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Articolo 2 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 09/10/2024]

Soggetti passivi

Dispositivo dell'art. 2 TUIR

1. Soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.

2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell'applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente(1).

2-bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.

Note

(1) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 1, comma 1 del D. Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209.
Il D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 ha disposto (con l'art. 7, comma 1) che la presente modifica si applica "a decorrere dal 1° gennaio 2024".

Massime relative all'art. 2 TUIR

Cass. civ. n. 8627/2019

In tema di ICI, la detrazione di cui all'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 non è necessariamente correlata alla residenza anagrafica del contribuente, essendo consentito a quest'ultimo di dimostrare che l'abitazione principale si trova altrove, anche in più unità catastali, purché il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, considerato che assume rilievo non il numero delle unità catastali ma l'effettiva utilizzazione quale abitazione principale dell'immobile complessivamente considerato, ferma restando la spettanza della detrazione una sola volta per tutte le unità. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. ROMA, 03/07/2013).

Cass. civ. n. 6117/2019

In tema di IRPEF, è escluso dalla base imponibile, ai sensi dell'art. 3, comma 3, lett. c), del T.U.I.R. - abrogato a decorrere dall'anno di imposta 2001 - il reddito derivante da lavoro dipendente (nonché il relativo TFR) prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Sulla base di tale disposizione, si ritiene non soggetto a tassazione il reddito prodotto all'estero, da un cittadino residente, in virtù di contratti di lavoro stipulati con committenti esteri, la cui qualificazione giuridica è da ascriversi al rapporto di lavoro dipendente, a nulla rilevando le eccezioni sollevate dall'Amministrazione finanziaria circa la riconducibilità degli stessi contratti a fattispecie di lavoro autonomo.

In tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all'estero è escluso dalla base imponibile ex art. 3, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 917 del 1986, trattandosi di retribuzione differita che matura anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all'ammontare degli emolumenti corrisposti, essendo a tal fine irrilevante la circostanza che il contribuente abbia la residenza in Italia. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non conforme al principio enunciato la circolare del Ministero delle Finanze n. 95 del 18 ottobre 1997 che, posta a fondamento della sentenza impugnata, aveva considerato la norma indicata inapplicabile all'indennità di fine rapporto percepita dal lavoratore per prestazioni svolte all'estero per conto di una società italiana ivi operante). (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. ROMA, 16/02/2011).

Comm. Trib. Reg. Toscana n. 231/2018

In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti dall’esercizio di un’impresa familiare vanno imputati ai singoli partecipanti a condizione che sussistano i presupposti giuridici ex art. 5, comma 4, del d.p.r. n. 917/1986, per la qualifica di questi ultimi come collaboratori familiari, cioè l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa e delle quote loro attribuite nonché l’attestazione, nella dichiarazione annuale di ciascun partecipante, di aver lavorato per l’impresa familiare (Cass., ord. n. 7995/2017).

Comm. Trib. I grado Bolzano n. 7/2018

La disciplina contenuta nella legge 30 dicembre 2010, n. 238, prevedendo dei benefici fiscali sotto forma di riduzione del reddito imponibile per i cittadini europei che, dopo aver trascorso un periodo di studio di almeno 24 mesi risiedendo all’estero, rientrino in Italia per lo svolgimento di attività lavorativa, ha natura eccezionale rispetto alla normativa generale dettata in materia di residenza ai fini IRPEF. Ne deriva che, qualora non risulti che il soggetto richiedente abbia effettivamente trasferito la propria residenza nel Paese estero durante il periodo di svolgimento dell’attività di studio, attraverso la formale cancellazione dall’anagrafe tributaria italiana, non può ritenersi integrato il requisito richiesto dalla su richiamata normativa agevolativa ai fini del riconoscimento del rimborso.

