144, c.c.), in quanto corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato.Cass. civ. n. 8554/1996
La presunzione di corrispondenza delle risultanze anagrafiche alla realtà effettiva riguardo alla residenza di una persona fisica (luogo in cui essa ha la dimora abituale), basandosi sul particolare meccanismo approntato dal legislatore al fine di garantire che il dato reale continui a corrispondere a quello formale (artt. 43, 44 c.c. e 31 disp. att.; artt. 2 e 11 L. 24 dicembre 1954, n. 1228; artt. 5, 11 e 13 D.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136; D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223), benché non abbia valore assoluto (iuris et de iure), deve considerarsi munita di una particolare resistenza, nel senso che, nel caso in cui ai fini del suo superamento non si adducano prove tipiche, di tenore univocamente concludente, ma elementi a loro volta presuntivi, i requisiti di gravità, precisione e concordanza di questi ultimi vanno apprezzati dal giudice del merito con particolare rigore. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che, ai fini della verifica del rispetto delle regole di cui all'art. 139 c.p.c., aveva disatteso le risultanze anagrafiche sulla base di elementi indiziari non univocamente concludenti — quali la positiva esecuzione di talune notifiche in un certo luogo, in realtà compatibile con l'ipotesi della occasionale dimora nello stesso — trascurando la valutazione di elementi di segno contrario, potenzialmente decisivi, e l'ammissione di specifica prova orale).Cass. civ. n. 6078/1987
La dichiarazione di residenza anagrafica in una certa abitazione, nello stesso od in un diverso comune, fa piena prova, ai fini della effettività della residenza, contro il dichiarante, sicché il giudice non può non tenerne conto, salvo che il dichiarante stesso non fornisca la prova della non rispondenza al vero della dichiarazione da lui fatta al funzionario comunale.Cass. civ. n. 1738/1986
La residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.Cass. civ. n. 8205/1974
Allorquando un soggetto, contratto matrimonio, va ad abitare in un luogo diverso da quello in cui si trovava con la famiglia di origine, pur se omette di segnalare all'ufficio anagrafico il cambiamento di abitazione, è nel luogo prescelto che stabilisce il proprio domicilio reale.
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Si ripete, quindi, che da un punto di vista giuridico la soluzione che non richiede il passaggio "dal notaio" appare pienamente fondata e incontrovertibile in base alla normativa attualmente in vigore.
La residenza è una situazione di fatto che implica l'effettiva e abituale presenza del soggetto in un dato luogo. La residenza può essere scelta e mutata liberamente, ma il trasferimento deve essere denunciato nei modi prescritti dalla legge. A differenza della residenza, il domicilio, secondo il disposto dell'art. 43 del c.c. è il luogo ove il soggetto stabilisce la sede principale dei propri affari ed interessi. Esso implica una valutazione che non riguarda la sfera fisica della persona, ma quella "economico sociale". La caratteristica particolare del domicilio, inoltre, è quella di poter essere eletto presso terze persone preposte a ricevere comunicazioni in nome e per conto del domiciliante. Il nostro ordinamento non prevede un obbligo di residenza, tuttavia, data l'imminente separazione dell'utente con la moglie, sarebbe consigliabile che venisse ufficializzato il fatto che i coniugi non vivono più sotto lo stesso tetto, alla luce del venir meno dell'affectio coniugalis, elemento necessario per il mantenimento del vincolo coniugale.
L'ordinamento giuridico prende in considerazione il luogo dove la persona vive e svolge la propria attività.
L'art. 43 del c.c. disciplina il domicilio e la residenza di una persona fisica, definendo il primo come il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza viene intesa quale luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale.
Il domicilio normalmente coincide con la residenza, tuttavia può anche non coincidere: ad esempio è possibile che due coniugi abbiano la stessa residenza nel luogo in cui è situata l'abitazione familiare, mentre domicili diversi nei luoghi in cui svolgono rispettivamente la loro attività professionale.