Comm. Trib. Reg. Piemonte n. 1507/2017

Il requisito dell’abitualità della dimora in un determinato luogo permane anche qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. La residenza, dunque, non viene meno per assenze, più o meno prolungate, dovute a particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di lavoro, di studio, di cura o di svago. Peraltro, laddove i legami professionali e personali dell’interessato non siano con- centrati in un solo Stato membro, bisogna riconoscere la preminenza dei legami personali su quelli professionali.

Comm. Trib. Reg. Toscana n. 1805/2017

Una persona fisica che da certificati medici risulta affetto da “insufficienza mentale con disturbi comportamentali” tali da comportare una “patologica compromissione della capacità percettiva, previsionale, di analisi, di critica e di giudizio nonché delle facoltà di discernimento e di determinazione volitiva, non può essere considerata soggetto passivo di imposta. (Nel caso di specie, era risultato che a nome del soggetto “affetto da insufficienza mentale” era stata presentata una dichiarazione dei redditi riguardante l’anno 2001 con riferimento ad un’attività d’impresa, avente ad oggetto l’edilizia, ma senza che fosse stato effettuato alcun versamento d’imposta. Il soggetto, effettivamente affetto da insufficienza mentale, era risultato essere stato utilizzato da terzi per un'attività edilizia in apparenza esercitata regolarmente, ma per la quale non erano state corrisposte le imposte dovute).

Cass. civ. n. 6501/2015

Al fine di vincere la presunzione di residenza fiscale in Italia dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, il contribuente deve dimostrare che è ubicata all'estero la sede principale dei suoi interessi vitali, non assumendo peraltro rilevanza prioritaria le relazioni familiari, quanto piuttosto la sede effettiva dell'attività.

Cass. civ. n. 21437/2014

In tema di imposte sui redditi, si applica anche a vantaggio del contribuente che invochi il regime nazionale a lui più favorevole il comma 2 bis dell'art. 2 del D.P.R. 27 dicembre 1986 n. 917, che, nel prevedere, per i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con d.m., la presunzione di residenza in Italia, affranca dall'onere della prova chi sia interessato a far valere tale fatto e prescrive, invece, espressamente, per la parte che sia interessata a negarlo (nella specie, il fisco), l'onere di fornire la prova contraria per affermare l'inesistenza della residenza stessa. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 25/06/2008).

Cass. civ. n. 13803/2001

L'alternatività dei tre criteri di individuazione della residenza fiscale del contribuente in Italia previsti dall'art. 2 comma 2 D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, permette di assoggettare a tassazione in Italia il soggetto che vi abbia la sede principale dei suoi interessi economici e delle proprie relazioni personali. Conseguentemente il cittadino italiano, pur iscritto nei registri dei residenti all'estero, risulta assoggettato a tassazione in Italia anche per i redditi prodotti e dichiarati in altro Stato quando si rende applicabile il criterio di collegamento del domicilio previsto dalla relativa convenzione contro le doppie imposizioni.

In tema d'imposta sui redditi, l'art. 2, comma 2, D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue, pertanto, che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali. Né a diversa conclusione conduce la convenzione tra l'Italia e la Gran Bretagna per evitare le doppie imposizioni (ratificata e resa esecutiva con la l. 5 novembre 1990 n. 329), atteso che, ai sensi dell'art. 4 del testo dell'accordo, il concetto di residenza fiscale ben può essere ricollegato, ove non sia possibile l'utilizzazione di altri criteri, al centro degli interessi vitali, ossia al luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2 TUIR

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Anonimo chiede
martedì 22/10/2024
“Buongiorno, sono cittadino italiano residente in Svizzera a Lugano dal maggio 2017, in possesso del permesso C , con abitazione permanente, regolari contratti per utenze, assicurazioni .... e stabilmente presente in loco. Poiché viaggio in aereo per lavoro ed anche per turismo con almeno 12-14 voli l'anno e mi è comodo partire da Malpensa.
Ora con d.lgs. n. 209/2023 art. 2 si è modificata la disciplina della residenza fiscale considerando anche le frazioni di giorno in Italia conteggiandole come giorno intero (ho inteso bene ??) come presenza fisica sul territorio, vorrei un chiarimento su questo.
Ovviamente da Lugano per raggiungere Malpensa entro in territorio italiano per una frazione di giorno, stessa cosa al ritorno quindi potenzialmente anche 30 casi di questo genere all' anno; ma allora queste 30 giornate le dovrei computare come presenza in Italia?
Stessa domanda nel caso di un viaggio in auto in Francia od in Croazia, attraversando l'Italia questo diventa un giorno di residenza fiscale?

Grazie dell' attenzione, resto in attesa di vostro commento

Consulenza legale i 28/10/2024
La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche è rinvenibile nel disposto dell’art. 2 co.2 del TUIR secondo cui “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell'applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresi' residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”. La modifica introdotta a seguito dell’art.1 del Dlgs. 209/2023, riguarda l’inserimento nei criteri di individuazione della residenza fiscale, alla presenza fisica, togliendo invece efficacia al requisito formale, cioè quello anagrafico, ritenuto prevalente nella previgente versione normativa, che rileva invece dal 1.01.2024 “salvo prova contraria”. Nella disciplina ad oggi vigente, vengono considerati residenti fiscali coloro i quali soddisfano anche solo uno dei criteri seguenti per la maggior parte del periodo d’imposta (vale a dire per almeno 183 o 184 giorni anche non continuativi):
- la residenza nel territorio dello Stato, intendendosi come tale il luogo in cui si ha la dimora abituale;
- il domicilio nel territori dello Stato, intendendosi il luogo in cui si sviluppano le relazioni personali e familiari;
- la presenza fisica nel territorio dello Stato;
- l’iscrizione anagrafica, salvo prova contraria.

Nel caso posto dal gentile cliente, non si ritiene che il solo fatto di transitare dal Paese, possa essere considerato elemento per far presumere la residenza fiscale dello stesso, vero è che non ci sono ancora stati chiarimenti ufficiali in merito. Si giunge a questa conclusione sulla base di quanto previsto dalla convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra i due stati. Nel caso di specie, ai fini della convenzione, la nozione di residenza è strettamente collegata a criteri di domicilio, di sede di direzione, di abitazione permanente e di soggiorno abituale, nulla rilevando la presenza fisica.
Anche circa l’introduzione della locuzione “frazione di giorno”, non ci sono ancora stati chiarimenti ufficiali su cosa debba intendersi.
Si ricorda in ogni caso che ai fini della soddisfazione dei criteri per poter essere considerati residenti in Italia, gli stessi devono essere avverati per 183/184 giorni.

Si ricorda poi che, a mente dell’art.2 co2-bis del TUIR, sono considerati residenti in Italia anche i cittadini che, dopo essersi cancellati dalle anagrafi della popolazione residente, si siano trasferiti in Stati con fiscalità privilegiata, tra cui rientra la Svizzera (occorre far riferimento all’elenco di Paesi considerati black list di cui al DM 4.5.99). E’ ammessa in questo caso la prova contraria, con onere da parte del soggetto che si è trasferito in questi Paesi di dimostrare la propria residenza estera. A questo fine appaiono sufficienti gli elementi indicati dal gentile cliente (abitazione permanente, contratti di locazione, contratti di fornitura di servizi (acqua, luce, gas, telefono ecc) ecc.