Pertanto, una persona può liberamente scegliere di fissare il domicilio e la residenza in due luoghi distinti in base alle sue esigenze lavorative e di vita, dovendo attenersi alle sole prescrizioni legislative previste per eleggere il domicilio o stabilire la propria residenza.
In relazione alla problematica da Lei sottopostaci, appare opportuno sottolineare che, per beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della "prima casa" (con riferimento all'imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale, Iva), la nota II-bis) dell'art. 1 della Tariffa, Parte Prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 dispone, tra l'altro, che l'immobile deve essere situato nel Comune in cui l'acquirente abbia o stabilisca, entro diciotto mesi dall'acquisto, la propria residenza; aspetto questo che dal tenore del quesito sembrerebbe sussistere.
La decadenza dai benefici fiscali viene comminata nelle seguenti ipotesi:
- in caso di mancata sussistenza, all'atto dell'acquisto, dei requisiti richiesti dalla legge, con conseguente falsità della dichiarazione resa;
- se l'acquirente trasferisce, entro cinque anni dalla data dell'acquisto, a qualsiasi titolo, per atto inter vivos, il bene acquistato (a meno che non acquisti entro un anno un'altra casa di abitazione non di lusso in presenza delle condizioni "agevolative");
- se l'acquirente non trasferisce la propria residenza nel Comune in cui è situato l'immobile, entro diciotto mesi dall'acquisto.
In tutti questi casi, la decadenza dall'agevolazione comporta il recupero della differenza dell'imposta non versata e degli interessi, oltre all'applicazione di una sanzione pari al 30% dell'imposta stessa.
Non è, invece, chiarito se e quanto debba essere mantenuta la residenza nel Comune del luogo in cui è sito l'immobile. Non è, dunque, prevista espressamente alcuna decadenza dall'agevolazione in caso di trasferimento in un altro comune, con cambio di residenza.
Alcuni autori, anche a seguito della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 1392 del 26 gennaio 2010, ritengono che, nell'ipotesi suindicata, il contribuente non decada dalle agevolazioni fiscali. Tale assunto trova implicita conferma nelle seguenti considerazioni: per l'acquisto della prima casa, infatti, tra le condizioni richieste per poter fruire dell'aliquota agevolata, è previsto che il contribuente dichiari di non essere titolare di altra abitazione su tutto il territorio nazionale, acquistata dallo stesso soggetto con le agevolazioni recate per la prima casa dalla normativa passata e vigente.
La norma, in definitiva, intenderebbe evitare il cumulo di agevolazioni fiscali assumendo, evidentemente, come presupposto il fatto che il trasferimento di residenza di cui trattasi non comporta la decadenza dal beneficio.
Sono senz'altro da considerarsi come ricompresi nei benefici fiscali anche gli interessi sull'eventuale mutuo prima casa.
All'opposto, se fosse prevista la decadenza dal beneficio in caso di cambio di residenza, la previsione legislativa da ultimo citata risulterebbe priva di ratio.
A nostro parere tale orientamento può essere ritenuto un valido elemento di difesa in sede di ipotetico accertamento, da parte del fisco, delle cause di decadenza delle agevolazioni prima casa.
Per ciò che concerne la "famiglia di fatto", nel linguaggio giuridico sociologico contemporaneo la famiglia di fatto (o famiglia naturale) è quella costituita da persone di sesso diverso, che convivono more uxorio pur non avendo contratto il vincolo matrimoniale. Secondo la costante giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, affinché sussista la c.d. "famiglia di fatto" non è sufficiente la semplice coabitazione, dovendosi fare riferimento ad una situazione interpersonale di natura affettiva, con carattere di tendenziale stabilità e con un minimo di durata temporale che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale. Detto questo, quindi, quando due persone abitano insieme, pur avendo residenze anagrafiche diverse, sicuramente coabitano, ma, per essere considerati "famiglia di fatto" occorre qualcosa in più: occorre che i due partner si comportino come marito e moglie. Ad ogni modo, la residenza anagrafica non ha niente a che fare con il concetto di convivenza o famiglia di fatto.