Giuseppe T. chiede
lunedì 01/04/2019 - Lazio
“Sono sposata in comunione di beni. Sono cittadina australiana che lavora presso l'ambasciata ...omissis.... 21 anni fa comprammo una casa e la intestammo a mio marito.
Risiedo nella casa da lui acquistata.
Nel 2009 mi arriva la prima cartella delle tasse. Abbiamo fatto ricorso assistiti dall'avv.. Abbiamo perso in primo e secondo grado. Siamo arrivati in Cassazione.
Il mio legale ha fatto eccezione facendo riferimento al trattato di Vienna secondo cui TUTTO il personale straniero che lavora in ambasciata è esentato dall'irpef. Nel frattempo, mi è arrivato un avviso per il 2012 e 2013 . Il mio legale mi ha consigliato di fare la separazione dei beni per "salvare" la casa.
Noi abbiamo timore che facendola non entri in vigore la retroattività, la prima cartella, e che possano aggredire la casa? Cosa mi consigliate?
Nel caso fossi condannata a pagare e non avendo risorse è vero che potrebbero pignorarmi al massimo il quinto dello stipendio anche per il futuro non seguitando a fare denuncia redditi? Grazie di vero cuore.”
Consulenza legale i 08/04/2019
Il primo comma dell’art. 177 del c.c. dispone che costituiscono oggetto di comunione legale tutti i beni acquistati dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, fatta eccezione per i beni personali.
Ai sensi del successivo art. 179 del c.c., invece, sono beni personali, tra gli altri, gli immobili acquistati dopo il matrimonio, purchè:
  1. la loro esclusione dalla comunione venga fatta risultare dallo stesso atto di acquisto, mediante manifestazione di consenso del coniuge che ne vuole rimanere estraneo;
  2. si tratti di beni di uso strettamente personale o destinati all’esercizio della professione del coniuge ovvero, infine, acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali.

Pertanto, se nel caso in esame non ricorre alcuna delle condizioni sopra viste, non potrà dirsi che l’immobile di cui si discute, acquistato in regime di comunione legale dei beni, sia di proprietà di uno solo dei coniugi, ma dovrà ritenersi come facente parte della comunione stessa.
In conseguenza di ciò, e stando al regime ordinario di tassazione dei beni, ciascuno dei coniugi-comproprietari, sarà obbligato in solido al pagamento dei tributi afferenti quel bene (non si è in grado di esprimere alcun giudizio sull’esito del ricorso proposto, in quanto non si conoscono le ragioni per cui lo stesso è stato esperito né le motivazioni delle decisioni di primo e secondo grado che lo hanno respinto).

Nel caso di specie, tuttavia, viene prospettata un’eccezione a quello che è stato definito regime ordinario di tassazione dei beni, discendente dalla circostanza che uno dei due coniugi contitolari è cittadina australiana e presta servizio presso l’Ambasciata ...omissis...
Ciò richiede di valutare se possa trovare o meno applicazione la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, conclusa a Vienna il 24 aprile 1963 e ratificata in Italia il 25.06.1969.

Premesso, intanto, che ai sensi dell’art. 1 lett. e) di tale convenzione per «impiegato consolare» si intende “ogni persona impiegata nei servizi amministrativi o tecnici d’un posto consolare”, la Sezione II di essa è dedicata alle “Agevolezze, privilegi e immunità concernenti i funzionari consolari di carriera e gli altri membri del corpo consolare”, tra cui anche gli impiegati consolari.
Tra le norme contenute in questa Sezione, quella che qui ci interessa è l’art. 49, rubricato “Esenzioni fiscali”, il quale, nella sua prima parte dispone che “I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali e comunali”.

Continuando la lettura di tale norma, però, non si può fare a meno di rinvenire una serie di eccezioni a tale regime di esenzione fiscale.
In particolare, almeno per ciò che qui ci interessa, la lettera b) del suddetto art. 49 dispone che fanno eccezione (e dunque devono corrispondersi) “le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza, riservate le disposizioni dell’articolo 32(l’art. 32 prevede l’esenzione per le sole stanze consolari poste al servizio di un capo di posto consolare di carriera, non di un impiegato, e di cui sia proprietario lo Stato di invio).

Non potendosi far rientrare il reddito prodotto da tale fabbricato in alcun particolare regime di esenzione, dovrà per forza di cose trovare applicazione il principio generale di tassazione dettato dall’articolo 2 del DPR n. 917/86, secondo cui sono tassabili tutti i redditi percepiti da parte dei soggetti fiscalmente residenti in Italia (i non residenti, invece, sono fiscalmente tassati soltanto per i redditi ivi prodotti).

La cittadinanza straniera e la residenza in Italia costituiscono soltanto presupposti per godere della esenzione da tassazione relativa ai redditi percepiti nello svolgimento del proprio incarico di rappresentanza diplomatica, fra i quali non possono ricomprendersi i redditi derivanti dalla sfera privata, quali sono appunto quelli relativi ad investimenti immobiliari effettuati in Italia (questi restano sottoposti alla tassazione prevista dalla normativa fiscale italiana).

Nessun effetto positivo sulla finalità che si intende raggiungere potrebbe sortire un eventuale passaggio dal regime di comunione legale a quello di separazione dei beni; infatti, il solo risultato che la stipula di tale convenzione matrimoniale potrebbe produrre, sarebbe quello di far ricadere quell’immobile in comunione ordinaria anziché in comunione legale (nulla mutando sotto il profilo della relativa tassazione).

In ogni caso, come giustamente osservato, qualunque mutamento nella titolarità del bene non potrebbe avere effetti che per il futuro, rimanendosi obbligati per i redditi anteriori a tale data e che già hanno costituito oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate.

Unico sistema per salvare la casa in ipotesi di eventuale pignoramento immobiliare potrebbe essere quello di opporre la sua impignorabilità al ricorrere delle condizioni previste dalla legge n. 69 del 21 giugno 2013 (cosiddetto “Decreto del fare”).
Tal normativa, in particolare, richiede la sussistenza dei seguenti presupposti:
  1. che ad agire sia l’Agenzia delle Entrate riscossione;
  2. che si tratti dell’unico immobile di proprietà del debitore;
  3. che il debitore risieda anagraficamente nell’immobile;
  4. che il bene non sia qualificabile come di lusso.

Qualora difetti anche uno solo di tali presupposti, purtroppo, si dovrà soggiacere al pignoramento di quell’immobile, come del resto pignorabile sarà lo stipendio di uno qualsiasi dei due debitori.
In quest’ultimo caso, tuttavia, il pignoramento non potrà estendersi oltre il 20% dello stipendio (ovvero il suo quinto); per calcolare con esattezza tale importo si dovrà prendere in considerazione la retribuzione netta in busta paga, ovvero quella risultante al netto delle ritenute previdenziali e fiscali.

ALFREDO C. chiede
lunedì 18/09/2017 - Lazio
“Un cittadino italiano da circa due anni ha sposato una cittadina della Tanzania che ha preso la residenza qui a R. dove risiede con il Coniuge.
Nel 2016 il Coniuge ha effettuato una donazione alla Moglie bonificando la somma in Tanzania di Euro 100.000,00
I due coniugi vivono per circa otto mesi l'anno in Tanzania e circa quattro mesi in Italia.
La domanda: la Signora che non ha redditi in nessuna parte del mondo, deve fare la dichiarazione dei redditi e compilare il quadro RW per la somma ricevuta?
Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 23/09/2017
Preliminarmente occorre far osservare che, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 2, comma 1 del TUIR approvato con d.P.R. n. 917/86, sono soggetti passivi di imposta in Italia le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato.

Il successivo comma 2 precisa che si considerano residenti le persone che, per la maggior parte del periodo di imposta:
  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
  • hanno nel territorio dello Stato il domicilio o
  • la residenza ai sensi del codice civile.

L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente comporta, quindi, una presunzione assoluta di legge per effetto della quale il cittadino è soggetto passivo di imposta in Italia, indipendentemente dal fatto che per una parte dell’anno, anche superiore a 182 giorni, viva al di fuori dei confini del territorio nazionale.

A norma del successivo art. 3 del TUIR, per tali soggetti l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 dello stesso TUIR.

Venendo poi al tema della somma di € 100.000,00, bonificata in Tanzania a favore della moglie, si fa osservare quanto segue.
A norma dell’art. 2 della legge n. 186 del 2014 , l’obbligo di monitoraggio degli investimenti e delle attività finanziarie detenute all’estero non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro; fermo restando, comunque, l’obbligo di compilazione del quadro RW laddove sia dovuta l’IVAFE, ossia l’imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (nella misura fissa di 34 euro per ciascun conto - che, si ricorda, non è dovuta solo qualora la giacenza media annua di tutti i conti e libretti detenuti presso il medesimo intermediario non superino la giacenza media annua di euro 5.000).

Per il resto, invece, si ricorda che, come precisato nelle istruzioni alla compilazione del quadro RW del Mod. PF – Persone fisiche, il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE).

Tali soggetti devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta; questo obbligo sussiste anche se il contribuente nel corso del periodo d’imposta ha totalmente disinvestito. Per i conti correnti il contribuente deve indicare quale valore iniziale il saldo di ciascun conto all’inizio dell’anno e come valore finale la giacenza media annua complessiva di tali conti.

Non è più previsto l’obbligo di monitoraggio dei trasferimenti da, verso e sull’estero effettuati con riferimento alle suddette attività.
Il quadro RW non va compilato per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi.

L’obbligo di monitoraggio non sussiste, inoltre per:
a) le persone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali ratificati;
b) i contribuenti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri paesi limitrofi con riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.

Tale esonero viene riconosciuto solo qualora l’attività lavorativa all’estero sia stata svolta in via continuativa per la maggior parte del periodo di imposta e a condizione che entro sei mesi dall’interruzione del rapporto di lavoro all’estero, il lavoratore non detenga più le attività all’estero. Diversamente, se il contribuente entro tale data non ha riportato le attività in Italia o dismesso le stesse, è tenuto ad indicare tutte le attività detenute all’estero durante l’intero periodo d’imposta (articolo 38, D.L. 78/2010).

Se i prodotti finanziari o patrimoniali sono in comunione o cointestati, l’obbligo di compilazione del quadro RW è a carico di ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso.

Sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione. Qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW, salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società.

L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste anche nel caso in cui le attività siano possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona (ad esempio effettiva disponibilità di attività finanziarie e patrimoniali formalmente intestate ad un trust residente o non residente). In particolare, devono essere indicati gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria nonché gli investimenti in Italia e le attività finanziarie italiane, detenute per il tramite di fiduciarie estere o di soggetti esteri fittiziamente interposti che ne risultino formalmente intestatari.

L’obbligo dichiarativo ai fini del monitoraggio riguarda anche il caso in cui le attività e gli investimenti esteri, pur essendo formalmente intestati a società o ad entità giuridiche diverse dalla società siano riconducibili a persone fisiche in qualità di titolari effettivi delle attività secondo quanto previsto dalla normativa antiriciclaggio (art. 1, comma 2, lettera u), del d. lgs. n. 231/2007 e art. 2 dell’allegato tecnico).

Disposizioni specifiche sono state dettate in riferimento al caso di detenzione di attività estere per il tramite di società ma, non si riportano in questa sede, dal momento che il caso prospettato sembra non avere a che vedere con questa ipotesi.
In merito alle modalità dichiarative si ricorda che il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE e IVAFE.

Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi, quale sembra il caso di specie (“la Signora che non ha redditi in nessuna parte del mondo”), il quadro RW, per la parte relativa al monitoraggio, deve essere presentato con le modalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del Modello Redditi Persone Fisiche 2017 debitamente compilato.

D. P. chiede
mercoledì 30/11/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, mia moglie portoghese con cittadinanza italiana acquisita, residente in Italia, in Portogallo è parte con la sorella maggiore, che la gestisce ai sensi dell'art. 2079 del codice civile portoghese, di una Comunione ereditaria indivisa intestata al defunto padre. Le imposte irpef (affitti) e immobiliari portoghesi sono corrisposte dalla sorella quale legale rappresentante dell'eredità, con il proprio codice fiscale per l'irpef mentre le imposte immobiliari vengono versate con il codice fiscale della Comunione ereditaria. La domanda è: quali imposte sono dovute per l'Italia? Mia moglie può rientrare nei casi di esclusione dovuto al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, comma 3, anziché comma 1? Grazie”
Consulenza legale i 10/12/2022
Quadro normativo di riferimento
La comunione ereditaria è una particolare tipologia di comunione che si instaura a seguito della morte di una persona fisica (de cuius), allorquando vi siano più eredi i quali diventano comproprietari pro quota dei beni e contitolari dei diritti e dei debiti che fanno parte dell'eredità.
L’oggetto della comunione ereditaria può essere rappresentato da un bene immobile che, per volere dei comproprietari eredi, può essere concesso in locazione.
Il canone di locazione, concordato fra eredi locatori e il conduttore, rientra nella categoria dei frutti civili, ai sensi dell'art. 820 del c.c. e, come tale, è ripartito pro quota fra i comunisti.
Se l’immobile, rientrante nella comunione ereditaria e oggetto di locazione è sito in Italia, il canone percepito dai singoli comunisti assume rilevanza da un punto di vista fiscale, in quanto costituisce fonte di reddito da locazione, indipendentemente dalla effettiva percezione, ai sensi dell’art. 26 del T.U.I.R..
Allorquando l’unità immobiliare si trovi in altro stato e uno dei comproprietari sia residente in Italia, ai sensi dell’art. 2 del T.U.I.R., in taluni casi e in presenza di specifici presupposti, i proventi possono rilevare fiscalmente anche in Italia, in ragione del principio di imposizione su scala mondiale, di cui all'art. 3 del T.U.I.R..
I proprietari di immobili all’estero ma residenti in Italia, possono, in taluni casi, essere soggetti, dunque, al rispetto rigoroso di specifici obblighi dichiarativi e di versamento secondo l’ordinamento italiano.
Nelle ipotesi in cui tali proventi siano rilevanti fiscalmente nello stato dove è sito l’immobile e nello Stato ove il proprietario è residente si pone il problema di doppia imposizione, che, come noto, è suscettibile di disincentivare gli investimenti che riguardano gli immobili in altri Stati, diversi da quello di residenza (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 12 aprile 2018, causa – C110/17).
Al fine di eliminare o limitare il fenomeno della doppia imposizione, con riferimento al medesimo presupposto impositivo, l’Italia ha firmato con la quasi totalità di Paesi con cui intrattiene rapporti commerciali una Convenzione contro le doppie imposizioni.
Si tratta di accordi bilaterali a livello internazionale, con i quali i Paesi firmatari regolano, reciprocamente, l’esercizio della potestà impositiva con il precipuo scopo di eliminare fenomeni di doppia imposizione sui redditi e/o sul patrimonio gravanti sui soggetti economici residenti nei vari Paesi nel mondo, che sarebbero in contrasto con generali e ineludibili principi in materia di libera circolazione delle persone e dei capitali, previsto specificamente in ambito unionale.
La quasi totalità di tali accordi bilaterali “ricalca” il modello di Convenzione, approvato in sede OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Tale modello, all’art. 6, stabilisce che gli immobili siano tassati nello Stato in cui sono situati.
La previsione di tassabilità degli immobili nel Paese, ove è sito, affermata in ambito OCSE, non esclude l’assoggettamento a imposta anche nell’altro Stato di residenza del contribuente proprietario.
Nelle ipotesi in cui dalla Convenzione emerga che il reddito derivante da un immobile all’estero debba essere soggetto a tassazione anche in Italia, occorre individuare il regime applicabile.
Al riguardo, il riferimento normativo è contenuto nell’ar. 70 del T.U.I.R., il quale, in linea generale, distingue le ipotesi in cui il reddito derivante dal possesso di immobili di fonte estera sia assoggettato a tassazione dalla diversa ipotesi in cui i proventi non siano tassati nello Stato estero.
In particolare, ai sensi della citata norma:
· se il reddito, derivante dalla locazione dell’immobile, e soggetto a imposte sui redditi nello Stato estero, occorre indicare nella dichiarazione italiana l'ammontare dichiarato nello Stato ove e situato l'immobile; in questo caso spetta il credito per le imposte estere, in luogo della deduzione forfetaria del 15%;
· se, invece, lo Stato estero non prevede l'imposizione diretta sui canoni di locazione, il provento concorre alla formazione del reddito italiano, ridotto del 15%, senza poter fruire del credito per le imposte estere.

Obblighi dichiarativi in caso di immobili detenuti all’estero
La detenzione di un bene immobile all’estero, in taluni casi, impone il rispetto di una serie di obblighi di natura dichiarativa, quali in particolare l’adempimento di obblighi in materia di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
Il principale adempimento riguarda la compilazione del quadro RW del modello di dichiarazione dei redditi, nel quale i soggetti residenti, a partire dal periodo di imposta 2009, sono tenuti a indicare il valore degli immobili siti all’estero, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia.

Esoneri dalla compilazione del quadro RW
Ai sensi dell’art. 4, comma 3, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, gli obblighi di monitoraggio non trovano applicazione per gli immobili affidati in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, ai fini dell’esenzione occorre un mandato con un intermediario finanziario a tutti gli effetti ed eventualmente iscritto a un apposito Albo (Agenzia delle Entrate, risoluzione 31 maggio 2011, n. 61 e 8 marzo 2012, n. 23).

Applicazione dell’IVIE
Gli immobili detenuti all’estero da persone fisiche sono soggetti a IVIE.
Si tratta di una imposta che trova applicazione nei confronti di:
· proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali per natura o per destinazione destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo
· titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi
· concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali
· locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.
A partire dal periodo di imposta 2016, l’imposta non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale (e per le relative pertinenze), e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che in Italia non risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Fattispecie concreta
Preliminarmente alla analisi dei quesiti prospettati e delle eventuali implicazioni fiscali, occorre precisare che la sussistenza del requisito della residenza in Italia in capo a Sua moglie è assunto sulla base delle informazioni fornite.
Alla luce delle considerazioni in precedenza svolte, si ritiene che, nel caso in esame, siano diversi gli obblighi di natura dichiarativa e di versamento da adempiere.
I comproprietari di beni immobili siti all’estero e concessi in locazione sono tenuti alla dichiarazione
in Italia dei proventi, derivanti dalla locazione di unità immobiliari in Portogallo. Ciò significa che Sua moglie, in qualità di comproprietaria è tenuta alla dichiarazione dei proventi derivanti dalla locazione, indipendentemente dalla effettiva percezione, come previsto dall'art. 26 del T.U.I.R..
Tali canoni configurano redditi diversi, ai sensi dell'art. 67 del T.U.I.R. assoggettati alla relativa disciplina.
Come rilevato, la tassazione del reddito in Italia dipende dalla circostanza che il governo Portoghese tassi direttamente tali canoni o li consideri esenti:
· se in Portogallo tali canoni di locazione sono direttamente tassati in Italia, bisognerà utilizzare la stessa base imponibile dello Stato estero;
· se in Portogallo tali canoni non sono direttamente tassati, il canone di locazione è ridotto del 15%.
Al riguardo, per comprendere in quale categoria si rientri nel caso specifico, occorre farsi rilasciare una attestazione da parte dell’Autorità portoghese.
Ulteriore obbligo di natura dichiarativa, che si ritiene sussistente nel caso di specie riguarda gli adempimenti in materia di monitoraggio fiscale, di cui all’art. 4, D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (compilazione del quadro RW), per le ragioni che seguono.
Le ipotesi di esenzione di cui all’art. 4, del citato Decreto, non possono trovare applicazione, atteso che la sorella di Sua moglie, pur gestendo di fatto gli immobili, non possa rivestire la qualifica di intermediario, ai sensi della normativa sopra esposta.
Con riferimento agli obblighi di versamento, oltre a considerare i canoni di locazione come redditi diversi, ai fini delle imposte dirette complessivamente dovute a fine anno, si ritiene, infine, che Sua moglie potrebbe essere anche soggetta al pagamento dell’IVIE.




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